La clamorosa difesa della legge 194 da parte del quotidiano dei vescovi italiani è stata seguita dall'incomprensibile silenzio della presidenza CEI, come se nulla fosse accaduto. E pensare che appena due giorni prima il vescovo di Reggio Emilia, proprio dalle colonne di Avvenire, invitava i vescovi a parlare di più e più chiaro sui temi etici.
A volte la vita è davvero curiosa. Il 25 agosto il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), Avvenire, pubblica una lettera del vescovo di Reggio Emilia, monsignor Massimo Camisasca, che cerca di rispondere ai tanti fedeli che rimproverano ai vescovi di parlare poco «sulle questioni che turbano la nostra coscienza», tipo aborto, eutanasia, identità sessuale. Monsignor Camisasca dice essenzialmente due cose: i vescovi parlano, ma siccome ragionano invece di urlare la loro voce non arriva sui grandi giornali; però potrebbero, anzi dovrebbero, parlare di più e più chiaramente sia usando i giornali diocesani e locali, sia usando Avvenire.
Diverse sono state le interpretazioni sul motivo di questa lettera, ma non è questo che qui ci interessa. Rileviamo invece che appena due giorni dopo, il 27 agosto, Avvenire pubblica un’altra lettera autorevole che inneggia alla legge italiana sull’aborto: «La legge 194 non è una legge contro la vita e può essere accettata dai cattolici», si legge nello scritto di Angelo Moretti che abbiamo già commentato ieri e sul cui contenuto quindi non torniamo. Ma la lettera, pubblicata senza commento alcuno, significa che ha avuto l’avallo della direzione del giornale.
Ribadiamo perciò l’estrema gravità del passaggio, che ha scandalizzato molti che ancora credono che Avvenire sia un giornale cattolico, ma che in qualche modo ha sorpreso anche noi che pure da molto tempo andiamo registrando la continua e inarrestabile deriva etica di questo giornale che è diventato ormai soltanto clericale.
Il quotidiano della CEI dunque sostiene la legittimità e la piena accettabilità di una legge che permette l’aborto, quella stessa legge per riparare alla quale i vescovi italiani istituirono la Giornata della Vita la prima domenica di febbraio a partire dal 1979.
Sarà una coincidenza che l’intervento di Moretti sia stato pubblicato subito dopo l’esortazione di monsignor Camisasca a parlare chiaro a difesa della vita, ma certo l’effetto è notevole. Suona come una replica diretta della direzione del giornale alla lettera di un vescovo che non poteva non essere pubblicata.
E si rivela come la smentita più clamorosa alle parole del vescovo di Reggio Emilia. Perché non si è sentito alcun altro vescovo dire una sola parola su quanto pubblicato da Avvenire. Vogliamo essere ottimisti: forse qualcuno avrà chiesto spiegazioni al direttore di Avvenire, forse qualcuno avrà fatto una telefonata al presidente della CEI, cardinale Gualtiero Bassetti. Ma non è certo quanto auspicato da monsignor Camisasca, che nella lettera diceva ai confratelli vescovi: «Dobbiamo rinnovare la vicinanza al nostro popolo attraverso un giudizio equilibrato e misericordioso sui fatti di ogni giorno che non taccia di fronte alla mentalità del mondo».
Invece nessun giudizio si è levato; e si conferma la lontananza dei pastori, ormai totalmente rassegnati alla mentalità del mondo e anche all’aria che tira nella Chiesa.
In ogni caso la gravità di quanto pubblicato da Avvenire è superata soltanto dalla gravità del silenzio complice dell’episcopato, e soprattutto della presidenza CEI che di Avvenire è la diretta responsabile. Non è pensabile che una vicenda così enorme passi tranquillamente sotto silenzio, come se nulla fosse.
Non sta a noi decidere cosa la presidenza CEI dovrebbe fare, ma se nulla accadesse o ce se la cavasse semplicemente con qualche acrobazia giornalistica per salvare capra e cavoli, il popolo cristiano – quello citato da monsignor Camisasca – non potrebbe che trarne le logiche conclusioni: i nostri pastori hanno definitivamente tradito Cristo e la Chiesa. E il rumore del tintinnare dei trenta denari si è fatto assordante.
