ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 1 maggio 2020

Le tante maschere cadute..

LA STRANA CONVERGENZA tra il filosofo e il partito di Francesco



Il 29 Aprile è apparsa su Stilum Curiae un’intervista a Mons. Viganò (qui), che il giorno successivo ha meritato la sdegnata e - almeno nelle intenzioni dell’estensore - risolutiva condanna nella lettera inviata dal prof. Massimo Borghesi a il Sussidiario (qui). Questa lettera, dal titolo Viganò e Agamben, la strana convergenza tra il vescovo e il filosofo, mi ha indotto ad una riflessione che si riallaccia ai miei precedenti commenti I due stendardi (qui) e Conte e Bergoglio: interessanti analogie (qui). L’intemerata di Borghesi cita anche un interessante articolo di Giorgio Agamben, Una domanda (qui), che invito a leggere. 

Non intendo qui prender le difese né di Mons. Viganò, né di Marco Tosatti: la dignità di entrambi basta a qualificare per quel che sono gli attacchi cui è ricorso il prof. Borghesi, la cui onestà d’intenti - se posso permettermi - ne esce gravemente inficiata. Mi limiterò pertanto ad entrare nel merito delle argomentazioni addotte e a trarne una mia valutazione.

Massimo Borghesi si stupirà nel sapere che condivido quasi completamente la sua analisi, pur trovandomi io sul fronte opposto a quello cui egli orgogliosamente rivendica di appartenere. Ebbene sì: sono un tradizionalista, un conservatore di quella che per semplificare tanto lui quanto io chiamiamo “destra”; destra religiosa, destra sociale, destra politica. Ma nonostante questo, trovo sorprendente ch’egli identifichi con tanta precisione chi sta a destra, appunto, e chi a sinistra. Una distinzione di campi che in questi giorni di crisi religiosa, politica, economica e sanitaria si va definendo nei propri contorni e soprattutto nei propri componenti. 

Da un lato, nel campo dei benpensanti, ci sono ovviamente gli “amici di papa Francesco”, che in lui con orgoglio identificano il proprio campione: progressista, palesemente schierato a sinistra anche politicamente, favorevole dall’accoglienza degli immigrati, incline ad una democratizzazione della Chiesa in nome della sinodalità, sensibile alle istanze dell’ecologismo e della globalizzazione. Accidentalmente, Vicario di Cristo e Successore del Principe degli Apostoli.

Dall’altro lato, nel campo di quelli che vengono indicati come “nemici di papa Francesco”, ci sono i sovranisti, i conservatori, coloro che difendono i propri cittadini dall’invasione e dal progetto di sostituzione etnica, i difensori della Tradizione e - ça va sans dire - della Messa tridentina, nemici della globalizzazione e attenti alla valorizzazione delle identità nazionali e regionali. Ai reazionari manca però un capo: non a tutti è dato di poter vantare nientemeno che il Romano Pontefice tra i propri ranghi. Con la differenza che, fino a qualche tempo fa (diciamo semplificando anche solo fino a Benedetto XVI), il portabandiera della Tradizione sarebbe naturalmente stato il Papa, e questo sarebbe stato valido con Pio VI, Pio IX, San Pio X o Pio XII. La sinistra avrebbe sdegnosamente rifiutato di annoverare uno di loro come paladino del progresso, vedendo anzi nei Papi l’ultimo baluardo della superstizione medievale. 

Riconosciamo quindi che suona quantomeno anomalo che questo pontificato possa aver mutato a tal punto la propria identità da passare dall’altra parte, meritando di rappresentare idealmente (e spesso ideologicamente) realtà eterogenee quali gli anarchici à la Casarini, gli pseudoambientalisti di Greta, gli abortisti della Bonino, i movimenti GLBT, gli ultraprogressisti che fino a ieri detestavano il Papato e che, curiosamente, apprezzavano il Concilio Vaticano II e le sue istanze. 

