Una libertà senza verità è devastante e totalitaria
Non dovrebbe tanto interessare la libertà, ma la vera libertà, la libertà veramente libera. La verità non può venire dopo la libertà, ma prima. Su questo bisogna essere molto chiari. Per questo non basta rivendicare solo la libertà, ma dovremmo spingerci a parlare della vera libertà. Le sfide dell'attacco alla libertà della Chiesa e al pensiero col Ddl Zan rischiano anche di cadere nell'insufficiente rivendicazione di una libertà senza verità. Che però è totalitaria e devastante.
A ben vedere non dovrebbe tanto interessare la libertà, ma la vera libertà, la libertà veramente libera. Dice così anche il tema della attuale campagna di raccolta delle donazioni della Nuova Bussola Quotidiana. La libertà richiede che prima di essa ci sia la verità. Non può essere la libertà a darsi liberamente la verità, perché nessuno si dà ciò che non ha. Se la libertà si desse la verità, se la darebbe liberamente, ossia senza ragioni, ma allora sarebbe una verità non ragionevole e quindi non vera.
La verità non può venire dopo la libertà, ma prima. Su questo bisogna essere molto chiari con se stessi. Una verità che venisse dopo sarebbe una verità scelta e non trovata, voluta e non accolta, quindi conseguenza di un atto del soggetto che avrebbe valore in quanto tale, quindi privo di verità perché la verità si aggiungerebbe dopo, come sua conseguenza. Se la verità è la conseguenza della scelta e non la sua motivazione, allora la scelta è immotivata e non vera. Come può una scelta immotivata e non vera motivare la verità? Sarebbe come pensare che l’ordine derivi dal disordine, che la ragione derivi dal caso, ossia che il più venga dal meno.
L’originarietà della libertà rispetto alla verità è infondata, non la si può argomentare perché questo richiederebbe di partire da una verità. Chi la proclama la assume come un postulato o un dogma laico. Grandi filosofi come Fabro, Gilson, Del Noce, Pieper, e grandi teologi come Ratzinger, hanno tutti evidenziato il carattere “postulatorio” del pensiero moderno quando esso anticipa la libertà rispetto alla verità, l’atto al contenuto.
La verità deve quindi precedere. E cos’è che precede tutto e che è veramente originario? Qual è il primo oggetto di conoscenza del nostro intelletto?, un oggetto che preceda e fondi le sue conoscenze? Questo qualcosa è la realtà, quello che i filosofi chiamano l’Essere. Quello viene prima di tutto. Infatti la persona, prima di esercitare la propria libertà, è, esiste, ha l’essere. Per poter volere, scegliere, decidere, agire io devo prima essere. Ed essere vuol dire contemporaneamente tra cose: esistere, essere qualcosa, essere qualcuno. Solo se sono, se sono qualcosa e se sono qualcuno posso poi essere libero. La mia natura di uomo viene prima della mia libertà e la fonda. Infatti sono libero perché sono uomo, non sono uomo perché sono libero. Nessuno si sceglie liberamente, nessuno decide di essere, tutti ci accogliamo come esseri liberi. La nostra esistenza viene dopo la nostra essenza ed è in qualche modo da questa normata. Il dovere di essere uomo viene prima del diritto ad essere uomo: il dovere stabilisce il quadro del diritto.
Ho esposto queste poche idee sulla vera libertà non solo per riprendere lo slogan della campagna della Nuova Bussola e mostrarne qualche aspetto filosofico, ma anche per segnalare che quando ci occupiamo di problemi sociali e politici, non dovremmo fermarci a rivendicare solo la libertà, ma dovremmo spingerci a parlare della vera libertà. Di recente sulla Nuova Bussola il tema è stato posto in modo particolare da due articoli. Uno, scritto dall’autore di queste righe, sosteneva che opponendosi ai diktat del governo sulla liturgia durante il lockdown, la Chiesa avrebbe non solo dovuto rivendicare la libertà di religione, ma la Libertas Ecclesiae, la libertà della Chiesa che si fonda sulla sua natura. Non sui diritti del citoyen, che possono essere anche convenzionali e ritrattabili, ma sui diritti della Chiesa ad assolvere il dovere di essere se stessa.
