di Antonello Iapicca
Siccome, purtroppo, mi pare che la stragrande maggioranza degli italiani, forse a causa (o proprio in virtù…) del Coronavirus, non si renda conto dell’evento epocale che sta per accadere, cerco di riflettere e spiegare facile facile cosa accadrebbe nel caso il DDL Zan divenga legge.
Se io, tifoso del “Borgorosso Football club”, guardando le partite della mia squadra, mi emoziono, grido, esulto, piango, godo della vittoria e mi deprimo per la sconfitta, forse per questo mi si deve riconoscere il diritto di obbligare il mondo intero ad interessarsi, sostenere moralmente ed economicamente, e condividere i miei gusti calcistici? Mi si deve riconoscere il diritto di obbligare per legge di indottrinare i bambini su quanto belle, pure, innocenti e superiori siano le mie preferenze calcistiche? O addirittura mi si deve riconoscere per legge il diritto ad essere l’unico a poter parlare di calcio, nel senso che quando si parla di calcio a priori si deve pensare, riconoscere, affermare che il “Borgorosso Football Club” è fortissimo, non sbaglia mai partita, vince (anche se perde bisogna dire che vince), che ha i tifosi più educati, civili, pacifici e tolleranti, anche se colti ad insultare e a menare quelli avversari? Mi si deve accordare il diritto di far studiare tutti, a spese dello Stato, la storia del “Borgorosso Football Club” scritta dai suoi Ultras, storia ovviamente raccontata con gli occhi dei tifosi che vedono rigore dove non c’è e non lo vedono dove è chiaro come l’alba? Mi si deve accordare il diritto a non essere contraddetto mai, che cioè non vi siano tifosi di altre squadre, e giornalisti che seguano le partite? Anzi, devo avere il diritto che non vi siano proprio altre squadre se non compagini che – avendo vietato ribattere e contrastare gli attacchi del “Borgorosso” e, men che meno, fargli gol – siano composte da giocatori intimiditi o con il cervello lavato e lobotomizzato, e che lascino vincere la mia squadra? Devo vedermi riconoscere infine il diritto di denunciare chi non magnifica il “Borgorosso Football Club” e non si attiene alle regole di cui sopra? E condannare i colpevoli a pagare multe alla Società, e, soprattutto, a venire al campetto di allenamento ad essere rieducato al tifo per il “Borgorosso” imparando i cori dei suoi ultras, mentre si falcia e annaffia l’erba, si lavano le magliette, si lavano le macchine dei giocatori? Devo vedermi assicurare il diritto a punire con leggi speciali chi non solo mi insulta o mi ferisce in quanto tifoso del Borgorosso, ma anche chi osa opinare che il rigore accordato alla mia squadra sia inventato, o, più semplicemente, che il Borgorosso non è una squadra di calcio perché gioca tutto meno che a pallone? Non vi sono già delle leggi che mi tutelano dalla violenza in quanto persona, o devo avere il diritto ad una legislazione speciale che mi garantisca lo status di unico avente diritto a tifare e ad esprimere opinioni di tifoso proprio in quanto tifoso del Borgorosso? Ho diritto a una legge che tappi la bocca e faccia ammainare le bandiere di chi ha opinioni diverse e tifi per un’altra squadra?
Sembra uno scherzo, eppure la realtà sarà ben più tragica. Se leggete attentamente il testo del DDL Zan vi accorgerete che, non delineando nessun reato, stabilisce solo in astratto una serie di farneticazioni ideologiche che i giudici potranno a discrezione convertire in reato. Ma il reato, alla fine, sarà sempre e solo uno, non essere tifoso del “Borgorosso Footbal Club”. Non potendolo affermare, ciurlano nel manico per lasciare campo libero alle interpretazioni dei giudici che, basta accendere la televisione, tra spettacoli, fiction, film e programmi, possiamo ben immaginare quale china prenderanno. O tifi per loro, oppure sei fuori, e ormai neanche più in senso metaforico o per emarginazione culturale. No no, proprio fuori, cioè in prigione, o ridotto al silenzio nei ghetti. Purtroppo il Coronavirus ha spento cuori e menti nella paura e nell’ansia di ricominciare a prenderci le libertà che il lockdown ci aveva sottratto, e non ci rendiamo conto – moltissimi cattolici in primis – che il DDL Zan, se convertito in legge, sarà infinitamente più catastrofico del lockdown che abbiamo vissuto. Altro che mascherine e distanziamento sociale, si tratta di cucire le bocche per cercare di rieducare le menti e trasformarci in polli ideologizzati da batteria. Il vero obbiettivo del DDL Zan non sono mica le tutele delle minoranze, e nemmeno i soldi che le solite lobby mungeranno dallo Stato e dai cittadini con le multe. Questi sono solo effetti collaterali. Il grande e malcelato attacco è satanico, e satana mira sempre a Cristo, ai cristiani e alla Chiesa, e quindi all’uomo. La lobby LGBT imploderà perché un regno diviso in se stesso non può perdurare. E’ marcio e la corruzione corromperà le strutture. Ma occorre aprire gli occhi, perché sta per saltare quel poco che resta in piedi delle Istituzioni e della libertà. Occorre discernere per essere pronti ad affrontare con le armi spirituali lo tsunami che ci sta investendo. Già non si possono vedere il 95 % dei film e delle fiction, Netflix o Rai o qualsiasi altra piattaforma. Già stanno buttando giù statue nella pretesa di riscrivere una storia già vissuta e passata, non avendo, oltre alla violenza intollerante, un presente e ancor meno un futuro da scrivere. Già stanno definendo una neolingua per tentare di esprimere il vuoto spirituale e morale delle parole menzognere del serpente. Già stanno violentemente imponendo il pensiero unico in ogni centimetro del globo, nella moda, nei media, nei social, a scuola e all’università, persino nello sport. Ovunque è insinuato il veleno di una ideologia satanica e menzognera che, non avendo forza in sé, deve imporsi con leggi dittatoriali, con la violenza verbale e concreta dei manganelli branditi in faccia a chi non è d’accordo e non piega le ginocchia di fronte al Cesare di turno, alla bestia e alla sua menzogna idolatrica. Il DDL Zan è un’avanguardia dell’attacco frontale che verrà presto: già ferita e sanguinante, è la stessa Dottrina sociale della Chiesa, lo splendore della Verità sull’uomo, sulla vita, sulla famiglia ad essere presa di mira per negargli cittadinanza. Perché l’unico bastione che ancora si erge di fronte è la Chiesa che annuncia il Vangelo della Vita, la Grazia donata in Cristo che fa bella, autentica e compiuta la vita nell’amore. Per questo occorre cercare di impedire la conversione in legge del DDL Zan. Ma ci sono politici che davvero hanno a cuore la vita delle persone che rappresentano? O pensano che sia più importante un bonus vacanze in più, 100 euro in busta paga, 10 punti di Iva in meno ed ecco la libertà e la felicità? E chissenefrega della Verità, della famiglia, della vita e della dignità della persona? Silenziata lei e messo in galera il Vangelo satana e i suoi epigoni credono di avere campo libero per distruggere l’uomo e condurlo all’inferno. Ma “La Parola di Dio non è incatenata”, anzi. Proprio le catene, il carcere e le persecuzioni che ci attendono, il sangue che molti saranno chiamati a versare, segneranno la sconfitta del disegno di satana e del mondo. Ma occorre essere preparati, perché mai come ora risuonano forti e urgenti le parole di Gesù: “Ma quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà la fede sulla terra?”. Allora, accanto a quanto si può e si deve fare perché il DDL Zan non passi, la nostra chiamata è alla conversione e alla fede, a stringerci al nostro Buon Pastore perché ci doni il suo Spirito e la sua Vita, e, crocifissi con Lui, possiamo offrire la vita per la salvezza di questa generazione.
