VIA LIBERA ALLA RU IN DAY HOSPITAL
Aborto fai da te, per la donna e i bambini non c'è Speranza
Gravissima decisione del ministro Speranza dopo il parere del Consiglio superiore della Sanità: l’aborto tramite RU486 dovrà essere fatto in regime di day hospital. Mezz’ora in ambulatorio e poi a casa dove la donna sarà lasciata sola con la morte del suo bambino tra effetti collaterali pericolosissimi e accertati ormai da tutta la letteratura scientifica. Le nuove linee guida confermano l'orientamento di molte regioni che permettevano alle mamme di firmare anticipatamente per la fine del ricovero. Ecco lo spirito malvagio della 194.
Mentre sotto il caldo agostano siamo tutti asfissiati dalle misure di sicurezza anti-Covid per tutelare la nostra salute volute dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Governo, il Consiglio Superiore della Sanità e il Governo tolgono una misura di sicurezza a tutela delle donne che vogliono abortire. Paradossi che si spiegano benissimo con l’arsura ideologica di questi nostri governanti di rendere l’aborto sempre più fenomeno privato, usuale, ordinario.
Il Ministro della Sanità Roberto Speranza, dietro il parere del Consiglio superiore della Sanità, ha deciso che l’aborto tramite RU486 dovrà essere fatto in regime di day hospital. Mezz’ora in ambulatorio e poi a casa. Queste le indicazioni nelle nuove linee guida per la somministrazione di questo preparato abortivo. Speranza ha dichiarato: «L’aborto farmacologico è sicuro. Va fatto in day hospital nelle strutture pubbliche e private convenzionate, e le donne possono tornare a casa mezz’ora dopo aver assunto il medicinale. Le evidenze scientifiche sono molto chiare. Il Consiglio di Sanità e la società di ostetricia e ginecologia hanno espresso un parere favorevole e univoco. Queste nuove linee guida sono un passo avanti importante e rispettano pienamente il senso della legge 194, che è e resta una norma di civiltà del nostro Paese». Vedremo invece che queste linee di indirizzo contrastano con le evidenze scientifiche in merito agli effetti negativi della RU sulla salute della donna e contrastano con la lettera della 194.
Partiamo da cosa dice la legge per verificare se queste nuove linee guida applicano la legge o la disapplicano. L’art. 8 stabilisce che tutto l’iter abortivo deve essere svolto presso gli ospedali o presso enti ed istituti indicati dalla legge. Non si può abortire a casa. La legge fu scritta quando l’unica modalità per abortire era quella chirurgica. Con l’avvento della RU486 il Ministero della Salute, nel 2010, redasse delle linee guida che rispettavano le indicazioni presenti nell’art. 8: l’aborto, anche quello in pillole, deve svolgersi all’interno delle strutture autorizzate e per un periodo di tre giorni. Perché un ricovero così lungo? «Per un’attenta sorveglianza sanitaria, in modo da ricevere un’assistenza immediata se si verifica un’emorragia importante», questo si leggeva nelle vecchie linee guida che ora verranno sostituite da quelle nuove volute dal ministro Speranza. Infatti l’aborto cosiddetto farmacologico - che si compone nella somministrazione di due pillole: il mifepristone, che uccide il nascituro, e una prostaglandina, che espelle il feto, da assumersi a distanza di 48 ore l’una dall’altra – non è per niente sicuro.
In letteratura scientifica si sono segnalati questi effetti collaterali: abbondanti e prolungate emorragie, svenimenti, aumento della pressione, nausea, vomito, dolori e crampi addominali, endometriosi, aborto incompleto (cfr. R.M. De Hart, M. S. Moreheade, Mifepristone, in. Ann. Pharmacother, 2001 Jun 35 (6), studio che analizza tutti gli studi in inglese dal 1966 al 2000). A proposito di questo ultimo effetto indesiderato, segnaliamo che in Italia il 5% delle donne che hanno assunto la RU486 – le quali sono il 20% tra tutte coloro che hanno scelto di abortire - sono state poi costrette al ricovero ospedaliero per completare la procedura abortiva. Così le vecchie linee guida: «l’efficacia è del 93– 95%, e che quindi, nel 5% circa dei casi, è necessario sottoporsi comunque a un intervento chirurgico per completare l’aborto o fermare un’emorragia importante in atto».
