ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 16 maggio 2020

La risposta che dobbiamo dare

Fieri di essere refrattari


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Μὴ γίνεσθε ἑτεροζυγοῦντες ἀπίστοις (Non sottomettetevi a un giogo estraneo con increduli; 2 Cor 6, 14).

Il recente Protocollo d’intesa per la ripresa delle celebrazioni con il popolo, con le sue sacrileghe e inaccettabili disposizioni, pare uscito dalla stravagante fantasia di un romanziere distopico. Anche attenendosi a considerazioni di natura puramente giuridica, ci si rende immediatamente conto della sua assoluta invalidità, visto che è stato siglato da soggetti sprovvisti di qualsiasi legittimazione: da una parte i rappresentanti del governo italiano, che non ha alcuna competenza in materia di culto religioso; dall’altra il presidente della conferenza episcopale, che non ha giurisdizione sui vescovi. 


A ciò si aggiunga che l’esecutivo, ancora una volta, ha omesso la consultazione del Parlamento; l’interlocutore ecclesiastico, dal canto suo, non è abilitato a trattare con lo Stato. Quand’anche, a livello civile, si fosse rispettata la procedura prevista dalla Costituzione (per esempio, con un decreto-legge ratificato dal Presidente della Repubblica), si sarebbe comunque violato il Concordato, che in tutta questa paradossale vicenda nessuno ha mai nominato, quasi non esistesse più, così come sembra sospeso il diritto stesso. Tali circostanze fanno del Protocollo un atto del tutto illegale, privo di qualunque valore giuridico e di ogni forza obbligante, ragione per cui va incondizionatamente rigettato.


Malauguratamente, l’impressione comune è che una buona fetta del clero sia pronta a osservare le regole che scatteranno il 18 maggio prossimo. In queste circostanze diventa sempre più chiaro come mai, negli ultimi decenni, si siano promosse tante “vocazioni” con tendenze omofile, non solo per inavvertenza, ma probabilmente anche per scelta: una volontà aberrante, motivata o dalla complicità (caso eclatante, quello degli Stati Uniti) o da un’errata concezione della misericordia, che consente di convertire in titoli di merito le inadempienze di vescovi e formatori clementi e “comprensivi”. È per questo che giovani che mai avrebbero dovuto essere ammessi agli ordini sacri non soltanto sono diventati sacerdoti, ma hanno pure fatto brillanti carriere. Trattandosi di soggetti fragili, insicuri, influenzabili, pronti all’acquiescenza, spesso ricattabili a motivo della loro condotta scandalosa, si adattano facilmente a qualsiasi richiesta, risultando così perfettamente funzionali al sistema clerico-mondano che li utilizza per i propri scopi perversi con la copertura di una sostanziale immunità giudiziaria, a livello civile ed ecclesiastico.


Se ci si stupisce per l’inerzia o l’inettitudine di molti vescovi attuali, occorre tenerne presente la formazione di base, in molti casi carente. La loro età media ci permette di collocarne l’epoca negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, proprio quando il livello accademico degli studi teologici è precipitato al minimo storico e l’approccio alla fede si è decisamente protestantizzato. Tali fattori hanno determinato, in una parte consistente del clero, una vistosa incapacità non soltanto di pensare cattolicamente, ma anche di ragionare correttamente. Questa povertà intellettuale e le conseguenti deformazioni mentali, oggi, fanno sì che la situazione assurda in cui ci troviamo appaia a molti del tutto legittima e che anche la sola ipotesi di una resistenza passiva ai soprusi perpetrati dallo Stato acquisti l’aspetto di una mostruosità impensabile, quasi fosse il peccato più grave in assoluto, un attentato imperdonabile al bene comune e alla pubblica salute. Il livello soprannaturale è scomparso dallo sguardo, che si è appiattito sulla terra; la fede teologale si è spenta, sostituita dal surrogato del nuovo umanesimo massonico.


