Così è iniziato il declino del cristianesimo. Con l’istituzione del “pastore protestante" figura escogitata da Lutero per rompere con l’odiata Chiesa di Roma. Tutti sono chiamati alla santità, ma evidentemente pochi ci arrivano
di Francesco Lamendola
Dove e quando è incominciato il declino del cristianesimo, che ora sembra essere giunto alle battute finali? È iniziato dalla commistione fra il modo di pensare e di vivere dei cristiani, e quello del mondo. E quando, e dove ciò ha avuto luogo? Rispondiamo: con il luteranesimo, e più precisamente con l’istituzione della figura del “pastore” protestante: un signore che non è precisamente un prete, perché siamo tutti preti, secondo la dottrina del sacerdozio universale dei credenti, escogitata da Lutero proprio per poter consumare la rottura totale con l’odiata Chiesa di Roma, che del sacerdozio aveva fatto, da sempre, un apposito Sacramento, che lui volle appositamente profanare sposando, ex monaco, una ex suora; ma che in qualche modo svolge le funzioni di un prete, con la differenza che non solo può sposarsi e metter su famiglia, anzi è preferibile che lo faccia (è meglio sposarsi che ardere, 1 Cor 7,9), ma soprattutto che diviene a tutti gli effetti un funzionario statale, il quale dallo Stato riceve l’alloggio e lo stipendio.
Ecco: questo è stato il passaggio fatale; questo è il varco mediante il quale lo spirito del mondo è entrato nel cristianesimo e ha iniziato a mondanizzare il modo di pensare, di sentire e di vivere dei cristiani.
Così è iniziato il declino del cristianesimo. Con l’istituzione del “pastore protestante" figura escogitata da Lutero per rompere con l’odiata Chiesa di Roma!
La Chiesa cattolica, d’accordo, ha resistito su questo punto; ha continuato a prescrivere il celibato ecclesiastico (tranne nel caso di alcune chiese locali dell’Oriente, in omaggio a un’antica consuetudine) e soprattutto a tener distinto il Sacramento dell’Ordine Sacro da quello del Matrimonio. Tuttavia, specie a partire dal Concilio Vaticano II, col cavallo di Troia dell’ecumenismo, lo “stile” protestante ha fatto breccia, è stato oggetto d’invidia da parte i molti cattolici, che vi hanno visto un segno di maggiore modernità, dunque d’un più efficace “dialogo” col mondo: e non hanno tenuto minimamente conto del fatto che nei Paesi protestanti, specie in quelli luterani, il distacco della società dal cristianesimo è stato quasi totale, sicché ormai solo una piccolissima minoranza di persone si dichiara ancora credente, frequenta le chiese e si accosta ai sacramenti. Dunque la Chiesa cattolica, che secondo il cardinale Martini aveva due secoli di ritardo da colmare, si è messa affannosamente a voler riguadagnare il tempo perduto, e specie in questi ultimi anni vediamo, ad esempio col Sinodo per l’Amazzonia, fino che punto il modello protestante abbia fatto breccia e conquistato consensi nel clero cattolico, sia per quanto riguarda l’aggiramento del celibato ecclesiastico mediante la sostituzione del diaconato al sacerdozio (col pretesto della scarsità di preti), sia per la ventilata introduzione del cosiddetto sacerdozio femminile.
Dov’è la differenza fra preti cattolici e pastori protestanti, oggi? Nel fatto che i primi non si sposano? Oh, ma ci stiamo arrivando. Non è meglio sposarsi che ardere? E di falò che ardono, nei semivuoti seminari cattolici, ce ne sono un bel po’. Logico, visto l’indirizzo dato ormai dai professori, e l’assenza di qualunque verifica sulle vocazioni. Oddio, vocazione è una parola grossa: diciamo un modo di testimoniare la chiesa in uscita!
Ma ecco come un grande pensatore danese, formalmente luterano, vedeva con estrema chiarezza la radice e la vera natura del problema (da: Søren Kierkegaard, Diario, a cura di Cornelio Fabro, Brescia, Morcelliana, 1948, 1982, vol. 8, n. 3028 del 1850, pp. 33-35):
È mia convinzione (e non ho mai capito il Cristianesimo diversamente) che, per quanto severo esso sia, è anche altrettanto mite.
