I vescovi, il governo e il no alle Messe: chi è causa del proprio mal pianga sé stesso
Nel 1991, durante il viaggio in Polonia, Giovanni Paolo II tenne un bellissimo discorso ai teologi sull’importanza della testimonianza e ricordò che il cardinale Stefan Wyszynski, l’indomito difensore della libertà della Chiesa contro i totalitarismi, parlava, proprio a proposito di tali regimi, non solo di ateizzazione programmata, ma anche di ateizzazione amministrativa.
Ebbene, disse il papa, per chi viveva in quelle condizioni di limitazione della libertà era possibile, apparentemente, solo un atteggiamento di apostasia o di conformismo, ma in realtà fu possibile anche una terza via, quella “della scelta consapevole della verità di Cristo”. Si tratta della testimonianza cristiana, che non a caso in greco è martyrion e in latino martyrium: testimonianza della verità che implica il sacrificio. Se occorre, fino al sacrificio della vita stessa.
Ora, mi rendo conto che passare da queste riflessioni alla nostra cronaca attuale può procurare qualche capogiro, ma la definizione di ateizzazione amministrativa mi è tornata alla mente mentre ieri ascoltavo il presidente del Consiglio. E ho pensato anche al significato profondo della parola testimonianza.
Il no alle Messe ribadito dal governo rivela un pregiudizio ideologico ormai chiaro. Viene ammantato di obiettività scientifica nel considerare i fattori a rischio, ma solo un cieco può non vedere che c’è un accanimento contro la libertà religiosa. I cosiddetti tecnici del comitato scientifico si stanno comportando in realtà da ideologi.
Nel comunicato di ieri sera la Cei si è mostrata offesa e risentita, ma, ahimé, chi è causa del proprio mal pianga sé stesso. Quando, anziché dare testimonianza, ti rendi complice dell’ateizzazione amministrativa, c’è poco da protestare. Ormai il sistema ti ha inglobato.
“I vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto”, si legge nel duro comunicato della Cei. Ma il problema è che i vescovi italiani, nonostante i lamenti di tanti fedeli, hanno già accettato di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Si sono così resi partecipi del processo di ateizazzione amministrativa e hanno perso forza quali interlocutori del governo. Ricordiamo che non hanno nemmeno protestato contro abusi evidenti perpetrati dalle forze dell’ordine e anzi (si veda il caso di Soncino) hanno scaricato il parroco che si è visto piombare i carabinieri in chiesa. Quindi, a questo punto, c’è poco da dire che “non possono accettare” eccetera eccetera. Il problema è che hanno già accettato di tutto e di più.
Conte ha detto di aver preso atto del comunicato della Cei ed ha promesso che nei prossimi giorni “si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza”. Staremo a vedere.
Il fatto è che la Chiesa si trova in sostanza in ostaggio di un comitato tecnico-scientifico. Certo, ora i vescovi sottolineano che occorre distinguere tra la responsabilità del governo e quella della Chiesa, “chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia”. Peccato che tale autonomia non sia stata rivendicata fin dall’inizio, nel segno della testimonianza cristiana ma anche di ciò che è previsto dalla nostra Costituzione.
Sapranno i vescovi recuperare il terreno perduto e riaffermare il principio della testimonianza contro quello della convenienza?
A.M.V.
E io sacerdote chiedo ai vescovi: “Abbiate coraggio! Non ho dato la vita per far morire di fame il popolo di Dio”
Cari amici di Duc in altum, sul diritto al culto nuovamente negato dal governo ho ricevuto una lettera che voglio condividere con voi. L’ha scritta un sacerdote, don Luca. E merita riflessione. “Ai vescovi chiedo coraggio”, scrive don Luca, ricordando il giudizio di Dio.
A.M.V.
