Ultimissime: Pell parlerà – Rivelazioni shock
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La Pasqua del cardinale Pell. Con i commenti di Ruini e di Müller
“Ciò che ora più desidero è celebrare una messa”, ha detto il cardinale George Pell appena tornato in libertà dopo più di 400 giorni di prigionia, in un colloquio esclusivo con Catholic News Agency. “La settimana santa è il tempo più importante nella Chiesa e sono particolarmente felice che la sentenza sia arrivata proprio ora. Il triduo pasquale, così centrale per la nostra fede, sarà ancora più speciale per me, quest’anno”.
Il cardinale (nella foto di Quinn Rooney per Getty Images mentre lascia la prigione di Barwon) ha detto d’aver ricevuto un numero “travolgente” di messaggi dall’Australia e da tutto il mondo.
In effetti nella giornata del 7 aprile, martedì santo, anche alcuni cardinali si sono felicitati pubblicamente per il suo proscioglimento.
Dall’Italia, il cardinale Camillo Ruini ha dichiarato all’ANSA:
“Sono estremamente felice per l'assoluzione del cardinale George Pell dall'accusa di pedofilia. Mi legano a lui profonda amicizia e grandissima stima. Non ho mai dubitato della sua innocenza, ora finalmente riconosciuta. Pell è un autentico testimone di Gesù Cristo che ha pagato un prezzo durissimo per la sua fedeltà al Signore e alla Chiesa. Il suo esempio di coraggio e di generosità è una luce per tutta la Chiesa”.
Dal Sudafrica, il cardinale Wilfrid Napier ha twittato un “Deo gratias!”.
Dalla Germania, il cardinale Gerhard Müller ha detto a LifeSite News:
“Ora che il cardinale Pell è di nuovo libero, in questa settimana santa ricordiamo Cristo che ‘soffrendo ci ha lasciato un esempio: oltraggiato non rispondeva con oltraggi, ma rimetteva la causa a Colui che giudica con giustizia’ (1 Pietro 2, 21-23)”.
Ha proseguito: “Anche se i nemici della Chiesa hanno a lungo trionfato, con il loro piegare la legge davanti agli occhi di tutti, il cardinale Pell e tutti i perseguitati per la loro fede si sono appellati al Dio della giustizia. Anche se i persecutori della Chiesa irridono la nostra speranza nella giustizia celeste, essi non potranno sottrarsi alle loro responsabilità nel giudizio finale”.
E ha concluso: “Molti stanno ora pregando che il cardinale Pell riceva giustizia anche davanti al tribunale ecclesiastico. Sebbene lì vi operino solo esseri umani, essi sono comunque persone che sono o dovrebbero essere più vicine alla giustizia divina”.
A CNA il cardinale Pell ha raccontato di aver appreso la notizia del suo proscioglimento dalla tv, nel chiuso della sua cella. “Naturalmente, non c’era nessuno con cui potessi parlarne. Ma ho sentito un grande clamore da qualche parte della prigione e tre altri prigionieri in celle vicine alla mia mi hanno gridato che erano felici per me”.
Il suo tempo in prigione l’ha vissuto come “un lungo ritiro”, per riflettere, scrivere e soprattutto pregare:
“La preghiera è stata la grande sorgente di forza per me durante tutto questo tempo, inclusa la preghiera degli altri, e sono incredibilmente grato a tutti coloro che hanno pregato per me e mi hanno aiutato durante questo tempo davvero impegnativo”.
Settimo Cielo
di Sandro Magister08 apr
La vicenda Pell e la dittatura dell’opinione pubblica
In questa Settimana Santa segnata da tanta sofferenza e desolazione a causa della pandemia, una luce arriva dall’Australia, dove l’Alta corte di giustizia ha prosciolto il cardinale George Pell da ogni accusa, ordinandone l’immediata liberazione e la cancellazione del suo nome dalla lista dei responsabili di abusi sessuali.
Pell, che si trova ora in un istituto religioso nei pressi di Melbourne, ha ottenuto la libertà dopo 405 lunghissimi giorni di prigionia, durante i quali gli era stato vietato persino di celebrare la Santa Messa.
Da più parti, in tutto il mondo, l’accanimento giudiziario contro il cardinale era stato denunciato come sintomo evidente di pregiudizio, in mancanza di prove contro Pell e anzi in presenza di tante testimonianze che lo scagionavano.