C’è poi da aggiungere che ormai si sono registrati anche alcuni casi di esito letale a carico della donna (cfr. R. Puccetti – G. Carbone – V. Baldini, Pillole che uccidono, ESD, pp. 173-179). Infine l’aborto con RU provoca pesantissimi effetti psicologici. Il Ministro Speranza vuole aggravare questi effetti e infatti permette che la donna assista da sola a casa sua alla espulsione del feto abortito con conseguenze sulla psiche devastanti (cfr. Ibidem, pp. 179-182). Forse è per questo motivo che le nuove linee guida sconsigliano di somministrare la RU alle donne particolarmente ansiose: uccidere il proprio bambino deve essere una procedura serena e tranquilla. Speranza ha poi protratto il tempo in cui si può assumere la RU486: dalla settima settimana di gestazione alla nona. Ciò esporrà la donna a maggiori rischi psico-fisici per la sua salute.
In breve le vecchie linee guida prevedevano un ricovero di tre giorni per intervenire tempestivamente nel caso in cui qualcosa fosse andato storto, per Speranza invece basta una mezz’oretta. Curioso come nel giro di una decina di anni, secondo un triplice parere del Consiglio Superiore della Sanità espresso nell’arco di tre legislature, la RU da pillola assai rischiosa per la salute della donna sia diventata, sempre a detta del medesimo Consiglio, innocua. Potenza dei comitati tecnico scientifici a supporto delle decisioni del Governo.
Ma come siamo arrivati a queste nuove linee guida? Fondamentalmente per due fattori. Il primo: la pratica delle dimissioni volontarie spesso suggerite dai medici stessi che negli anni è andata ad aumentare (solo nel 2010-2011 eravamo intorno al 76%). Vero è che la donna doveva rimanere in ospedale tre giorni, ma con le dimissioni volontarie poteva andare a casa subito. Le vecchie linee guida ammonivano: «fortemente sconsigliata la dimissione volontaria contro il parere dei medici prima del completamento di tutta la procedura perché in tal caso l’aborto potrebbe avvenire fuori dall’ospedale e comportare rischi anche seri per la salute della donna». Le nuove linee guida, in buona sostanza, sono andate a rettificare una situazione già assai diffusa nel Paese.
Secondo fattore: negli anni le Regioni, in piena autonomia e in accordo alle linee guida del 2010, si sono discostate da queste indicazioni e hanno optato per il ricovero in day hospital. Questo è stato il caso dell’Emila Romagna, della Toscana, della Liguria, del Piemonte e della Lombardia. Fece scalpore qualche settimana fa il caso del dietrofront dell’Umbria, duramente attaccata per questa decisione controcorrente. Anche in questo caso le nuove linee guida hanno confermato de iure e per tutto il territorio nazionale un orientamento sempre più presente a livello locale.
Abbiamo accennato al fatto che queste nuove linee guida sono in contrasto con quanto prescritto dalla legge 194, ossia con quanto indicato dall’art. 8. In termini tecnici questo è vero, però ad un livello un poco più profondo di analisi è falso. Vogliamo dire che la decisione del Governo non rispetta la lettera della 194, ma rispetta la ratio della 194, ossia la sua essenza, la sua natura intima. Qual è il fine della 194? Permettere alla donna di abortire e privilegiare la soluzione abortiva di fronte a gravidanze indesiderate. Partiamo dal primo aspetto: l’aborto nella 194 è un diritto. Se è un diritto deve poter essere esercitato il più liberamente possibile. Costringere le donne al ricovero per più giorni rappresenta un vincolo a tale diritto.
Passiamo al secondo aspetto: l’aborto deve diventare dal punto di vista sociale scelta privilegiata di fronte ad una gravidanza indesiderata, così privilegiata che deve imporsi e deve essere assunta anche a costo della salute della stessa donna. Ecco allora che possiamo concludere che il ministro Speranza ha interpretato correttamente lo spirito malvagio della 194.