***
Caro Aldo Maria Valli, abbiamo sofferto con la nostra gente per la fatica e le restrizioni che la situazione di pericolo ha imposto a tutti. Abbiamo obbedito a Dio, nella coscienza certa che amare il prossimo significasse accettare le norme emanate dal governo. Abbiamo obbedito al governo: senza protestare, senza mandare messaggi minatori, senza cantare, senza gridare. Rifarei tutto, come ho fatto finora.
C’è, tuttavia, un punto su cui adesso bisogna riflettere: di che cosa abbiamo bisogno? La logica di superamento delle attuali restrizioni è esattamente questa: ciò di cui non abbiamo bisogno assoluto riaprirà dopo. Già. Abbiamo bisogno di lavoro, di soldi e di svago. Non dico che non sia vero, ma quei diritti, che sono sacrosanti, non sono meno inalienabili della possibilità di pregare insieme, di celebrare il culto, di ricevere i sacramenti. Non stiamo chiedendo l’obbligo di partecipare alla Messa per tutti i cittadini italiani, ma la possibilità di partecipare per chi, nel rispetto delle norme di sicurezza, desideri accostarsi a Dio. Per i cattolici – per quelli veri, che non sono quelli adulti e quelli che fanno da soli in casa le nuove liturgie della creatività imbarazzante e vuota – è essenziale che ci sia la fonte della vita: la fonte, non la riserva.
Non ho paura della forza del governo. Non ho paura della libertà. Non ho paura delle conseguenze della fede. Ho paura del giudizio di Dio: mi chiederà che cosa ho fatto perché alla mia gente non mancasse il pane. Risponderò. Mi chiederà che cosa ho fatto perché alla mia gente venisse offerta la grazia dei sacramenti. Vorrei rispondergli così: non ho avuto paura, ci ho provato, ho pagato il prezzo del martirio. Ho paura di sprecare la grazia, non di perdere la vita.
Ai vescovi chiedo di essere coraggiosi: il tempo del cenacolo chiuso è finito. Senza la grazia dei sacramenti, celebrati per il popolo e con il popolo, non possiamo sperare di risolvere nulla. A meno che, pelagiani orgogliosi, ci immaginiamo così forti da poter dare noi stessi, senza offrire Dio.
Qualcuno di voi, cari vescovi, mi ricorderà che in fondo dobbiamo essere pronti a soffrire: lo sono, ma non per far soffrire il popolo santo di Dio. A quei teologi, poi, che mi ricordano che la chiesa domestica è la risposta alle fatiche di oggi dico così: nelle case entravano gli apostoli e spezzavano il Pane, non facevano i teatrini sulla Morte di Gesù.
A voi, amati fratelli e sorelle del popolo di Dio, dico così: non vi negherò i sacramenti! Sono libero, anche di pagare le conseguenze dell’Amore!
Don Luca
https://www.aldomariavalli.it/2020/04/27/e-io-sacerdote-chiedo-ai-vescovi-abbiate-coraggio-non-ho-dato-la-vita-per-far-morire-di-fame-il-popolo-di-dio/
Avevamo sempre desiderato illuderci che la gerarchia della neochiesa conciliare fosse affetta solo da imbecillità e da ricchionate private. Ma eravamo stati troppo ottimisti.
Qui Deus vult perdere, prius dementat.
https://letturine.blogspot.com/2020/04/a-belare-sono-i-pastori-come-al-solito.html
lunedì 27 aprile 2020
a belare sono i pastori (come al solito)
Per la "Fase Due" il governo non autorizza le Messe (par di essere nell'Unione Sovietica di Stalin) e perciò la CEI, Conferenza Donabbondiesca Italiota, geme annunciando con voce stridula che il sacro governativo Decreto...
Chissà che non siano gemiti di piacere. Prima hanno volenterosamente e vigorosamente calato le braghe a velocità supersonica e ora piagnucolano che gliel'han messo a pitoffio:"...esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo."
