ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 26 giugno 2020

Gioco delle parti

LA GUERRA ALLE STATUE
Questo antirazzismo è un attacco a Dio

Non solo l'attuale movimento che ha per riferimento il Black Lives Matter è solo un'altra forma di razzismo, ma è volontà di distruggere le statue solo perché statue, perché espressione di una gerarchia di valori, di un qualche ordine. E vogliono distruggere le raffigurazioni di Gesù e della Madonna perché puntano al Fondamento dell'ordine, che è Dio.



Negli Stati Uniti i militanti del movimento Black Lives Matter (BLM) abbattono le statue che secondo loro sono espressione del razzismo e in questo modo si dimostrano razzisti. Di solito si condanna il razzismo perché esso assume una posizione di parte, come il colore della pelle, per farla diventare una regola per tutti. Ma anche i militanti di pelle nera diventano razzisti quando accusano i bianchi di essere il male solo perché bianchi.

Contrapporre ad una parte un’altra parte è sempre fare un gioco di parte o, meglio, un gioco delle parti. Oggi io abbatto le tue statue e domani tu abbatterai le mie. Il giovane Shaun King che vuole la distruzione delle statue, comprese quelle di Gesù Cristo, pone se stesso come una statua vivente in attesa di celebrazione. Se il movimento BLM dovesse prendere in qualche modo il potere, erigerebbe le proprie statue e forse ne dedicherebbe una proprio a lui. Chi di statua colpisce di statua perisce.

Questo spiega perché il gioco delle parti, o gioco delle statue, è sempre esistito. Ogni nuovo regime abbatte le statue del precedente. Ogni tanto in Italia spunta fuori qualcuno che vorrebbe demolire i monumenti del periodo fascista. A Trieste non vogliono la statua di D’Annunzio. A Milano dà fastidio quella di Montanelli. A Chicago vogliono sostituire la statua di Italo Balbo. Il passato divide, perché nel passato uno era da una parte e l’altro dall’altra. Ma come accade che la democrazia italiana non abbia le carte in regola per demolire i monumenti del periodo fascista, avendo anch’essa al proprio interno forme di dittatura forse ancora superiori, così accade che gli unionisti non abbiano nemmeno loro le carte in regola per demolire i monumenti dei generali confederati. I Nordisti erano compromessi con lo schiavismo non meno dei Sudisti, e i democratici non meno dei repubblicani: la sempiterna Nancy Pelosi, che oggi soffia sul fuoco dell’antirazzismo per danneggiare Trump, volutamente dimentica che Lincoln non era democratico ma repubblicano.

Il movimento BLM ha l’appoggio dei liberal, si ispira all’illuminismo e all’etica kantiana per la quale bisogna trattare l’altro come un fine e non come un mezzo. Ma gli illuministi – a cominciare da Voltaire – erano razzisti. Kant stesso era razzista e l’erezione della statua della dea ragione costò la vita a molte altre statue che, secondo il gioco delle parti, furono decapitate e distrutte. I positivisti come Lombroso, eredi degli illuministi, erano razzisti. Se l’anti-razzismo di BLM si ispira a fonti razziste vuol dire che non è vero antirazzismo, ma la sostituzione di un razzismo con un altro razzismo.

È come quando nella teologia cattolica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso si sviluppò la “teologia nera” secondo la quale Dio era nero perché averlo presentato come bianco era da considerarsi una posizione razzista avallata dalla Chiesa. Per lo stesso cervellotico motivo la teologia femminista diceva che Dio è femmina e non maschio. Ma perché un Dio nero non dovrebbe essere razzista come un Dio bianco?

Quanto sta accadendo negli Stati Uniti, però, va oltre anche queste considerazioni. Va oltre il gioco delle parti. Non esprime solo la condanna per il passato americano, o per l’identità americana, o per la cultura e la civiltà occidentali accusate di essere bianche, come potrebbe far pensare l’odio verso la statua di Colombo. Se così fosse si tratterebbe di un razzismo opposto, nero anziché bianco, antioccidentale piuttosto che occidentale, dei presunti oppressi contro i presunti oppressori. Sarebbe dire di "no" a qualcosa per dire di "sì" a qualcos’altro e su questo "sì" costruire poi nuove statue, nuovi eroi e nuove feste del ringraziamento.