Sembra uno scherzo, eppure la realtà sarà ben più tragica. Se leggete attentamente il testo del DDL Zan vi accorgerete che, non delineando nessun reato, stabilisce solo in astratto una serie di farneticazioni ideologiche che i giudici potranno a discrezione convertire in reato. Ma il reato, alla fine, sarà sempre e solo uno, non essere tifoso del “Borgorosso Footbal Club”. Non potendolo affermare, ciurlano nel manico per lasciare campo libero alle interpretazioni dei giudici che, basta accendere la televisione, tra spettacoli, fiction, film e programmi, possiamo ben immaginare quale china prenderanno. O tifi per loro, oppure sei fuori, e ormai neanche più in senso metaforico o per emarginazione culturale. No no, proprio fuori, cioè in prigione, o ridotto al silenzio nei ghetti. Purtroppo il Coronavirus ha spento cuori e menti nella paura e nell’ansia di ricominciare a prenderci le libertà che il lockdown ci aveva sottratto, e non ci rendiamo conto – moltissimi cattolici in primis – che il DDL Zan, se convertito in legge, sarà infinitamente più catastrofico del lockdown che abbiamo vissuto. Altro che mascherine e distanziamento sociale, si tratta di cucire le bocche per cercare di rieducare le menti e trasformarci in polli ideologizzati da batteria. Il vero obbiettivo del DDL Zan non sono mica le tutele delle minoranze, e nemmeno i soldi che le solite lobby mungeranno dallo Stato e dai cittadini con le multe. Questi sono solo effetti collaterali. Il grande e malcelato attacco è satanico, e satana mira sempre a Cristo, ai cristiani e alla Chiesa, e quindi all’uomo. La lobby LGBT imploderà perché un regno diviso in se stesso non può perdurare. E’ marcio e la corruzione corromperà le strutture. Ma occorre aprire gli occhi, perché sta per saltare quel poco che resta in piedi delle Istituzioni e della libertà. Occorre discernere per essere pronti ad affrontare con le armi spirituali lo tsunami che ci sta investendo. Già non si possono vedere il 95 % dei film e delle fiction, Netflix o Rai o qualsiasi altra piattaforma. Già stanno buttando giù statue nella pretesa di riscrivere una storia già vissuta e passata, non avendo, oltre alla violenza intollerante, un presente e ancor meno un futuro da scrivere. Già stanno definendo una neolingua per tentare di esprimere il vuoto spirituale e morale delle parole menzognere del serpente. Già stanno violentemente imponendo il pensiero unico in ogni centimetro del globo, nella moda, nei media, nei social, a scuola e all’università, persino nello sport. Ovunque è insinuato il veleno di una ideologia satanica e menzognera che, non avendo forza in sé, deve imporsi con leggi dittatoriali, con la violenza verbale e concreta dei manganelli branditi in faccia a chi non è d’accordo e non piega le ginocchia di fronte al Cesare di turno, alla bestia e alla sua menzogna idolatrica. Il DDL Zan è un’avanguardia dell’attacco frontale che verrà presto: già ferita e sanguinante, è la stessa Dottrina sociale della Chiesa, lo splendore della Verità sull’uomo, sulla vita, sulla famiglia ad essere presa di mira per negargli cittadinanza. Perché l’unico bastione che ancora si erge di fronte è la Chiesa che annuncia il Vangelo della Vita, la Grazia donata in Cristo che fa bella, autentica e compiuta la vita nell’amore. Per questo occorre cercare di impedire la conversione in legge del DDL Zan. Ma ci sono politici che davvero hanno a cuore la vita delle persone che rappresentano? O pensano che sia più importante un bonus vacanze in più, 100 euro in busta paga, 10 punti di Iva in meno ed ecco la libertà e la felicità? E chissenefrega della Verità, della famiglia, della vita e della dignità della persona? Silenziata lei e messo in galera il Vangelo satana e i suoi epigoni credono di avere campo libero per distruggere l’uomo e condurlo all’inferno. Ma “La Parola di Dio non è incatenata”, anzi. Proprio le catene, il carcere e le persecuzioni che ci attendono, il sangue che molti saranno chiamati a versare, segneranno la sconfitta del disegno di satana e del mondo. Ma occorre essere preparati, perché mai come ora risuonano forti e urgenti le parole di Gesù: “Ma quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà la fede sulla terra?”. Allora, accanto a quanto si può e si deve fare perché il DDL Zan non passi, la nostra chiamata è alla conversione e alla fede, a stringerci al nostro Buon Pastore perché ci doni il suo Spirito e la sua Vita, e, crocifissi con Lui, possiamo offrire la vita per la salvezza di questa generazione.
Don Antonello Iapicca è missionario da 30 anni in Giappone. Ora opera nella città di Takamatsu.
https://www.sabinopaciolla.com/o-tifosi-della-loro-squadra-o-galera-e-silenzio-il-martirio-che-ci-aspetta-con-il-ddl-zan-spiegato-facile-facile/
Fonte: https://www.mariomieli.net/wp-content/uploads/2018/01/articolo_mieli_traviata_norma.pdf?fbclid=IwAR02cQN9tJIu-ahk4H8vnGpKpm55Gu-omS48cP3sRVpaPgAFnec0UqlxxlA
P.S.
Fra poco, saremo “alla loro mercé”.
SILENZIO, DIETRO LE SBARRE!
di Gianluca Marletta
DEPOSITATO IN PARLAMENTO dall’On. ZAN (PD) SCALFAROTTO BOLDRINI il testo unificato sul reato di omo e trans-fobia da approvare entro la fine dell’estate.
CI SONO DELLE “CHICCHE” DA EVIDENZIARE:
oltre alle pene carcerarie confermate (da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni di galera) (art. 1); é prevista anche:
– la rieducazione mediante lavoro gratuito presso le associazioni LGBT (art. 3);
– é previsto, peraltro, lo stanziamento di 4 milioni di Euro per finanziare la propaganda LGBT nelle scuole e nelle amministrazioni pubbliche. (art. 5, 7 e 9). Il che, in piena e devastante crisi economica lascia intendere come i soldi (per queste cose) ci siano sempre.
CI SONO DELLE “CHICCHE” DA EVIDENZIARE:
oltre alle pene carcerarie confermate (da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni di galera) (art. 1); é prevista anche:
– la rieducazione mediante lavoro gratuito presso le associazioni LGBT (art. 3);
– é previsto, peraltro, lo stanziamento di 4 milioni di Euro per finanziare la propaganda LGBT nelle scuole e nelle amministrazioni pubbliche. (art. 5, 7 e 9). Il che, in piena e devastante crisi economica lascia intendere come i soldi (per queste cose) ci siano sempre.
LA “MAGIA ALCHEMICA (sic)” di MARIO MIELI
Siccome fra un po’ di queste cose bisognerà parlare “con attenzione”, queste chicche me le sparo adesso!
Parliamo un attimo di Mario MIELI – l’eroe culturale del movimento LGBT italiano a cui è dedicato, a Roma, un importante “circolo”; personaggio noto anche per le sue spregiudicate affermazioni sulla PEDOFILIA.
Non tutti sanno, però, che é esistito un Mario MIeli “magico” e “occulto”; leggete qui:
“Il Mieli “alchemico”, nell’ultima parte della sua vita, narra un’esperienza magico-erotica che lo vede protagonista – insieme al suo fidanzato – della celebrazione di un rito di “nozze alchemiche” con la preparazione e l’assunzione di un pane “fatto
in casa”, un dolce nel cui impasto confluivano non solo escrementi, sangue e sperma, ma anche ogni altra secrezione corporale, dalle lacrime al cerume.
Perché? “L’abbiamo mangiato – dice Mieli – e da allora siamo uniti per la pelle. Pochi giorni dopo le “nozze”, in una magica visione, abbiamo scoperto l’Unità della vita. Era come se non fossimo due esseri disgiunti, ma Uno; avevamo raggiunto uno stato che definirei di comunione”.
Questa comunione vuole essere testimonianza e annuncio dell’avvento di un’armonia che, attraverso la liberazione dell’Eros, costituisce una nuova “età dell’oro”.
Siccome fra un po’ di queste cose bisognerà parlare “con attenzione”, queste chicche me le sparo adesso!
Parliamo un attimo di Mario MIELI – l’eroe culturale del movimento LGBT italiano a cui è dedicato, a Roma, un importante “circolo”; personaggio noto anche per le sue spregiudicate affermazioni sulla PEDOFILIA.
Non tutti sanno, però, che é esistito un Mario MIeli “magico” e “occulto”; leggete qui:
“Il Mieli “alchemico”, nell’ultima parte della sua vita, narra un’esperienza magico-erotica che lo vede protagonista – insieme al suo fidanzato – della celebrazione di un rito di “nozze alchemiche” con la preparazione e l’assunzione di un pane “fatto
in casa”, un dolce nel cui impasto confluivano non solo escrementi, sangue e sperma, ma anche ogni altra secrezione corporale, dalle lacrime al cerume.
Perché? “L’abbiamo mangiato – dice Mieli – e da allora siamo uniti per la pelle. Pochi giorni dopo le “nozze”, in una magica visione, abbiamo scoperto l’Unità della vita. Era come se non fossimo due esseri disgiunti, ma Uno; avevamo raggiunto uno stato che definirei di comunione”.
Questa comunione vuole essere testimonianza e annuncio dell’avvento di un’armonia che, attraverso la liberazione dell’Eros, costituisce una nuova “età dell’oro”.
Fonte: https://www.mariomieli.net/wp-content/uploads/2018/01/articolo_mieli_traviata_norma.pdf?fbclid=IwAR02cQN9tJIu-ahk4H8vnGpKpm55Gu-omS48cP3sRVpaPgAFnec0UqlxxlA
P.S.
Fra poco, saremo “alla loro mercé”.
e QUESTO MENTRE…
CONTE HA RICEVUTO IL COLPO FATALE DALLA MERKEL: “SIETE GIÀ INDEBITATISSIMI, VOLETE IL RECOVERY FUND ENTRO LUGLIO. IO STESSA STO PER VINCERE LE ULTIME RESISTENZE DEI PAESI “FRUGALI” MA VOI, NON SOLO NON AVETE PRESENTATO UN PIANO DI RIFORME, MA PREFERITE INDEBITARVI A TASSI TRA L’1,5 E IL 2% CHE PRENDERE I 36 MILIARDI DEL MES PRATICAMENTE A TASSO ZERO”
2. E POI, L’AFFONDO LETALE: ‘’AVETE PROROGATO LA CASSA INTEGRAZIONE E IL BLOCCO DEI LICENZIAMENTI FINO AL 31 DICEMBRE. BENE DOVE TROVERETE I SOLDI DAL PRIMO GENNAIO 2021?
3. IL PIZZINO, IGNORATO DAI GIORNALI, MANDATO DAL DUPLEX DI BATTISTA-CASALEGGIO A DI MAIO E GRILLO: “ATTENTI, IL 40% DEI PARLAMENTARI DEL MOVIMENTO È CONTRARIO AL MES”
2. E POI, L’AFFONDO LETALE: ‘’AVETE PROROGATO LA CASSA INTEGRAZIONE E IL BLOCCO DEI LICENZIAMENTI FINO AL 31 DICEMBRE. BENE DOVE TROVERETE I SOLDI DAL PRIMO GENNAIO 2021?