"I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto."Potevate dirlo prima, cazzodibudda! A inizio crisi, ai primi di marzo! Potevate benissimo proclamare che se è possibile andare dal tabaccaio rispettando il canonico metro di distanza, doveva essere possibile anche andare a Messa, rispettando il canonico metro di distanza! O forse volete sottintendere "missione compiuta" e vi serviva un alibi di fronte agli agnelli e alle pecorelle del gregge, giustamente infuriati?
"Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale."State dicendo che i sacramenti sarebbero il contentino per le attività assistenziali? O è una specie di minaccia di rappresaglia? Serve mica a salvare almeno le apparenze? (Infatti il governo - bontà sua - disporrà prossimamente un "protocollo" per le Messe: proprio quello che ci serviva per farci invidiare dal Partito Comunista Cinese).
Avevamo sempre desiderato illuderci che la gerarchia della neochiesa conciliare fosse affetta solo da imbecillità e da ricchionate private. Ma eravamo stati troppo ottimisti.
Qui Deus vult perdere, prius dementat.
https://letturine.blogspot.com/2020/04/a-belare-sono-i-pastori-come-al-solito.html
MONS. GIOVANNI D’ERCOLE: IMPEDIRE IL CULTO È UNA DITTATURA.
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, mi sembra giusto e quasi doveroso, dal momento che come sappiamo Stilum ha sempre avuto un atteggiamento piuttosto critico verso la Conferenza Episcopale Italiana e molti dei suoi vescovi, pubblicare oggi il video di un vescovo di cui certamente abbiamo una grande stima, mons. Giovanni D’Ercole. Conosciamo mons. Giovanni D’Ercole da molti anni, almeno una trentina, da quando cioè si occupava di comunicazione e aveva a che fare con i giornalisti che coprono questo settore. E abbiamo sin da allora avuto stima e simpatia per lui, che non sono mutate con il passare del tempo, anche se è molto tempo che non lo vediamo. Ecco, siamo contenti che ci sia un vescovo che dica pane al pane, senza giri di frase e rispetto umano nei confronti della situazione che stiamo vivendo, nel Paese e nella Chiesa. Buon ascolto e buona visione.
“La Chiesa non è il luogo dei contagi…ma chi ve l’ha detto, Comitato Scientifico che la Chiesa è il luogo dei contagi…bisogna dire che il diritto al Culto che lo diate, se non ce lo date ce lo prendiamo, e se ce lo prendiamo è solo un nostro diritto…È una dittatura quella che impedisce il culto…abbiamo bisogno tutti di spazi di libertà. La figuraccia che avete fatto nel mondo intero deve essere lavata con un semplice gesto di restituzione dei dignità e di diritto”.
Messe negate. Ecco tutte le violazioni della “Libertas Ecclesiae”
Cari amici di Duc in altum, ricevo e volentieri vi propongo questo articolo del professor Gian Pietro Caliari.
A.M.V.
***
“E che dire del fatto che sono sancite molte disposizioni dannose nei confronti dei popoli, molte persino esiziali, ma ciò nonostante queste non portano il nome di legge, peggio che se dei furfanti le avessero stabilite nelle loro bande? Infatti […] nemmeno una legge relativa a un popolo, qualunque essa sia, può essere detta legge, se il popolo ne abbia ricevuto qualche danno. La legge pertanto è la distinzione del giusto e dell’ingiusto manifestata in conformità alla natura, che è il più antico e principale di tutti gli elementi a cui fanno riferimento le leggi umane, che colpiscono con pene i malvagi, e difendono e proteggono gli onesti” (De legibus II, 13).
Così ragionava Marco Tullio Cicerone argomentando sulla natura della legge, la quale mai può essere considerata tale se il suo fine è il male! Lex spectat naturae ordinem et nulla lex oritur ex injuria!
Il flebile miagolio notturno della Conferenza Episcopale Italiana, dopo l’ennesimo DPCM di un Presidente del Consiglio dei Ministri, che si è auto-proclamato novello Cesare e Pontifex Summus, non basta di certo a sanare mesi di abusi di potere e d’ufficio dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi, né a compensare la complice inazione e le omissioni gravissime dell’episcopato italiano.
