ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 11 luglio 2020

Il diavolo fa le pentole, ma non fa i coperchi.

Una cosa che il Vaticano II non disse

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Fra i testi che erano stati predisposti dalla commissione preparatoria per l’ultimo concilio (ma che furono tutti cassati dai rivoluzionari che ne presero il controllo), spicca una perla di rara chiarezza espositiva e precisione dottrinale, lo schema di costituzione dogmatica sulla custodia del deposito trasmesso. La trattazione, condensando la teologia tradizionale della Chiesa Cattolica, associa diversi temi, già allora scottanti e più che mai attuali: conoscenza della verità, esistenza di Dio, creazione del mondo, Rivelazione pubblica e assenso di fede, sviluppo della dottrina, rivelazioni private, ordine naturale e soprannaturale, peccato originale, Novissimi, soddisfazione redentrice. 
Lo scopo di un concilio è sempre stato quello di correggere gli errori e ribadire la verità, definendo – se necessario – dei dogmi. I suoi documenti non devono aver bisogno di interpretazione, ma offrire orientamento certo mediante asserzioni il più possibile univoche. Il nostro, in poche, lapidarie righe, dirime una questione ancora oggi molto urgente.

«Per quanto riguarda le rivelazioni private che si sostiene abbiano avuto luogo dopo la morte degli Apostoli, il Sacro Sinodo dichiara che devono essere sottoposte interamente al giudizio dei Pastori della Chiesa, per evitare che i fedeli vengano ingannati, siccome il Cristo ci avvertì che “falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti” (Mt 24, 11); dichiara parimenti che sono degne di considerazione soltanto quando sono in totale accordo con le verità contenute nel tesoro pubblico della fede e promuovono lo sviluppo della vita cristiana sotto la direzione dei Pastori. […] Insegna altresì che né dobbiamo, né possiamo dare alle rivelazioni private, nemmeno a quelle approvate, l’assenso della fede cattolica, ma soltanto l’assenso della fede umana, secondo le regole della prudenza, se queste indicano che tali rivelazioni sono probabili e piamente credibili» (Atti del Concilio Vaticano II, Depositum custodi. Schema di costituzione dogmatica sulla salvaguardia dell’integrità del deposito della fede, 32).

Queste affermazioni così sintetiche, ma non meno efficaci, presuppongono una serie di verità che al nostro tempo risultano quanto meno offuscate nella coscienza di molti cattolici. Occorre anzitutto ricordare che la Rivelazione pubblica si è definitivamente conclusa con la morte dell’ultimo apostolo. Le verità che bisogna conoscere per salvarsi sono già tutte note; non c’è alcun mistero che debba ancora esser svelato prima della Parusia, come se Dio si fosse riservato qualche segreto in vista di un’epoca particolare, la quale coinciderebbe – guarda caso – con la nostra. Qualora una dottrina, a partire da una presunta rivelazione privata, si presenti come una verità tenuta nascosta alle precedenti generazioni cristiane e rivelata soltanto in tempi recenti quale complemento indispensabile per la salvezza, potete esser certi che è falsa. Tale pretesa, infatti, contraddice apertamente quanto la Chiesa afferma circa la chiusura e la completezza della Rivelazione, insinuando oltretutto che il Verbo, somma verità, avrebbe ingannato o per lo meno defraudato quanti vissero prima.

Immaginatevi allora che a noi sia stata concessa una via di santificazione che un san Benedetto, un san Francesco, una santa Caterina, una santa Teresa… abbiano completamente ignorato. A loro sarebbe dunque toccato farsi santi con mezzi che, per quanto accompagnati da grazie straordinarie, non reggono il confronto con quello concesso a noi, che di quelle grazie e delle loro virtù non abbiamo nemmeno una pallida idea. La via della santità è sempre stata un arduo sentiero in salita, ma per noi il Signore avrebbe approntato un’autostrada che ci condurrebbe alla mèta in tempi brevissimi e con pochissimo sforzo. Basterebbe – tanto per fare un esempio – pensare di compiere un atto qualsiasi nella volontà divina per raggiungere istantaneamente la perfezione suprema. A questo punto vien da chiedersi a che cosa servano ancora la Chiesa, il Vangelo, i Sacramenti… a questi eletti arrivati d’un balzo all’apice della vita cristiana. In effetti possono farne tranquillamente a meno, specialmente in caso di quarantena forzata.

Eventuali rivelazioni private non aggiungono nulla di nuovo al deposito della fede, ma mirano o a ravvivare l’adesione a una determinata verità, o a spronare alla conversione, o a introdurre nuove forme di culto e di devozione, ma sempre sulla base di dogmi già definiti. Il documento in questione afferma esplicitamente che, per evitare gli inganni da cui il Signore stesso ci ha messo in guardia, esse vanno sottoposte al giudizio dei Pastori. I successori degli Apostoli, con quello di Pietro alla loro testa, sono le uniche persone abilitate, in virtù della grazia di stato, a compiere tale discernimento; nessun altro è autorizzato a prendere decisioni, mediante giudizio privato, su un presunto fenomeno soprannaturale, neanche se ha provocato un movimento mondiale. Se poi l’Ordinario del luogo, al termine di una regolare inchiesta canonica, ha emesso un giudizio negativo, l’ostinazione nella propria opinione soggettiva e la conseguente disobbedienza sono peccati gravi contro il primo comandamento (almeno materialmente, se non c’è piena avvertenza).

