Catto-gay Connection, come ti promuovo l'omosessualità
Avvenire, il cardinale Zuppi, l'editrice San Paolo: tutti insieme per lanciare una nuova offensiva per la legittimazione dell'omosessualità nella Chiesa. Un libro, con la benedizione dell'arcivescovo di Bologna, che raccoglie le voci di teologi, psicologi, che spingono tutti dalla stessa parte. Con la scusa dell'accoglienza delle persone si cancella la differenza tra orientamento sessuale e atti omosessuali, spingendosi fino ad aprire a un qualche riconoscimento delle unioni gay. Ratzinger aveva avvertito già 34 anni fa: nella Chiesa una lobby gay vuole sovvertire l'insegnamento sulla sessualità.
Avvenire che guida la crociata catto-gay. Ormai non fa più neanche notizia. Però aprire una pagina del giornale della Conferenza Episcopale Italiana e trovare il titolone “Zuppi: gli omosessuali? La diversità è ricchezza”, fa sempre un certo effetto, anche perché si tratta di un’affermazione che implica quasi una necessità dell’omosessualità, visto che senza saremmo più poveri. Il che contrasta in modo piuttosto evidente con il Catechismo della Chiesa cattolica e con tutta la tradizione. Basti ricordare che il Catechismo indica la sodomia tra i quattro «peccati che gridano verso il cielo», linguaggio modernizzato rispetto a «peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio», in uso precedentemente.
A veder bene la pagina in questione, c’è però di più: le affermazioni dell’arcivescovo di Bologna, cardinale Matteo Zuppi, sono parte della prefazione-intervista al libro del giornalista di Avvenire Luciano Moia (che della crociata catto-gay ha fatto una ragione di vita) dal titolo “Chiesa e omosessualità. Un’inchiesta alla luce del magistero di papa Francesco”. Nel libro, viene spiegato, trovano spazio una serie di interviste realizzate dall’inserto di Avvenire “Noi, famiglia e vita” a cavallo tra il 2018 e il 2019, che spingono ovviamente tutte dalla stessa parte. E a mettere il sigillo dell’autorità c’è anche la prefazione del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. Dunque, non si tratta del lavoro frutto di un interesse personale di un giornalista, ma una vera e propria operazione che catalizza attorno all’organo ufficiale della CEI teologi, psicologi, un cardinale considerato nella manica del Papa e dato per prossimo presidente della CEI, e l’editrice San Paolo, ovvero un pilastro dell’editoria cattolica.
Ad ogni modo l’intervista al cardinale Zuppi è sufficiente per mettere in evidenza le menzogne e ambiguità che un certo clericalismo usa per promuovere gli stili di vita omosessuali. Del resto, ricordiamo, il cardinale Zuppi aveva già firmato la prefazione al libro di padre James Martin “Un ponte da costruire – Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt”, un vero e proprio manifesto dell’omosessualismo (sedicente) cattolico.
Prima questione: si dà l’idea che fino ad Amoris Laetitia l’unico atteggiamento della Chiesa nei confronti delle persone con tendenza omosessuale fosse di condanna ed emarginazione. Poi, finalmente, l’avvento della Chiesa di Francesco ha cambiato tutto, guardando alle persone e non a regole astratte. Questa è una chiara menzogna, funzionale all’agenda che si vuole perseguire. Nel Catechismo della Chiesa cattolica, ad esempio, si fa una chiara distinzione tra la persona che presenta certe tendenze e gli atti omosessuali. Ma è proprio questa distinzione che si vuol far sparire, così che l’accoglienza della persona diventa prima tolleranza e poi accettazione anche degli atti.
Si deve al proposito ricordare il preciso e dettagliato documento della Congregazione per la Dottrina della Fede (firmato dall’allora prefetto cardinale Joseph Ratzinger) «sulla cura pastorale delle persone omosessuali», datato 1 ottobre 1986, testimonianza di un’attenzione al tema delle persone con tale tendenza. Non per niente Gionata, il principale portale internet dei gruppi Lgbt cattolici, lo definisce «famigerato», proprio perché nella comprensione per le persone non è compresa l’accettazione degli atti omosessuali.