P.S.: Nell'edizione odierna Avvenire continua nel giochino mascherandolo da dibattito aperto sulle «tante implicazioni dell'aborto, una tragedia antica come l'umanità», come lo spiega il direttore Marco Tarquinio. Così si pubblica l'intervento pro-vita del dottor Angelo Francesco Filardo e quello di un medico «credente, non obiettore», Giovanni Fattorini. Quest'ultimo ci spiega come la pillola abortiva RU486 sia un'ottima alternativa all'aborto chirurgico, non presenti rischi significativi rispetto all'intervento in ospedale, non violi la legge 194, presenti anzi degli aspetti positivi: infatti, abortendo in casa si evitano le infezioni che si possono prendere in ospedale, vedi Covid-19. Tesi allucinanti per chi ha ascoltato le testimonianze di donne che hanno abortito con la RU486, ma per stare al motivo di questo articolo è importante notare come il direttore di Avvenire consideri i due interventi alla stessa stregua, nulla da eccepire: «sono due ginecologi, sono due persone oneste, due credenti che hanno due visioni per molti versi opposte». Ma vanno bene tutte e due, entrambe servono per «ascoltare la realtà». Nulla da eccepire neanche al fatto che ci si possa definire credenti e non obiettori, cioè abortisti. Questo è il messaggio che si passa ai cattolici: essere abortisti non contrasta con la fede cattolica. Bene, anzi male, malissimo. Attendiamo ancora che il presidente della CEI ci spieghi come sia possibile questo scempio della verità sul giornale di cui è editore; e attendiamo che altri vescovi si sveglino perché le posizioni di Avvenire, lo vogliano o no, coinvolgono tutti loro.
Riccardo Cascioli
https://lanuovabq.it/it/avvenire-e-aborto-il-silenzio-della-cei-e-un-tradimento
ABORTO, RU 486. AVVENIRE CONSIGLIA IL DIALOGO. VA TUTTO BENE?
28 Agosto 2020 23 Commenti
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, mi sembra importante rilanciare questo commento sbalordito e indignato di Cultura Cattolica a un articolo apparso sul quotidiano Avvenire, che fino a prova contraria dovrebbe essere espressione della Chiesa italiana, e in cui si invitano i lettori (non molti, per fortuna) a superare “i residui ideologici” nei confronti della Legge 194 che autorizza l’aborto (non sancisce, badate bene, come ci vorrebbero far credere, il “diritto” all’aborto) e naturalmente anche l’uso della pillola abortifaciens RU 486. Dopo aver letto Avvenire, andate per favore indietro di qualche ora, e leggete che cosa ha detto suor Deirdre Byrne, chirurgo, già colonnello dell’esercito americano sull’aborto. Poi trovate la differenza…
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No, caro #Avvenire, la 194 non può essere accettata dai cattolici
venerdì 28 agosto 2020
Autore: Amato, Avv. Gianfranco
Curatore:don Gabriele Mangiarotti
Fonte:CulturaCattolica.it
Caro Moretti, si possono utilizzare tutte le infiorettature buoniste che si vogliono, tutte le magiche parole talismano oggi in voga, tutti i capziosi sofismi gesuitici a disposizione, ma la realtà nuda e cruda non si può cambiare: l’aborto rimane un crimen nefandum. E nessuna legge può mai rendere giusto un delitto abominevole
Ma l’aborto non è «abominevole delitto»?
Il quotidiano “Avvenire” ha ospitato, il 27 agosto 2020, l’intervento di Angelo Moretti intitolato Superare residui ideologici. La solida regola del dialogo di fronte all’inedito-Ru486. A molti il nome dell’autore forse non dice nulla, ma Angelo Moretti non è solo un giornalista pubblicista cattolico.
È anche progettista sociale e coordinatore della Caritas Diocesana di Benevento, co-fondatore e direttore generale del Consorzio Sale della Terra, co-autore del “Manifesto per una Rete dei Piccoli Comuni” del #Welcome, è stato Presidente Nazionale dei Giovani Volontari Vincenziani e Presidente del Centro Servizi al Volontariato di Benevento.
Proprio per tutto questo, alcuni passi del suo intervento, pubblicato da “Avvenire” senza commenti critici, fanno davvero trasecolare. Come, ad esempio, l’affermazione tranchant per cui «la legge 194 non è una legge contro la vita e può essere accettata dai cattolici». Ma come, riconoscere che un embrione è l’inizio di una vita non significa rendere di per sé illegittima la legge sull’aborto? «No», risponde Moretti – «se si intende la ratio legis della 194 per quella che è: una legge che regolamenta un fenomeno, che lo rende una questione pubblica, non una legge che promuove o che serve a dichiarare una questione di principio». Quindi, continua lo stesso Moretti, «la 194 non è una legge che mette in discussione la dignità ontologicamente intrinseca di un embrione, è una legge intervenuta a disciplinare un fenomeno sociale che non ha bisogno di leggi per esistere: l’aborto verrebbe praticato anche in assenza di una norma che ne regolamentasse i contorni e i dettagli della responsabilità pubblica e privata, con grande aggravio e rischio per le donne che decidano liberamente o che si sentano costrette per svariati motivi ad abortire». Niente male come ragionamento per un giornalista pubblicista che si picca di definirsi cattolico, e i cui interventi vengono ospitati dal giornale della Conferenza Episcopale Italiana. Ma non finisce qui. Sempre secondo il coordinatore diocesano della Caritas di Benevento, «un cattolico che chiede di applicare in ogni sua parte la 194 non sta affermando un valore diverso dalla sua fede, crede nella vita, in ogni vita, dal concepimento alla vecchiaia, comprende semplicemente un’impalcatura legislativa che definisce una cornice entro cui l’aborto viene sottratto sia alla privatizzazione sia all’imposizione pubblica». Moretti sostiene, infatti, che «non è una posizione inedita quella dei credenti che contribuiscono alla vigenza di leggi che regolamentano fenomeni sociali esistenti e che una persona ragionevole scongiurerebbe». Ed a questo proposito il nostro giornalista cattolico si avventura nel campo della teologia: «Le Sacre Scritture ci ricordano che la legge dell’“occhio per occhio” non era, ad esempio, una legge che promuoveva la vendetta, ma regolamentava il fenomeno della vendetta».