Un altro è stata la recensione di Tommaso Scandroglio alla recente dichiarazione dei vescovi italiani sulla legge cosiddetta contro l’omofobia. Anche qui, se ho ben capito, si era detto insufficiente opporsi alla legge solo sulla base del diritto di esprimere le proprie opinioni, dovendosi invece riferire alla natura delle cose. Ricorrendo solo al diritto alla libertà di religione, come nel primo caso, o di opinione, come nel secondo, si raggiunge la libertà, ma non la libertà vera, una libertà veramente libera. Si raggiunge una libertà infondata, assunta come un postulato, immotivata, convenzionale. Una verità fondata solo su se stessa, quindi fondata sul nulla. Come quando a qualcuno chiedi perché e lui ti risponde: "perché sì". O come quando si chiede ad un bambino perché gli piaccia una cosa e lui risponde: "perché mi piace".
Questa libertà senza verità da un lato è totalitaria e dall’altro è devastante. È totalitaria perché essendo un atto immotivato che non sa spiegarsi, può solo imporsi. La sua verità risiede negli effetti di prassi che esso ottiene. Il criterio può essere solo l’efficienza e l’effettualità. È devastante perché elimina l’indisponibile, come appunto la verità è. Tutto diventa disponibile, tutto diventa relativo, tutto diventa di chi se lo piglia. Non dovremmo mai cadere in queste trappole.
Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/una-liberta-senza-verita-e-devastante-e-totalitaria
di Sabino Paciolla
Il dieci giugno scorso, come un fulmine a ciel sereno, la Conferenza Episcopale Italiana ha pubblicato una dichiarazione sulle proposte di legge attualmente in discussione presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati contro i reati di omotransfobia in cui si paventa un rischio di “deriva liberticida”, visto che quelle proposte mettono in dubbio la libertà di opinione e di pensiero, che sono tutelate dalla Costituzione. Nel comunicato si sottolinea che “un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio”.
Quelle proposte di legge “liberticide”, continua il comunicato, “limita[no] di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso”.
Pur con qualche appunto, come abbiamo avuto modo di scrivere su questo blog, nel complesso la dichiarazione richiama i punti fondamentali della questione che tantissimi sta preoccupando. Per questo abbiamo comunque considerato la dichiarazione della CEI importante e benvenuta.
Dicevamo che il comunicato è giunto come un fulmine a ciel sereno. Infatti, benché avessimo chiesto rispettosamente ai vescovi di far sentire la loro voce, avevamo il timore che questa voce non arrivasse viste le prese di posizione oramai numerose di sostegno alla cultura omosessualista, e in generale LGBT, che vengono dai media appartenenti proprio alla Chiesa italiana, in primis Avvenire, il giornale dei vescovi. In questo giornale, la voce di punta di questo filone è rappresentata dal giornalista Luciano Moia che nel suo nuovo libro suggerisce addirittura cambiamenti alla dottrina cattolica sull’omosessualità.
Tale comunicato, oltre a cogliere (positivamente) di sorpresa noi, ha preso, da alcuni segnali che abbiamo ricevuto, di contropiede anche i vescovi italiani, segno questo che la decisione potrebbe essere stata presa ad altissimo livello, e dunque nella massima riservatezza. Molti osservatori, infatti, si sono chiesti chi sia stato l’artefice del testo. Qualche voce ha suggerito che, data la delicatezza del tema, che metterebbe a repentaglio la libertas ecclesiae e dunque la libertà di testimoniare nella sua interezza il messaggio cristiano, oltre che le ricadute politiche nei confronti del governo italiano, il testo non possa non aver avuto il benestare della Segreteria di Stato vaticana.
