Chiesa timida contro l'islam aggressivo
Pensavo non dicesse nulla. Ormai sono talmente abituato ai silenzi diplomatici, troppo diplomatici, di Papa Francesco
Pensavo non dicesse nulla. Ormai sono talmente abituato ai silenzi diplomatici, troppo diplomatici, di Papa Francesco
Pensavo non dicesse nulla. Ormai sono talmente abituato ai silenzi diplomatici, troppo diplomatici, di Papa Francesco, che pensavo non dicesse nulla nemmeno sulla trasformazione in moschea di quella che fu per mille anni la più grande chiesa della cristianità.
E invece qualcosa ha detto: «Penso a Santa Sofia e sono molto addolorato». È un brevissimo inciso all'interno dell'Angelus domenicale, una manciata di parole che sono troppo poco e magari sono troppo. Troppo poco per noi cristiani che conosciamo un minimo di storia e che avremmo gradito una reazione leggermente più tonica. Senza peraltro sperare nell'energia di Pio II, per l'appunto un Papa organizzatore di crociate, autore dei «Commentari» in cui si scagliò contro coloro che «insozzano di brutture maomettane il nobilissimo tempio di Santa Sofia» (si riferiva agli antenati di Erdogan, per intenderci). Ma forse le timide, rassegnate parole dell'Angelus sono troppo per il presidente turco e i suoi giannizzeri, non proprio dei sostenitori della libertà di espressione. Qualcuno rammenta le reazioni al discorso di Ratisbona di Papa Benedetto? In quel 2006 Ratzinger aveva ricordato, all'interno di un ragionamento espresso negli abituali toni pacati, come l'islam avesse fatto proselitismo a colpi di scimitarra: gli islamici indignandosi non fecero che confermare il concetto, mettendo a ferro e fuoco le chiese cattoliche nei paesi a maggioranza musulmana (a Mogadiscio una suora italiana finì trucidata). Nel frattempo il clima è se possibile peggiorato. In Turchia le minoranze cristiane ed ebraiche vengono sottilmente discriminate e meno sottilmente minacciate, i seminari sono stati chiusi, molti templi sono stati confiscati. Inoltre è proibito parlare del massacro dei cristiani armeni, il primo genocidio del ventunesimo secolo: chi lo fa rischia da sei mesi a due anni di reclusione, e se ti chiami Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura, magari vieni assolto ma intanto vieni processato. In un contesto così ostile non è difficile immaginare che le parole del Papa possano essere usate contro i non musulmani che si ostinano a vivere nella patria di San Paolo, San Basilio, San Gregorio di Nissa, San Giovanni Crisostomo, San Simeone stilita.
Santa Sofia / La prova di forza di un “debole” Erdoğan
Il decreto è stato firmato dopo che il Consiglio di Stato, il più alto tribunale amministrativo della Turchia, ha stabilito l’illegittimità della decisione con cui nel 1934 il primo presidente turco Mustafa Kemal Atatürk aveva trasformato Santa Sofia, all’epoca una moschea, in un museo.
Dedicato alla Sophia (la sapienza di Dio), l’edificio vive così una nuova svolta. Dal 537 al 1453 fu cattedrale greco-cattolica, poi ortodossa e sede del Patriarcato di Costantinopoli, a eccezione degli anni tra il 1204 e il 1261, quando i crociati la convertirono in cattedrale cattolica di rito romano. Divenuta moschea ottomana (dal 1453 al 1931), nel 1935 fu sconsacrata e trasformata in museo. Fino, appunto, al decreto del 10 luglio di quest’anno, che riapre Santa Sofia al culto islamico.
Tutti questi passaggi fanno capire quanto l’edificio sia sempre stato simbolico e quindi utilizzato di conseguenza.
Che Erdoğan volesse la riconversione di Santa Sofia era noto. La questione è sempre stata usata dal leader nei momenti di difficoltà politica, sia per distogliere l’attenzione dal calo di consensi e dalla crisi economica sia per compattare il popolo attorno agli ideali religiosi, in funzione anti-occidentale.
Un anno fa Erdoğan aveva spiegato che la riconversione di Santa Sofia in moschea sarebbe stata una risposta alla decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele, dopo di che, per festeggiare l’anniversario della presa di Costantinopoli (l’antico nome di Istanbul) da parte dei turchi, il presidente partecipò a una cerimonia durante la quale, per la prima volta da quasi un secolo, all’interno di Santa Sofia un imam recitò versi del Corano.