Tuttavia, il cardinale è stato dato in pasto all’opinione pubblica come un mostro, contro ogni più elementare garanzia di giustizia, lasciando passare come circostanze a carico accuse che in realtà si erano già dimostrate inconsistenti e fasulle.
Pell, questa la verità, nella moderna e liberale Australia ha subito un’autentica persecuzione perché non allineato con il progressismo dominante. L’accusa sottesa al processo era quella di essere un conservatore, un cattolico reazionario, non disposto al compromesso con i dogmi della modernità.
Forte è anche il sospetto che il processo a suo carico sia stato utilizzato da ambienti della polizia per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da un caso di corruzione.
L’annullamento della precedente condanna a carico di Pell è stato deciso all’unanimità da parte dell’Alta corte australiana: i sette giudici hanno così ribaltato il giudizio della Corte d’appello, emesso nello scorso agosto, che confermava la decisione del Tribunale di Melbourne del dicembre 2018.
Ricordiamo che il cardinale Pell, settantotto anni, arcivescovo emerito di Sydney e già prefetto della Segreteria per l’Economia della Santa Sede, si è sempre dichiarato innocente.
Subito dopo la scarcerazione, Pell ha detto di non nutrire alcun risentimento verso la persona che lo ha accusato, un ministrante della cattedrale di Melbourne.
Se posso permettermi un’annotazione personale, ricordo che nel luglio del 2008, quando andai in Australia per seguire il viaggio di Benedetto XVI in occasione della Giornata mondiale della gioventù, mi resi conto dell’ostilità diffusa nei confronti di Pell. Durante un’inchiesta, parlando con professionisti, insegnanti e docenti universitari, verificai che il cardinale era considerato per lo più un conservatore intollerante, esponente di una Chiesa arretrata, incapace di cogliere i segni dei tempi e di praticare lo stile del “dialogo” con il mondo.
Non sorprende quindi che il processo al cardinale si sia svolto in un clima da caccia alle streghe, tanto che il professor John Finnis, filosofo del diritto dell’Università di Notre Dame e docente emerito di Oxford, ha parlato di “disastro giudiziario” che dovrebbe fare inorridire tutti quelli che hanno a cuore lo stato di diritto, il giusto processo, la presunzione di innocenza e altri istituti civili ritenuti sacri.
Il clima in cui si sono svolti i processi, con Pell e i suoi avvocati insultati dagli attivisti e quasi tutti i mass media impegnati ad alimentare un clima di odio, fa capire come possa diventare difficile ottenere un giudizio equanime anche in uno Stato di diritto.
La vicenda del cardinale Pell (alla quale si può accomunare quella del cardinale Barbarin, prosciolto dalla Corte d’appello del Tribunale penale di Lione, che ha accolto il ricorso del porporato contro la condanna in primo grado per non aver denunciato i maltrattamenti di un sacerdote nei confronti di un minorenne) ha molto da insegnare sotto diversi punti di vista.
Mi limito qui a considerarne uno. Riguarda quella che potremmo chiamare la dittatura dell’opinione pubblica, e cioè il fatto che quando il pensiero dominante vuole che una persona sia condannata, tale volontà si impone su tutto, anche sul sistema giudiziario, facendo venir meno ogni garanzia.
La prova di questa forma di dittatura sta nel fatto che non c’è paragone tra il clamore (per non dire la vera e propria gazzarra) suscitata dagli accusatori contro il malcapitato di turno e il silenzio con il quale in genere viene poi accolto il verdetto di assoluzione.
Il ruolo dei mass media in tutto ciò è ovviamente determinante, il che fa capire quanto sia importante la controinformazione nell’epoca della dittatura del pensiero mainstream. La lotta tra la verità e la menzogna richiede un impegno quotidiano.
Ricordo che, nel caso del processo a Pell, il velo della menzogna a un certo punto è stato squarciato da un giornalista, non cattolico e neppure credente, che ha semplicemente fatto il suo dovere: si tratta di Andrew Bolt, che in una puntata del suo Bolt Report, su Sky News, ha ripercorso minuziosamente l’intera storia arrivando a questa conclusione: “Non solo è improbabile che il cardinale Pell abbia commesso il crimine, è proprio impossibile”.
Quando poi Sky News e Bolt hanno subito pressioni e minacce per essere andati alla ricerca della verità, il giornalista ha sbottato così: “Ma, dannazione! La giustizia deve pur contare qualcosa in questo Paese!”.
Trovo questo commento molto appropriato.
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