Ovviamente quello che per me è un orrore è per Borghesi una meraviglia, e viceversa. Non per una forma di relativismo, ma per un’oggettiva appartenenza dottrinale, filosofica e ideologica che ci fa vedere le cose in modo completamente opposto. Se non fossi “tradizionalista”, probabilmente la penserei come Borghesi, e se Borghesi a sua volta non fosse “modernista” la penserebbe come me. Con la differenza che io - e con me una schiera infinita di credenti di tutte le epoche e di tutti i continenti - non mi sono dovuto inventare una religione per assecondare un presunto bisogno interiore, ma ho semplicemente riconosciuto con la ragione e accettato con la volontà quella divina Rivelazione che Gesù Cristo, seconda Persona della Santissima Trinità, si è degnato portare con la propria Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione per salvare chi crede in Lui, e solo loro, che Egli ha riscattato con il proprio Sangue sul legno della Croce. 

Sull’altro versante, invece, la Rivelazione non esiste: esiste una serie di costruzioni umane, sviluppate dal “bisogno del sacro”; tra queste costruzioni vi è la divinità stessa di Gesù Cristo, il contenuto dei Vangeli, l’elaborazione dottrinale della “comunità primitiva”, l’invenzione dei dogmi, la costrizione morale, i Sacramenti, la Messa , il sacerdozio. Insomma: una religione non divina, banalmente umana, orizzontale, immanente e proteiforme, anzi: fluida, come piace dire oggi. La religione di papa Francesco, del Vaticano II, del Modernismo, della Massoneria.

Non vi è alcuna presunzione di essere “puri”, non vi è alcuna forma di donatismo nell’esser fieramente Cattolici: la consapevolezza del peccato e della propria indegnità si accompagna alla contemplazione dell’opera della Grazia, che sa mutare i cuori, convertire i singoli e le nazioni, informare la civiltà e le leggi, ispirare le arti. Esser parte del Corpo Mistico non è un merito da sbandierare come un’appartenenza politica, ma una responsabilità di cui rendere coerente testimonianza nell’impegno sociale e politico. E fa parte di questa coerenza anche la sofferente analisi di una situazione di gravissima crisi, in cui i fedeli si trovano ad assistere al tradimento dei loro sacerdoti, i sacerdoti dei loro Vescovi, i Vescovi dello stesso Papa. Parallelamente, i cittadini constatano il capovolgimento della legge, lo stravolgimento della giustizia, l’abuso del potere in chi detiene l’autorità. Rimanere inerti o assorti davanti a questa crisi non è gesto di umiltà né di obbedienza, ma di pusillanimità, di codardia, di complicità. 

Viceversa, mi pare che nel campo degli “amici di papa Francesco” la persuasione di essere “i migliori” sia data quasi per scontata, ancorché indimostrabile: un grottesco postulato, un a priori che si schianta sulla dura roccia della realtà non appena li si tocca nel vivo, proprio mettendo in discussione quel primato che essi rivendicano esclusivamente per sé. Così come è data per scontata la superiorità morale della sinistra politica, del globalismo, della scelta green e di tutto il repertorio ideologico che oggi, fortunatamente, si coagula e dimostra la propria coerenza. 

Per questo dico che Massimo Borghese ha ragione quando afferma

In realtà tutta questa retorica e il tono apocalittico dipendono da ben altro e il governo Conte è solo un pretesto. Quello che importa a Viganò, a Tosatti, ad Aldo Maria Valli che ha rilanciato l’intervista, è l’invito rivolto alla Chiesa di ribellarsi al Papa, al cardinal Bassetti, a mons. Parolin.

È verissimo: Conte è solo una pedina di un discorso più ampio, che lo utilizza così come utilizza - finché ne ha interesse - anche Bergoglio. Ma non sono solo Viganò,  Tosatti, Aldo Maria Valli che si sentono traditi dal Papa, ma molti Prelati - il pensiero va naturalmente a Burke, Bandmüller, Sarah, Müller, Schneider - e moltissimi sacerdoti, milioni di fedeli tra cui persone semplici ma anche intellettuali, professori non meno titolati di Massimo Borghesi, teologi non meno dotti di Massimo Faggioli, giornalisti non meno professionali di Marco Politi, politici non meno rispettabili di Obama, della Merkel o di Zingaretti.  

L’“occupazione” delle chiese è il pretesto per promuovere una ribellione dentro la Chiesa, non fuori. A Vigano non interessa nulla di Conte; lo accusa non perché è contro la Chiesa, come vorrebbe far intendere, ma perché è vicino al papato. Se Conte fosse contro Bergoglio anche la questione delle chiese, aperte o chiuse, non sarebbe così dirimente. A loro interessa unicamente delegittimare il papato, confinarlo nell’angolo, dividere la Chiesa, incitare una sua parte contro Francesco.