Neppure di fronte a infami abusi e a criminosi atti repressivi dei basilari diritti dei cittadini della Repubblica e dei diritti della Chiesa Cattolica, – compiuti sì dalle benemerite Forze dell’Ordine, ma istigate dal potere centrale – i vescovi non hanno saputo assumersi gli oneri derivanti dal loro sacro ministero: “I vescovi dunque hanno ricevuto il ministero della comunità per esercitarlo con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi. Presiedono in luogo di Dio al gregge di cui sono pastori quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa. […] Nella persona quindi dei vescovi, assistiti dai sacerdoti, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo (Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 20-21).
Oggi, più che mai in passato, è giunto il tempo che i Christifideles agiscano opportune et inopportune ricordando ai signori Vescovi che i laici “comportandosi da cittadini a tutti gli effetti, debbono saper difendere la libertà della Chiesa per il compimento del suo proprio fine, non soltanto come enunciato teorico, ma rispettando e apprezzando il grande aiuto che essa presta al giusto ordine sociale (Apostolorum Sucessores, Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovi, can. 110).
Una tale azione, rettamente ispirata, è oggi urgente, necessaria e improcrastinabile perché sono state scientemente sovvertite le fondamenta della Repubblica Italiana e sono state ulteriormente e velocemente consolidate motivazioni e strutture per l’attuale e, sopratutto, futura persecuzione della Chiesa e dei cattolici italiani.
Infatti, “fra le cose che appartengono al bene della Chiesa, anzi al bene della stessa città terrena, e che vanno ovunque e sempre conservate e difese da ogni ingiuria, è certamente di altissimo valore la seguente: che la Chiesa nell’agire goda di tanta libertà quanta le è necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani” (Concilio Vaticano II, Dignitatis Humanae, 13).
Dal punto di vista meramente giuridico e politico, gioverebbe ricordare che il Presidente del Consiglio dei Ministri “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile” (Costituzione Italiana, art. 95).
Ebbene, il Signor Giuseppe Conte – solo per quanto attiene alla libertas religionis et Ecclesiae – è direttamente responsabile della violazione palese, colposa e reiterata dell’articolo 7 della Costituzione (“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”); e dell’articolo 19 (“Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma […] e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”).
Inoltre, della violazione grave e reiterata – senza che si sia preceduto ad un atto di denuncia unilaterale – di Patti Internazionali bilaterali e multilaterali ratificati dal Parlamento della Repubblica Italiana.
In primis, dell’Accordo di Villa Madama del 1984 che regola i rapporti fra due enti – lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica – che “sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” (art. 1).
Sarebbe utile, tanto per il Signor Conte quanto per i signori vescovi italiani, ricordare alcuni aspetti di detto accordo.
“La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale[…] è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale” (art. 2 § 1).
“Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica” (art. 5 § 2).
“La Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, a permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici” (art. 11 § 1).
Se violazioni di tale evidenza sono state possibili in un regime costituzionale che si regge sul principio di legalità e sul rispetto della riserva di legge, solo attraverso dei meri atti amministrativi, i DPCM appunto, lo è stato anche per l’inadeguatezza, la negligenza, e la pusillanime sottomissione della Conferenza Episcopale Italiana al potere politico.
In pochi mesi, i vescovi italiani hanno persino dimenticato un basilare insegnamento del tanto declamato Concilio Vaticano II, che serve ormai solo a sciacquarsi la bocca quando ci sono da additare i cosiddetti tradizionalisti: “è questa, infatti, la libertà sacra, di cui l’unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della Chiesa, tanto che quanti l’impugnano agiscono contro la volontà di Dio. La libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l’ordinamento giuridico della società civile” (Concilio Vaticano II, Dignitatis Humanae, 13).