3. IL PIZZINO, IGNORATO DAI GIORNALI, MANDATO DAL DUPLEX DI BATTISTA-CASALEGGIO A DI MAIO E GRILLO: “ATTENTI, IL 40% DEI PARLAMENTARI DEL MOVIMENTO È CONTRARIO AL MES”
[….]
Mattarella è preoccupato (pallido eufemismo) per la paralisi dell’Esecutivo ma non sa che pesci prendere. Anche perché dalle questure e dai servizi segreti, continuano ad arrivare rapporti sulla crescente tensione sociale. Si rischia una spirale pericolosa in cui disoccupazione e povertà possono deflagrare in modo incontrollabile.
La notizia dell’opposizione al Mes del 40% dei parlamentari grillini lo ha destabilizzato perché, conti alla mano, potrebbe non bastare l’appoggio di Forza Italia. Allora l’unica “moral suasion” immediatamente spendibile è stata quella su Conte: stai calmo, sii meno arrogante, meno solitario nella gestione del potere.
Ora il Colle aspetta il Consiglio europeo del 17-18 luglio che dovrà decidere sul Recovery Fund e poi si dedicherà, con tutti gli strumenti possibili (whatever it takes, direbbe Draghi), a seguire la pratica Mes.
Vista la palude in cui è sprofondato il governo, al Quirinale hanno iniziato ad allungare lo sguardo oltre il ciuffo di Conte per un autunnale cambio a Palazzo Chigi. Mattarella sa che i suoi preferiti – da Sassoli a Enrico Letta fino alla Cartabia – non li voterebbe nessuno e allora, con i suoi consiglieri, il pover’uomo sta cercando pazientemente di far uscire un nuovo coniglio dal cilindro. …..
Ingoiare gli escrementi del fidanzato invece non è un problema sanitario. E’ libertà. Silenzio, dietro le sbarre!
(Ohibò, quasi dimenticavo…!)
“Avvenire” si schiera a favore del liberticida Ddl Zan
La proposta di legge sulla #omofobia, svelata nel suo inganno
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Abbiamo chiesto all'Avv. Gianfranco Amato, Presidente dei Giuristi per la Vita, un suo parere sulla proposta di Legge Zan
Il quotidiano della C.E.I. “Avvenire” ha ospitato l’onorevole Alessandro Zan per spiegare che il testo unificato delle proposte di legge in materia di omotransfobia non sono liberticide e che per i cattolici non c’è nessun problema per quanto riguarda il diritto d’opinione e di credo religioso. L’hanno convinta le rassicurazioni dell’on. Zan?
In effetti l’on. Zan ha precisato che l’estensione dell’attuale art.604 bis del codice penale non riguarderebbe la «propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico». Sembrerebbe, quindi, che in caso di approvazione delle modifiche proposte, ai cattolici sarà possibile affermare che gli eterosessuali sono superiori agli omosessuali o, se si preferisce, che gli omosessuali sono inferiori agli eterosessuali. Sarebbe inoltre consentito, sempre secondo Zan, affermare pubblicamente che l’omosessualità è una «grave depravazione», come sancisce il punto 2357 del Catechismo della Chiesa cattolica. Bene, questo ci tranquillizza. Ciò che, invece, ci lascia alquanto perplessi è il secondo aspetto del ragionamento di Zan. Secondo il deputato del PD, infatti, ciò che verrebbe punito è la discriminazione o l’istigazione alla discriminazione basata su motivi di genere, orientamento sessuale e identità di genere, e la violenza o la provocazione alla violenza basata sempre sui predetti motivi.
Quali sono gli elementi che la lasciano perplessa circa la discriminazione e la violenza?
Ci sono due obiezioni che subito mi vengono in mente. La prima riguarda la definizione del concetto di discriminazione che la proposta di legge non chiarisce. E non è un problema da poco se si formulano alcune ipotesi che certamente interessano cattolici e relativa Chiesa.
Se, per esempio, il Rettore di un Seminario diocesano decidesse di non ammettere o di espellere un seminarista perché pratica l’omosessualità, integrerebbe evidentemente un atto di discriminazione sanzionabile ai sensi dell’art. 604 bis, lett. a) del Codice Penale, secondo la riforma voluta da Zan. Stessa cosa se un parroco decidesse di non dare un incarico pastorale ad un omosessuale convivente e militante per i diritti LGBT, o decidesse di non affidare i ragazzi dell’oratorio per un campo estivo ad un responsabile scout che si trovasse nelle stesse condizioni. Nell’identica situazione di troverebbe un parroco che rifiutasse la provocazione di due lesbiche conviventi e militanti per i diritti LGBT che chiedessero, per la strana coppia, una benedizione in chiesa.
Discriminazione sarebbe considerata anche quella di un pasticciere cattolico che si rifiutasse di confezionare una torta “nuziale” per la cerimonia di un’unione civile tra due omosessuali. O un fotografo cattolico che rifiutasse di prestare il proprio servizio fotografico per un’analoga cerimonia. Le ipotesi potrebbero proseguire fino all’esclusione di un uomo che si “sente” donna dall’accesso ai bagni riservati alle donne, o dall’accesso agli spogliatoi femminili di una piscina.
In questo caso la discriminazione avverrebbe sulla base dell’identità di genere.
Sempre rispetto a questo tema, un istituto scolastico non potrebbe imporre un codice di abbigliamento ad un insegnante transessuale o persino ad un docente Drag Queen, perché il variopinto trucco e l’eccentrico costume costituirebbero un’espressione dell’identità di genere tutelata per legge. La scuola non potrebbe porre in essere una discriminazione nei confronti dell’insegnante come i genitori non potrebbero rifiutarsi di mandare i propri bimbi a scuola con una simile maestra. Raccogliere, poi, le firme per protestare contro l’istituto scolastico integrerebbe un’istigazione alla discriminazione. Né sarebbe, ovviamente, consentito ai genitori impedire che i propri figli partecipino ai cosiddetti “corsi gender”, quelli appunto basati sul concetto di identità di genere.
Quali sarebbero le pene previste per i casi da lei appena indicati nell’ipotesi in cui passasse la proposta di legge in tema di omotransfobia?In tutti i casi summenzionati il malcapitato “discriminatore” rischierebbe la reclusione fino ad un anno e sei mesi e la multa fino a 6.000 euro. In più, al giudice verrebbe concessa la facoltà di disporre a carico del condannato «l’obbligo di rientrare nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora entro un’ora determinata e di non uscirne prima di altra ora prefissata, per un periodo non superiore ad un anno; la sospensione della patente di guida, del passaporto e di documenti di identificazione validi per l’espatrio per un periodo non superiore ad un anno, il divieto di detenzione di armi proprie di ogni genere e il divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative successive alla condanna, e comunque per un periodo non inferiore a tre anni, nonché, se il condannato non si oppone, la pena accessoria dell’obbligo di prestare un’attività non retribuita in favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità», a favore di organizzazioni a tutela di omosessuali e transessuali.
Quale sarebbe, invece, la seconda obiezione che si sente di sollevare rispetto al ragionamento dell’on. Alessandro Zan?La seconda obiezione riguarda il confine incerto tra istigazione alla discriminazione e istigazione alla violenza. Se è vero che esistono già le leggi che reprimono ogni comportamento violento e persecutorio, è altrettanto vero che il mondo dell’omosessualismo militante tende a considerare qualunque manifestazione del pensiero che invita a differenziare in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere, come un discorso di odio che porta con sé l’incitamento alla violenza nei confronti degli omosessuali e transessuali. L’esperienza dei cosiddetti “reati d’odio” (hate crime) introdotti soprattutto nei Paesi anglosassoni, mostra come sia oramai acquisita a livello legale e giudiziario l’equazione discriminazione/odio = violenza.
Anche in Italia, come nei citati Paesi anglosassoni, l’attività volta ad impedire che gli omosessuali o i transessuali possano sposarsi o adottare figli, potrebbe essere considerata istigazione alla discriminazione e all’odio e, quindi, una forma di violenza.
Lei è stato personalmente testimone, in questi anni, di quanto possa essere labile anche in Italia questo confine?
Sì, mi è capitato più volte. Durante un confronto avuto con l’on. Ivan Scalfarotto al Liceo Scientifico Cavour di Roma il 20 ottobre 2014, per esempio, mi sono sentito apostrofare come “violento” dal suddetto parlamentare, semplicemente per il fatto di aver ribadito la mia ferma contrarietà al fatto che gli omosessuali possano sposarsi o adottare figli. In quell’occasione Scalfarotto mi ricordò che esiste anche una «violenza verbale» e che «le parole sono pietre».
Recentemente un giornalista ha scritto di me la seguente frase: «Gianfranco Amato si chiede: “Sostenere pubblicamente che l'unica vera famiglia è quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna è omofobia?”. Ed ovviamente la risposta è sì, dato che non esiste violenza più grande di un tizio che pretende che le altre famiglie siano considerate “false” solo perché lui erge a dogma i suoi pruriti sessuali». Se a questo aggiungiamo il fatto che un magistrato della Repubblica, il dott. Marco Gattuso giudice del Tribunale di Bologna, ha definito sul suo profilo Facebook un’iniziativa del Family Day come una manifestazione «di talebani che hanno riempito di odio una piazza», beh, sinceramente, qualche preoccupazione l’avverto. Visto, peraltro, che da quel palco io ho pure parlato. E, poi, è sufficiente vedere come il quotidiano “Repubblica” abbia dedicato, lo scorso 28 giugno 2020, un’intera pagina al tema, pubblicando anche un’intervista a Simone Alliva che tra le varie risposte ha dato anche questa: «Ricordate lo spauracchio dell’inesistente “gender”? I libri messi al bando? I Pro-life che tuonavano contro i documenti con scritto genitore 1 e genitore 2?
