Ci sono stati uomini capaci di dare la vita per costruire Cattedrali. Ci sono uomini capaci di dare la vita per distruggerle o per appropriarsene. Entrambe le categorie sono mosse dalla fede in Dio o dalla sua avversione. Ci sono uomini invece a cui le cattedrali non interessano granché a meno che non facciano parte di un romanzo di successo, di una serie televisiva o di una tappa del loro tour turistico.
Due cattedrali simbolo della Cristianità si sono viste seriamente minacciate in questi ultimi tempi meritando di balzare agli onori della cronaca quel poco che è consentito farlo ad un edificio religioso. Quella di Notre Dame di Parigi che il 15 aprile del 2019 vedemmo avvolta nelle fiamme e quella di Santa Sofia di Istanbul che in questi giorni è stata convertita in Moschea per volere del dittatore turco Erdogan.
Quello di Notre-Dame de Paris non è un caso isolato, in questi ultimi mesi diverse chiese francesi si sono trovate avvolte dalle fiamme, trattandosi spesso di incendi dolosi. Il 17 marzo 2019, a restare devastata da un incendio fu un’importante chiesa parigina, quella di Saint-Sulpice. Mentre in questi giorni c’è voluta una squadra di sessanta pompieri per circoscrivere l’incendio provocato da mano umana nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Nantes.
Se l’incendio di Parigi non ci ha privato di quel gioiello architettonico e spirituale che ha resistito alla più grande rivoluzione iconoclasta che l’Europa abbia mai conosciuto lasciandoci a considerazioni allegoriche e a ragionamenti paradigmatici sullo stato della fede nel vecchio continente, il ratto di Istanbul ci pone di fronte alla realtà di una Cristianità minacciata, sempre più marcata a zona da forze religiose e ideologiche che vorrebbero ridurla a ricordo del passato chiusa nel museo archeologico delle idee desuete, superate.
Troppo spesso oggi chiese e cattedrali vengono considerate come dei luoghi turistici in cui si è costretti a pagare un biglietto, ricondizionate e utilizzate come musei, adattate a sala esposizioni o gallerie d’arte quando non a sale da pranzo o a luoghi di incontri culturali o politici. Questo nel caso non vengano vandalizzate, profanate, incendiate o saccheggiate.
Fare spallucce di fronte all’impeto di una persecuzione i cui tratti gentili (ma non troppo) non ne attenuano la tenacia e l’efficacia, è il segno inquietante di una ritirata suicida. Per questo desta sconforto sentire il vaticanista del quotidiano più letto d’Italia affermare candidamente che di Santa Sofia “la Turchia può fare quello che vuole” perché Dio vuole il cuore e non le mura di una Chiesa. A chi timidamente fa presente che tra quelle mura si celebra l’Eucaristia, risponde che “L’Eucaristia non è tutto”. Non è una voce isolata quella del giornalista di Rep. Il commento di un parroco romano sui social farebbe tremare persino i più ingenui: “Basta che l’arte non venga toccata. Da nessuna confessione religiosa”. (Su Santa Sofia ho apprezzato la riflessione, puntuale e pacata, del prof. Lungaresi che invito a leggere per intero sul suo blog).
Ma il punto su cui vorrei riflettere è che dietro ogni cattedrale c’è un progetto e che questo progetto rischiamo, poco a poco, di perderlo di vista. Non parlo qui del colossale progetto architettonico e artistico che rappresenta un’eredità unica nella storia dell’umanità, meritevole di studi e approfondimenti storico artistici, ma del progetto religioso che soggiace alla costruzione delle Cattedrali. Il progetto di un’umanità che, in mezzo alle vicende della vita, sa cogliere l’essenziale e puntare ad esso con tutte le sue potenzialità. I costruttori di cattedrali furono uomini mossi da zelo e fervore spirituale, con lo sguardo rivolto al cielo, uomini e donne che misero la loro scienza, la tecnica, l’arte e la forza fisica a servizio di un progetto ritenuto fondamentale: quello di puntare al cielo e di indicare al mondo la via del Paradiso. È per questo che oggi, più che perdere qualche vetrata, organo o campanile, il rischio più grande è quello di perdere di vista quel progetto che ha portato alla costruzione delle cattedrali. Non sono infatti le mura degli edifici, in quanto mura, quello che ci interessa, non il patrimonio artistico e storico (che in realtà fa parte del “progetto spirituale” se si pensa alla via pulchritudinis e che da solo basterebbe ad alzare barricate per difendere le cattedrali) ma il significato spirituale che tutto ciò rappresenta. Fare spallucce di fronte all’attuale attacco rivolto da più parti a chiese e cattedrali in nome di un cristianesimo meno presenzialista e più spirituale vuol dire tirare i remi in barca, deporre le armi in una battaglia che mira a depotenziare il cristianesimo al fine di trasformarlo in una qualunque filosofia o in una spiritualità innocua, buona per spiriti deboli e utopisti nostalgici.