Riguardo a profezie, messaggi e apparizioni, l’autorità ecclesiastica è sempre stata molto prudente, dato che, nella maggior parte dei casi, si tratta di inganni umani o anche diabolici. L’atteggiamento preliminare, di conseguenza, è una sana diffidenza, una sorta di presunzione di falsità che va smentita con prove certe e inoppugnabili della soprannaturalità del fatto, nell’umile consapevolezza che un fenomeno, se viene davvero da Dio, finisce comunque con l’imporsi, a dispetto delle opposizioni umane. Se però esso non è «in totale accordo con le verità contenute nel tesoro pubblico della fede» e non promuove «lo sviluppo della vita cristiana sotto la direzione dei Pastori», non va nemmeno preso in considerazione. Questa condizione, poi, è necessaria, ma non sufficiente. Anche il diavolo, infatti, conosce perfettamente la dottrina cattolica ed è persino disposto a provocare un temporaneo aumento di fervore religioso, pur di recare danno alle anime con illusioni spirituali e alla Chiesa con il discredito gettato sulla sua funzione di insegnamento.

Perché si possa riconoscere il carattere soprannaturale di un fenomeno, bisogna che esso sia perfetto sotto ogni riguardo ed esente dal minimo difetto, che è incompatibile con l’agire divino. Un’ulteriore conferma è fornita dall’accrescimento delle virtù in chi ne è destinatario, soprattutto dell’umiltà, dell’abnegazione e dell’obbedienza. L’insubordinazione alla legittima autorità e lo sfruttamento del fatto a vantaggio personale sono sufficienti per escluderne con certezza l’autenticità; i veri veggenti si sentono indegni dei favori divini e rifuggono con orrore da ogni forma di pubblicità, preferendo il nascondimento e l’umiliazione. La vita di santa Bernardetta, successivamente all’apparizione, fu essa stessa un miracolo di santità, pur nel mezzo di prove durissime. La storia è una guida sicura, visto che Dio non si contraddice e non muta modo di operare. Non serve a nulla arrampicarsi sugli specchi per giustificare evidenti stranezze, millanterie e incongruenze; come ci insegna la saggezza popolare, il diavolo fa le pentole, ma non fa i coperchi.

Alle rivelazioni private approvate dalla Chiesa, infine, non si può comunque prestare un assenso di fede divina, ma di fede meramente umana. Il primo è l’assenso che siamo tenuti a dare alle verità contenute nella Rivelazione pubblica: esso implica un’adesione motivata dall’autorità di Dio (che ne è l’autore e non può né ingannarsi né ingannare) e consistente nel pieno ossequio dell’intelletto e della volontà a quanto da Lui rivelato (il quale è necessario per la salvezza ed è reso possibile dalla grazia); così il Concilio Vaticano I nella Costituzione dogmatica Dei Filius sulla fede cattolica, al capitolo terzo (DS 3008). Il secondo è l’assenso che la ragione dà a qualcosa che, in base alle regole del sano discernimento, le risulta probabile e credibile. È logico e naturale, allora, dare credito a ciò che l’autorità della Chiesa ha riconosciuto come di origine divina, anche se non è indispensabile né ai fini della salvezza né per l’appartenenza al Corpo Mistico. Una rivelazione privata che pretenda di imporsi come qualcosa di necessario od obbligatorio denuncia da sé la propria falsità.

L’amore che porto alle anime mi spinge a metterle severamente in guardia. Non è un modernista che vi parla o qualcuno che escluda a priori la possibilità stessa di manifestazioni celesti; ho anzi cercato di mostrare la profonda continuità tra il Concilio Vaticano I e quello che, se non fosse stato deliberatamente deviato, avrebbe dovuto completarlo. Abbiamo considerato solo un esempio di ciò che il Vaticano II avrebbe dovuto ribadire, ma si potrebbe tenere un intero corso sui contenuti dei suoi documenti preparatori, poi rigettati in aula. L’importante è che chi, senza uscire dal solco della Tradizione, vuol rimanere cattolico si abbeveri a fonti sicure, anziché a rigagnoli solo in apparenza sani. Chi ama la montagna sa bene che, quando si ha sete, non bisogna scambiare per un ruscello lo scolo di una stalla… Confidando nell’intelligenza e nella rettitudine di chi mi legge, spero di non dover tornare sull’argomento. C’è di che tenersi abbondantemente occupati, anche al presente, con la preghiera e con l’adempimento dei propri doveri di stato.



Pubblicato da Elia

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