Tutto questo si è trasformato in un’istigazione all’odio». È chiarissimo il clima che ci attende qualora venisse approvata questa devastante proposta di legge.
Le pene previste nel caso di condanna in questi casi sarebbero diverse da quelle contemplate per la discriminazione e l’istigazione alla discriminazione?
Per la violenza e la provocazione alla violenza è prevista la reclusione da sei mesi a quattro anni, oltre le pene accessorie viste prima: uscita e rientro a casa entro una certa ora, ritiro di patente, passaporto, impossibilità di propaganda politica per tre anni, lavori socialmente utili in favore di associazioni LGBT, eccetera.
Quello che preoccupa sarebbe quindi una eccessiva genericità di alcuni termini?
Il problema è esattamente questo. Discriminazione, odio, violenza rischiano di diventare concetti generici che, se non esattamente definiti, lasciano un margine di discrezionalità alla vittima e al giudice del tutto inaccettabili.
Rileva altre perplessità circa il testo della proposta di legge?Sì, più d’una. Per esempio, la previsione in favore delle asserite vittime di omotransfobia del gratuito patrocinio (lo Stato pagherà il loro avvocato) e la definizione di esse come persone «in condizione di particolare vulnerabilità».
Quest’ultima considerazione perché sarebbe un problema?
Lo sarebbe dal punto di vista procedurale. Il riconoscimento delle vittime di omotransfobia come persone «in condizione di particolare vulnerabilità» consentirebbe, infatti, di raccogliere la loro deposizione in un incidente probatorio quasi segreto, con serie limitazioni al controesame da parte dell’avvocato, oltre al riconoscimento del diritto ad opporsi alla richiesta di archiviazione e il diritto a nominare associazioni rappresentative. Come ha giustamente rilevato il dott. Giacomo Rocchi, magistrato della I Sezione Penale della Corte di Cassazione, in tal modo già si intravede una sorta di “processo speciale”, che rischierà di arrivare “confezionato” in dibattimento, limitando fortemente il diritto di difesa degli accusati.
Il testo di legge prevedrebbe anche l’istituzione di una “Giornata contro l’omofobia”, come solennità civile nazionale, al pari del “Giorno del Ricordo” o della ricorrenza internazionale del “Giorno del Memoria”. Si avverte davvero una simile necessità?
Per essere precisi la norma proposta parla testualmente di istituzione della «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia», con espressa previsione di organizzare «cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado», quindi anche per le scuole paritaria di ispirazione cristiana. È legittimo chiedersi quale necessità ci sia di istituire un’apposita Giornata per un fenomeno che, come si è visto, riguarda in media una ventina di persone l’anno, e non pensare di istituire, piuttosto una Giornata contro la cristianofobia (fenomeno ben più tragico e diffuso) o un Giornata nazionale della famiglia.
Lei ha parlato di una ventina di casi all’anno. Da dove ha ricavato questo dato?Sono dati ufficiali rilasciati dall’OSCAD, l’Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti discriminatori, reperibili nel sito istituzionale del Ministero dell’Interno. Dal 2010 al 2018, infatti, sono stati segnalati 197 casi di discriminazione per orientamento sessuale e 15 casi per discriminazione dovuta ad identità di genere, per un totale, quindi, di 212. Se la matematica non è un’opinione 212 diviso otto fa 26,5 casi all’anno.
Il nostro Paese è omofobo?Uno dei più autorevoli e accreditati istituti americani d’indagine demoscopica, il Pew Research Center di Washington ha pubblicato uno studio intitolato The Global Divide On Homosexuality contenente i risultati di un sondaggio sull’atteggiamento verso l’omosessualità nelle principali aree geografiche del mondo. Il dato davvero interessante è che l’Italia, secondo quello studio, si colloca nella top ten, tra le dieci nazioni più gay friendly a livello mondiale, con il 74 per cento della popolazione che dichiara la propria non ostilità all’omosessualità, ed un 18 per cento che, invece, professa un atteggiamento contrario.
Il nostro Paese si colloca un gradino sotto la liberalissima Gran Bretagna (76% a favore e 18% contro), anch’essa appena sotto la laicissima Francia (77% a favore e 22% contro). Quanto poi il clima italiano sia davvero gay friendly almeno in politica, lo dimostra anche un dato incontrovertibile. Nel Mezzogiorno del nostro Paese, che l’immaginario collettivo dipinge come una terra culturalmente arretrata e sacca della più becera omofobia, ben due Presidenti delle due più importanti regioni, la Sicilia e la Puglia, sono stati eletti pur essendo omosessuali dichiarati e pubblicamente conviventi con i rispettivi partner. La circostanza, com’è noto, non ha impedito loro una brillante carriera culminata con l’elezione diretta da parte dei cittadini.
Qualcuno ritiene che uno degli effetti inevitabili della legge proposta sia quello di incrementare l’ideologia omosessualista attraverso un’azione pervasiva nei vari settori della società. Condivide questa preoccupazione?È una considerazione fondata. Basta leggere l’art. 6 del testo unificato, ove si prevede che l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale) elabori «con cadenza triennale una strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per obiettivi e l’individuazione di misure relative all’educazione e istruzione, al lavoro, alla sicurezza, anche con riferimento alla situazione carceraria, alla comunicazione e ai media». Ciò significherebbe dare valore legale al documento dello stesso UNAR già elaborato nel 2013 proprio con il titolo di Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni, il quale si sarebbe dovuto articolare proprio secondo quattro “assi”: (I) Educazione e Istruzione, (II) Lavoro, (III) Sicurezza e Carcere, (IV) Comunicazione e Media. Mette conto evidenziare che per quanto riguarda, per esempio, il primo asse relativo all’educazione ed istruzione, la summenzionata Strategia dell’UNAR prevedeva espressamente, tra l’altro, l’obiettivo strategico di «ampliare le conoscenze e le competenze di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche LGBT», di «garantire un ambiente scolastico sicuro e gay friendly», di «favorire l’empowerment delle persone LGBT nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni», nonché di «contribuire alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superare il pregiudizio legato all’orientamento affettivo dei genitori per evitare discriminazioni nei confronti dei figli di genitori omosessuali», anche attraverso: (a) la «valorizzazione dell’expertise delle associazioni LGBT in merito alla formazione e sensibilizzazione dei docenti, degli studenti e delle famiglie, per potersi avvalere delle loro conoscenze»; (b) il «coinvolgimento degli Uffici scolastici regionali e provinciali sul diversity management per i docenti»; (c) la «predisposizione della modulistica scolastica amministrativa e didattica in chiave di inclusione sociale, rispettosa delle nuove realtà familiari, costituite anche da genitori omosessuali» (genitore 1 e genitore 2); (d) l’«accreditamento delle associazioni LGBT, presso il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in qualità di enti di formazione»;
(e) l’«arricchimento delle offerte di formazione con la predisposizione di bibliografie sulle tematiche LGBT e sulle nuove realtà familiari, di laboratori di lettura e di un glossario dei termini LGBT che consenta un uso appropriato del linguaggio».
Stesso indottrinamento nel campo del lavoro, della sicurezza e dei mezzi di comunicazione.
Si parla anche del rischio di legalizzare la prospettiva della cosiddetta ideologia gender. Cosa pensa a questo riguardo?
Il testo parla espressamente di «identità di genere». Tale concetto nasce da quel filone della filosofia post-strutturalista nordamericana, rappresentato da accademici come Judith Butler, secondo cui il genere non dipende dall’aspetto binario che si trova in natura (maschile/femminile), ma dalla volontà soggettiva di un individuo, grazie alla teoria della “performatività”. Proprio la Butler ha coniato il termine “genere performativo”. In base a tale teoria sarebbe la percezione soggettiva manifestata in un comportamento esteriore a determinare il sesso e il genere di una persona.
Si tratta di una visione filosofica decostruzionista introdotta nel diritto attraverso l’espressione «identità di genere», così definita nel preambolo dei cosiddetti Principi di Yogyakarta (2007): «l’identità di genere si riferisce all’esperienza del genere profondamente sentita, interna ed individuale, che può o non può corrispondere con il sesso assegnato alla nascita, compreso il personale senso corporeo (che può implicare, se liberamente scelte, modificazioni dell’aspetto o delle funzioni del corpo con mezzi medici, chirurgici od altri) ed altre espressioni del genere, com- preso l’abbigliamento, l’eloquio ed il linguaggio del corpo».
In Italia esiste un documento intitolato Linee guida per una comunicazione rispettosa delle persone LGBT, redatto dall’ente governativo UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale), appartenente al Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che così definisce l’identità di genere: «É il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono uomo, io sono donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita». Questa idea è alla base della cosiddetta ideologia gender, oggetto di non poche critiche che sarà sempre più difficile continuare a sollevare nel caso in cui venissero approvate la proposta di legge in esame.
Lei è sempre stato molto critico nei confronti dell’ideologia gender, che combatte da anni. Ma quali problemi può creare dal punto di vista legislativo?
L’idea che sta alla base di questa ideologia è che attraverso una mera autodichiarazione un individuo possa scegliere il proprio sesso, senza alcuna modificazione della sua struttura fisica che possa esternare in maniera evidente il sesso scelto. In definitiva, la percezione soggettiva deve prevalere sulla evidenza oggettiva. Ora, se questa singolare idea può, in astratto, essere presa in considerazione nell’ambito filosofico, come quello del post-strutturalismo e del decostruzionismo, nel concreto ambito giuridico può creare più di un problema.