Tommaso Scandroglio
https://lanuovabq.it/it/aborto-fai-da-te-per-la-donna-e-i-bambini-non-ce-speranza
COMUNICATO STAMPA
Il Movimento per la Vita Italiano e l’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI) valutano molto duramente le annunciate nuove linee guida ministeriali che estendono la possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico mediante la pillola RU486 fino alla nona settimana di gravidanza, consentendo altresì alla donna di tornare al proprio domicilio mezz’ora dopo l’assunzione della stessa, esonerandola pertanto dal ricovero.
Questi i motivi di tale severo giudizio:
1) l’aborto (anche se verbalmente ridotto all’asettica sigla “IVG”, acronimo di interruzione volontaria della gravidanza) è sempre l’uccisione di un essere umano che si trova nella fase prenatale della propria vita e solo una bieca ideologia può considerarlo un “diritto” (in realtà è stata soltanto una depenalizzazione!), perché per la donna l’aborto è comunque una sconfitta e rivendicare l’aborto come diritto significa distruggere l’autentica cultura dei diritti e dei valori umani;
2) la diffusione dell’aborto farmacologico con la pillola RU486 risponde alla logica abortista che vuole impedire lo sguardo sul concepito, spostando l’attenzione sulla falsa “non invasività” del mezzo abortivo (non c’è nulla di più invasivo che uccidere una vita umana!), rendendo l’aborto un fatto banale (basta bere un bicchiere d’acqua) e privato (basta essere nel bagno di casa), salvo poi dover chiamare il 118 per correre in pronto soccorso per una emorragia irrefrenabile!
3) la diffusione dell’aborto con la pillola RU486 risponde alla logica economicista-efficientista-utilitarista che, per risparmiare sui costi assistenziali, agevola percorsi di completa solitudine delle donne di fronte ad una gravidanza difficile o inattesa;
4) alcune donne hanno testimoniato l’esperienza traumatizzante dell’aborto con la RU486 (si veda l’intervista pubblicata su “Il Messaggero” dell’8 agosto a firma di Graziella Melina);
5) il periodo di tempo impiegato per abortire farmacologicamente è di circa 2 giorni: dopo l’assunzione di una prima pillola a base di mifepristone che causa la morte del concepito, si assume dopo 48 ore un’altra pillola a base di misoprostolo che provoca le contrazioni espulsive. Tale processo comporta rischi anche importanti per la salute della donna, costituendo una vera e propria “tempesta ormonale” con successivi disordini endocrini, sino a riportati casi letali. Di conseguenza chi ha a cuore le donne non può vedere queste linee guida con favore, a meno che non abbracci una bandiera ideologica;
6) è perciò grave che non venga mantenuto il ricovero in osservazione, necessario proprio per garantire sorveglianza sulla salute della donna. Proprio l’AIFA (Determinazione n. 1460 del 24 novembre 2009), autorizzando l’immissione in commercio della pillola RU486, aveva stabilito che «deve essere garantito il ricovero […] dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento. Tutto il percorso abortivo deve avvenire sotto la sorveglianza di un medico del servizio ostetrico-ginecologico»;
7) estendere l’assunzione della RU486 fino alla nona settimana manifesta tutta la carica ideologica di queste linee guida, perché, da un punto di vista tecnico, la pillola RU486 dopo massimo 49-50 giorni diminuisce la sua efficacia in modo importante e quindi l’allungamento del termine è meramente pretestuoso;
8) contro il dramma dell’aborto la via vincente è quella dei Centri di Aiuto alla Vita che da oltre 40 anni operano in tutta Italia per dare una mano alle donne che si trovano di fronte ad una gravidanza difficile o non attesa, liberandole dai condizionamenti che le inducono alla decisione estrema e restituendo loro il coraggio dell’accoglienza della vita con la fiducia e la serenità che ne conseguono.
Uno Stato che rinuncia a punire l’aborto non deve rinunciare a difendere il diritto alla vita con altri mezzi di più alto profilo e di maggiore efficacia. In questa prospettiva sarebbe davvero urgente una indispensabile riforma dei consultori pubblici sul modello dei Centri di Aiuto alla Vita, affinché siano, unicamente ed esclusivamente, un’autentica alternativa alla c.d. “IVG” e quindi una risorsa per la salute e la serenità delle donne.