Non è nostra, la ribellione: è di chi, abusando della propria autorità, costringe la Chiesa ad essere ciò che non è mai stata e mai potrà essere. La ribellione di chi, se fosse nato solo cent’anni fa, non si direbbe Cattolico, né verrebbe accettato come tale dai fedeli e dalla Gerarchia stessa. Se Borghesi ritiene che la causa di questo scandalo sia Francesco, egli non fa che confermare quello che i vituperati tradizionalisti dicono da sempre, e che oggi più che mai gridano con lo strazio di veder violata la Sposa di Cristo. 

Non credo però sia legittimo limitare il discorso del professore all’ambito ecclesiale: il problema è ben più vasto, e per la prima volta nella Storia recente religione e politica si trovano in perfetta sintonia, quando né l’una né l’altra esprimono più né la fede dei fedeli né il senso civico i cittadini, rimasti ancorati a quei “vecchi schemi” che qualcuno vorrebbe estirpare d’autorità. 

La verità divisiva, che il professore apoditticamente non considera evangelica, mentre ne é l’essenza

è un’arma tagliente che serve a separare coloro che stanno con Francesco – i corrotti, i corruttori della tradizione e della dottrina, i compromessi con il potere – dai puri, gli incontaminati

laddove con il termine «puri» e «incontaminati» ben volentieri rivendichiamo -per quel che le nostre debolezze ci consentono - l’esserci accorti della mistificazione in atto da sessant’anni, del compromesso con il potere, della corruzione della  tradizione e della dottrina. Poiché per grazia di Dio non aderiamo ad un cieco fideismo irrazionale, ma seguendo San Paolo - rationabile sit obsequium vestrum - cerchiamo di rimanere fedeli a quel che Cristo ha insegnato e che la Chiesa fino a ieri ha trasmesso. Tant’è vero che il rimprovero di chi ci biasima e ci condanna è proprio quello di non voler accettare quella “novità” di cui si vanta orgogliosamente, e che fa risalire a quel Vaticano II che per noi segna l’inizio della crisi.

Massimo Borghesi insiste:

Come ai tempi di Agostino è nata una nuova setta, la chiesa dei seguaci del vescovo Donato, una chiesa che assume toni fondamentalisti e che si confonde, attualmente, con ampi settori della destra politica americana ed europea. Come gli antichi donatisti anche i nuovi, nella loro opposizione puritana al mondo corrotto, sono perpetuamente in guerra, in lotta contro i poteri, contro la Chiesa ufficiale accomodante. 

Ecco, di nuovo, lo schieramento: la destra politica americana ed europea, in contrapposizione alla sinistra globalista. 

Sono fedeli alla Chiesa dei martiri, allo spirito guerriero, alla lotta continua. Così, pur simpatizzando con la destra, usano categorie proprie della sinistra radicale. Il fondamentalismo cattolico-puritano si colora di toni protestanti e rivoluzionari, manichei. Il potere mondano è sempre e comunque negativo, occulto, manipolatore. 

E chi mai ha sostenuto che il potere è sempre e comunque negativo? Lo è quando si allontana da Dio, quando in nome di un laicismo apostata rifiuta non solo i fondamenti della Religione, ma anche le basi della legge naturale. E queste sono aberrazioni consustanziali al progressismo che la neochiesa bergogliana tollera e spesso incoraggia. 

Così vediamo mons. Viganò parlare il linguaggio del critico di sinistra. La pandemia? Un’invenzione dei poteri forti per dominare il mondo. Il vescovo non esita a utilizzare gli argomenti del complottismo. Viganò sta usando qui lo stesso linguaggio che, in questi giorni, sta adoperando un illustre filosofo italiano proveniente dall’area di sinistra, Giorgio Agamben. Una coincidenza ideale che pone, inevitabilmente, una serie di interrogativi.

