Tutti morti di covid: numeri per tenere in vita la paura
Emergono aspetti problematici sui certificati di morte: casi sospetti vengono comunque classificati come Covid. Il timore è che si siano voluti gonfiare i dati del Covid “rinforzandoli” con quelli di altre patologie respiratorie. Il Ministero della Sanità ha dato l’indicazione di annoverare tra i morti di Covid anche chi dopo la malattia, dalla quale era guariti, è poi deceduti per altra causa. Il mantenimento di uno stato altissimo di pressione psicologica sulla popolazione ha diversi obiettivi, tra i quali quello di cambiare il volto della Sanità pubblica.
Sono in corso grandi manovre nella Sanità italiana, manovre che dovrebbero portare a radicali trasformazioni dell’assistenza sanitaria, in particolare quella ospedaliera. Per operare una rivoluzione di questo tipo, è necessaria una giustificazione incontrovertibile, e questa si chiama Covid. Per questo l’epidemia non deve finire. Per questo si è arrivati a fare 100.000 tamponi al giorno, un numero impressionante. Un numero che garantisce – avendo una percentuale di positivi dell’1 per cento, di arrivare alla soglia - molto significativa dal punto di vista psicologico - dei mille “contagiati” al giorno enfatizzati a dovere dai media di regime.
Il Covid - ha detto qualcuno - è l'unica malattia dove sono i medici (o meglio il sistema sanitario) a cercare i malati e non viceversa. I numeri garantiscono il perpetrarsi della paura. Paura di una malattia curabilissima, che fa pochissime vittime. Già, potrebbe dire qualcuno, ma in precedenza le ha fatte: 35.000 morti. La guerra delle cifre vede in posizione dominante chi detiene le leve principali dell’informazione, ma verità scomode sembrano emergere come un fiume carsico.
Da tempo si discute di quanti siano effettivamente i morti a causa del Covid, rispetto a coloro che sono deceduti con il Covid come concausa, magari in una situazione di pregresse gravi patologie croniche. Stanno ora emergendo altri aspetti problematici, legati anche alle modalità con cui vengono redatti i certificati di morte: casi semplicemente sospetti, non confermati da test sierologici o da tamponi, vengono comunque classificati come Covid (come documentiamo con questa foto di un certificato di morte redatto dall'Asl 4 di Genova). Su che base? Di sintomi “suggestivi” di infezione da Covid.
Insomma, qualunque polmonite, provocata da altri agenti microbici, finisce nel grande calderone del Covid. Nelle scorse settimane il presidente dell’Istat, l’ente nazionale di statistica, aveva sottolineato che i morti di Covid nel mese di marzo erano di numero inferiore a quello dei deceduti nei due anni precedenti per altre polmoniti. Insomma: il sospetto, più che giustificato, è che si siano voluti gonfiare i dati del Covid “rinforzandoli” con quelli di altre patologie respiratorie, e non solo.
Ora si sta cercando di aumentare ulteriormente queste cifre: il Ministero della Sanità infatti ha dato l’indicazione di annoverare tra i morti di Covid anche coloro che mesi dopo la malattia, dalla quale erano guariti, sono poi deceduti per altra causa. Insomma: ad una persona viene un infarto, un ictus, ma se a marzo aveva fatto il Covid la causa di morte deve essere considerata questa.
Il mantenimento di uno stato altissimo di pressione psicologica sulla popolazione ha diversi obiettivi, tra i quali - dicevamo - quello di cambiare il volto della Sanità pubblica. Da mesi nei nostri ospedali interi reparti sono chiusi, l’attività chirurgica sospesa o ridotta, la diagnostica ridimensionata. Sono indicazioni che vengono dal governo: tenere liberi migliaia di posti letto in vista di potenziali aumentati afflussi di pazienti. In realtà, con la politica del terrore, ciò che accadrà a breve, a cominciare dai primi raffreddori di inizio autunno, sarà un assalto agli ospedali, ai Pronto Soccorso, di persone affette da patologie banalissime ma che avranno il terrore, con un po' di rialzo febbrile o qualche colpo di tosse, di avere il Covid. E dovranno essere comunque visitati, trattenuti in osservazione qualche ora, sottoposti a tampone. Un dispendio enorme di tempo del personale e di risorse economiche. E intanto le attività cliniche e diagnostiche per patologie importanti subiranno rallentamenti e difficoltà con conseguenze gravissime.