Nel movimento BLM si intravede invece un altro stile distruttivo, la volontà di distruggere le statue solo perché statue, perché espressione di una gerarchia di valori, di un qualche ordine. C’è come la volontà di radere al suolo il passato, di colpevolizzare ogni posizione forte accusandola di essere razzista verso le altre, la voglia di un mondo senza statue, senza fini e cause per cui diventare eroi, senza eroi.

Perché mai la volontà di distruggere le raffigurazioni di Gesù e della Madonna? Anche in Olanda e non solo negli Usa il BLM ha sfregiato una Madonna Nera. Perché rimuovere il dipinto di San Michele che schiaccia il demonio? Dalla lotta ai simboli di un razzismo americano ideologicamente interpretato – i dati sociologici sulla violenza tra bianchi e neri negli Usa non la confermano – si è passati alla lotta alla simbologia religiosa cristiana. Non solo il generale Lee ma anche Gesù Cristo.

Quando si prende la strada del nichilismo bisogna distruggere non solo gli elementi dell’ordine ma anche la sua Causa ultima. Il nichilismo è dissolutorio e quindi distrugge le statue che testimoniano  aspetti o protagonisti dell’ordine, ma poi deve andare alla fine e prendersela con il Fondamento dell’ordine, che è Dio.
Nel movimento BLM c’è questo nichilismo rispetto al quale tutto il resto è strumento. Qui non c’è più solo l’ideologia, c’è una volontà distruttrice e dissacratoria che intende andare alle radici. Difficile negare la sua funzionalità al “nuovo ordine mondiale”.

Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/questo-antirazzismo-e-un-attacco-a-dio