Il diritto per attuare le funzioni regolatrici che gli sono proprie necessita di situazioni, fatti e dati definitivi, determinati e soprattutto comprovabili.
Ci sono casi in cui la realtà si deve poter verificare e valutare con evidenza obiettiva. Questo vale, per esempio, con il fenomeno delle cosiddette “quote rosa”, ovvero quel meccanismo legislativo con cui viene garantito un mimino di partecipazione femminile in determinati ambiti come quello politico o aziendale. Ora, può invocare tale diritto un uomo che si sente donna ma che non intende sottoporsi ad alcun trattamento chirurgico per modificare il suo aspetto fisico esteriore? Un uomo con i propri genitali intatti, con le proprie caratteristiche maschili totalmente integre può pretendere che gli vengano applicate le norme sulle quote rosa, se si sente donna? E coloro che sono tenuti ad interpretare ed applicare la legge, come possono verificare e valutare una percezione soggettiva non comprovabile e indimostrabile? Altro esempio: se nel sistema legale di un Paese le donne vanno in pensione prima degli uomini, perché un uomo che si sente donna non potrebbe invocare il diritto delle donne a ritirarsi dal lavoro prima del raggiungimento dell’età prevista per gli uomini?
Questa pericolosa intromissione nel campo giuridico da parte della speculazione filosofica relativa al concetto gelatinoso e arbitrario di identità di genere rischia di mettere in crisi lo stesso funzionamento del diritto.
Se esistono già tutte le tutele legali a favore delle persone omosessuali e transessuali, quali sarebbero, allora, le vere finalità che i proponenti della legge si prefiggono?
In mancanza di reali esigenze concrete, qualunque ampliamento delle garanzie giuridiche già esistenti produrrebbe l’effetto paradossale di sconvolgere e rovesciare l’ordine etico della società umana. Infatti, l’inevitabile punto di approdo di qualunque intervento normativo in materia – com’è già avvenuto in altri Paesi europei – è costituito dal matrimonio omosessuale, dall’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali, nonché dalla loro “capacità di riproduzione” attraverso la tecnica della fecondazione artificiale eterologa.
Aggiungerei, anche, che includere l’orientamento sessuale fra le considerazioni per cui è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l’omosessualità quale fonte positiva di diritti umani, ad esempio, in riferimento alla cosiddetta “affirmative action”, ovvero lo strumento politico che mira a ristabilire e promuovere principi di equità razziale, etnica, di genere, sessuale e sociale. In altre parole, nel momento in cui si riconosce che la categoria degli omosessuali e transessuali è stata ingiustamente discriminata al punto da meritare una privilegiata tutela giuridica, occorre rimediare agli effetti della discriminazione attraverso misure compensative, quali ad esempio quote riservate. È ciò che è successo con gli afroamericani negli USA. Gli obiettivi dell’affirmative action sono raggiunti, normalmente, attraverso quote riservate nelle assunzioni, nelle cariche istituzionali, nell’assegnazione di alloggi pubblici, nell’erogazione di servizi e così via. Già qualcuno comincia a parlare di “quote arcobaleno”, in analogia rispetto a quanto accaduto con le cosiddette “quote rosa” in materia di discriminazione femminile. Quindi lo Stato rischia di offrire un modello comportamentale più vantaggioso, in un momento di grave crisi economica.
Il quotidiano della C.E.I. “Avvenire” ha ospitato l’onorevole Alessandro Zan per spiegare che il testo unificato delle proposte di legge in materia di omotransfobia non sono liberticide e che per i cattolici non c’è nessun problema per quanto riguarda il diritto d’opinione e di credo religioso. L’hanno convinta le rassicurazioni dell’on. Zan?
In effetti l’on. Zan ha precisato che l’estensione dell’attuale art.604 bis del codice penale non riguarderebbe la «propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico». Sembrerebbe, quindi, che in caso di approvazione delle modifiche proposte, ai cattolici sarà possibile affermare che gli eterosessuali sono superiori agli omosessuali o, se si preferisce, che gli omosessuali sono inferiori agli eterosessuali. Sarebbe inoltre consentito, sempre secondo Zan, affermare pubblicamente che l’omosessualità è una «grave depravazione», come sancisce il punto 2357 del Catechismo della Chiesa cattolica. Bene, questo ci tranquillizza. Ciò che, invece, ci lascia alquanto perplessi è il secondo aspetto del ragionamento di Zan. Secondo il deputato del PD, infatti, ciò che verrebbe punito è la discriminazione o l’istigazione alla discriminazione basata su motivi di genere, orientamento sessuale e identità di genere, e la violenza o la provocazione alla violenza basata sempre sui predetti motivi.
Quali sono gli elementi che la lasciano perplessa circa la discriminazione e la violenza?
Ci sono due obiezioni che subito mi vengono in mente. La prima riguarda la definizione del concetto di discriminazione che la proposta di legge non chiarisce. E non è un problema da poco se si formulano alcune ipotesi che certamente interessano cattolici e relativa Chiesa.
Se, per esempio, il Rettore di un Seminario diocesano decidesse di non ammettere o di espellere un seminarista perché pratica l’omosessualità, integrerebbe evidentemente un atto di discriminazione sanzionabile ai sensi dell’art. 604 bis, lett. a) del Codice Penale, secondo la riforma voluta da Zan. Stessa cosa se un parroco decidesse di non dare un incarico pastorale ad un omosessuale convivente e militante per i diritti LGBT, o decidesse di non affidare i ragazzi dell’oratorio per un campo estivo ad un responsabile scout che si trovasse nelle stesse condizioni. Nell’identica situazione di troverebbe un parroco che rifiutasse la provocazione di due lesbiche conviventi e militanti per i diritti LGBT che chiedessero, per la strana coppia, una benedizione in chiesa.
Discriminazione sarebbe considerata anche quella di un pasticciere cattolico che si rifiutasse di confezionare una torta “nuziale” per la cerimonia di un’unione civile tra due omosessuali. O un fotografo cattolico che rifiutasse di prestare il proprio servizio fotografico per un’analoga cerimonia. Le ipotesi potrebbero proseguire fino all’esclusione di un uomo che si “sente” donna dall’accesso ai bagni riservati alle donne, o dall’accesso agli spogliatoi femminili di una piscina.
In questo caso la discriminazione avverrebbe sulla base dell’identità di genere.
Sempre rispetto a questo tema, un istituto scolastico non potrebbe imporre un codice di abbigliamento ad un insegnante transessuale o persino ad un docente Drag Queen, perché il variopinto trucco e l’eccentrico costume costituirebbero un’espressione dell’identità di genere tutelata per legge. La scuola non potrebbe porre in essere una discriminazione nei confronti dell’insegnante come i genitori non potrebbero rifiutarsi di mandare i propri bimbi a scuola con una simile maestra. Raccogliere, poi, le firme per protestare contro l’istituto scolastico integrerebbe un’istigazione alla discriminazione. Né sarebbe, ovviamente, consentito ai genitori impedire che i propri figli partecipino ai cosiddetti “corsi gender”, quelli appunto basati sul concetto di identità di genere.
Quali sarebbero le pene previste per i casi da lei appena indicati nell’ipotesi in cui passasse la proposta di legge in tema di omotransfobia?In tutti i casi summenzionati il malcapitato “discriminatore” rischierebbe la reclusione fino ad un anno e sei mesi e la multa fino a 6.000 euro. In più, al giudice verrebbe concessa la facoltà di disporre a carico del condannato «l’obbligo di rientrare nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora entro un’ora determinata e di non uscirne prima di altra ora prefissata, per un periodo non superiore ad un anno; la sospensione della patente di guida, del passaporto e di documenti di identificazione validi per l’espatrio per un periodo non superiore ad un anno, il divieto di detenzione di armi proprie di ogni genere e il divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative successive alla condanna, e comunque per un periodo non inferiore a tre anni, nonché, se il condannato non si oppone, la pena accessoria dell’obbligo di prestare un’attività non retribuita in favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità», a favore di organizzazioni a tutela di omosessuali e transessuali.
Quale sarebbe, invece, la seconda obiezione che si sente di sollevare rispetto al ragionamento dell’on. Alessandro Zan?La seconda obiezione riguarda il confine incerto tra istigazione alla discriminazione e istigazione alla violenza. Se è vero che esistono già le leggi che reprimono ogni comportamento violento e persecutorio, è altrettanto vero che il mondo dell’omosessualismo militante tende a considerare qualunque manifestazione del pensiero che invita a differenziare in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere, come un discorso di odio che porta con sé l’incitamento alla violenza nei confronti degli omosessuali e transessuali. L’esperienza dei cosiddetti “reati d’odio” (hate crime) introdotti soprattutto nei Paesi anglosassoni, mostra come sia oramai acquisita a livello legale e giudiziario l’equazione discriminazione/odio = violenza.
Anche in Italia, come nei citati Paesi anglosassoni, l’attività volta ad impedire che gli omosessuali o i transessuali possano sposarsi o adottare figli, potrebbe essere considerata istigazione alla discriminazione e all’odio e, quindi, una forma di violenza.
Lei è stato personalmente testimone, in questi anni, di quanto possa essere labile anche in Italia questo confine?
Sì, mi è capitato più volte. Durante un confronto avuto con l’on. Ivan Scalfarotto al Liceo Scientifico Cavour di Roma il 20 ottobre 2014, per esempio, mi sono sentito apostrofare come “violento” dal suddetto parlamentare, semplicemente per il fatto di aver ribadito la mia ferma contrarietà al fatto che gli omosessuali possano sposarsi o adottare figli. In quell’occasione Scalfarotto mi ricordò che esiste anche una «violenza verbale» e che «le parole sono pietre».