Ma questo ragionamento non contraddice in fondo il dovere di difendere la vita dal concepimento, che ogni cattolico dovrebbe avvertire come esigenza morale? «No», risponde sempre Moretti, «perché nella pratica ogni cattolico è chiamato a difendere e promuovere la vita, senza potersi ergere a giudice delle scelte altrui; nella teoria il cattolico che chiede di applicare tutta la 194 chiede che una donna sia accolta da un servizio pubblico, non promuove l’aborto, ma si pone in ascolto e in aiuto di ogni donna». Per giustificarsi, però, è costretto ad utilizzare le consuete parole talismano: «pace», «non-violenza», «non-discriminazione», «comprensione», «dialogo», «accoglienza». Scrive, infatti, Moretti: «La speranza più intima resta quella della pace e della nonviolenza: nessuna guerra, nessuna discriminazione, nessun giudizio “contro”, solo perdono e tensione alla comprensione reciproca». E conclude: «Sull’urgenza di una chiave di lettura sociale e culturale dell’aborto i cattolici giustamente non intendono retrocedere nel dialogo; un dialogo che, anche a mio parere, non ha bisogno di rimettere in discussione la 194, ma che si mettano in discussione le nostre comunità non accoglienti».
Et voilà, con il riferimento finale all’accoglienza, il piatto è servito!
Angelo Moretti inizia il suo intervento pubblicato da “Avvenire” con la considerazione che «nel dibattito italiano sui cosiddetti diritti civili e, in particolare sul tema dell’aborto, si ha spesso la spiacevole sensazione di affrontare un confronto tra posizioni illuministiche e posizioni teologiche». Ma si tratterebbe di «uno schema già vecchio da secoli, superato da un Concilio e, prima ancora, da un progressivo avvicinamento delle posizioni contrapposte a favore della libertà e dello sviluppo degli uomini e delle donne nella lotta alla discriminazione e alla disuguaglianza sociale che ha contribuito a disegnare la nostra Costituzione». Moretti non precisa quale sia il Concilio citato, quindi si dovrebbe desumere che si riferisca al Vaticano II, il “Concilio” per antonomasia, anzi, secondo quelli come Moretti, l’unico vero Concilio, essendo ritenuti del tutto insignificanti o superati gli altri venti che lo hanno preceduto. Però bisognerebbe ricordare al nostro giornalista cattolico che proprio il Concilio Vaticano II, da lui citato, in un importante documento denominato Gaudium et Spes, al n. 51 ha definito l’aborto un «crimen nefandum», che tradotto in italiano per i postconciliari significa «delitto abominevole». Caro Moretti, si possono utilizzare tutte le infiorettature buoniste che si vogliono, tutte le magiche parole talismano oggi in voga, tutti i capziosi sofismi gesuitici a disposizione, ma la realtà nuda e cruda non si può cambiare: l’aborto rimane un crimen nefandum. E nessuna legge può mai rendere giusto un delitto abominevole.
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https://www.marcotosatti.com/2020/08/28/aborto-ru-486-avvenire-consiglia-il-dialogo-va-tutto-bene/
SUORA CHIRURGO PER TRUMP: I PIÙ EMARGINATI? I BIMBI ABORTITI.
