Interessante questo post che riprendo dal blog del prof. Leonardo Lugaresi, esperto di studi sulle culture antiche e il cristianesimo dei primi secoli, oltre che di patristica.
adorazione eucaristica

Vedo che alcuni di noi chiedono con forza che sia permesso andare a messa almeno a Pasqua, e che altri di noi deplorano severamente questa richiesta. A me pare che siamo in una situazione aporetica (dunque tragica, se non ci fosse altro). Da una parte, infatti, non intendendomi di queste cose presumo che siano buone, se volete anche ottime, le ragioni per cui le autorità dicono che andare a messa sarebbe pericoloso per la salute pubblica; dall’altra, c’è poco da girarci intorno: se i sacramenti divengono impraticabili perché pericolosi, questa è la disfatta del cattolicesimo. Se devi dire che andare a messa è pericoloso, fai fatica a sostenere che la messa è salvifica. E così per tutto il resto. Scusate la brutalità dell’esempio (ma mi pare che i tempi la richiedano): se chiudi Lourdes perché dici che ad andarci si rischia la vita (propria e altrui), come fai, quando il peggio è passato, a dire di tornarci?
Non dico che questo modo di ragionare sia incontrovertibile, e prego di credere che conosco già un certo numero di obiezioni, però è oggettivo che si ragioni così. Se la pratica della fede cristiana finisce per consistere esclusivamente in quel che ciascuno può fare per conto suo (e da casa sua), non siamo forse già arrivati, di fatto, alla fine del cattolicesimo? Parlare di protestantesimo, a questo punto, non significa lanciare un’accusa ideologica (e in definitiva ingiusta) ma semplicemente segnalare una somiglianza formale ormai decisivamente acquisita: una pratica cristiana come quella prevalentemente vigente in queste settimane è perfettamente compatibile con una concezione “protestante” della fede, a prescindere dai contenuti dogmatici che si professano, mentre lo è molto meno (se non per nulla) con quella cattolica. Si può benissimo continuare a sottoscrivere tutto ciò che il Catechismo della chiesa cattolica dice, ma di fatto si vive come vivrebbe un non cattolico.
Non si dica, per favore, che però ci sono le dirette in streaming delle messe, che tanta gente segue quella del papa alla mattina, che si sono create miriadi di occasioni di incontro virtuale sulla rete, eccetera eccetera. Tutte cose che possono essere buone, anche ottime, ma che nell’insieme non risolvono affatto il problema anzi rendono più problematica ancora la situazione della chiesa cattolica. La tele-chiesa (o Zoom Christianity se preferite) che rischia di profilarsi all’orizzonte è ancor più difficilmente compatibile con la logica di prossimità e con l’attaccamento alla dimensione materiale e corporea della vita che per venti secoli ha sempre caratterizzato in modo essenziale l’esperienza della fede cattolica. Qui il discorso sarebbe lungo, complesso e delicato e io non ho la pretesa di essere in grado di farlo. Però mi sembra vitale e urgente che si svolga una riflessione approfondita su tutta questa materia. Nel frattempo, dopo che in queste settimane si è insistito tanto sul “guardare la messa in televisione” temo che sarà difficile poi spiegare, se e quando finirà “l’emergenza”, che però a messa bisogna andarci e i sacramenti non si teletrasmettono.
Ripeto, son cose gravi e non ho nessuna pretesa di parlarne adeguatamente: solo azzardo un’osservazione e una proposta. Mi pare che sia stato un grave errore di comunicazione (dietro al quale però c’è probabilmente un problema teologico) aver lasciato passare il messaggio che “le messe sono sospese”. Le messe non sono affatto sospese, perché i sacerdoti hanno continuato a celebrarle. Questo è l’essenziale, ed andava ribadito con tutta la forza possibile e immaginabile: che la messa ci sia, non che io possa andarci. Quella che è venuta meno, nella presente circostanza, è la partecipazione del popolo, quindi tutto ciò che si riferisce alla “dimensione assembleare” della liturgia, non la sua essenza sacrificale. Certo, dopo che per cinquant’anni ci hanno fatto una capa tanta per convincerci che la messa sine populo era un’aberrazione preconciliare, ora che è l’unica a sopravvivere capisco che sia dura doverne riconoscere il valore, però questa è la realtà. Si è insegnato per decenni che senza il popolo la messa non aveva senso farla, che la messa è solo il memoriale della cena del Signore mentre l’idea del sacrificio era un’anticaglia di cui sbarazzarsi, però adesso la sola maniera in cui ci dicono che si può fare è quella in cui il popolo non c’è. Senza nulla togliere, ovviamente, al valore della partecipazione dei fedeli e alla necessità di tornare a promuoverla con tutte le forze appena sarà possibile, non era forse questo il momento in cui rimettere al centro dell’attenzione il valore salvifico del sacrificio celebrato, in solitudine, dal sacerdote sine populo ma pro populo? Non dico che non lo si sia fatto per niente. Dico che è stato fatto troppo poco e che, in ogni caso, non è stato questo il messaggio centrale che è arrivato alle persone.