Non è dato ad alcuno e non si esige neppure assolutamente da qualcuno, ch’egli viva in povertà e abbassamento in senso assoluto. Ma ognuno deve essere onesto, egli deve francamente confessare che una cosa simile è troppo alta per lui, e poi come un bambino deve rallegrarsi delle condizioni più miti, poiché in fin dei conti la grazia è uguale per tutti.
Ma non bisogna cambiare le carte in tavola, lavorare di fantasia e dire: intendersela con il mondo è una cosa più perfetta. (…)
Ma, secondo quel che io penso, ciò che ha danneggiato la cristianità è stato specialmente il Protestantesimo: che un clero si sia mondanizzato dall’a alla zeta, invece di confessare che dal punto di vista cristiano ciò è un’indulgenza, cioè di aver cambiato le carte in tavola pretendendo che la mondanità sia, dal punto di vista cristiano, qualcosa di più alto e più vero della rinunzia reale, che vive realmente in povertà e abbassamento. Questo il mondo l’ha capito e perciò il clero non ha più nessun influsso.
Ed in ciò io sono completamente d’accordo col mondo. A me riescono insopportabili queste eterne chiacchiere e assicurazioni che “se e se” allora essi abbandonerebbero tutto, vivrebbero celibi, in povertà ecc. ecc. Per quanto mi riguarda io non mi trovo in queste condizioni; confesso che non ho le forze od il coraggio per una cosa simile, e poi per il resto io lodo il Cristianesimo con tutte le forze di cui dispongo.
Søren Kierkegaard: formalmente luterano, vedeva con estrema chiarezza la radice e la vera natura del problema. L’onestà intellettuale: ecco quel che manca nella cosiddetta riforma luterana perchè: tutti sono chiamati alla santità ma evidentemente pochi ci arrivano!
L’onestà intellettuale: ecco quel che manca nella cosiddetta riforma luterana. Che molti uomini non ce la facciano a vivere pienamente da cristiani; che non abbiano la forza di staccarsi interiormente dal mondo, né di purificare in sé le proprie passioni: tutto questo è comprensibile, tutti sono chiamati alla santità ma evidentemente pochi ci arrivano. Ma che a questa incapacità, a questo limite, a questa debolezza e insufficienza e incoerenza dei cristiani a mezzo servizio si voglia applicare l’etichetta di cristiani d.o.c.; che dei sedicenti pastori pretendano di guidare il gregge, o almeno di orientarlo, benché non si alzino d’un millimetro al di sopra del livello dell’ordinaria mediocrità, e tuttavia proprio costoro pretendano d’aver realizzato pienamente l’ideale del Vangelo, che dicano di esser loro i veri seguaci di Cristo, con la scusa che il Vangelo va calato nelle situazioni concrete, che si deve confrontare faccia a faccia con le fragilità della carne e con il disordine quotidiano del mondo: ebbene, questo è disonesto; è un cambiare le carte in tavola; è un voler cambiare addirittura il senso del Vangelo. Gesù dice: Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro nei cieli; non dice: Fate quel che potete, meno peggio che potete, che tanto va bene lo stesso, e il Padre apprezza comunque la vostra buona volontà! Ed è un fatto che la cosiddetta pastorale di Bergoglio e di tutti i suoi accoliti, i Paglia, i Bassetti, i Galantino, i Zuppi, va proprio in questa direzione: la direzione protestante, che consiste nel lodare come perfettamente cristiano ciò che è in realtà un ripiego, una insufficienza, una mezza misura. Si prenda Amoris laetitia, là dove dice, riferendosi alle coppie adultere che vivono in concubinaggio: se non ce la fate a “vivere pienamente la proposta del Vangelo” (proposta?), leggi: a rispettare il sacro vincolo del Matrimonio e ad essere fedeli al vostro coniuge, fa niente, Dio è contento ugualmente di quel che potete fare, si accontenta della vostra sincerità nel dire che non potete fare altro (§§ 301-306, spec. 303):
Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo.