Insomma, siamo di fronte a un’operazione politica che utilizza la religione in senso nazionalistico. Operazione in atto da tempo (si pensi, per esempio, al divieto di vendere alcolici nei pressi delle moschee o alla cancellazione del divieto di indossare il velo nelle università, ma anche alla costruzione della gigantesca moschea Büyük Camlica progettata per contenere 63 mila fedeli e costata quaranta milioni di dollar) e in controtendenza rispetto alla laicità voluta dal padre della Turchia moderna, Kemal Atatürk (presidente dal 1923 al 1938). Infatti, se Atatürk volle fare di Santa Sofia un museo, Erdoğan sta seguendo il cammino opposto, ma la molla è comunque e sempre la politica.
Alla guida del paese (come primo ministro e poi da presidente) da quasi vent’anni, Erdoğan nelle ultime elezioni è stato riconfermato fino al 2023, ma il suo partito è in calo e nelle amministrative ha perso per due volte proprio a Istanbul, la città in cui Erdoğan è nato e della quale fu sindaco negli anni Novanta. Di qui il tentativo di recuperare terreno utilizzando l’elemento religioso come coagulante. E di qui il decreto su Santa Sofia, che nelle intenzioni del presidente vuole mostrare come egli sia ancora, di fatto, il dominus della metropoli e della nazione.
In Turchia il 98% della popolazione è composto da musulmani (70% sunniti, 30% sciiti). Il restante 2% comprende ebrei sefarditi, greci, armeno-ortodossi, cattolici di rito bizantino e armeni protestanti. Se il paese, in base alla Costituzione, è ufficialmente laico, si può dire che siamo in realtà in presenza di un Islam di Stato. Di tutto ciò che concerne la religione si occupa un organo statale centralizzato, il Dipartimento per gli affari religiosi, che tra i suoi compiti ha quelli di controllare non solo le funzioni religiose (tutti i discorsi degli imam devono essere sottoposti alla sua valutazione) ma perfino i principi morali dell’Islam.
La questione di Santa Sofia va quindi vista in quest’ottica: di un Islam strumento di potere, assieme al nazionalismo, per fare della religione una condizione indispensabile di identità e di appartenenza. Il tutto per esercitare un controllo politico sempre più serrato. L’esatto contrario del classico Stato islamico, nel quale è la religione a controllare la politica.
Santa Sofia, in questo quadro, è per Erdoğan anche un simbolo da proporre al di fuori dei confini turchi: egli sa bene infatti che il richiamo al nazionalismo e all’identità religiosa può avere facile presa in un momento di crisi generale, resa ancor più forte dall’epidemia di Covid-19.
Come spesso accade in politica, la prova di forza del leader nasce da uno stato di debolezza. Il che non la rende meno pericolosa.
Aldo Maria Valli
DOPO SANTA SOFIASe Erdogan aspira a restaurare il Califfato
Oggi è toccato a Santa Sofia essere trasformata in moschea, come voleva Erdogan fin dall'inizio della sua carriera. Ma dove porta questa politica? Erdogan non nasconde il suo progetto di restauratore dell'Impero Ottomano. Già si pone come protettore delle moschee di Gerusalemme. E se un domani restaurasse il Califfato?
Santa Sofia
Se qualcuno nutriva ancora dei dubbi sulle intenzioni restauratrici neo-ottomane del sultano Erdogan, la decisione della Corte suprema turca che spiana la strada alla riconversione in moschea di Hagia Sophia a Istanbul dovrebbe mettere in chiaro una volta per tutte la realtà della minaccia rappresentata dai Fratelli Musulmani.
Obiettivo della Fratellanza fin dalla sua fondazione in Egitto nel 1928, è la rinascita del Califfato abolito da Ataturk nel 1924. Attraverso i decenni, è passato quasi un secolo, tale aspirazione ha trovato pieno slancio e vigore politico proprio in Turchia nell’islamismo incarnato da Erdogan, di cui solo la decadenza culturale occidentale poteva non riconoscerne immediatamente la vera natura. Eppure Erdogan lo aveva detto in maniera chiara e inequivocabile già prima d’intraprendere la scalata politica e istituzionale che lo avrebbe portato al vertice supremo del regime fondamentalista e liberticida da lui oggi instaurato: “I minareti sono le nostre baionette, le cupole i nostri elmetti, le moschee le nostre caserme”. E per averlo detto ha affrontato persino il carcere. Alla sua chiarezza, non è stato però dato sufficiente credito, al punto che Europa e Stati Uniti ne hanno persino favorito l’ascesa al potere. Inutile ora piangere sul latte versato, di fronte al “mostro” che mostra in tutta evidenza i suoi tratti somatici.
