ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 6 aprile 2020

“Muovesi il vecchierel canuto e bianco”

Si può andare dal tabaccaio per comprare le sigarette, ma non in chiesa per chiedere conforto al Signore. Quali sono le priorità e le urgenze? Dov’è la Chiesa?

Chiese chiuse per coronavirus
Preoccupa l’incomprensione che si è manifestata verso il Dr Domenico Airoma, il magistrato napoletano che il 28 marzo scorso chiedeva di entrare in chiesa per il bisogno che aveva di un breve incontro con Dio ivi presente nella Ss.ma Eucarestia.

Incomprensione simile l’ho riscontrata persino in non pochi lettori di Avvenire.
Intanto che il mondo cattolico pure in questa drammatica situazione discute di accoglienza, di preghiera con tutte le religioni, dei titoli del Vescovo di Roma, le coscienze abbandonano non solo le chiese ma pure i sagrati.
Persino gli ospedali, luoghi dove accanto agli infermi e ai moribondi erano un tempo le suore, i sacerdoti vengono tenuti lontani con la scusa di cautelare dal contagio. I medici però non dovrebbero venir cautelati?
Si privano i malati e i moribondi e le loro famiglie, tanto prima che dopo la morte, del solo conforto necessario nel supremo momento nel quale è tutto intero il senso della vita e il significato della morte, che altrimenti sarebbero solo disperazione del nulla.
Si tengono sacerdoti e fedeli lontani da un diretto contatto con Cristo, amico, sposo, che presente nella Ss.ma Eucarestia è cibo e bevanda delle loro anime esauste.
Frattanto gli islamici diventano tanti, insistenti e ardimentosi da pretendere feste e cimiteri propri, non nascondendo di prefiggersi di sostituirci un domani e cambiare il volto della nostra tradizione e cultura e dalla nostra società, la quale deve tutto all’eredità greca e romana e alla fede cattolica.
Intanto che molti cattolici muoiono, altri se ne vanno e abbandonano la Chiesa. Così che da Mater et Magistra è fatta timida e ospite della società che fu sua, e fatta ormai laica, viene confinata tra le private associazioni e senza voce.
Siamo rimasti tutti emozionati l’altro venerdì nel vedere il Papa salire solitario la scalinata della basilica di San Pietro sotto la pioggia e l’immensa piazza vuota, sostare silenzioso davanti al Crocifisso.
“Muovesi il vecchierel canuto e bianco”, direbbe il Petrarca. Immagini di una Chiesa afflitta e smarrita, impotente umanità ferita.
Ma il pensiero è sceso in quel momento ben più al di sotto della narrazione del più visibile doloroso film e di momentaneo religioso romanticismo.
Alcuni hanno preferito abbandonarsi a suggestive visioni di chissà chi, chissà che cosa nelle nubi, preferendo la scenografia dell’immaginazione alla severa parola delle cose.
La Chiesa deve essere in uscita? Ma lo è stata da sempre. Spesso, per ricordare cose antiche sono opportune parole nuove.
La Chiesa è missionaria, deve portare l’annuncio e testimoniare l’evento che salva il mondo, simile alla Madonna che porta il Figlio a Sant’Elisabetta, ai pastori e ai magi.
Anche oggi continua l’epopea soprannaturale di una Mamma che va per il mondo a svegliare gli uomini alla luce della salvezza. Cappelle e santuari sparsi ovunque soni i segni del suo passaggio e della sua presenza.
Sempre la Chiesa è alla ricerca dell’umanità smarrita, la vita sulla terra è caratterizzata da intrinseca inadeguatezza, da incompletezza e provvisorietà.
La nostra vita quaggiù non è che esodo doloroso, cammino sovente stanco.
La freccia del tempo ha un senso e un senso hanno le realtà dell’universo che si attraggono tra loro intanto che tutti insieme volgono verso un ignoto detto grande attrattore.
di Giuliano Di Renzo