28 Agosto 2020 16 Commenti
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, ieri sera ero troppo stanco per postare la traduzione del breve intervento che una donna eccezionale, Suor Deirdre, “Dede” Byrne ha pronunciato alla Convention Repubblicana. Suor Deirdre è certamente una persona particolare: prima di prendere il velo nella Congregazione delle Piccole operaie dei Sacri Cuori, è stata medico chirurgo e come tale ha servito nell’Esercito americano in patria e all’estero, Afghanistan e altre zone di conflitto. Il 26 agosto ha pronunciato queste parole, per la cui traduzione ringraziamo Maurizio Brunetti e Alleanza Cattolica. Non ultimo: il suo intervento ha provocato tweet stizziti da parte di padre James Martion, sj, Direttore della rivista “America” e grande propagandista delle teorie LGBT nella Chiesa, che ha partecipato alla Convention Democratica. Martin, insieme all’attuale Generale, padre Sosa, e al suo collega p. Antonio Spadaro, e a qualche altro notissimo esponente della Compagnia, è secondo noi, se ci consentite una battuta scherzosa uno dei maggiori testimonial della grandezza da Pontefice di Clemente XIV, che nel 1773 sciolse l’ordine, considerandolo una minaccia per la Chiesa. Papi profetici!
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Buona sera, sono suor Dede Byrne, e appartengo alla comunità della Piccole Operaie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria. Lo scorso 4 luglio ho avuto l’onore di essere ospite del Presidente in occasione del suo Saluto all’America.
Devo confessarvi che, di recente, avevo pregato in cappella implorando Dio di poter essere una voce, uno strumento al servizio della vita umana. Ed ecco che ora sono qui, e parlo alla Convention nazionale del Partito Repubblicano! Ne deduco che vale sempre la pena di scegliere bene le cose per cui pregare. Il mio itinerario verso la vita religiosa non ha seguito un percorso tradizionale, se pure ne esiste uno. Nel 1978 ero una studentessa di medicina presso la Georgetown University. Mi sono arruolata nell’esercito per ottenere un sostegno agli studi, e mi sono ritrovata a dedicare 29 anni alla vita militare, prestando servizio come dottore e chirurgo in posti come l’Afghanistan e l’Egitto, nella penisola del Sinai. Dopo molta preghiera e contemplazione, sono entrata nel mio ordine religioso nel 2002, e ho lavorato al servizio dei poveri e degli ammalati nell’isola di Haiti, in Sudan, in Kenia, in Iraq e a Washington D.C. L’umiltà è una componente di base del nostro ordine che rende molto difficile parlare di me stessa. Posso tuttavia parlare dell’esperienza che ho fatto in giro per il mondo, in Paesi impoveriti e dilaniati dalla guerra, dove la gente è costretta a fuggire. Tutti i rifugiati condividono un’esperienza comune. Tutti sono stati emarginati e ritenuti insignificanti, inermi e privi di voce.
E sebbene siamo portati a immaginare che gli emarginati vivano al di là dei nostri confini, la verità è che la comunità di emarginati più numerosa al mondo si trova qui, negli Stati Uniti, ed è costituita dai bimbi non ancora nati. Come cristiani, noi abbiamo incontrato Gesù innanzitutto come un embrione che si agita nel grembo di una madre nubile, e poi lo vediamo nove mesi più tardi nella povertà della grotta.
Non è per una mera coincidenza che Gesù abbia lottato per ciò che era giusto e sia stato alla fine crocifisso perché ciò che diceva non era politicamente corretto o alla moda. Come seguaci di Cristo, noi siamo chiamati a lottare per la vita contro ciò che è oggi politicamente corretto o alla moda. Dobbiamo combattere contro un’agenda legislativa che propugna, anzi celebra, la distruzione delle vite nel grembo materno. Tenetelo bene a mente: le leggi che formuliamo definiscono il nostro modo di vedere l’umanità. Chiediamocelo: che cosa stiamo affermando quando penetriamo in un grembo e facciamo fuori una vita innocente, inerme e senza voce? Da medico posso affermarlo senza esitazione: la vita comincia nell’istante del concepimento. Sebbene ciò che affermo possa essere duro da ascoltare per qualcuno, se dico ciò che dico è perché non sono semplicemente pro-vita, ma sono pro-vita eterna. Mi piacerebbe che tutti noi ci ritrovassimo un giorno in paradiso. Ecco che cosa mi spinge a essere qui oggi. Donald Trump è il presidente più pro-life che questa Nazione abbia mai avuto, per il fatto che difende le vite, in qualunque stadio esse si trovino. Il suo credo nella santità della vita trascende la politica. Trump fronteggerà il duo Biden-Harris che, invece, è il ticket presidenziale più anti-life mai visto sinora, arrivando persino a perorare l’aborto a nascita parziale e l’infanticidio. A causa del suo coraggio e delle sue convinzioni, il presidente Trump si è guadagnato il supporto della comunità pro-life degli Stati Uniti. Inoltre vi sono in tutta la nazione gruppi religiosi che lo sostengono. Ci troverete qui con la nostra arma: il rosario. Grazie, signor Presidente. Noi tutti pregheremo per lei.
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