Sicuramente il sovraffollamento – si badi bene, dei Pronto Soccorso, non dei reparti- verrà usato mediaticamente in un circolo vizioso della paura, che utilizzerà le fasce più deboli, più spaventate, più impressionabili della popolazione per far vedere che il virus è ancora in agguato, pronto a diventare seconda, terza, ennesima ondata.
Gli ospedali si trasformeranno in enormi poliambulatori dedicati a quelli che saranno, nella stragrande maggioranza, dei “codici bianchi” che potrebbero essere trattati dalla rete di Medicina territoriale, dai Medici di Medicina Generale. Avremo ospedali trasformati in “Covid Centers”, che metteranno a rischio l’eccellenza raggiunta con fatica e tempo dall’assistenza ospedaliera.
Uno scenario da incubo, che dovrebbe essere assolutamente evitato.
Paolo Gulisano
-VACCINI DA FETI ABORTITI, DOV'E' LA NECESSITA'? di Tommaso Scandroglio
https://lanuovabq.it/it/tutti-morti-di-covid-numeri-per-tenere-in-vita-la-paura
“No, non può passare come acqua sulle pietre la denuncia di ieri della Verità. Su qualunque specchio decidano di arrampicarsi, il governo e le autorità sanitarie non riusciranno a giustificare quel che giustificabile non è, e cioè l’inserimento nel computo dei morti per Covid di tutti coloro che siano stati positivi al Coronavirus anche diverso tempo prima, e che nel frattempo si siano negativizzati. Si tratta di una distorsione enorme, come se nel gioco del calcio qualcuno usasse i piedi per battere un fallo laterale: i tifosi insorgerebbero, a maggior ragione dinanzi all’eventuale silenzio dell’arbitro.”
Un interessante articolo di Daniele Capezzone pubblicato sul suo blog
No, non può passare come acqua sulle pietre la denuncia di ieri della Verità. Su qualunque specchio decidano di arrampicarsi, il governo e le autorità sanitarie non riusciranno a giustificare quel che giustificabile non è, e cioè l’inserimento nel computo dei morti per Covid di tutti coloro che siano stati positivi al Coronavirus anche diverso tempo prima, e che nel frattempo si siano negativizzati. Si tratta di una distorsione enorme, come se nel gioco del calcio qualcuno usasse i piedi per battere un fallo laterale: i tifosi insorgerebbero, a maggior ragione dinanzi all’eventuale silenzio dell’arbitro.
In un paese minimamente normale, almeno sui dati, sulle modalità della relativa raccolta ed elaborazione, si dovrebbe essere tutti concordi, per poi – com’è naturale in una società aperta – dividersi sulla loro interpretazione e sulle azioni politiche da intraprendere. Ma “due più due” dovrebbe fare “quattro”, per tutti. Se invece ogni sera, nel momento della diffusione del bollettino, dobbiamo avere il fondato timore di un “racconto costruito”, di numeri “curvati” su un’esigenza politica, di cifre raccolte e aggiustate per tenere tesa la corda della paura, cambia tutto. E nessuno si fiderà più di nulla, meno che mai dello stato. Poi non ci si sorprenda se sono così pochi gli italiani disposti a scaricare l’app Immuni: se temo che le autorità pubbliche giochino con i numeri e con i dati personali, perché dovrei offrire volontariamente altri dati ultrasensibili?