La supina e passiva obbedienza della CEI ai DPCM, che dal 23 febbraio si sono succeduti a ritmo incalzante, ha creato un pericoloso precedente e vero vulnus juris all’indipendenza e sovranità della Chiesa Cattolica in Italia e non ha affatto manifestato l’impegno pattizio “al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti” fra Stato e Chiesa, vale a dire quello dell’indipendenza-sovranità” e neppure ha rappresentato una “reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.
Fin dall’inizio dell’attuale crisi poi, come si evince solidamente e senza possibilità di smentita dalle comunicazioni degli Ordinari e anche dai cartelli affissi alle Chiese, gli Ordinari si sono resi meramente esecutori di generici divieti che erano emanati dal potere dello Stato e riguardavano, inizialmente, non meglio specificate “manifestazioni religiose” e non celebrazioni cattoliche o atti cultuali.
Da subito, i Vescovi hanno, poi, autoimposto ai fedeli la privazione di sacramenti, quali la Confessione o la ricezione dell’Eucarestia fuori dalla Messa, contravvenendo a un principio base del Diritto Canonico: “I ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli” (CJC can 843 § 1).
I Vescovi, poi, quando l’iconoclastia eversiva di Palazzo Chigi ha rotto gli argini della ragionevolezza e si è spinta ad esplicitare la proibizione delle messe, non hanno nemmeno considerato di valutare la portata costituzionalmente eversiva di un atto che in se et per se aveva il carattere di manifesta incostituzionalità.
Non solo, tale atto ha rappresentato un’aperta violazione del Diritto Internazionale Pattizio. Infatti, esso ledeva da un lato il dettato della Costituzione Italiana e dall’altro gli Accordi pattizi intercorsi liberamente fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede.Persino, per le celebrazioni della Settimana Santa e del Sacro Triduo Pasquale la CEI ha voluto concordare con Palazzo Chigi le modalità delle celebrazioni, negoziando e dettagliando persino il numero e il ruolo dei partecipanti, dimentichi che “poiché i sacramenti sono gli stessi per tutta la Chiesa e appartengono al divino deposito, è di competenza unicamente della suprema autorità della Chiesa approvare o definire i requisiti per la loro validità e spetta alla medesima autorità o ad altra competente, a norma del can. 838 §§ 3 e 4 determinare quegli elementi che riguardano la loro lecita celebrazione, amministrazione e recezione, nonché il rito da osservarsi nella loro celebrazione” (CJC can. 841)
Gli atti posti in essere dagli Ordinari, in supina obbedienza al potere civile, rappresentano poi una palese violazione anche sub specie canonica, quale nello specifico lo spergiuro del giuramento pronunciato da ogni Vescovo al momento della sua elezione alla dignità episcopale. Nella formula di giuramento che precede l’ordinazione episcopale, il nominato, infatti, giura sui Santi Vangeli, “promuovere e difendere i diritti e l’autorità dei Romani Pontefici” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Formula da usarsi per il giuramento).
Fra i diritti del Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, c’è quello di esercitare una “potestà ordinaria suprema, piena immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente” (CJC can. 331). Vale a dire una autorità sovrana interna ed esterna: superiorem non reconoscens.
Il Diritto Internazionale ha, infatti, sempre in dottrina, in giurisprudenza e nella prassi riconosciuto nella Chiesa Cattolica-Santa Sede un soggetto di Diritto Internazionale Pubblico con tutte le facoltà attive e passive che tali soggetti superiorem non reconoscentes possono esercitare nella Comunità Internazionale e nei rapporti fra e con gli Stati.
L’Accordo di Villa Madama è intercorso pattiziamente fra due soggetti di Diritto Internazionale Pubblico, vale a dire la Repubblica Italiana e la Santa Sede. “Col nome di Sede Apostolica o Santa Sede si intendono […] non solo il Romano Pontefice, ma anche, […] la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa e gli altri Organismi della Curia Romana” (CJC can. 361).
La CEI dunque non è la Sede Apostolica e neppure un soggetto di Diritto Pubblico Internazionale!