Il pastore protestante è stato, fin dall’inizio, una creatura ibrida, sospesa fra due mondi e più che mai esposta alle tentazioni del mondo in mezzo al quale vive e al quale in sostanza appartiene!
Dolce e suadente come uno zuccherino questo linguaggio: molto bergogliano, molto caritatevole e ricco di discernimento: vivere in concubinaggio dopo aver lasciato il proprio coniuge non (è) ancora pienamente l’ideale oggettivo del Vangelo; e tuttavia, Dio in Persona lo gradisce come la risposta generosa che si può offrir(gli), tanto è vero che fa sapere al peccatore impenitente e ben deciso a non correggersi, probabilmente per via telepatica, che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti. Peraltro, la parola peccato è stata completamente purgata; l’adulterio non è più adulterio, ma qualcosa che va capito e accettato, e che Dio stesso non esita ad accettare, dal momento che la povera pecorella smarrita vive in mezzo alla complessità concreta dei limiti. Come dire: si fa presto a parlar di morale, di fedeltà, di rispetto del sacro vincolo; ma tutto ciò è solo teoria, qualcosa di astratto che non ha niente a che fare con la vita; nella vita, perdinci, bisogna fare i conti con la complessità concreta dei limiti, mica scherzi! Ma guarda un po’: e noi che credevamo di sapere che i limiti fanno sempre parte della vita, anzi non si chiamano limiti, ma tentazioni: e che la vita del cristiano consiste per l’appunto nel combattere le tentazioni e restar fedele a Dio. Pensa che ingenui: credevamo che prendere il Vangelo sul serio fosse questo; ora invece scopriamo che Dio stesso non la pensa a questo modo.
Una "Protestantizzazione" della Chiesa Cattolica? La cosiddetta pastorale di Bergoglio va nella direzione protestante, che consiste nel lodare come perfettamente cristiano ciò che in realtà è un ripiego, una insufficienza, una mezza misura!
Ma torniamo al discorso di Kierkegaard. Vivendo nel mondo, prendendo moglie come tutti gli altri, e soprattutto pigliando lo stipendio dallo Stato, cioè dal mondo, il pastore protestante è stato, fin dall’inizio, una creatura ibrida, sospesa fra due mondi e più che mai esposta alle tentazioni del mondo in mezzo al quale vive e al quale in sostanza appartiene. Il pastore protestante Gösta Berling, nell’omonimo romanzo di Selma Lagerlöf del 1891, offre a tutta la comunità lo spettacolo indecoroso del suo attaccamento alla bottiglia, che talvolta lo fa celebrare il suo ufficio in stato di ubriachezza. E nel film di Ingmar Bergman Luci d’inverno, del 1963, il pastore Tomas Ericsson, tormentato e infelice, incapace di dimenticare la moglie morta quattro anni prima, svolge i suoi doveri con scarsa credibilità, tanto che non sa neanche dire una parola buona a un parrocchiano che soffre di mania depressiva e che, poco dopo, decide di togliersi la vita. Una cosa è evidente: tutte le volte che si tratta di fare una scelta fra il mondo e il Vangelo, il pastore protestante, chiunque egli sia, è portato a scegliere per il primo, non per il secondo. E le scelte, specie nel XX secolo, sono arrivate a raffica: divorzio, aborto, eutanasia, unioni di fatto, unioni omosessuali, fecondazione eterologa, utero in affitto… A ciascuna di queste cose il clero protestante ha finito per dire sì, un sì sempre più convinto, compreso il sacerdozio femminile, in nome della cultura femminista che nei Pesi del Nord è ancora più forte e aggressiva che nel resto d’Europa. Sicché oggi, in Svezia e in altri Paesi luterani, ci sono vescovi donna, sposate, e sposate – si fa per dire - con un’altra donna: tre empietà al prezzo di una, offerta speciale.