Recentemente un giornalista ha scritto di me la seguente frase: «Gianfranco Amato si chiede: “Sostenere pubblicamente che l'unica vera famiglia è quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna è omofobia?”. Ed ovviamente la risposta è sì, dato che non esiste violenza più grande di un tizio che pretende che le altre famiglie siano considerate “false” solo perché lui erge a dogma i suoi pruriti sessuali». Se a questo aggiungiamo il fatto che un magistrato della Repubblica, il dott. Marco Gattuso giudice del Tribunale di Bologna, ha definito sul suo profilo Facebook un’iniziativa del Family Day come una manifestazione «di talebani che hanno riempito di odio una piazza», beh, sinceramente, qualche preoccupazione l’avverto. Visto, peraltro, che da quel palco io ho pure parlato. E, poi, è sufficiente vedere come il quotidiano “Repubblica” abbia dedicato, lo scorso 28 giugno 2020, un’intera pagina al tema, pubblicando anche un’intervista a Simone Alliva che tra le varie risposte ha dato anche questa: «Ricordate lo spauracchio dell’inesistente “gender”? I libri messi al bando? I Pro-life che tuonavano contro i documenti con scritto genitore 1 e genitore 2?
Tutto questo si è trasformato in un’istigazione all’odio». È chiarissimo il clima che ci attende qualora venisse approvata questa devastante proposta di legge.
Le pene previste nel caso di condanna in questi casi sarebbero diverse da quelle contemplate per la discriminazione e l’istigazione alla discriminazione?
Per la violenza e la provocazione alla violenza è prevista la reclusione da sei mesi a quattro anni, oltre le pene accessorie viste prima: uscita e rientro a casa entro una certa ora, ritiro di patente, passaporto, impossibilità di propaganda politica per tre anni, lavori socialmente utili in favore di associazioni LGBT, eccetera.
Quello che preoccupa sarebbe quindi una eccessiva genericità di alcuni termini?
Il problema è esattamente questo. Discriminazione, odio, violenza rischiano di diventare concetti generici che, se non esattamente definiti, lasciano un margine di discrezionalità alla vittima e al giudice del tutto inaccettabili.
Rileva altre perplessità circa il testo della proposta di legge?Sì, più d’una. Per esempio, la previsione in favore delle asserite vittime di omotransfobia del gratuito patrocinio (lo Stato pagherà il loro avvocato) e la definizione di esse come persone «in condizione di particolare vulnerabilità».
Quest’ultima considerazione perché sarebbe un problema?
Lo sarebbe dal punto di vista procedurale. Il riconoscimento delle vittime di omotransfobia come persone «in condizione di particolare vulnerabilità» consentirebbe, infatti, di raccogliere la loro deposizione in un incidente probatorio quasi segreto, con serie limitazioni al controesame da parte dell’avvocato, oltre al riconoscimento del diritto ad opporsi alla richiesta di archiviazione e il diritto a nominare associazioni rappresentative. Come ha giustamente rilevato il dott. Giacomo Rocchi, magistrato della I Sezione Penale della Corte di Cassazione, in tal modo già si intravede una sorta di “processo speciale”, che rischierà di arrivare “confezionato” in dibattimento, limitando fortemente il diritto di difesa degli accusati.
Il testo di legge prevedrebbe anche l’istituzione di una “Giornata contro l’omofobia”, come solennità civile nazionale, al pari del “Giorno del Ricordo” o della ricorrenza internazionale del “Giorno del Memoria”. Si avverte davvero una simile necessità?
Per essere precisi la norma proposta parla testualmente di istituzione della «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia», con espressa previsione di organizzare «cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado», quindi anche per le scuole paritaria di ispirazione cristiana. È legittimo chiedersi quale necessità ci sia di istituire un’apposita Giornata per un fenomeno che, come si è visto, riguarda in media una ventina di persone l’anno, e non pensare di istituire, piuttosto una Giornata contro la cristianofobia (fenomeno ben più tragico e diffuso) o un Giornata nazionale della famiglia.
Lei ha parlato di una ventina di casi all’anno. Da dove ha ricavato questo dato?Sono dati ufficiali rilasciati dall’OSCAD, l’Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti discriminatori, reperibili nel sito istituzionale del Ministero dell’Interno. Dal 2010 al 2018, infatti, sono stati segnalati 197 casi di discriminazione per orientamento sessuale e 15 casi per discriminazione dovuta ad identità di genere, per un totale, quindi, di 212. Se la matematica non è un’opinione 212 diviso otto fa 26,5 casi all’anno.
Il nostro Paese è omofobo?Uno dei più autorevoli e accreditati istituti americani d’indagine demoscopica, il Pew Research Center di Washington ha pubblicato uno studio intitolato The Global Divide On Homosexuality contenente i risultati di un sondaggio sull’atteggiamento verso l’omosessualità nelle principali aree geografiche del mondo. Il dato davvero interessante è che l’Italia, secondo quello studio, si colloca nella top ten, tra le dieci nazioni più gay friendly a livello mondiale, con il 74 per cento della popolazione che dichiara la propria non ostilità all’omosessualità, ed un 18 per cento che, invece, professa un atteggiamento contrario.
Il nostro Paese si colloca un gradino sotto la liberalissima Gran Bretagna (76% a favore e 18% contro), anch’essa appena sotto la laicissima Francia (77% a favore e 22% contro). Quanto poi il clima italiano sia davvero gay friendly almeno in politica, lo dimostra anche un dato incontrovertibile. Nel Mezzogiorno del nostro Paese, che l’immaginario collettivo dipinge come una terra culturalmente arretrata e sacca della più becera omofobia, ben due Presidenti delle due più importanti regioni, la Sicilia e la Puglia, sono stati eletti pur essendo omosessuali dichiarati e pubblicamente conviventi con i rispettivi partner. La circostanza, com’è noto, non ha impedito loro una brillante carriera culminata con l’elezione diretta da parte dei cittadini.
Qualcuno ritiene che uno degli effetti inevitabili della legge proposta sia quello di incrementare l’ideologia omosessualista attraverso un’azione pervasiva nei vari settori della società. Condivide questa preoccupazione?È una considerazione fondata. Basta leggere l’art. 6 del testo unificato, ove si prevede che l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale) elabori «con cadenza triennale una strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per obiettivi e l’individuazione di misure relative all’educazione e istruzione, al lavoro, alla sicurezza, anche con riferimento alla situazione carceraria, alla comunicazione e ai media». Ciò significherebbe dare valore legale al documento dello stesso UNAR già elaborato nel 2013 proprio con il titolo di Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni, il quale si sarebbe dovuto articolare proprio secondo quattro “assi”: (I) Educazione e Istruzione, (II) Lavoro, (III) Sicurezza e Carcere, (IV) Comunicazione e Media. Mette conto evidenziare che per quanto riguarda, per esempio, il primo asse relativo all’educazione ed istruzione, la summenzionata Strategia dell’UNAR prevedeva espressamente, tra l’altro, l’obiettivo strategico di «ampliare le conoscenze e le competenze di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche LGBT», di «garantire un ambiente scolastico sicuro e gay friendly», di «favorire l’empowerment delle persone LGBT nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni», nonché di «contribuire alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superare il pregiudizio legato all’orientamento affettivo dei genitori per evitare discriminazioni nei confronti dei figli di genitori omosessuali», anche attraverso: (a) la «valorizzazione dell’expertise delle associazioni LGBT in merito alla formazione e sensibilizzazione dei docenti, degli studenti e delle famiglie, per potersi avvalere delle loro conoscenze»; (b) il «coinvolgimento degli Uffici scolastici regionali e provinciali sul diversity management per i docenti»; (c) la «predisposizione della modulistica scolastica amministrativa e didattica in chiave di inclusione sociale, rispettosa delle nuove realtà familiari, costituite anche da genitori omosessuali» (genitore 1 e genitore 2); (d) l’«accreditamento delle associazioni LGBT, presso il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in qualità di enti di formazione»;
(e) l’«arricchimento delle offerte di formazione con la predisposizione di bibliografie sulle tematiche LGBT e sulle nuove realtà familiari, di laboratori di lettura e di un glossario dei termini LGBT che consenta un uso appropriato del linguaggio».
Stesso indottrinamento nel campo del lavoro, della sicurezza e dei mezzi di comunicazione.
Si parla anche del rischio di legalizzare la prospettiva della cosiddetta ideologia gender. Cosa pensa a questo riguardo?
Il testo parla espressamente di «identità di genere». Tale concetto nasce da quel filone della filosofia post-strutturalista nordamericana, rappresentato da accademici come Judith Butler, secondo cui il genere non dipende dall’aspetto binario che si trova in natura (maschile/femminile), ma dalla volontà soggettiva di un individuo, grazie alla teoria della “performatività”. Proprio la Butler ha coniato il termine “genere performativo”. In base a tale teoria sarebbe la percezione soggettiva manifestata in un comportamento esteriore a determinare il sesso e il genere di una persona.
Si tratta di una visione filosofica decostruzionista introdotta nel diritto attraverso l’espressione «identità di genere», così definita nel preambolo dei cosiddetti Principi di Yogyakarta (2007): «l’identità di genere si riferisce all’esperienza del genere profondamente sentita, interna ed individuale, che può o non può corrispondere con il sesso assegnato alla nascita, compreso il personale senso corporeo (che può implicare, se liberamente scelte, modificazioni dell’aspetto o delle funzioni del corpo con mezzi medici, chirurgici od altri) ed altre espressioni del genere, com- preso l’abbigliamento, l’eloquio ed il linguaggio del corpo».
