FDI. SCONCERTANTI PAROLE DEL COMMISSARIO ARDITO ALLA MESSA.
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, è da qualche tempo che non ci occupiamo della triste saga dei Francescani dell’Immacolata, decapitati e commissariati circa sette anni fa senza che si siano mai state conosciute accuse se non generiche; e oggetto di una campagna di fango, supportata da alcuni siti web estremamente discutibili, mentre gli autori del “golpe” interno dovevano registrare successivamente diverse sconfitte – da parte della magistratura ordinaria – in quello che forse era il vero obiettivo: e cioè i beni della Congregazione. Che forse, finalmente in autunno potrà avere un Capitolo, e darsi un vertice. Ci ha scritto un amico in relazione all’omelia che uno dei Commissari, il salesiano p. Ardito ha tenuto qualche giorno fa. Questo è il video, l’omelia comincia al minuto 36 e l’attacco a padre Manelli, fondatore – ancora in isolamento…! – dei FDI a un’ora e 46 minuti. Buona lettura.
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Su segnalazione di un amico, ho avuto la spiacevole sorpresa di ascoltare le parole che il salesiano don Sabino Ardito, Commissario dei Frati Francescani dell’Immacolata, ha pronunciato in occasione della professione religiosa perpetua e temporanea di alcuni frati dell’Istituto. Ho visto il video reso pubblico sul web.
Per quanto abbia potuto constatare il tono conciliante assunto dal celebrante, mi colpiscono alcuni passaggi dell’omelia, verosimilmente allusivi al Fondatore dei Francescani dell’Immacolata, Padre Stefano Maria Manelli, e il momento finale della celebrazione, quando il Commissario gli tira una stoccata, definendo una barzelletta la “transustanziazione” nell’Immacolata.
Riguardo l’Omelia don Sabino l’ha impostata evidenziando l’aspetto comunitario della missione, affidata dallo Spirito Santo non al singolo apostolo, ma alla comunità e ogni uomo, in particolare un religioso, deve essere operatore di unità.
Don Ardito fa bene a ricordare che la superbia umana ha come conseguenza la divisione, citando l’esempio della Torre di Babele. Sbaglia, però, a non accennare neanche minimamente al fatto che l’unità si costruisce nella Verità.
Se non si richiama questo principio evangelico si rischia di fare dell’unità un valore assoluto, un puro slogan, spesso a costo anche della rinuncia alla propria identità originaria, scadendo nel compromesso. L’unità senza verità è idolatria!
Don Ardito ha ragione: l’orgoglio ci fa rifiutare di vedere la Verità. Infatti chi è accecato dall’orgoglio s’illude di costruire unità; in realtà costruisce solo un aggregato, senza la tensione del confronto.
Don Ardito fa bene ad affermare che l’uomo spirituale è colui che costruisce unità con i propri fratelli e se il nostro modo di agire divide, viene dal diavolo. Sbaglia però a non accennare, neanche minimamente, che anche l’agire di nostro Signore può concretamente dividere. È Gesù stesso a dircelo: «Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione». E aggiunge: «D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (Lc 12,51-53).
La divisione, allora, può essere anche la conseguenza del rifiuto di vivere il carisma originario dei Frati Francescani dell’Immacolata, per trasformarlo in una forma di vita religiosa più incline e vicina alle esigenze del mondo.
Per grazia di Dio c’è una verità consolante al di là delle parole pontificate dal predicatore di turno, ed èl’evidenza della realtà, che smentisce i discorsi preparati e ne rivela la distanza dalla vita reale. Il reale è il vero banco di prova che rivela chi siamo. A volte sono i nostri comportamenti grandi o piccoli che siano, alle volte le nostre parole, fossero anche frasi brevissime, come quella di ritenere la transustanziazione nell’Immacolata una barzelletta di Padre Manelli. Perché, detta così, fuori da un’inquadratura dottrinale e senza spiegazione, l’espressione potrebbe apparire credibile, ma solo a condizione che s’ignori il movimento mariologico e di mistica mariana ben noto, che si rifà alla scuola spirituale francese (con il da Montfort e l’Olier) e a san Massimiliano Kolbe. Il Commissario, forse ignora, o avrà temporaneamente dimenticato, che tale movimento si è muove nell’ambito della schiavitù mariana e del cammino ascetico- mistico mariano che ha portato diversi santi al cosiddetto “matrimonio mistico” con la Madre di Dio e all’unione trasformante con Lei e all’identificazione con Lei.