A maggior ragione, la cosa indigna visto che ora al governo ci sono i fautori della mitica trasparenza, coloro che per anni ci hanno fatto la lezioncina col ditino alzato sulla necessaria openness del sistema, sullo stato da trasformare in una casa di vetro, sul diritto del cittadino a essere integralmente e correttamente informato. Curioso doppio standard, quello di questi signori: campioncini pro trasparenza quando erano all’opposizione, e invece spacciatori di dati per lo meno discutibili, se non farlocchi, ora che stanno al governo.
La cosa è ancora più grave se ne consideriamo il risvolto strettamente sanitario. A che serve affastellare una valanga di cifre se confondiamo sintomatici e asintomatici? A che serve se mettiamo nel calderone perfino chi, pur essendo stato positivo per qualche tempo, è morto per altre ragioni? Quale riverbero negativo ci sarà – anche in termini di studio e di impostazione delle politiche sanitarie pure rispetto ad altre patologie, da quelle cardiologiche a quelle oncologiche – se finiremo per sottostimare i dati sulla mortalità riferibili ad altre cause, visto che stiamo mettendo molto più del dovuto sul conto del Covid?
E’ più che mai necessario un atto di lealtà e di rispetto verso l’opinione pubblica. Sin dall’inizio della pandemia, questo giornale ha fatto ciò che accade nelle grandi democrazie occidentali: concentrare il proprio scrutinio critico ed esercitare una fisiologica attività di controllo su chi è al potere. E invece la sensazione è che altrove, a cominciare da alcune sedi istituzionali, il gioco sia avvenuto in direzione opposta: puntare il dito sui cittadini, in qualche caso addirittura criminalizzarli, per meglio deviare l’attenzione dai doveri a cui era ed è chiamato il governo insieme alle autorità sanitarie. Solo così si spiegano le campagne prima contro i runner, poi perfino contro chi portava a spasso il cane troppo a lungo, adesso contro i giovani o contro chi è stato in vacanza. Fermo restando che possano esserci state disattenzioni o superficialità anche da parte di qualche cittadino, infinitamente più grave è la posizione di uno stato che – da febbraio a oggi – non ha avuto né una convincente strategia sanitaria né una efficace strategia economica. Che si presenta all’appuntamento decisivo della riapertura delle scuole nel caos più assoluto. E che adesso, per sovrammercato, fa anche il pusher di dati discutibili, pasticciati, se non addirittura consapevolmente alterati ed esagerati.
A questo punto, non è eccessivo, ma è il minimo chiedere a governo e autorità sanitarie – anche prendendosi il tempo che sarà necessario – di riconteggiare tutti i dati, dall’inizio della pandemia a oggi. Per un verso, ed è la cernita fondamentale, includendo (tra i ricoverati e tra i morti) solo coloro che si siano trovati nell’una o purtroppo nell’altra condizione a causa del Covid, e non per altre circostanze. Lo ripetiamo ancora più chiaramente: se Tizio è morto per tumore o per crisi cardiaca, sia rispettivamente conteggiato tra i malati oncologici o tra quelli cardiopatici, senza che la casella del Coronavirus risulti artificialmente pompata e dopata. Per altro verso, e si tratta di un dato essenziale specie nella nuova fase alla quale andiamo incontro, e cioè quella di una convivenza – auspicabilmente – con un virus a più bassa intensità, sia operata una distinzione sempre più chiara tra chi ha i sintomi e chi non li ha. Se fosse ufficializzato che 9 su 10 degli attuali contagiati non hanno e non avranno alcun sintomo o malessere, si tratterebbe di un’informazione essenziale. I cittadini, cioè – è il caso di ricordarlo – i contribuenti grazie alle cui tasse sono pagati ministri, parlamentari e comitati vari, hanno diritto a sapere. Non sono bambini da minacciare, da terrorizzare, o peggio da imbrogliare.