In Italia esiste un documento intitolato Linee guida per una comunicazione rispettosa delle persone LGBT, redatto dall’ente governativo UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale), appartenente al Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che così definisce l’identità di genere: «É il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono uomo, io sono donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita». Questa idea è alla base della cosiddetta ideologia gender, oggetto di non poche critiche che sarà sempre più difficile continuare a sollevare nel caso in cui venissero approvate la proposta di legge in esame.
Lei è sempre stato molto critico nei confronti dell’ideologia gender, che combatte da anni. Ma quali problemi può creare dal punto di vista legislativo?
L’idea che sta alla base di questa ideologia è che attraverso una mera autodichiarazione un individuo possa scegliere il proprio sesso, senza alcuna modificazione della sua struttura fisica che possa esternare in maniera evidente il sesso scelto. In definitiva, la percezione soggettiva deve prevalere sulla evidenza oggettiva. Ora, se questa singolare idea può, in astratto, essere presa in considerazione nell’ambito filosofico, come quello del post-strutturalismo e del decostruzionismo, nel concreto ambito giuridico può creare più di un problema.
Il diritto per attuare le funzioni regolatrici che gli sono proprie necessita di situazioni, fatti e dati definitivi, determinati e soprattutto comprovabili.
Ci sono casi in cui la realtà si deve poter verificare e valutare con evidenza obiettiva. Questo vale, per esempio, con il fenomeno delle cosiddette “quote rosa”, ovvero quel meccanismo legislativo con cui viene garantito un mimino di partecipazione femminile in determinati ambiti come quello politico o aziendale. Ora, può invocare tale diritto un uomo che si sente donna ma che non intende sottoporsi ad alcun trattamento chirurgico per modificare il suo aspetto fisico esteriore? Un uomo con i propri genitali intatti, con le proprie caratteristiche maschili totalmente integre può pretendere che gli vengano applicate le norme sulle quote rosa, se si sente donna? E coloro che sono tenuti ad interpretare ed applicare la legge, come possono verificare e valutare una percezione soggettiva non comprovabile e indimostrabile? Altro esempio: se nel sistema legale di un Paese le donne vanno in pensione prima degli uomini, perché un uomo che si sente donna non potrebbe invocare il diritto delle donne a ritirarsi dal lavoro prima del raggiungimento dell’età prevista per gli uomini?
Questa pericolosa intromissione nel campo giuridico da parte della speculazione filosofica relativa al concetto gelatinoso e arbitrario di identità di genere rischia di mettere in crisi lo stesso funzionamento del diritto.
Se esistono già tutte le tutele legali a favore delle persone omosessuali e transessuali, quali sarebbero, allora, le vere finalità che i proponenti della legge si prefiggono?
In mancanza di reali esigenze concrete, qualunque ampliamento delle garanzie giuridiche già esistenti produrrebbe l’effetto paradossale di sconvolgere e rovesciare l’ordine etico della società umana. Infatti, l’inevitabile punto di approdo di qualunque intervento normativo in materia – com’è già avvenuto in altri Paesi europei – è costituito dal matrimonio omosessuale, dall’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali, nonché dalla loro “capacità di riproduzione” attraverso la tecnica della fecondazione artificiale eterologa.
Aggiungerei, anche, che includere l’orientamento sessuale fra le considerazioni per cui è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l’omosessualità quale fonte positiva di diritti umani, ad esempio, in riferimento alla cosiddetta “affirmative action”, ovvero lo strumento politico che mira a ristabilire e promuovere principi di equità razziale, etnica, di genere, sessuale e sociale. In altre parole, nel momento in cui si riconosce che la categoria degli omosessuali e transessuali è stata ingiustamente discriminata al punto da meritare una privilegiata tutela giuridica, occorre rimediare agli effetti della discriminazione attraverso misure compensative, quali ad esempio quote riservate. È ciò che è successo con gli afroamericani negli USA. Gli obiettivi dell’affirmative action sono raggiunti, normalmente, attraverso quote riservate nelle assunzioni, nelle cariche istituzionali, nell’assegnazione di alloggi pubblici, nell’erogazione di servizi e così via. Già qualcuno comincia a parlare di “quote arcobaleno”, in analogia rispetto a quanto accaduto con le cosiddette “quote rosa” in materia di discriminazione femminile. Quindi lo Stato rischia di offrire un modello comportamentale più vantaggioso, in un momento di grave crisi economica.
Caro Direttore,
ci inseriamo nel dibattito in corso sul Suo giornale per esprimere un nostro contributo sui DDL in discussione alla Camera e probabilmente destinati ad essere presto posti in votazione.
Altri interventi svolti su queste colonne hanno già confermato che in Italia non esiste una “emergenza sociale” relativa ad episodi di violenza e discriminazione nei confronti delle persone omosessuali e transessuali a motivo della loro condizione. Ci limitiamo ad aggiungere altri due elementi, a nostro avviso molto significativi. Il primo è il Report «European Public Opinion» pubblicato nell’ottobre del 2019 dal prestigioso Pew Research Center[1] che ha accertato che in Italia la percentuale dei cittadini che considera l’omosessualità come pienamente accettabile nella società è ormai il 75%, ponendosi a poca distanza dai paesi dell’Europa Occidentale e in misura significativamente superiore a quella dei Paesi dell’Est europeo. Il secondo è la “Mappa dell’intolleranza 4.0”[2] pubblicata da VOX, Osservatorio Italiano sui Diritti, che nella sua ultima rilevazione registra una incidenza di Tweet “omofobi” pari a solo il 5%, ben al di sotto di altre fattispecie (Xenofobia, Misoginia, Antisemitismo, Islamofobia, Disabilità). Ogni atto discriminatorio è esecrabile e deve essere perseguito secondo giustizia, ma affermare che in Italia vi sia una “escalation dei crimini d’odio legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere” non trova quindi riscontro nelle più accreditate e indipendenti rilevazioni statistiche. Né tantomeno sembrano esserci elementi tali da poter configurare un “clima” di ostilità diffusa nell’opinione pubblica, quantomeno in confronto ad altre categorie sociali.
Un altro aspetto riguarda la già rilevata indeterminatezza della condotta idonea ad essere configurata come penalmente perseguibile. Ciò è particolarmente critico per ciò che concerne i reati privi di violenza, come l’istigazione e l’incitamento alla discriminazione che, nei DDL proposti, possono arrivare a prevedere fino a 6 anni di reclusione se commessi in ambiti associativi. Da questo punto di vista, nell’esprimere la piena condivisione con quanto su queste colonne ha recentemente sostenuto il prof. Francesco D’Agostino, l’ulteriore elemento di riflessione che vorremmo apportare al dibattito è relativo alla costante strategia di espansione delle richieste del mondo LGBT finalizzate a far considerare “diritti acquisiti” fattispecie che a prima vista possono essere considerate come mere rivendicazioni, a volte anche fantasiose. I recenti episodi di “persecuzione” nei confronti dell’autrice della saga di Harry Potter, J.K. Rowling, colpevole secondo gli attivisti transessuali di utilizzare un linguaggio non inclusivo e discriminatorio soltanto perché ha affermato che solo le donne possono avere le mestruazioni, sono la spia di una tendenza volta a colpevolizzare pubblicamente l’esercizio di una innocua manifestazione di pensiero critico nei confronti di una ideologia che è ben lungi dall’essere accettata (o accettabile) da parte della comunità scientifica e sociale. E’ quindi fondato il timore di essere di fronte a reati di opinione “a geometria variabile”, ovvero identificati come tali solo dalla parte lesa e non in base a criteri ex ante chiari, oggettivi e ben noti da parte di chi esprimesse opinioni diverse da quelle delle organizzazioni LGBT, ancorché espresse in forma privata, generica e non rivolte a casi specifici. Reati peraltro destinati ad espandersi indefinitamente nella misura in cui le rivendicazioni LGBT si espandono anch’esse.
Siamo quindi di fronte ad una prospettiva davvero inquietante in cui, in nome di una emergenza che non esiste, viene creato un sistema aspramente punitivo basato sull’indeterminatezza e sulla assoluta discrezionalità, sostanzialmente impossibile da evitare in particolare per chi dovesse esprimere le proprie posizioni in ambito religioso, educativo, medico, scientifico e giornalistico. Una prospettiva in cui l’obiettivo ultimo di chi la vuole portare avanti non sembra essere la tutela delle persone fragili, quanto piuttosto quello di imporre con la forza un certo pensiero.
Osservatorio di Bioetica di Siena
[1] https://www.pewresearch.org/global/wp-content/uploads/sites/2/2019/10/Pew-Research-Center-Value-of-Europe-report-FINAL-UPDATED.pdf – pagine 89 e 158, dove si evince che lo stesso dato nella primavera del 2007 era del 65%
[2] http://www.voxdiritti.it/nuovi-dati-della-mappa-dellintolleranza-in-4-mesi-cresce-lantisemitismo/
Di Giuliana Ruggieri
https://www.sabinopaciolla.com/losservatorio-di-bioetica-di-siena-scrive-ad-avvenire-esprimendo-la-sua-ferma-contrarieta-al-ddl-zan/
Indottrinamento #LGTBQI+
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Ogni giorno siamo bombardati da immagini pubblicitarie che hanno come unico evidente scopo quello di convincerci che il mondo LGTBQI fa parte della normalità della vita, anzi, è come se avesse un di più di appeal. Siamo oramai assuefatti alla pubblicità delle moto e delle automobili che hanno sempre accanto una bellissima ragazza (e non sempre propriamente vestita), ci vengono mostrati boccali di birra presentati da avvenenti fanciulle… e sappiamo come un certo femminismo ha combattuto questi stereotipi, richiamando il fatto che la donna non è un oggetto e che non può essere associata a un prodotto commerciale. Non so se questa insistenza ha poi ottenuto quanto voleva, mi pare che le femministe ancora non siano pienamente soddisfatte, ma certo le loro considerazioni hanno un certo valore e un certo peso.