Il teologo gesuita Karl Rahner, anima nera del Concilio Vaticano II con l'amante nota scrittrice femminista: una cosa è evidente: tutte le volte che si tratta di fare una scelta fra il mondo e il Vangelo, il pastore protestante, chiunque egli sia, è portato a scegliere per il primo, non per il secondo!
Il clero cattolico, da parte sua, ha finito a sua volta per subire l’influenza di quello luterano, naturalmente a partire dalle regioni dove le due confessioni sono a stretto contatto, al punto che lo stesso edificio sacro, sovente, viene utilizzata dai cattolici per le Messa del mattino, e dai cari fratelli separati alla sera, o viceversa. Chiunque abbia un po’ di conoscenza diretta di come andavano le cose in Germania, non due o tre anni fa, ma venti o trenta anni fa, e anche prima, sa che il clero cattolico della Baviera e della Renania, a forza di frequentare quello luterano, aveva assunto molte delle sue disinvolte abitudini mondane, e l’alto clero prima di tutti. Sa che, ad esempio, era decisamente comune la figura del prelato, dell’arcivescovo, del cardinale che se ne va in giro con la sua bella macchina e con l‘amica del cuore, una specie di moglie non ufficiale, che lo accompagnava anche nelle occasioni solenni, non parliamo di quelle fra amici. E sa che nessuno se ne scandalizzava troppo; c’erano abituati tutti quanti, laici compresi, e consideravano la cosa non tanto un segno di umana debolezza, quanto come la capacità di saper stare al passo coi tempi. Così, il teologo gesuita Karl Rahner, l’anima nera del Concilio Vaticano II, aveva per amante una nota scrittrice femminista e mentre influenzava, da Roma i lavori conciliari, teneva aggiornata la sua amica tramite un fitto epistolario, che lei ha poi avuto la sfrontatezza di pubblicare, e dal quale risulta ch’ella lo chiamava con dolci e maliziosi vezzeggiativi sexy, tipo pesciolino mio. Questa era la gente che voleva colmare il deplorevole “ritardo” della Chiesa cattolica nei confronti dei più avanzati, più progrediti, più moderni e più lungimiranti cugini luterani e calvinisti. E a Roma, senza dubbio, il papa e i suoi collaboratori sapevano benissimo quale fosse l’andazzo, ma non risulta che siano mai intervenuti: la chiesa tedesca era, ed è, la più ricca in assoluto (anche perché i fedeli pagano una forte tassa all’atto stesso di dichiararsi cattolici), e quindi la principale finanziatrice del Vaticano. Sarebbe strato indelicato toccare certi tasti...
Il Luteranesimo è stato il passaggio fatale, il varco mediante il quale lo spirito del mondo è entrato nel cristianesimo e ha iniziato a mondanizzare il modo di pensare, di sentire e di vivere dei cristiani!
Ed eccoci al presente, coi cardinali che scrivono pubblicamente ai Cari fratelli massoni e danno in affitto gli abiti sacri dei pontefici al Met Gala di New York; i capi scout parrocchiali che si sposano in municipio fra uomini, con l’approvazione del vescovo; e i parroci che si fanno prestare la fascia tricolore per poter unire in municipio le loro parrocchiane lesbiche: tutti muti, cardinali e preti, sull’aborto, per non parlare del divorzio, e tutti che fanno finta di non vedere l’eutanasia in atto; tutti obbedienti alla proibizione di celebrare la Messa, anche a Pasqua, con la scusa dell’emergenza sanitaria, in ciò istruiti dai loro vescovi. Domandiamo: dov’è la differenza fra preti cattolici e pastori protestanti, oggi? Nel fatto che i primi non si sposano? Oh, ma ci stiamo arrivando. Non è meglio sposarsi che ardere? E di falò che ardono, nei semivuoti seminari cattolici, ce ne sono un bel po’. Logico, visto l’indirizzo dato ormai dai professori, e l’assenza di qualunque verifica sulle vocazioni. Oddio, vocazione è una parola grossa: diciamo un modo di testimoniare la chiesa in uscita.
Così è iniziato il declino del cristianesimo
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