E non per niente Avvenire non cita mai questo documento, forse anche perché vi è una denuncia esplicita di una lobby gay all’interno della Chiesa che ha come obiettivo il sovvertimento dell’insegnamento della Chiesa in materia di morale sessuale. Una fotografia precisa di quel che è il giornale della CEI.
Dunque, l’attenzione pastorale alle persone con tendenze omosessuali c’è ben prima dell’attuale pontificato. Quello che cambia con Amoris Laetitia è invece il giudizio sugli atti omosessuali, nel senso che si apre una possibilità alla loro accettazione, come dimostra l’attivismo di Moia e di Avvenire per promuovere l’omosessualità.
Seconda questione: nella concezione espressa da Zuppi e Moia non esiste una verità oggettiva, tutto dipende dal contesto e dalla storia personale. E la volontà di Dio diventa ad personam. «Quella di Dio, infatti, è una Volontà incarnata nella storia della persona, è la Sua volontà che compie la nostra», dice l’arcivescovo di Bologna, e aggiunge: «La pienezza della volontà di Dio per una persona non è la stessa per altre». La conseguenza pratica di tale impostazione è che la consumazione di atti omosessuali può essere peccato per Tizio ma può essere vocazione per Caio. L’importante è «entrare in relazione con Dio», dice Zuppi. Ma la domanda ovvia che sorge è questa: perché questo criterio soggettivista dovrebbe valere soltanto per l’omosessualità? Solo per restare nel campo degli orientamenti sessuali, perché non dovrebbe applicarsi anche alla pedofilia, o alla zoofilia e via dicendo?
Terza questione: questo presunto grande senso di accoglienza e misericordia che si ostenta quando si parla di omosessuali, in realtà ignora proprio la realtà delle persone che vivono questa condizione, con i loro disagi, fragilità ed esigenze. E molto spesso il desiderio di ritrovare una sessualità secondo natura. Si assumono invece gli argomenti del movimento Lgbt che rivendica l’omosessualità e la transessualità come varianti naturali della sessualità e quindi la loro piena legittimazione, attribuendo all’omofobia dell’ambiente circostante l’eventuale disagio dei singoli. Non c’è assolutamente attenzione alle persone in questa campagna condotta nella Chiesa, c’è ascolto soltanto delle rivendicazioni “sindacali” di gruppi ideologicamente organizzati.
Quarta questione: è ovvio che la logica conseguenza di questa impostazione porta alla legittimazione delle unioni gay. Niente di nuovo, in diverse parti d’Europa – e anche in Italia – abbiamo visto preti e vescovi sostenere la necessità di una liturgia per le coppie gay. A domanda precisa, il cardinale Zuppi è stato prudente, sostenendo che si può accogliere anche senza «giustificare», ma più che la risposta fumosa del cardinale è importante il modo in cui Moia introduce l’argomento che lascia intendere chiaramente quale sia l’indirizzo del giornale. Del resto era stato lo stesso direttore di Avvenire al tempo della legge Cirinnà a sostenere che le unioni omosessuali stabili costituiscono un bene per la società.
Nessuno dunque si stupisca del passo successivo.
Riccardo Cascioli
https://lanuovabq.it/it/catto-gay-connection-come-ti-promuovo-lomosessualita
di Giorgia Brambilla
«Help create a more equal world by using gender-neutral language». Se ci mettiamo gli accordi di “Imagine” di John Lennon, abbiamo la strofa perfetta per il nuovo jingle dell’utopia egualitaria moderna. La frase ad effetto è presa nientemeno che da un tweet dell’ONU (qui), in pratica, si consiglia di non usare termini che denotino la specificità maschile o femminile se non si conosce il “genere” scelto dalla persona, parole “neutre”. Quindi, non husband/wife (marito/moglie) ma “spouse”, non boyfriend/girlfriend (fidanzato/fidanzata) ma partner. Persino fireman (vigile del fuoco) sarebbe irrispettoso, probabilmente per quel “man” (uomo) alla fine della parola e diventa firefighter.