Ed ecco lo sconcerto, lo scandalo: che la realtà debba rientrare nelle categorie ideologiche, che sia soggetta ad una valutazione sulla base di schemi, e che non possa invece essere un semplice raggio della verità, che chi ha onestà intellettuale riesce a cogliere. Disturba, insomma, che un intellettuale di sinistra - stimato perché etichettato con il marchio di fabbrica - possa nientemeno che dire una cosa vera condivisibile da un Prelato, sfuggendo all’ipnosi collettiva. 

Come è possibile che un monsignore, punta di diamante della reazione conservatrice mondiale, possa esprimere posizioni coincidenti con quelle di un pensatore progressista come Agamben? La coincidenza dei giudizi è impressionante.

Pensate un po’: mettere in discussione l’allarmismo di chi grida alla pandemia, sconfessata dalle cifre dell’Istituto Superiore di Sanità, è complottismo. Non c’è un complotto, no: ci sono dei pazzi visionari; e menomale che Borghesi è anche virologo e benignamente ci informa dando letteralmente i numeri. 

Saremmo di fronte, secondo l’autore alla “invenzione di una epidemia”, funzionale alla creazione di uno stato d’eccezione che, conformemente al dettato di Carl Schmitt, provvede all’esautoramento dello Stato democratico. È alla lettera, quanto afferma Viganò: “Mi pare tuttavia evidente che il Covid-19 abbia fornito un’ottima occasione – voluta o meno, lo sapremo presto – per imporre alla popolazione una limitazione della libertà che non ha nulla di democratico”.

E cosa c’è di così assurdo nel concordare su una verità che è riconosciuta da un filosofo di sinistra e da un monsignore? Questa sarà casomai una prova ulteriore del fatto che si tratta di un’evidenza condivisa, non influenzata da un pregiudizio ideologico. Ma per Borghesi questa eventualità non è nemmeno ipotizzabile, perché nel suo mondo ideologizzato quello che è vero e reale è solo quello che coincide con il suo schema di riferimento. Lo ribadisce ostinatamente: 

La sinistra, formata alla scuola di Foucault, e la destra ecclesiastica si ritrovano sulla stessa lunghezza d’onda. Non solo per la critica del potere statale ma anche, e questo è davvero singolare, per quella che concerne l’attuale pontificato.

Ci troviamo davanti ad un cortocircuito mentale, che sconfina quasi nel ridicolo: il dispetto per una convergenza tra Cattolici e laici va benissimo quando si applica alle ardite aperture di Francesco al globalismo, ma desta inquietanti interrogativi se sfugge al controllo e vede concordi mons. Viganò e Agamben. Mi immagino debba esser difficile, per l’autore di Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, tollerare che qualcosa possa sfuggire alla narrazione ufficiale e trovar d’accordo mondi apparentemente tanto distanti.

La conclusione riprende l’ossessione dei progressisti: 

La rivolta auspicata, con toni guerrieri, dal monsignore introvabile, vuole l’occupazione delle chiese vuote, di chiese che già erano vuote. Spera forse, sull’onda della battaglia, che si riempiano. Non crediamo. Pensiamo invece che il suo intento sia sempre e solo quello di delegittimare papa Francesco. Qualcuno raccoglie la sua sfida. Anche Agamben non sembra disdegnare, almeno idealmente, la sua compagnia. 

Se le chiese si sono svuotate, lo si deve a chi ne ha scacciato sdegnosamente i fedeli che le riempivano, imponendo riti insopportabili e prediche indigeribili. Tant’è vero che le uniche chiese che prima del Covid erano ancora piene - e che lo saranno subito dopo la fine della pièce pandemica - sono quelle in cui la liturgia e la predicazione non hanno seguito il restyling conciliare. 

Il Monsignore introvabile, «punta di diamante della reazione conservatrice mondiale», eccellentissima “Primula Rossa” che tanto indispettisce i corifei di Santa Marta, ha colpito nel segno con encomiabile semplicità. Ha toccato il nervo scoperto della subalternità ideologica del progressismo postconciliare filobergogliano al pensiero unico, mostrando le inquietanti complicità e l’idem sentire che accomunano gli “amici di papa Francesco” con quelli che erano e rimangono nemici della Chiesa e di Nostro Signore. Strano che il prof. Borghesi non si scandalizzi del fatto che molto spesso Bergoglio possa esprimere posizioni coincidenti con quelle di eretici, anticlericali, massoni. 