I numerosi manifestanti accorsi nel piazzale antistante Hagia Sophia per festeggiare subito dopo la sentenza della Corte, alzando il braccio con le quattro dita della “rabia”, gesto tipico dei Fratelli Musulmani ripetutamente utilizzato da Erdogan, hanno così lanciato la sfida dell’islamismo al mondo intero, come a dire: “Siamo tornati, e vinceremo”, una dichiarazione di guerra che ha scaldato i cuori dei milioni di seguaci della Fratellanza diffusi e ben radicati in tutti i continenti. Niente più ricerca del dialogo e della coesistenza pacifica tra religioni e culture diverse, dunque, ma sottomissione e predominio, a partire da Hagia Sophia, simbolo della chiusura del capitolo storico delle guerre con il cristianesimo, capitolo che Erdogan ha invece riaperto, rilanciando contemporaneamente con le sue dichiarazioni (in arabo) quello relativo a Gerusalemme e alla moschea di Al Aqsa, quali culmine della riconquista del Medio Oriente di ottomana memoria.
Le vicende di Siria, Egitto, Tunisia, Libia, per citare i casi più eclatanti, non ci dicono ancora nulla? Come contrastare, oggi e domani, l’espansionismo militare islamista capitanato da Erdogan, che per avanzare si serve senza scrupoli anche del terrorismo jihadista? Il prossimo passo sarà la ricostituzione ufficiale del Califfato: il sultano Erdogan I e i suoi successori non si fermeranno.
Souad Sbai
https://lanuovabq.it/it/se-erdogan-aspira-a-restaurare-il-califfato
di Ines Murzaku
La cancellazione della storia è diventata popolare in questi giorni. È iniziata in America, ma si è diffusa in Italia, Spagna, Inghilterra, Belgio e, più recentemente, in Turchia. Alcune delle tecniche principali prevedono il rovesciamento e la dissacrazione di monumenti e statue che fungono da musei all’aperto, che raccontano la storia delle persone che hanno fatto la storia. Si può iniziare a conoscere la storia di una città esplorando le statue e i monumenti nei parchi cittadini e nelle aree comuni.
Il Presidente turco Tayyip Erdogan si è appena unito agli altri dichiarando la sua intenzione di convertire la maestosa Basilica cristiana, Hagia Sophia (Chiesa della Santa Sapienza) – attualmente museo nazionale e uno dei siti più visitati della Turchia – in una moschea. E il Consiglio di Stato, il più alto organo amministrativo della Turchia, ha deciso che lui può farlo.
Qual è la storia di Hagia Sophia?
Si distingue per la sua indescrivibile bellezza, che eccelle sia per le sue dimensioni, sia per l’armonia delle sue misure, non avendo nessuna parte in eccesso e nessuna in difetto, essendo più magnificente degli edifici ordinari, e molto più elegante di quelli che non sono di così semplice proporzione. La chiesa è singolarmente piena di luce e di sole; uno direbbe che il luogo non è illuminato dal sole dall’esterno, ma che i raggi siano prodotti al suo interno, tanta è l’abbondanza di luce che viene riversata in questa chiesa.
Procopio di Cesarea (circa 500-565 d.C.), un importante storico bizantino, descrisse così Hagia Sophia di Costantinopoli (ora Istanbul) nel suo libro De Aedificiis (Sugli edifici), scritto intorno al 554. Accreditò anche l’imperatore Giustiniano come promotore di questa magnifica opera, tra gli altri.
La chiesa di Giustiniano divenne un’icona di Costantinopoli, la capitale dell’Impero Romano d’Oriente. L’imperatore fu così contento del risultato che, durante la sua cerimonia di dedicazione nel dicembre 537, esclamò: “O Salomone, ti ho superato”, paragonando la chiesa al Tempio di Salomone a Gerusalemme.
Per 900 anni, Hagia Sophia fu il centro dell’Impero Bizantino: la sede del Patriarca ecumenico di Costantinopoli; il luogo dove si riunivano i concili ecumenici e si incoronavano gli imperatori, e si tenevano veglie notturne e maestose processioni fino alla caduta di Costantinopoli ad opera degli Ottomani il 29 maggio 1453.