Credo però che il nostro modo di ragionare sia un poco schizofrenico, perché, mentre giustamente rifiuta questi stereotipi, dall’altro indugia a presentare come modelli positivi (si parla mi pare di inclusione) coppie omosessuali, che fanno da richiamo ad acquisti di varia natura, dai programmi, ai giochi, alle varie occasioni offerte dal mercato. E poi assistiamo a tutto un genere di comunicazioni che ci vogliono presentare il comportamento omosessuale come naturale, e allora dai cartoni animati ai telefilm è tutto un dilagare di coppie dello stesso sesso, giovani o anziani non importa.
Mentre reagivo a questa invasione e propaganda a senso unico, e che addirittura vuole imporsi come criterio per regolamentare i comportamenti umani (basta pensare a quanto si va facendo per imporre il cosiddetto reato di omofobia, quel reato che in Italia la Chiesa, con la voce del Card. Bassetti, afferma di non avere bisogno di leggi supplementari, essendo già punito adeguatamente dalla legislazione attuale – e credo che nei paesi civili accada lo stesso), ecco che mi sono imbattuto in queste definizioni dell’indottrinamento che mi sembrano proprio descrivere quanto sta accadendo.
Proviamo a prenderle in considerazione:
Indottrinamento: Metodica e insistente azione di persuasione volta a modificare le opinioni del singolo, attraverso metodi di condizionamento. Vengono impiegati diversi metodi: isolamento, sfruttamento di effetti psicodinamici, induzione di autoaccuse e di autocritica, premi e privazioni, affamamento, sottrazione di sonno, prolungata attesa nell’incertezza. Tali metodi, isolatamente o in combinazione, provocano l’abbandono dei precedenti convincimenti e l’accettazione dei nuovi. [Treccani]
Indottrinamento: Educazione ideologica condotta in modo metodico, così da determinare una persuasione profonda e un’adesione acritica [Sabatini Coletti]
Indottrinamento: Le tecniche d’indottrinamento della società attuale sono immensamente più raffinate, più efficaci e più sicure di quelle adoperate dai totalitarismi “classici”: scientificamente studiate e pianificate, vengono messe in opera con mezzi e strategie tali, da far sì che sempre più rari siano gli uomini e le donne liberi, capaci di riconoscere la manovra e di sventarla, almeno a livello individuale. Ecco perché è più giusto parlare di indottrinamento, e non di semplice condizionamento: primo, perché si tratta di un piano ben preciso, un disegno studiato e voluto secondo una finalità specifica; secondo, perché viene attuato, principalmente attraverso l’opera dei mass-media, con una tale intensità e capacità persuasiva, che nessuno può sfuggirvi, e pochissimi sono capaci di opporre una resistenza personale, mettendo in opera dei meccanismi intellettuali basati sul senso critico e sulla voce della coscienza. L’indottrinamento ha una finalità estremamente ambiziosa: impadronirsi di tutto il modo di pensare e di sentire delle persone e, possibilmente, dell’intera società, non limitandosi a questo o quell’aspetto del reale, ma mirando a destrutturare e ristrutturare tutta la sfera intellettuale, spirituale, morale degli individui; in altre parole, come diceva Galilei nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, esso mira a rifare e’ cervelli (niente di meno…). [Francesco Lamendola]
E queste immagini (solo una infinitesima parte di quanto il mondo dei social ci offre, ne sono una conferma indiscutibile.
Ci vuole un sussulto di spirito critico, di ragionevolezza, e un briciolo di coraggio per riconoscere l’iniquità di questo processo. E fa tristezza vedere che coloro che dovrebbero insegnare la verità della antropologia (penso alle bellissime pagine di s. Giovanni Paolo II a proposito di «antropologia adeguata») si accontentano – e qui il pensiero va ad Avvenire, al suo Direttore e al giornalista Moia – dei complimenti del presentatore di quella legge che lo stesso Card. Bassetti, Presidente della CEI (cioè della Conferenza Episcopale Italiana, non un opinion leader ma un pastore dalla Chiesa) ha definito come sostanzialmente inutile e nociva allo scopo di salvaguardare sia il rispetto delle persone che la libertà della società.
Le radici dell’indottrinamento sono molto profonde e ramificate, e ci vogliono uomini integerrimi e forti per estirparle. Almeno l’amore per i nostri giovani sia stimolo ad iniziative che sappiano resistere alla corrosione della coscienza.
Che fare in concreto? Lavorare sulle concezioni della persona, certo, ma sarebbe forse buona cosa prendere le distanze (cioè non finanziare né comperare i prodotti) da chi opera in codesto modo.
Credo però che il nostro modo di ragionare sia un poco schizofrenico, perché, mentre giustamente rifiuta questi stereotipi, dall’altro indugia a presentare come modelli positivi (si parla mi pare di inclusione) coppie omosessuali, che fanno da richiamo ad acquisti di varia natura, dai programmi, ai giochi, alle varie occasioni offerte dal mercato. E poi assistiamo a tutto un genere di comunicazioni che ci vogliono presentare il comportamento omosessuale come naturale, e allora dai cartoni animati ai telefilm è tutto un dilagare di coppie dello stesso sesso, giovani o anziani non importa.
Mentre reagivo a questa invasione e propaganda a senso unico, e che addirittura vuole imporsi come criterio per regolamentare i comportamenti umani (basta pensare a quanto si va facendo per imporre il cosiddetto reato di omofobia, quel reato che in Italia la Chiesa, con la voce del Card. Bassetti, afferma di non avere bisogno di leggi supplementari, essendo già punito adeguatamente dalla legislazione attuale – e credo che nei paesi civili accada lo stesso), ecco che mi sono imbattuto in queste definizioni dell’indottrinamento che mi sembrano proprio descrivere quanto sta accadendo.
Proviamo a prenderle in considerazione:
Indottrinamento: Metodica e insistente azione di persuasione volta a modificare le opinioni del singolo, attraverso metodi di condizionamento. Vengono impiegati diversi metodi: isolamento, sfruttamento di effetti psicodinamici, induzione di autoaccuse e di autocritica, premi e privazioni, affamamento, sottrazione di sonno, prolungata attesa nell’incertezza. Tali metodi, isolatamente o in combinazione, provocano l’abbandono dei precedenti convincimenti e l’accettazione dei nuovi. [Treccani]
Indottrinamento: Educazione ideologica condotta in modo metodico, così da determinare una persuasione profonda e un’adesione acritica [Sabatini Coletti]
Indottrinamento: Le tecniche d’indottrinamento della società attuale sono immensamente più raffinate, più efficaci e più sicure di quelle adoperate dai totalitarismi “classici”: scientificamente studiate e pianificate, vengono messe in opera con mezzi e strategie tali, da far sì che sempre più rari siano gli uomini e le donne liberi, capaci di riconoscere la manovra e di sventarla, almeno a livello individuale. Ecco perché è più giusto parlare di indottrinamento, e non di semplice condizionamento: primo, perché si tratta di un piano ben preciso, un disegno studiato e voluto secondo una finalità specifica; secondo, perché viene attuato, principalmente attraverso l’opera dei mass-media, con una tale intensità e capacità persuasiva, che nessuno può sfuggirvi, e pochissimi sono capaci di opporre una resistenza personale, mettendo in opera dei meccanismi intellettuali basati sul senso critico e sulla voce della coscienza. L’indottrinamento ha una finalità estremamente ambiziosa: impadronirsi di tutto il modo di pensare e di sentire delle persone e, possibilmente, dell’intera società, non limitandosi a questo o quell’aspetto del reale, ma mirando a destrutturare e ristrutturare tutta la sfera intellettuale, spirituale, morale degli individui; in altre parole, come diceva Galilei nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, esso mira a rifare e’ cervelli (niente di meno…). [Francesco Lamendola]
E queste immagini (solo una infinitesima parte di quanto il mondo dei social ci offre, ne sono una conferma indiscutibile.
Ci vuole un sussulto di spirito critico, di ragionevolezza, e un briciolo di coraggio per riconoscere l’iniquità di questo processo. E fa tristezza vedere che coloro che dovrebbero insegnare la verità della antropologia (penso alle bellissime pagine di s. Giovanni Paolo II a proposito di «antropologia adeguata») si accontentano – e qui il pensiero va ad Avvenire, al suo Direttore e al giornalista Moia – dei complimenti del presentatore di quella legge che lo stesso Card. Bassetti, Presidente della CEI (cioè della Conferenza Episcopale Italiana, non un opinion leader ma un pastore dalla Chiesa) ha definito come sostanzialmente inutile e nociva allo scopo di salvaguardare sia il rispetto delle persone che la libertà della società.
Le radici dell’indottrinamento sono molto profonde e ramificate, e ci vogliono uomini integerrimi e forti per estirparle. Almeno l’amore per i nostri giovani sia stimolo ad iniziative che sappiano resistere alla corrosione della coscienza.
Che fare in concreto? Lavorare sulle concezioni della persona, certo, ma sarebbe forse buona cosa prendere le distanze (cioè non finanziare né comperare i prodotti) da chi opera in codesto modo.
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