Filippo Maria Boscia – Presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani
Marina Casini Bandini – Presidente del Movimento per la Vita Italiano
Di Redazione Blog di Sabino Paciolla
Messico: è virale il dipinto pro-vita dopo il rifiuto dell’aborto
La corte suprema del Messico ha rigettato un’ordinanza storica per la depenalizzazione dell’aborto nel Paese. Il caso si basava su un’ingiunzione concessa nello stato orientale di Veracruz, che avrebbe di fatto depenalizzato la conclusione di una gravidanza se avvenuta nelle prime 12 settimane (QUI la reazione dei vescovi). Numerosi gruppi di attivisti speravano che il voto della corte suprema avrebbe aperto la strada per la depenalizzazione dell’aborto anche in altri stati e successivamente in tutto il Paese. Consideravano questo voto «un’opportunità storica» per gli attivisti pro-choice e le donne messicane. Durante l’udienza tenutasi il 29 luglio, però, quattro dei cinque giudici della corte suprema hanno votato contro l’ordinanza.
È in questo contesto che Ana Laura Salazar, disegnatrice e acquarellista, ha deciso di dipingere un quadro diventato ormai virale. Il suo obiettivo? Ringraziare la Madonna per il fatto che la corte suprema abbia votato contro la depenalizzazione dell’aborto. Contattata da ACI Prensa, l’autrice del dipinto ha confermato che il suo lavoro, che ha intitolato “Nostra Signora della Vita”, è stato presentato alla Parrocchia di San Josemaría, a Santa Fe (Città del Messico).
Per quanto riguarda le motivazioni che l’hanno spinta a dipingere il quadro “Nostra Signora della Vita”, ha detto di aver sentito un impulso nel mezzo dell’avanzata del movimento per l’aborto, particolarmente in Messico. Le convinzioni pro-vita di Ana sono nate anni fa. Dice che tutto è iniziato dopo aver visto un film in cui veniva eseguito un aborto. «Dentro ho sentito il pianto del bambino morire e sono rimasta inorridita. Da allora ho avuto come scopo quello di rendere le persone consapevoli di ciò che significa abortire, sia a livello umano che divino», ha detto. Un altro momento della sua vita che ha contribuito a ispirare il suo lavoro è legato a quando ha compiuto 40 anni e aspettava il suo quarto bambino. «Sfortunatamente l’ho perso perché era una gravidanza extrauterina. L’ho battezzato e so che vive in Paradiso.
L’artista ha rivelato che dopo aver appreso che la legge sull’aborto in Messico non era stata approvata il 29 luglio, «in segno di ringraziamento alla Vergine» ha deciso di inviare «una foto di questo dipinto ad alcuni amici, tra cui P. Francisco Cantú». «È stato lui a chiedermi di inoltrarlo ai suoi amici. Fu così che cominciò a viaggiare, da una persona all’altra, senza che io ci avessi pensato, e divenne virale. Credo che la mano di Nostra Madre sia dietro ogni cosa», ha detto Ana.La pittrice ha anche aggiunto che da quando l’immagine è diventata virale, molte persone ne hanno chiesto copie. Ha assicurato che il ricavato verrà devoluto «a iniziative a favore della vita».
«Le persone che mi conoscono si sono congratulate con me e mi hanno detto che sono molto commosse dall’immagine della Vergine con il bambino. Non ho intenzione di farmi conoscere attraverso questo dipinto; in effetti molti non sanno chi l’abbia dipinto, io sono solo uno strumento nelle mani di Maria. Quello che ho veramente cercato con questa immagine è che ha spinto molti cuori a prevenire più morti di bambini innocenti e a confortare madri e padri che hanno perso i loro figli prima della nascita o anche dopo la nascita», ha affermato.
http://www.iltimone.org/news-timone/messico-e-virale-il-dipinto-pro-vita-dopo-il-rifiuto-dellaborto/
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