Tamponi e isolamento: l’Italia contro le evidenze scientifiche
Mentre il tema del Covid-19 continua a tenere banco, con tutti i rischi di una politicizzazione della vicenda che si rende sempre più palese, l’attenzione sembra focalizzata tra rintracciamento di casi positivi – per la gran parte asintomatici o interessati da forme lievi di malattia – e potenziali rischi legati a tali scoperte.
Così, se da un lato si ignora quasi totalmente la questione dell’endemizzazione del virus – tant’è che molti parlano ancora di “pandemia” – dall’altro non ci si rende conto di quel vero e proprio “calvario” anti-scientifico che debbono affrontare i positivi al tampone.
Infatti, dopo che un test ha segnalato la “positività” al povero infettato che, spesso, stando in perfetta salute, non sapeva neanche di essere entrato in contatto con il virus, bisogna affrontare l’isolamento e la quarantena.
Tale provvedimento sanitario, com’è noto, è finalizzato ad evitare che l’infezione venga trasmessa ad altre persone, e, comportando una limitazione molto pesante alla vita del singolo, deve durare il tempo strettamente necessario.
Il problema è che in Italia questo non avviene, e le persone vengono tenute in isolamento per settimane, pur essendo sane, guarite e comunque non più in grado di infettare nessuno.
Infatti il nostro Paese, contrariamente alle indicazioni dell’OMS e di quanto avviene in quasi tutti gli Stati d’Europa e del mondo, ha scelto di rimanere ancorato al vecchio criterio del c.d. doppio tampone negativo.
In altri termini in Italia un paziente affetto da COVID-19, sintomatico o no, resta, dal punto di vista medico e da quello giuridico, considerato ufficialmente un vero e proprio malato, qualificato per di più come contagioso finché per due volte consecutive l’analisi del tampone nasofaringeo non dia esito negativo.
Questa doppia negatività, però, può risultare persino dopo mesi: il che rende evidente il peso enorme che una persona è costretta inutilmente a sopportare per una scelta di politica ”sanitaria” completamente sbagliata o, comunque, davvero sproporzionata.
Infatti, in base alla crescente e consolidata evidenza scientifica, il periodo di contagiosità si limita in realtà ai primi giorni: come sottolinea da diverso tempo il Dott. Paolo Spada, Clinical Professor presso Humanitas University e grande esperto di “numeri” legati al Covid-19, una prolungata positività all’esame del tampone identifica infatti solo eventuali tracce di materiale genetico virale, non virus integro, attivo, in replicazione, capace cioè di trasmettere l’infezione.
In pratica, più o meno dal momento in cui si manifestano i sintomi, si resta contagiosi per un breve periodo di alcuni giorni, che, per sicurezza, l’OMS ha quantificato in dieci. Superato tale tempo, non si è più contagiosi.
Il problema è che il c.d. doppio tampone, rimanendo a volte positivo assai più a lungo, fornisce un’informazione scientifica che non corrisponde alla contagiosità, ma, sia pur in un numero non grandissimo di casi , può semmai andare a rilevare mere tracce di RNA virale per molte settimane o persino mesi.
Il tampone, cioè, dopo i famosi dieci giorni, non va a rilevare virus attivo in grado di replicarsi e, quindi, di infettare.
Si comprende dunque come sia illogico, immotivato, scientificamente infondato e giuridicamente illegittimo costringere all’isolamento centinaia di persone fino all’esito del secondo tampone negativo.
Questa è la ragione per cui quasi tutto il mondo, tranne ripetiamo l’Italia, ha adottato il criterio clinico dei 10 giorni e ha abbandonato da tempo l’uso del tampone per sancire la guarigione del paziente: i pazienti che hanno sviluppato i sintomi della malattia, dai più lievi ai più pesanti (febbre, tosse, difficoltà respiratorie, etc…) possono interrompere l’isolamento dopo dieci giorni dall’inizio dei sintomi più altri tre senza più sintomi. Gli asintomatici, invece, possono lasciare l’isolamento domiciliare direttamente dieci giorni dopo la diagnosi di positività.