La proposta è la seguente: c’è una cosa assolutamente ed esclusivamente cattolica che si potrebbe fare anche adesso in condizioni di ragionevole sicurezza e che certamente coprirebbe di benedizioni e di grazie il nostro paese (e il mondo intero se fosse fatta dappertutto): l’adorazione eucaristica perpetua (cioè h 24 7 giorni su 7) in tutte le parrocchie d’Italia (o quanto meno in tutte quelle in cui si riesce a organizzarla). Perché i nostri vescovi non la lanciano come grande “impresa” della chiesa italiana per la salvezza del nostro paese? Credete che non si trovino in ogni parrocchia due o tre persone ogni ora che si impegnano a vegliare in preghiera davanti al Santissimo, potendo farlo a distanza ben più che di sicurezza quali che siano le dimensioni della chiesa? Vorrebbe dire qualche decina di persone coinvolte ogni giorno: in un tempo in cui in tanti non vanno a lavorare credete sarebbe così difficile da fare? Io non penso. Credo anzi che ci sarebbero molte persone desiderose di prendervi parte, e anche di sobbarcarsi i turni più faticosi.
P.S. Lo dico perché nella mia parrocchia, grazie a Dio (e al parroco), l’esposizione del Santissimo c’è, ma solo per un’ora al giorno. Avendo la fortuna di abitare a cento metri di distanza, posso andarci tutti i giorni, in barba a qualsiasi ordinanza di questo mondo. Quell’ora è diventata il perno cattolico della mia vita. So che il parroco dice la messa alle sette del mattino ma non ne sento troppo la mancanza: se sono già sveglio, mi basta pensarci e non ho bisogno anzi non sarei neanche interessato a vederlo in televisione. (In televisione, anche la realtà più reale diventa spettacolo). Mentre ho bisogno di andare tutti i giorni a stare fisicamente davanti al Gesù Cristo presente nel sacramento eucaristico. Questo basta a mantenermi, (spero) cattolico.
Di Sabino Paciolla

QUARESIMA 2020.

Quaranta giorni di quaresima, precedono la Pasqua, come l’Avvento precede il Natale. Anche l’Avvento è quaranta giorni ad attraversare il deserto. nel deserto, che è il luogo dove, sempre a, avviene l’acquisizione di sé, nella religione ebraica e in quella cristiana. Il deserto non è solo un luogo geografico, è il luogo della semplificazione assoluta, il luogo con il confronto continua con la morte, dove la vita non può più disperdersi e distrarsi, è il viaggio con la propria ombra. Il deserto è il luogo della gratitudine. È solo nel deserto che si capisce il valore dell’acqua, che si ringrazia per ogni goccia. Nel deserto nulla è dato per scontato.
Abramo traversa un deserto per eseguire l’ordine di trovare la terra dove vivrà la sua gente, Mosè resta quaranta anni nel deserto. Gesù Cristo 40 giorni. Quaranta il ebraico è indicato con la lettera Mem, che ha la forma di un pozzo: la compassione dell’acqua. Il deserto è la malattia, il deserto è l’abbandono. Il deserto è il dolore che può distruggerci, ma che, se lo accettiamo, ci rende più forti. Il deserto è consapevolezza. É nel deserto che capiamo il valore dell’acqua.
la Chiesa, la Sposa di Cristo è stata rapita.