Se risulta del tutto evidente che il Governo della Repubblica Italiana, con la complicità supina della CEI ha non nominalmente ma sostanzialmente violata la natura pattizia dell’Accordo di Villa Madama, con altrettanta lapalissiana chiarezza appare che la CEI, permettendo tale violazione, ha leso i diritti sovrani del Romano Pontefice vel della Sede Apostolica vel della Santa Sede, che dell’Accordo di Villa Madama è firmataria per la sua riconosciuta natura di soggetto pubblico del Diritto Internazionale.
Nondimeno, infine, si deve ribadire che nessun Ordinario, né tanto meno le Conferenze Episcopali a qualsiasi livello siano e che per di più neppure appartengono alla struttura gerarchica di origine divina della Santa Chiesa di Dio, non avevano e non hanno alcun potere e facoltà per negoziare – se non espressamente delegate dalla Sede Apostolica – questioni relative alla Libertates Ecclesiae che siano già definite in atti di natura pattizia fra la Santa Sede e la Repubblica Italiana.
Al contrario e fin dallo scorso 23 febbraio sarebbe stato dovere in primis di ogni Ordinario e della CEI protestare per una così palese violazione del Diritto ed ergersi a difesa della Libertas Ecclesiae così violentemente e pervicacemente offesa, umiliata e violata.
Non da ultimo, sarebbe bene che la CEI ricordasse al Signor Giuseppe Conte, cattolico adulto e “devoto di Padre Pio”, che è sacro dovere della Chiesa a norma del Diritto Canonico investigare e sanzionare il battezzato che ne violi palesemente i diritti e i doveri.
Ora, appare del tutto evidente, che se l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri ha leso e violato la Costituzione e le leggi della Repubblica, questo, a norma dell’articolo 96 della Costituzione, sarà affare della magistratura ordinaria repubblicana.
Il battezzato Giuseppe Conte, tuttavia e con altrettanta evidenza, è canonicamente perseguibile “per complotto contro la Chiesa” (CJC can. 1374) e per aver “impedito la libertà del ministero” della Chiesa Cattolica stessa (CJC can 1375). Questo, invece, a norma del Diritto Canonico e del disposto del canone 1717, è di pertinenza dell’Ordinario del luogo dove il battezzato Conte abbia ordinaria residenza.
Gian Pietro Caliari
“Al Presidente Consiglio dei Ministri
Chi firma la presente è un popolo silenzioso, vigile ed attento che ha vissuto come tutti il distacco dai propri cari ma anche il distacco dai luoghi di culto quale necessaria misura per arginare un male pericoloso per tutta la comunità. Oggi le chiediamo, nel programmare le riaperture di tutte le attività produttive e sociali, di prestare attenzione anche alle esigenze della comunità cristiana considerando l’esigenza di celebrare tutti i sacramenti con particolare attenzione alla immediata ripresa della celebrazione dell’Eucarestia domenicale.
La Chiesa saprà organizzare adeguati strumenti di distanziamento sociale all’interno dei luoghi di culto consentendo il rispetto e la tutela del diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e praticarne il culto, così come riconosciuto dalla Costituzione.”
Chi firma la presente è un popolo silenzioso, vigile ed attento che ha vissuto come tutti il distacco dai propri cari ma anche il distacco dai luoghi di culto quale necessaria misura per arginare un male pericoloso per tutta la comunità. Oggi le chiediamo, nel programmare le riaperture di tutte le attività produttive e sociali, di prestare attenzione anche alle esigenze della comunità cristiana considerando l’esigenza di celebrare tutti i sacramenti con particolare attenzione alla immediata ripresa della celebrazione dell’Eucarestia domenicale.
La Chiesa saprà organizzare adeguati strumenti di distanziamento sociale all’interno dei luoghi di culto consentendo il rispetto e la tutela del diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e praticarne il culto, così come riconosciuto dalla Costituzione.”
Di Sabino Paciolla
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