Interessante che questo “consiglio” simil-morale venga proposto proprio nello stesso periodo in cui in Italia si è ricominciato a discutere della legge contro la cosiddetta “omofobia”. Sarà finito il lockdown anche per le ideologie? Vediamo brevemente qual è il collegamento tra le due questioni.
Le “teorie del genere” e l’omosessualismo – dove con questo termine intendiamo i gruppi di militanti gay che cercano di ottenere il riconoscimento di taluni diritti – ancorano le loro argomentazioni a una sorta di egualitarismo che mostra la differenza, nella fattispecie quella sessuale, come motivo di discriminazione. Precisiamo, però, che nel caso dell’omofobia il “diritto” da ottenere sarebbe quello di mettere a tacere tutti coloro che non la pensano allo stesso modo, fino ad imporre una “rieducazione” in tal senso dei ragazzi persino nelle scuole, come abbiamo spiegato in un precedente contributo (qui)
Questo approccio diventa muro, se non addirittura strategia, che impedisce di entrare in merito alla questione omosessuale e alle sue innumerevoli implicazioni individuali, culturali e sociali. Tutto il discorso è riportato continuamente all’aspetto dei diritti, alla lotta contro le discriminazioni e alla ricerca di un’uguaglianza che si ottiene tramite un pensiero unico e omologato. Una tendenza della contemporaneità è di omologare comportamenti e tendenze per renderli immediatamente identificabili. La semplificazione attuata dai media di considerare l’individuo omosessuale come una categoria sociale “normale”, ha abolito le differenze all’interno del vasto e variegato campo dell’omosessualità maschile e femminile.
Creare l’omogeneità in un ambito dove invece regna l’eterogeneità, oltre ad appiattire le soggettività instaura una visione ideologica che si espande in un’ipertrofia dei diritti. Le istanze in gioco sono sotto gli occhi quotidianamente: la diffusione dell’insegnamento gender nelle scuole, le campagne contro l’omofobia e la discriminazione, il diritto ai matrimoni gay e sulla possibilità di adottare (L. ANTONINI, Il traffico dei diritti insaziabili).
In ottemperanza al principio secondo il quale diversità equivale a disuguaglianza, e dunque a un’inaccettabile fonte di discriminazione e oppressione, è necessario fare in modo che tutti gli esseri umani non siano più identificabili in intollerabili classi in base al comportamento sessuale, ma nella nuova categoria del genere come promessa per un futuro di felicità e pace per tutti nel momento in cui saranno cadute tutte le barriere e le discriminazioni. Quando Alfred Kinsey stilò con criteri empirico-statistici, sostenne la tesi che femminilità e mascolinità sono costruzioni culturali indotte, dalle quali bisogna liberarsi per stabilire un’autentica uguaglianza tra esseri umani. E la prima tappa fu ovviamente la “rivoluzione linguistica”: da sesso a genere. Ma del resto, come scrive Philip Dick: «Lo strumento basilare per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se controlli il significato delle parole, puoi controllare le persone che devono usare le parole».
La ricerca ossessiva di uniformità è essa stessa una forma di “controllo”, che diventa crescente pervasività del politico nel biologico. L’uomo diventa quel “buon ingrediente standardizzato” di Aldous Huxley, il noto scrittore de “Il mondo nuovo”, ma anche fratello di Julian primo presidente dell’UNESCO di cui curò le linee programmatiche in “Unesco, its purpose and its philosophy”.
Ed è esattamente qui il punto d’incontro tra genderismo e biopolitica: l’obiettivo è quello di decostruire l’identità naturale per introdurre la “fluidità di genere” che si esprime nel “transgenderismo”. La sessualità perde, dunque, il suo carattere oggettivo per assumere una identità fluttuante e soggettiva che potrà adottare orientamenti molteplici e diversi a seconda delle inclinazioni e degli istinti contingenti di ciascun individuo, annullando così anche la persona però, costitutivamente sessuata.