Ed è qui che la situazione assume i contorni del giallo. Infatti, a parte qualche articoletto che si raccorderebbe con la presa di posizione dei vertici della CEI, due giorni dopo il comunicato, il 12 giugno, arriva la pubblicazione su Avvenire dell’intervista ad uno degli autori della proposta di legge sull’Omofobia, l’esponente del mondo LGBT ed omosessuale dichiarato, Alessandro Zan.
Visto che il giornale Avvenire è dei vescovi italiani, uno penserebbe che, dopo la ferma presa di posizione del vertice dei vescovi italiani contro le proposte di legge sull’omotranfobia, il giornale Avvenire si sarebbe dato da fare per intervistare le voci, anche molto autorevoli, che più di altri, e da giorni, stanno mettendo in guardia contro il rischio di un incipiente regime qualora tali proposte di legge fossero approvate. E invece no, Avvenire dà risalto proprio alla voce che più di altri si fa promotore di questo rischio.
Alessandro Zan, infatti, già organizzatore del gay pride nazionale a Padova, già presidente dell’Arcy Gay del Veneto, già antesignano dal 2002 dell’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano del PACS, già sostenitore della cultura LGBT nelle scuole, propone una cosuccia da poco, la variazione degli articoli del codice penale 604-bis e 604-ter per includervi la violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere, riservando fino a 6 anni di carcere a coloro che incappassero in questo oscuro reato, di cui, però, solo le pene sono chiarissime.
Ma tant’è, dove c’è gusto non c’è perdenza, dice il proverbio. Evidentemente, ad Avvenire piace così.
Ma allora, cosa sta succedendo alla CEI? Quali equilibri sono sotto tensione? Perché il vertice dei vescovi dice una cosa e il giornale dei vescovi, sia pure indirettamente, dice un’altra? Quali i movimenti di contrasto e difesa della linea editoriale attuati dal direttore Tarquinio e Luciano Moia nei confronti dei vertici della CEI? Vi è stato un bussare alle porte di Casa Santa Marta? E se sì, chi lo ha fatto? E quale l’influenza di quest’ultima? Vi sono state preoccupazioni da parte di qualcuno sui riflessi della dichiarazione della CEI sul danneggiamento del governo e sul rafforzamento di alcune forze dell’opposizione, Lega e Fratelli d’Italia che, come noto, non sono stati ancora accolti in Vaticano? Abbiamo alcune ipotesi esplicative, ma preferiamo tenerle da parte per non alimentare polemiche.
Le domande sono tante, ma una cosa è certa ed evidente: il contrasto stridente tra la posizione presa dal vertice della CEI e quella di Avvenire.
Quali le ricadute?
Prima di rispondere a questa domanda bisogna fare una premessa dicendo che la sensazione generale è che la maggioranza dei vescovi sembra a digiuno della questione omotransfobia e, quindi, non totalmente cosciente dei rischi che stiamo correndo. La gran parte vescovi, infatti, è assillata dalla falsa questione del dialogo (chi non vuole dialogare?), è tormentata dalla percezione che oramai siamo in una società pluralista, con tante posizioni, cosa ovviamente vera, e che quindi occorra tener conto di questo quadro e muoversi con molto tatto e circospezione, attenti a non urtare chicchessia, pronti ad addolcire il linguaggio, ad ammorbidire il contenuto del messaggio cristiano, possibilmente tacendo su questioni spinose della dottrina che potrebbero essere divisive, spesso cadendo nel politicamente corretto.