Nella sua splendida intervista, Sua Eccellenza conclude: 

Questa epidemia ha fatto cadere molte maschere: quelle dei veri poteri, delle lobby internazionali che brevettano un virus e si apprestano a brevettarne anche il vaccino, e allo stesso tempo spingono perché sia imposto a tutti, in un clamoroso conflitto di interessi. Almeno, adesso, sappiamo chi sono e che faccia hanno. 
Sono cadute anche le maschere di quanti si prestano a questa farsa, lanciando allarmi ingiustificati e seminando il panico tra la gente, creando una crisi non solo sanitaria, ma anche economica e politica di livello mondiale. Anche in questo caso sappiamo chi sono e qual è il loro progetto.

Credo che, tra le tante maschere, sia caduta anche quella del professor Massimo Borghesi.

BY CESARE BARONIO - GIOVEDÌ, APRILE 30, 2020


PER FATTO PERSONALE. TOSATTI RISPONDE A BORGHESI.

1 Maggio 2020 Pubblicato da  5 Commenti --

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, ho scoperto di essere oggetto dell’attenzione di un signore, Massimo Borghesi, che non conosco personalmente, e che sul Sussidiario (sito che mi dicono di area neo-ciellina) scrive: “Caro direttore, Marco Tosatti, vaticanista un tempo illustre ed oggi dominato dal rancore verso il Papa, ha un coniglio nel suo cilindro che estrae nei momenti cruciali. Si tratta del vescovo Viganò, il grande accusatore di Francesco, il Fantomas che appare  e dispare lanciando, di volta in volta, proclami ed anatemi”.
Mi ha incuriosito il termine usato, rancore. Sono andato a leggere una spiegazione, e ho trovato: “Risentimento, avversione profonda, tenacemente covata nell’animo in seguito a un’offesa o a un torto ricevuto”.
Posso assicurare il sig. Borghesi che non ho ricevuto – personalmente, direttamente, o indirettamente, nessun torto dal Pontefice regnante. Su cui avevo aspettative non negative. E non ho nessun rancore verso di lui, né tantomeno, ne sono dominato. Non ho potuto fare a meno, però, in sette anni, di prendere atto di ambiguità, menzogne, divario fra ciò che viene detto e ciò che viene fatto, confusione e altro ancora. E tutto questo non ha nulla a che fare con il “rancore”. Ma è un facile artificio dialettico attribuire ai critici scomodi posizioni preconcette, dettate, se possibile – anche quando non è vero – da ragioni personali. 
Poi mi sono informato sull’autore, e ho scoperto che ha un passato wojtyliano e ratzingeriano di ferro, che scriveva su Trenta Giorni, che ha parentele ed amicizie in CL, o perlomeno nell’area di CL gravitante intorno al Trenta Giorni storico, Tornielli e Brunelli, per capirci, e che è diventata super-bergogliana (e scusate se non è poco, essendo stati wojtyliani e ratzingeriani, cioè la sostanziale antitesi della Chiesa che ci viene offerta adesso, in pensieri, parole, uomini e omissioni); che è ben allineato alla CL attuale di Carron; e che ha spinto in grado eroico la sua adesione al nuovo corso piegando e forgiando i suoi metalli professionali nella scrittura di “Una biografia intellettuale” di Jorge Mario Bergoglio, compito da far tremare le vene e i polsi. Qui sotto, nell’articolo che riportiamo da Opportune Importune Cesare Baronio risponde alle critiche di Borghesi, rivolte non al povero sottoscritto, ma all’arcivescovo Carlo Maria Viganò. E vi consigliamo di leggerlo. Io mi limito a rispondere che non appartengo a bande ecclesiali (amo molto quel verso di Danta: “sì ch’a te fia bello averti fatta parte per stesso”…) e non sono dominato da nulla se non dallo sconcerto nel vedere come persone certamente molto più preparate e intelligenti di me possano volteggiare e piroettare in plastica naturale leggiadria da una Chiesa ispirata da Wojtyla o Ratzinger a una Chiesa modellata da Marx, Tucho Fernandez e Sosa. Per non citarne che tre. Senza battere ciglio, senza neanche un minimo disturbo digestivo. Miracoli ciellini. Buona lettura.


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