Prima del Concilio Vaticano II la Quaresima era una roba da cavalieri, mentre ora è una roba da mammolette. La quaresima ci rendeva più forti. Fino a quando nella vita di tutti c’erano quaranta giorni l’anno di penitenza e digiuno, il colesterolo non era un problema, ne ignoravamo persino il nome, e l’obesità era rimasta un fenomeno mite e minoritario. La Quaresima addestrava anche alla forza di volontà, alle sfide e a scoprire che potevamo superarle. Ce la farò a stare quaranta giorni senza caramelle? Ce la farò a imparare a non avere paura di niente, a non indietreggiare mai? La quaresima era il periodo dove imparavamo il coraggio Nelle Chiese i paramenti viola, il Cristo velato erano la seconda scoperta: il dolore esiste, esiste la morte. Fino a quando eri bambina ti terrorizzavano. Decenni dopo davanti a mio padre agonizzante per il cancro continuavo ad avere nella memoria il Cristo velato. Deve non esiste la quaresima come si può insegnare ai bambini che il dolore esiste e che può non spezzarci? E dopo la quaresima, dopo quaranta giorni senza nemmeno un cucchiaio di miele finalmente c’era la Pasqua, la pastiera della mamma e il cioccolato, e dietro la pastiera la potenza della Resurrezione. La Quaresima insegnava il coraggio di non temere la morte né il dolore perché c’è la Resurrezione.
Quaranta giorni di quaresima, precedono la Pasqua, e sono la metafora del deserto. Attraversare la quaresima è come attraversare il deserto.  Il deserto è il luogo dove, sempre, avviene l’acquisizione di sé, nella religione ebraica e in quella cristiana. Il deserto non è solo un luogo geografico, è il luogo della semplificazione assoluta, il luogo con il confronto è continuo  con la morte, dove la vita non può più disperdersi e distrarsi, è il viaggio con la propria ombra. Il deserto è il luogo del silenzio. Il deserto della gratitudine. È solo nel deserto che si capisce il valore dell’acqua, che si ringrazia per ogni goccia. Nel deserto nulla è dato per scontato.
Abramo traversa un deserto per eseguire l’ordine di trovare la terra dove vivrà la sua gente, Mosè resta quaranta anni nel deserto. Gesù Cristo quaranta giorni e quaranta è il numero delle ore in cui resterà nel sepolcro. Quaranta in ebraico è indicato con la lettera Mem, che ha la forma di un pozzo: la compassione dell’acqua. Mentre il popolo con Mosè traversa il deserto, l’acqua sgorga dal deserto. Il deserto è la malattia, il deserto è l’abbandono. Il deserto è il dolore che può distruggerci, ma che, se lo accettiamo, ci rende più forti. Il deserto è consapevolezza. É nel deserto che capiamo il valore dell’acqua. Negli ultimi duemila anni abbiamo traversato innumerevoli deserti, ognuno più arido e sassoso degli altri, ma sempre con la compassione dell’acqua, l’acqua benedetta delle nostre acquasantiere, l’ombra rischiarata dalle candele delle nostre chiese, ora abbiamo questa assurda pestilenza, mite come una qualsiasi influenza e insidiosa come l’acqua che distrugge il granito.
Ora la Messa è finita. Siamo soli nel deserto, e la Chiesa, la Sposa di Cristo è stata rapita. Siamo in mezzo a un’epidemia e nessuno sta chiedendo perdono.
Recordare, Domine, testamenti tui, et dic Angelo percutienti: Cesset jam manus tua, et non desoletur terra, et ne perdas omnem animam viventem.
(2 Reg. 24, 16)
Ricordati Signore della tua alleanza e dì all’Angelo che percuote: desista la tua mano e non sia spopolata la terra e non dannare ogni anima vivente.
Cantando questi versi, con la cenere sulla testa, scalzo, San Gregorio Magno cominciò la processione contro la peste. Durante la processione chiese perdono, per i peccati suoi e per quelli della Chiesa, perché l’ira di Dio fosse allontanata. La processione non era stata annunciata. Tutti i romani vedendola passare le finestre, si precipitarono in strada per seguire la processione. Erano un popolo che credeva in Dio comandati da un uomo di Dio. Ognuno chiese perdono. I romani si passarono la parola, l’un l’altro e l’infinta processione arrivò fino al ponte di Adriano, oggi detto di Sant’Angelo, perché in quel punto Papa Gregorio magno vide l’arcangelo Michele che rinfoderava la spada. E la spada non si abbatté più, la peste scomparve, i malati guarirono.
Questi Papi Medioevali oggi sarebbero considerati risibili perché parlavano dell’ira di Dio, concetto ormai non solo cancellato, ma considerato folklore. Il cristianesimo non è zucchero filato e l’ira di Dio non è folklore, quindi nel momento della catastrofe, il compito di un pastore è chiedere perdono a Dio. Ora il catechismo si studia con disegnetti da colorare dove Gesù Cristo è una specie di amicone. Nel Cristianesimo, che nasce dall’ebraismo, l’ira di Dio esiste, ed è la parte fiammeggiante della sua misericordia. Dio vuole la salvezza delle nostre anime. E vuole salvarle, anche a costo del dolore.