L’ideale postconciliare dell’apertura al mondo ha condotto il clero contemporaneo ad una completa assimilazione al mondo, come se la Chiesa non fosse altro che una qualsiasi forma di aggregazione sociale o un ente assistenziale omogeneo alla società civile e, di conseguenza, sottomesso come tutti gli altri allo Stato, considerato suprema (e unica) istanza di legislazione, giudizio e governo. Ci sono ormai tutti gli elementi tipici di una Chiesa di Stato, guidata da gerarchi assimilati a impiegati e funzionari pubblici; i semi gettati sessant’anni fa hanno germogliato e prodotto i loro frutti nocivi. In tale contesto era inevitabile che si giungesse alla resa totale ai dettami del politicamente corretto e alla trasformazione delle istituzioni ecclesiastiche in agenzie di propaganda del regime. Questa evoluzione comporta una progressiva cessione dei propri ambiti di autonomia nell’insegnamento, nel culto e nella giurisdizione, con la produzione di un corpo di preti e vescovi costituzionali, che ottemperano alle disposizioni umane, anziché a quelle divine, perché di fatto mantenuti dallo Stato: l’otto per mille e il sostentamento del clero si son così rivelati una trappola ben studiata per ottenere sudditanza assoluta da parte di chierici miscredenti e secolarizzati.


La risposta che dobbiamo dare è duplice. In generale, bisogna privare la Chiesa italiana di ogni sostegno economico finché non ci sia un sussulto di reazione con cui rigetti le ingerenze dello Stato e rivendichi la propria indipendenza. Per adempiere il precetto di sovvenire ai bisogni della Chiesa, si possono aiutare direttamente i sacerdoti fedeli e le istituzioni meritevoli, modalità più che legittima e storicamente normale. In particolare, poi, siamo tenuti a ignorare i decreti governativi e a ricevere (o dare) l’Eucaristia solo nel modo consentito dalla sacra disciplina stabilita dalla Tradizione, non in modo sacrilego. Se il prete ve la rifiuta, protestate con energia, perché sta commettendo un grave abuso; se però non sente ragioni, inviate una denuncia canonica al cardinal Sarah e, nel frattempo, cercate un sacerdote fidato che vi comunichi fuori della Messa. Cedere al sopruso, in questo momento, significherebbe lasciare che si aprisse un varco che potrebbe allargarsi sempre più. La situazione è già fin troppo compromessa per colpa dei funzionari della C.E.I. conniventi con i massoni; anche nella rivoluzione francese fu il clero a cooperare con le manovre dei giacobini miranti ad annientare la Chiesa. Questi prelati o non conoscono la storia o vogliono ripeterla; tengano a mente, però, che con quelle dei martiri, presto o tardi, cadranno pure le loro teste: la rivoluzione divora i suoi figli.


Acconsentire alle illegittime pretese del governo sarebbe come giurare sulla Costituzione Civile del Clero del 1790, che fu condannata da papa Pio VI, sebbene in ritardo, nonché rigettata da quasi tutti i vescovi e da due terzi dei sacerdoti francesi. Certo, in migliaia finirono in carcere, sul patibolo o in vecchie galere affondate a colpi di cannone… ma le loro anime filarono dritte in Paradiso, mentre la sorte dei collaborazionisti impenitenti è l’Inferno. Non so voi, ma io non ho dubbi in proposito. È giunta l’ora di prendere pubblicamente posizione mostrandoci apertamente réfractaires, come fecero allora quanti vollero rimanere fedeli a Cristo e si rifiutarono di sottoporsi al giogo degli empi, al quale non ci è lecito sottometterci. Non si tratta di disobbedire, bensì di obbedire a Dio rigettando gli ordini iniqui e illegali degli uomini, che non ci vincolano in nulla. La Chiesa, sopravvissuta a tutte le persecuzioni, supererà pure questa, sebbene il nemico si sia infiltrato in seno ad essa per piazzare le proprie pedine nei suoi posti di comando. Spetta a noi il compito di resistere per tutto il tempo che il Signore vorrà, finché non intervenga per punire i fedifraghi e premiare i credenti.


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