Se la storia scende da cavallo

Ma che succederà alle piazze e alle strade d’Italia quando si accorgeranno che pure Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, era sessista e naturalmente razzista riguardo a ogni altra razza che non fosse la sua? E che in fondo della stessa pasta era l’umanitario Giuseppe Garibaldi, e non diverso era Camillo Benso Conte di Cavour? Quando sapranno cosa pensavano delle donne, dei negri, degli indios, degli invertiti e dei pederasti, come allora li chiamavano, e perfino dei nostri meridionali?
Avremo città senza toponomastica, navigatori impazziti o muti, la cancellazione dei nomi renderà introvabile ogni luogo e impraticabile ogni città, peggio del lockdown. Ogni piazza dovrebbe al posto dei loro nomi infami e delle loro statue pompose, avere il nome e l’icona di un nero schiavizzato, di una donna sottomessa, di un cafone accoppato, comunque di una Vittima. Anche un cane o un cavallo, per essere equi fino in fondo.
Della storia l’unica cosa da ricordare sarebbero le Vittime, mai gli Artefici. Passerà alla storia, d’ora in poi, vorrà dire che verrà rimosso, cancellato, maledetto. O se preferite fa la storia solo chi la subisce. Se i grandi sbagliano in grande, come diceva Heidegger, meglio i piccoli che sbagliano in piccolo: anzi meglio quelli che hanno solo patito. Milioni di vittime formeranno un solo, anonimo monumento all’umanità, non ai grandi ma agli ignoti. I busti del Pincio a Roma che furono già oltraggiati da un precursore che tagliò loro il naso, saranno sostituiti da quelli delle vittime per tipologia: il busto al Nero, al Migrante, al Disabile, alla Donna violentata, all’Ebreo, all’Omosessuale, alla Lesbica, alla Schiavizzata in casa o al lavoro (doppio busto). E uno, in disparte, allo Sfigato. Non conta cosa hai fatto nella vita ma cosa hai subito; ogni eccellenza si accompagna al male e si procede all’inverso, dal basso fino alla normalità. Ma lo statuto speciale è quello di Vittima. Le norme che regolavano l’accesso in paradiso, alla santità, al martirio vengono applicate in terra; ma con la differenza che non è necessaria la buona condotta, la testimonianza di una fede o la santità delle opere, basta che sia una Vittima. Qualcosa aveva intuito René Girard quando diceva che la maggiore eredità lasciata dal cristianesimo al mondo che lo rinnega è “la preoccupazione per le vittime”. Via la statua di Cristoforo Colombo facciamo il monumento a George Floyd, via il monumento al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, facciamo il monumento al geometra Cucchi. Via l’eroe dell’Amba Alagi facciamo il monumento a Giulio Regeni. Vanamente Sant’Agostino avvertiva che non è la pena ma la causa a fare i martiri. No, contano le botte ricevute. E se poi eri pure testimonial a qualunque livello, di qualunque risma, con qualunque precedente, delle famose battaglie di emancipazione, allora di più.
Quando Voltaire immaginò di voltare le spalle ai secoli oscurantisti, alla fede confusa con la superstizione, alla tradizione identificata con la barbarie, figurava una società dei lumi, libera, tollerante, progressista, umanitaria. Ma non avrebbe mai pensato di essere oltraggiato da quella società con un getto di vernice sulla sua effigie, nel nome dei suoi stessi valori, per il suo razzismo nei confronti dei neri e per alcune sue oltraggiose teorie che erano figlie del suo tempo. Alla fine pure lui è stato considerato oscurantista, superstizioso, retrivo, antisemita, colonialista, schiavista. Sarebbe lunga e imbarazzante la fila dei pensatori – da Platone e Aristotele agli ultimi – che sono considerati eroici precursori nella lotta contro i pregiudizi e la superstizione, ma a loro volta condividevano alcuni giudizi e pregiudizi del loro tempo oggi vituperati. Sia lodata l’ignoranza dei contemporanei perché se poco poco sapessero cosa pensavano costoro di neri, donne, guerra, ecc. sarebbero all’indice. Molti di loro, usciti dall’Indice della Santa Inquisizione rientrerebbero nell’Indice dell’Atea Inquisizione.
Ma torno alle nostre statue equestri perché mi ha impressionato vedere ieri che perfino Theodor Roosevelt, sorpreso in una statua a cavallo con un indio e un nero ai fianchi a piedi, è stato selvaggiamente rimosso. Roosevelt, mica Hitler. Le statue, e quelle equestri in particolare, non mi sono mai piaciute, le ho sempre considerate un po’ trombone; manifestavo un certo fastidio per quell’Italia umbertina, postrisorgimentale, che innalzava monumenti dappertutto, anche al cimitero. Era un’Italia laica, un po’ massonica, tendenzialmente atea, che vedeva nella divinizzazione della storia e nella monumentalizzazione degli eroi secolari, il segno della nuova religione civile.
Ho poi sempre pregato di non far scendere da cavallo Vittorio Emanuele II e Peppino Garibaldi. Il primo perché era sorprendentemente basso, mentre con quei baffoni, quella nomea erotica e quel cavallo regale pareva un omone; il secondo perché a cavallo magari unificò l’Italia ma quando scese da cavallo e fece il dittatore o entrò in parlamento, face pasticci, mezzi disastri, discorsi scombinati. Perciò ho sempre supplicato di non farli scendere mai da cavallo. Ma ora che l’onda lunga iconoclasta si avvicina alle nostre sponde, ora che lo tsunami della Distruzione sta per abbattersi sulla nostra toponomastica e sul ricco mondo di statue, busti e magari anche ritratti, sono costretto a difenderli tutti, a cavallo o senza. Per difendere la civiltà, il rispetto della storia, della gloria e della grandezza, anche quando è controversa e ha non pochi lati d’ombra. E per difendere la vivibilità dei nostri paesi, tutti, che senza Piazza Vittorio Emanuele, Corso Garibaldi, Viale Mazzini e Via Cavour e le relative statue, sarebbero irriconoscibili. Se non volete farlo per loro o per la memoria storica, fatelo per i cittadini, per i cavalli statuari e per i vostri smartphone che non saprebbero più a che app attaccarsi.
MV, La Verità 25 giugno 2020

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