L’ira di Dio, che è parte della sua misericordia, si abbatté su Sodoma. Abramo cercò di contrattare la salvezza di Sodoma, ma non era possibile, perché la distruzione di Sodoma faceva parte del disegno di salvezza di Dio, e Sodoma fu distrutta. Nelle scritture Sodoma è stata distrutta. Questo è stato apertamente contraddetto da monsignor Galantino in una folle omelia a Cracovia, per le giornate della Gioventù, ed è stato sottilmente contraddetto da Bergoglio in una folle omelia del 22 marzo. Quella che si salva è Ninive. Giona, dopo essere rimasto tre giorni nel ventre di una balena a meditare su tutte le possibili declinazioni delle parole fede e coraggio, finalmente eseguì l’ordine di Dio di annunciare alla città di Ninive la sua prossima distruzione. Ninive si rivolse a Dio, chiese perdono, tutti si vestirono di sacco con la cenere in testa, cioè si avvicinarono a Dio, rendendo inutile la punizione, che quindi fu annullata.
Nell’affermare che Sodoma si è salvata è contraddetta la Bibbia: si realizza la profezia dell’Apocalisse, la negazione della Parola.
Per questo, da sempre, davanti alle catastrofi si chiede perdono, e ci si avvicina a Dio. Noi andiamo al tabernacolo, dove è Dio. Il cristianesimo è una religione incarnata. Esistono le case di Dio, le chiese, le basiliche, le cattedrali. Dio incarnato nel tabernacolo.
Ora le chiese sono chiuse. Le chiese sono chiuse e tabaccai sono aperti. La necessità della vicinanza con tabernacolo è giudicata meno angosciante delle sigarette.
La Chiesa in uscita è in caduta libera. Siamo nella follia di un’epidemia e le nostre Chiese sono sprangate e i sacramenti vietati. Le Messe viste attraverso il televisore o attraverso computer non sono partecipare al sacrificio, sono uno spettacolo come un altro.  Continuano gli sbarchi dei migranti, molto amati dalla Chiesa, che per noi sono una catastrofe sanitaria a fulgida dimostrazione che alla Chiesa della salute del popolo italiano non importa molto, eppure si è precipitata a toglierci la Messa e sprangare le chiese.
Il 27 marzo una cerimonia molto coreografica, oserei dire istrionica, studiata fino all’ultima inquadratura, è stata trasmessa da una Piazza san Pietro deserta, a dimostrare che Cristo ha perso, il Vicario di Cristo, come sua abitudine, non si è inginocchiato davanti al Santissimo. In Vaticano esistono inginocchiatoi e persone che aiutino a rialzarsi: nulla giustifica un gesto così grave, restare in piedi o peggio seduto davanti al Santissimo, innumerevoli volte ripetuto. Non è stato chiesto perdono di nulla. Non è stato chiesto perdono per le colpe della Chiesa, quelle passate e quelle attuali, l’orrendo idolo Pachamama sugli altari, non è stato chiesto perdono per i nostri peccati, l’aborto, il rifiuto del dono di Dio della vita, della sessualità che la genera. Non è stato chiesto perdono per le blasfemie pagate con denaro pubblico, Non è stato chiesto perdono per i cristiani martirizzati in terra di Africa e Asia nella nostra indifferenza. È stato dichiarato che non è il tempo del giudizio di Dio, ma del giudizio dell’uomo. Una frase folle che nega il cristianesimo.   Di Dio è stato negato il giudizio e la sua  Casa è chiusa. Cristo è stato invitato a svegliarsi e risolvere la situazione.
Esiste una profezia apocalittica di Daniele che vide un giorno “abolito il sacrificio quotidiano” ed “eretto l’abominio della desolazione” .
Poche cose sono una desolazione come Piazza San Pietro deserta:  come scritto nell’Apocalisse, la Chiesa, la Sposa di Cristo è stata rapita. Nessuno dei suoi credenti ha sfidato la legge e l’autocertificazione per arrivare al suo cospetto. .
Eppure la Messa non è finita. Non prevarranno. Sta già nascendo un’altra Chiesa, guerriera e nascosta, impavida e militante. Verrà il vento e porterà via la pula. Verrà Pasqua prima o poi. Senza autocertificazione Cristo uscirà dal sepolcro. Attorno a lui i sacerdoti che sono morti per non smettere di benedire il loro popolo.
BY SILVANA DE MARI