Ha fatto scuola nel XX secolo l’opera di P. Severino Ragazzini, dal titolo «Maria Vita dell’Anima. Itinerario mariano alla Santissima Trinità», in cui sono descritte le esperienze ascetico-mistiche mariane di decine e decine di santi.
Il voto mariano di consacrazione illimitata all’Immacolata emesso come primo voto dai FFI si inserisce nell’alveo di questo movimento, approvato e quindi garantito teologicamente dalla suprema autorità di san Giovanni Paolo II, il papa Totus Tuus, che ha canonizzato san Massimiliano Kolbe.
Don Sabino sbaglia anche quando ritiene l’espressione “transustanziazione nell’Immacolata”,un’invenzione di Padre Manelli. È stato san Massimiliano Kolbe ad “inventarla”, se così vogliamo dire; ma lo fa chiaramente in senso analogico e non univoco rispetto al linguaggio dogmatico-eucaristico. Parla infatti san Massimiliano di “quasi” transustanziazione nell’Immacolata. Lo stesso fa Padre Manelli quando usa il termine, mettendolo sempre virgolettato e citando la fonte kolbiana. Ecco quanto scrive il santo: «Vogliamo essere fino a quel punto dell’Immacolata che non soltanto non rimanga niente in noi che non sia di Essa, ma che diventiamo quasi annientati in Essa, cambiati in Essa, transustanziati in Essa, che rimanga Essa stessa. Che siamo cosi di Essa, come Essa è di Dio. Essa è di Dio fino a diventare Sua Madre, e noi vogliamo diventar la madre che partorisca in tutti i cuori che sono e saranno l’Immacolata. Ecco M.I., farla entrare in tutti i cuori, farla nascere in tutti i cuori, che Essa possa, entrando in questi cuori, presa la possessione quanto piùperfetta di essi, partorire ivi il dolce Gesù, Dio, e farlo ivi grandire fino a perfetta età. Che bella missione!…» (Scritti Kolbiani, n. 508). La questione dell’ortodossia di tale linguaggio e della dottrina ascetico-mariana soggiacente fu affrontata al processo di Canonizzazione del santo martire polacco e fu risolta favorevolmente (cf. Positio super scriptis, p. 35).
Il Commissario poteva risparmiarsi, nel contesto di una pubblica cerimonia, la canzonatura della barzelletta, che, in qualche modo, non fa altro che mettere il Fondatore ulteriormente in cattiva luce tra i frati che, volenti o nolenti, appartengono all’Istituto da Lui fondato per grazia divina. Egli ha tutto il diritto di crederla una barzelletta, ma dovrebbe trovare il coraggio di affrontare la questione in un luogo confacente, con un confronto e un contraddittorio, argomentando la forza delle proprie affermazioni e resistendo alla potenza d’urto di quelle contrarie.
Oltretutto, l’espressione usata, tradisce come le parole, fino a poco prima pronunciate nell’omelia, tra cui il dono del domino di sé, sembrano solo parole che produco il suono dello stridore della distanza tra la teoria e la pratica, tra il pensiero e la vita. Nonostante questa desolante testimonianza spirituale, consola quanto riferisce san Giovanni apostolo nel Vangelo, quando riporta la frase di Gesù:«Ricordatevi della parola che io vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi».
Beato, allora chi sa accettare la croce ed abbracciarla con amore, nel silenzio e nell’offerta quotidiana. Sono questi i maestri di cui noi cattolici abbiamo bisogno.
Marco Tosatti
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