Eppure a dimenticare il grande progetto delle cattedrali non sono i nemici della Chiesa (mossi dal nichilismo o dalla religione) che piuttosto hanno ben dimostrato di capire la portata simbolica di questi edifici, ma i cattolici stessi, in particolare quella fronda oggi maggioritaria di cattolici che spingono per un cristianesimo presente in società solo come forza di azione sociale e non come presenza di Cristo e voce profetica per la salvezza delle anime. Un cattolicesimo “diverso”, impegnato nel sociale, nel campo economico, in prima linea nelle battaglie ecologiche ma silenzioso e conciliante sui temi etici, sul peccato, sulla grazia e sul destino dell’anima, sul Paradiso. Un cattolicesimo di questa sorta non ha certo bisogno di cattedrali, che al contrario risulterebbero luoghi “divisivi” ed ingombranti, comunque non utili alla causa con le loro spesse mura e le loro ricercate rifiniture artistiche. Questo cristianesimo diverso ha piuttosto bisogno di aule magne, sale per conferenze stampa, account sui social network… La presenza cristiana in società verrebbe così ridotta a un ufficio stampa che dirama comunicati in linguaggio religiosamente e politicamente corretto. Comunicati che invitano al dialogo, alla concordia universale, alla pace nel mondo, alla raccolta differenziata e alla costruzione di ponti (vedasi ad esempio il recente comunicato del Vescovo di Lizzano).
Così la Chiesa si ritrova oggi, più impegnata a costruire ponti che cattedrali. Diversamente dalle cattedrali, che avevano lo scopo di elevare lo sguardo e l’anima, di innalzarsi per puntare al Paradiso dove l’incontro con Dio rappresenta l’unica e vera fonte di felicità per l’uomo, i ponti permettono di passare da un estremo ad un altro, da un terreno ad un altro, da un pensiero ad un altro, senza elevarsi di un centimetro, ma tornando all’altitudine di partenza.
Cosi facendo, scegliendo i ponti e scaricando quelle “scale” del Paradiso che furono le cattedrali, finiremo per dimenticare quel progetto che ebbe come scopo, non già la costruzione di luoghi di culto per promuovere una sorta di egemonia politica, ma la costruzione di luoghi di incontro con Dio, edifici che indichino la strada verso la vera vita. Costruzioni che rappresentano un vero e proprio annuncio per chi non crede, e per chi cerca e chiede la vita ad altro e in altro, non per interesse personale o per nostalgia di una società che non esiste e non tornerà ma per amore agli uomini e per fedeltà al mandato ricevuto da Nostro Signore.
Di certo il patrimonio artistico rappresentato dalle cattedrali è di notevole importanza, ma come ha ricordato Benedetto XVI parlando dell’arte gotica e romanica “i capolavori artistici nati in Europa nei secoli passati sono incomprensibili se non si tiene conto dell’anima religiosa che li ha ispirati“. Non si tratta dunque di piangere la perdita di gioielli artistici ma di perdere di vista ciò che sta alla base della loro creazione.
Cosi l’iscrizione incisa sul portale centrale di Saint-Denis, a Parigi indicava sinteticamente il progetto che portò alla costruzione delle cattedrali e dunque il loro scopo: quello di portare le anime a Cristo che è via, verità e vita per gli uomini e le donne di ogni generazione. «Passante, che vuoi lodare la bellezza di queste porte, non lasciarti abbagliare né dall’oro, né dalla magnificenza, ma piuttosto dal faticoso lavoro. Qui brilla un’opera famosa, ma voglia il cielo che quest’opera famosa che brilla faccia risplendere gli spiriti, affinché con le verità luminose s’incamminino verso la vera luce, dove il Cristo è la vera porta».
di Miguel Cuartero Samperi
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