Ubi Petrus

Di |Aprile 6th, 2020|Categorie: NewsOpinion|Tag: |0 Commenti

Un articolo scritto da Michael Pakaluk, pubblicato su The Catholic Thing, sulla benedizione Urbi et Orbi di Papa Francesco per allontanare la pandemia causata dal coronavirus del 27 03 2020. Michael Pakaluk, studioso di Aristotele e Ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino, è professore alla Busch School of Business presso la Catholic University of America. Vive a Hyattsville, MD con la moglie Catherine, anch’essa professoressa alla Busch School, e i loro otto figli.
Ecco l‘articolo nella traduzione di Riccardo Zenobi. 
papa Francesco benedice Urbi et Orbi contro il coronavirus 27 03 2020
(CNS photo/Vatican Media)
Mentre il Santo Padre sollevava il Santissimo Sacramento nel suo ostensorio lo scorso venerdì, per impartire la sua benedizione, Urbi et Orbi, alla città di Roma e al mondo, uno dei membri della mia famiglia si è inginocchiato nel soggiorno davanti alla grande TV. Ha Chinò la testa per ricevere la benedizione. E poi anche tutti gli altri, seguendo il suo esempio. Al termine della benedizione, tutti noi eravamo in lacrime, colpiti dalla profondità di ciò a cui avevamo appena assistito. Forse anche tu eri profondamente commosso. Perché? La risposta, credo, risiede in alcune verità fondamentali del cattolicesimo.
Una verità, così evidentemente in mostra venerdì scorso (l’altro, ndr), è il radicamento della nostra pietà nelle realtà oggettive, che hanno potere in sé stesse prima del nostro credere che lo abbiano. Quale modo migliore per dimostrare che la grazia di Dio deriva in definitiva da “l’opera eseguita per noi da Cristo” (ex opere operato), piuttosto che dallo svuotare il Vaticano e Piazza San Pietro da tutti i fedeli? Eppure sebbene “noi” non ci fossimo, Dio era lì, nel Santissimo Sacramento, e Dio ci ha benedetti. Questa verità duratura si è manifestata vividamente per noi, nel qui e ora, in televisione e in altri schermi.
Un’altra verità era che l’intera Chiesa era lì, anche se “noi” non eravamo lì, perché Pietro era lì. Quando guardiamo una Messa trasmessa in streaming in televisione – oggigiorno ce ne sono molte eccellenti, e sono grato per esse – non stiamo partecipando a quella Messa. Stiamo pregando insieme alla Messa. È un bel punto, ma dubito persino che la benedizione finale del sacerdote arrivi direttamente a telespettatori lontani. Eppure abbiamo partecipato all’adorazione eucaristica del Santo Padre venerdì scorso; e la sua benedizione si è irradiata attraverso la città e, per noi, nel mondo.
La verità che opera qui è ubi Petrus, ibi ecclesia, “dov’è Pietro, c’è la Chiesa”. Se Pietro fa il culto, la Chiesa fa il culto. Se Pietro adora, la Chiesa adora. Se Pietro implora, la Chiesa implora.
Questa massima deriva da Sant’Ambrogio, nel suo commento sul Salmo 40 (che conosciamo come Sal.41). Per spiegare la frase, “Anche l’amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno”, Sant’Ambrogio cita Gen 49, 17-18: “Sia Dan un serpente sulla strada, una vipera cornuta sul sentiero, che morde i garretti del cavallo e il cavaliere cade all’indietro. Io spero nella tua salvezza, Signore!”
Sant’Ambrogio afferma che, anche se i peccatori possono inciampare sul Signore con bugie e inganni, Egli trionfa su di loro “ricadendo” su di noi e salvandoci. Deve tornare indietro per farlo, non in avanti, spiega Sant’Ambrogio, perché “tutti lo stanno inseguendo; nessuno è davanti a lui…cadendo su di noi, ammorbidisce la durezza dei nostri cuori.”
Quindi il santo continua: “Ascolta come sarebbe caduto sulla Chiesa! Pietro era dietro di lui. Lo stava seguendo, quando fu condotto dagli ebrei alla casa di Caifa, il capo della sinagoga. Questo era lo stesso Pietro al quale disse: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt 16:18).” Pertanto, dove si trova Pietro, lì è la Chiesa: dove è la Chiesa, lì la morte non c’è più, ma vi è la vita eterna” (Migne, Patrologia Latina, 14, 1133a-34b).
Sì, sant’Ambrogio sa che Pietro avrebbe negato Gesù qui e là, ma non importa: il suo ruolo, il suo ufficio, doveva essere la roccia su cui è costruita la Chiesa, e attraverso questo ufficio la Chiesa era in lui, indipendentemente dal suo chiaro fallimento personale.
Un’altra verità profonda esposta per noi è la realtà della presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento. Lì rimane con noi, concretamente. Dopotutto, abbiamo visto Francesco, il Santo Padre, amato e ammirato da miliardi di persone in tutto il mondo, mettere tutto da parte e seduto semplicemente davanti al Santissimo Sacramento, per pregare e adorare. Ci ha quindi invitato a fare lo stesso, e non semplicemente in quel momento.
La tempesta espone la nostra vulnerabilità e scopre quelle false e superflue certezze attorno alle quali abbiamo costruito i nostri programmi quotidiani, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci mostra come abbiamo permesso di diventare noiose e deboli le cose che nutrono, sostengono e rafforzano le nostre vite e le nostre comunità.
San Giovanni Paolo II ha scritto una magnifica Lettera Apostolica paragonando la continua presenza del Signore alla sua amicizia con gli uomini che camminano verso Emmaus, Mane nobiscum Domine: “La presenza di Gesù nel tabernacolo deve essere una specie di polo magnetico che attira un numero sempre maggiore di anime innamorate di lui.”
Faremmo bene a meditare adesso su questa lettera e prendere decisioni su quando riaprire le chiese.
Papa Francesco ha esemplificato questa verità molto chiaramente venerdì scorso. Allo stesso tempo, ha presentato un’analogia sorprendente e (credo) originale: il Signore nel tabernacolo è come se dormisse sul retro della barca. Può apparire impercettibile e indifferente, ma sorgerà e ci aiuterà se solo andiamo da lui e chiediamo il suo aiuto nella fede.
Gesù, affidando sua Madre a San Giovanni (Gv 19,27), mostrò che sarebbe stata la via facile per i “cuori ammorbiditi” che Egli desidera. Infine, abbiamo visto anche questa verità, nell’invocazione di Maria da parte del Santo Padre, salus populi Romani:
Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio.
Quis est homo qui non fleret? Chi tra noi non verrebbe scosso?

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