E che dire del sierologico? Siccome gli anticorpi si formano, com’è noto, da una maturazione delle cellule B, e richiedono più di una settimana di tempo, va da sé che il test sierologico non è in grado di fornire indicazioni su una malattia attiva, ma, semmai, confermare un’avvenuta guarigione.
In altri termini, se si è negativi al sierologico è possibile che la malattia sia ancora in corso perché gli anticorpi non sono ancora formati, mentre se si è positivi, vorrebbe dire che il virus è già stato messo fuori gioco. Ragion per cui eseguire un sierologico con lo scopo di individuare i portatori di virus attivo non ha senso.
Vi sarebbe poi la complessa questione legata ai linfociti T, e a tutte le persone che sono venute in contatto con il virus e ne hanno debellato la presenza per reazione immunitaria crociata, e di cui nulla sappiamo, mentre la ricerca scientifica sta cercando di indagare su questo aspetto che parrebbe essere fondamentale.
Certo è che le linee guida dell’OMS in tema di guarigione, oggi basate su evidenzia scientifica ampia e su scala mondiale, prevedono il criterio clinico-temporale e, tale criterio è stato adottato, oltre che dai Paesi europei, anche dagli USA.
Tant’è che di recente il Journal of the American Medical Association ha pubblicato un grafico che consente di afferrare visivamente la questione: la linea rossa indica la contagiosità, mentre quella azzurra la PCR che viene fatta sul tampone. La differenza è abissale, è scientificamente provata, e non può essere taciuta.
Vi sono in gioco la verità, la razionalità, e quindi la vita e la libertà delle persone, che non possono essere costrette ad un estenuante isolamento senza motivo. Con il rischio concreto che, se i criteri non dovessero essere da subito cambiati, la gente nasconda i sintomi proprio per il terrore di rimanere in trappola per mesi durante il prossimo autunno.
Non solo: il mero criterio del “tampone”, scevro da ogni evidenza clinica, non consente di distinguere tra guariti – e quindi incapaci di infettare – e malati (asintomatici o non). Si pensi, per comprendere la questione, ai test effettuati in un aereoporto: se il tampone risulta positivo, come facciamo a sapere se quella persona è ancora nella fase di guarigione, o invece ciò che si palesa alle analisi è solo materiale virale ormai “spento”?
Ecco perché occorre rimettere razionalità ed ordine al centro degli interventi, al fine di tutelare davvero la salute come bene in sé, e non, come spesso si è fatto, identificandola o con la “libertà dal contagio” (rivendicata erroneamente da molti scambiandola per il vero diritto alla salute) o con un bene pubblico, ossia un bene privato dello Stato personalisticamente inteso.
Vogliamo continuare a fare errori? L’Italia vuole continuare ad agire contro l’evidenza e contro la realtà? A pensar male, verrebbe quasi da ipotizzare che questo allungamento dei tempi, in modo da continuare a registrare quali “malati” chiunque sia venuto in contatto con il virus, possa servire interessi che esulano dal campo prettamente epidemiologico e medico. Non sarà che c’entri ancora la famosa “politicizzazione” del Covid-19?
di Luca De Netto
Spero che ormai sia acclarato che non si può avere una cieca fiducia nella parola degli scienziati, soprattutto quando tale fiducia è usata da certi scienziati per minare la Fede Cattolica! Infatti abbiamo visto ultimamente tanti errori che sembrano essere stati fatti in malafede dai medici.
RispondiEliminaMa anche i fisici accademici, che normalmente sono considerati quasi come oracoli dai non addetti ai lavori e che spesso sono usati (se non si scagliano loro stessi) contro la Religione Cattolica, commettono errori madornali per cui non sono degni di una cieca fiducia da parte della gente: https://gloria.tv/post/1gskqVvkhwXfCLQw2EK7PGx2n