Della questione dell’omofobia molti vescovi fanno propria la vulgata che il Pensiero Unico dispensa a piene mani, il quale dice che gli omosessuali subiscono continuamente discriminazioni e che quindi siano necessarie quelle proposte di legge, incuranti del fatto che i dati pubblicati dagli osservatori italiani ed europei dicono esattamente il contrario. I risultati di ricerche e rilevamento di dati certificano che non vi è alcuna emergenza che giustifichi leggi ad hoc ed il nostro paese è tra quelli più gay friendly al mondo. Molti vescovi, dunque, fanno proprio un inopportuno senso di colpa perché molto spesso non attrezzati culturalmente per capire le complesse dinamiche della cultura LGBT che si fa sempre più pressante, pervasiva e opprimente dal punto di vista della libertà di espressione. Sembra che per alcuni vescovi il famoso discorso di Papa Benedetto XVI sulla “dittatura del relativismo” sia una cosa buona per i Musei vaticani.
Ma oltre a questi vescovi, ce ne sono altri, e sono anch’essi tanti, che esprimono, molto spesso con toni ambigui, ma a volte in maniera chiara, il sostegno alla cultura LGBT. Un sostegno nascosto sotto un ambiguo linguaggio che richiama un approccio inclusivo, non discriminatorio, accogliente, di accompagnamento, ecc., i cui esiti, però, sono una decisa accoglienza di una antropologia del tutto estranea a quella cristiana, che viene letteralmente distrutta. Vedi la richiesta di benedizione delle coppie omosessuali in Chiesa, perché aventi, secondo queste correnti teologiche, lo stesso valore ontologico delle coppie eterosessuali. Un’autentica “eresia”.
Ci si chiedeva quali le ricadute del comunicato.
Bene. Il rischio è che il comunicato della CEI rimanga lettera morta per vari motivi.
- Il rischio è che i vescovi che non sono particolarmente attrezzati per affrontare le sfide culturali del Pensiero Unico continuino, come hanno fatto fino ad ora, a non affrontare la questione, a non parlarne con i loro sacerdoti e, infine, a non percepire il campanello di allarme suonato dai vertici della CEI. La loro risposta suonerebbe come: “Ha parlato la CEI, il problema è dunque risolto. Torniamo ad occuparci di altro”. Una sorta di: “Roma locuta causa finita”.
- I vescovi sostenitori delle istanze della cultura LGBT, dietro l’affermazione che la CEI si è espressa, e che dunque spetti ora ai laici, in particolare ai politici, fare la loro parte, in realtà continuino a muoversi come hanno sempre fatto e con più lena prendendo come base operativa proprio il messaggio che è stato surrettiziamente lanciato da Avvenire con la sua intervista ad Alessandro Zan: “siamo in un mondo plurale, gli omosessuali sono una categoria martoriata, eliminato, come dice Zan, il problema della libertà di pensiero, si vada avanti con una tutela ad hoc rafforzata del codice penale”.
E’ questo il vero rischio ed il Cavallo di Troia della questione: l’accettazione da parte del mondo cattolico, in primis dei vescovi, di una legge sull’omotransfobia falsamente espunta di quei caratteri liberticidi della libertà di espressione e di pensiero che rendono vitale una democrazia e che non la lasciano scivolare nelle bieche forme di un regime autoritario intriso di paura.
Il rischio è che venga accettata una legge liberticida perché percepita dai vescovi e dal mondo cattolico come il frutto di una mediazione, come il male minore.
Appare evidente come non basti pubblicare un comunicato, anche se preso ad alto livello, se poi si viene sconfessati o, peggio, ci si fa dettare la linea operativa dall’organo di stampa del proprio organismo, che però viaggia su un altro binario e per un’altra meta. In quest’ultimo caso, lecita sarebbe la domanda su chi abbia la mano sul timone. E ancora una volta, si correrebbe il rischio di una continua confusione.
Dunque la situazione dopo la presa di posizione dei vertici della CEI e dell’intervista a Zan di Avvenire appare, al contrario di quanto si possa pensare, molto preoccupante. Spetta a noi laici, come sta accadendo sempre più spesso in questi ultimi anni, mantenere alta la coscienza su temi cruciali, sollecitando con rispetto i nostri pastori a fare altrettanto.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.