Il sultano Maometto II, camminando per le strade della città conquistata, “scese [dal cavallo] davanti alla porta della chiesa e si chinò per prendere una manciata di terra, che poi cosparse sul suo turbante come atto di umiltà davanti a Dio”. Il sultano convertì la Chiesa di Hagia Sophia nella Grande Moschea di Aya Sofya, che rimase tale fino al 1934, quando un decreto del primo presidente della Repubblica Turca, Mustafa Kemal Atatürk, trasformò l’edificio in un museo.
Nel 1985, l’UNESCO – l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura – dichiarò l’edificio Patrimonio dell’Umanità.
Perché è importante che venga mantenuto lo status di museo di Hagia Sophia?
È importante per la storia e per le persone, sia cristiane che musulmane. È importante preservare la memoria, e i musei e le statue si sono dimostrati custodi della cultura e della religione – di ciò che merita di essere conservato, ricordato, custodito e trasmesso alle generazioni future.
Come ricordo sia della Chiesa di Hagia Sophia che della Moschea di Aya Sofya, il museo ha avuto una provata legittimazione. Il museo non è servito solo come testimonianza di una storia secolare, ma anche come trasmettitore di conoscenza dall’Impero Bizantino-Romano e Ottomano alla Repubblica Turca di Atatürk. Questo magnifico oggetto, un tempo religioso, è un ricordo visibile e tangibile degli imperi e delle religioni del mondo mediterraneo, splendidamente sintetizzato in questo sito.
Fin dall’inizio della sua carriera politica, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è dispiaciuto per la trasformazione della moschea di Aya Sofya in museo da parte di Atatürk. Preferisce invece una cancellazione di oltre 900 anni di storia cristiana, alla grande costernazione del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, di Bartolomeo I, del Patriarca russo Kirill e di Papa Francesco.
Per Bartolomeo I, Hagia Sophia è un luogo santo in cui l’Oriente e l’Occidente si sono abbracciati, e l’annullamento di questa memoria causerà una brusca rottura tra questi due mondi. Mantenendo il suo status di museo, il sito avrebbe continuato a servire da esempio di solidarietà e di comprensione reciproca tra il cristianesimo e l’Islam.
Il patriarca russo Kirill considera la trasformazione del museo di Hagia Sophia in moschea una minaccia per il cristianesimo. In una recente intervista con Interfax, il metropolita Hilarion, capo del Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa del Patriarcato di Mosca, ha espresso il suo disappunto per l’atteggiamento di Erdogan di cancellazione della storia, dicendo: “Hagia Sophia è patrimonio dell’umanità. Non è senza ragione che le discussioni sul cambiamento del suo status hanno scosso tutto il mondo, e soprattutto il mondo cristiano. La chiesa è dedicata a Cristo, Sophia la Sapienza di Dio è uno dei nomi di Cristo”.
Proprio questo fine settimana, papa Francesco, che ha fatto di tutto per coltivare i rapporti con i musulmani, ha parlato con una franchezza atipica: “Il mio pensiero va a Istanbul. Penso a Santa Sofia. Sono molto addolorato”.
La storia non può essere distrutta, cancellata o cambiata. Anche alcuni turchi si sono opposti agli sforzi del loro presidente per farne un’unica, falsa storia.
Per i cattolici, la storia ha un significato trascendente, un messaggio da trasmettere e una lezione da imparare – e lo storico è chiamato a discernere le radici di questo significato. La storia non è lineare o ideologica – o, peggio, da essere usata a fini politici – ma richiede continuamente nuove riflessioni e nuove analisi, affinché il passato sia rivisitato e non si ripetano errori.
Il grande filosofo romano Marco Tullio Cicerone scrisse nel De Oratore, Historia magistra vitae est (“La storia è maestra di vita”). La storia, i suoi monumenti e i suoi musei, non devono essere distrutti o cancellati, soprattutto nel tentativo di dominare il presente. Hanno il diritto di parlarci – e di essere ascoltati.
Per quanto riguarda Hagia Sophia, il tempo ci dirà come si svolgerà la moda della cancellazione della storia in Turchia. Per ora, sembra che le preghiere dei musulmani saranno di nuovo ascoltate il 27 luglio nella magnifica struttura della Chiesa d’Oriente.
Pubblicato su The Catholic Thing
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.