Ed è per questo che le Nazioni Unite se ne fanno portavoce, facendo entrare il gender attraverso le cosiddette “conferenze intergovernative”, quelle che, tramite la trattazione di vari temi sensibili, hanno reso l’ONU una sorta di “autorità morale universale” (M.PEETERS, Il gender. Una questione politica e culturale). Dale O’Leary spiega, infatti, che «la Piattaforma d’Azione, scaturita dalla Conferenza di Pechino sulle donne, ha invitato i governi a “diffondere l’Agenda di Genere” in ogni programma politico e in ogni istituzione sia pubblica che privata» (D.O’LEARY, La guerra del gender).
Più recentemente, nel giugno 2016 l’Alto Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, sotto la regia dell’ILGA (International Lesbian and Gay Association), con una maggioranza risicata di 84 voti a favore contro 77, ha adottato una risoluzione con la quale ha nominato un’ “Independent Expert”, un esperto indipendente incaricato di monitorare le attività di tutti gli Stati membri, affinché garantiscano “protezione contro la violenza e discriminazione basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” (R. DE MATTEI, Dal gender al transumano: il ruolo della biopolitica).
Anche l’Unione Europea ha cominciato ad allinearsi all’“agenda gender”, a cominciare dalla “Risoluzione per la parità di diritti per gli omosessuali”, adottata dal Parlamento Europeo nel 1994. In essa, si stabiliva che «ogni cittadino deve avere lo stesso trattamento a prescindere dall’orientamento sessuale; si chiede l’abolizione di tutte le disposizione di legge che criminalizzano e discriminano i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso e l’eliminazione degli ostacoli frapposti al matrimonio o registrazione di unioni di coppie omosessuali, oltre all’accesso all’adozione e affidamento».
Tra il 2006 e il 2007 il Parlamento Europeo emana altri atti con i quali viene ufficialmente introdotto nella legislazione comunitaria il nuovo termine “omofobia”, intesa come un’avversione irrazionale nei confronti di omosessuali ma anche transessuali (transfobia) basata su pregiudizi. Segnaliamo il peso della “Carta di Nizza”, entrata in vigore con il “Trattato di Lisbona” (2007), che ha tradotto in termini giuridici, sotto forma di principio di non-discriminazione, la teoria del gender, affermando che la differenza fra uomo e donna non deve fondarsi più sul dato oggettivo della natura, ma sulla soggettività delle tendenze e delle scelte. Ed è infatti proprio a questi dettami che hanno fatto appello le rivendicazioni avanzate dai movimenti LBGTQ nei vari paesi dell’Unione Europea.
Si capisce, allora, che nel momento in cui considerazioni di natura politica entrano nelle procedure scientifiche che mirano alla comprensione dei fenomeni umani e sociali, diventa difficile se non impossibile, riuscire a creare una piattaforma condivisa perché ogni ricerca sarà controbilanciata da qualche analoga e contraria (D.NEROZZI, “Intervista” in G.Brambilla, Sessualità, gender ed educazione). In questa situazione, gli studi anche quelli più seri finiscono con l’essere annullati lasciando lo spazio decisionale alla politica che ha il compito di normare i fenomeni sociali in accordo con la visione di riferimento, indipendentemente dal supporto derivante dall’ambito scientifico, che viene così annullato. Questo è il meccanismo posto alla base del mondo politically correct che si pone in netto contrasto con una valutazione della realtà basata sul principio di oggettività e non contraddizione.
Ci stiamo avvicinando alla “Generazione Unisex”, dove “puoi essere tutto ciò che desideri”, come annuncia lo spot della Barbie, ma solo se rifiuti tutto ciò che sei realmente e veramente, ovvero se rinunci alla tua natura umana, definita, corporea, sessuata, contingente e limitata, ma così creata ad immagine e somiglianza di Dio.
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