Un cardinale anonimo ha detto al giornalista tedesco Armin Schwibach (Twitter 22 agosto 2020) che Mons. Marcel Lefebvre un giorno verrà dichiarato “Dottore della Chiesa”.
Per quanto la notizia, che circola su internet, sembri molto improbabile, essa appare come verosimile, in una prospettiva futura che dovrebbe vedere la Chiesa guarita dai tanti mali odierni.
Poco importa che oggi essa appare una notizia difficile da accettare, resta il fatto che Mons. Lefebvre verrà ricordato come un difensore della fede, nonostante vi siano, ancora oggi, molti pareri controversi, nel seno della nuova Chiesa voluta dal Vaticano II.
L’azione di Mons. Lefebvre, con la fondazione e il mantenimento della Fraternità San Pio X, è stata esemplare per la vita della Chiesa.
Nato a Tourcoing, Francia, il 29 novembre 1905, è stato consacrato vescovo nel 1947. Pio XII lo rese responsabile di tutte le missioni francofone.
In occasione del concilio Vaticano II fu un oppositore dei novatori, insieme ad altri vescovi, e dopo il Concilio continuò ad opporsi al nuovo andamento rivoluzionario della nuova Chiesa voluta dal Concilio.
Con la fondazione della Fraternità San Pio X e con le consacrazioni episcopali del 1988, pose dei punti fermi per la resistenza nella difesa della fede di sempre, che servono e serviranno come punti di appoggio per la inevitabile ripresa della Chiesa, con l’aiuto di Dio.
Il padre, René Marie, morì nel campo di concentramento di Sonnenburg, (Brandeburgo), dove era stato internato perché, come proprietario di una fabbrica, lavorava per la resistenza francese.
Oggi si deve considerare che la scomunica inflittagli da Giovanni Paolo II nel 1988 rimane come un titolo di merito per Mons. Lefebvre e se oggi c’è chi parla per lui di dottorato della Chiesa è come se volesse indicare che la riabilitazione canonica di Mons. Lefebvre dovrà essere piena totale e senza alcun equivoco.
Noi non sappiamo sulla base di che corrono tali voci, ma è indubbio che la figura di Mons. Lefebvre ha comunque tutto il diritto di ricevere riconoscimenti come questi.
Oggi si deve pensare che esistono in seno alla gerarchia molti nemici di Mons. Lefebvre, ma le voci che girano fanno pensare che i suoi estimatori vanno aumentando.
di Belvecchio
Protestantesimo, liberalismo, apostasia
«Se voi non leggete, sarete prima o poi dei traditori, perché non avrete compreso la radice del male!».
Era con queste parole forti che uno dei miei collaboratori raccomandava un giorno (1) ai seminaristi di Écône la lettura di buone opere sul liberalismo. Non si può, in effetti, né comprendere la crisi attuale della Chiesa, né conoscere il vero volto dei personaggi della Roma attuale, né di conseguenza comprendere l’atteggiamento da tenere nei confronti degli avvenimenti, se non si ricercano le cause, se non si risale il corso storico, se non si scopre la primitiva fonte di questo liberalismo condannato dai Papi dei due ultimi secoli.
Noi partiremo dunque dalle origini, come fanno i Sovrani Pontefici quando denunciano gli sconvolgimenti in corso. Ebbene, quando pongono in stato d’accusa il liberalismo, i papi vedono più lontano nel passato, e tutti, da Pio VI a Benedetto XV, riconducono la crisi alla lotta ingaggiata contro la Chiesa nel XVI secolo dal protestantesimo, e al naturalismo di cui questa eresia è stata la causa e la principale propagatrice.
Il naturalismo si annida originariamente nel Rinascimento che, nel suo sforzo di recuperare le ricchezze delle culture pagane antiche, della cultura e dell’arte greche in particolare, ha finito per magnificare in maniera esagerata l’uomo, la natura, le forze naturali.
Esaltando la bontà e la potenza della natura, si sviliva e si faceva scomparire dallo spirito degli uomini la necessità della Grazia, la destinazione dell’umanità all’ordine sovrannaturale e la luce recata dalla Rivelazione. […]
Può sembrare strano e paradossale tacciare il protestantesimo di naturalismo.
Non c’è nulla in Lutero di questa esaltazione della bontà intrinseca della natura, giacché, secondo lui, la natura è irrimediabilmente decaduta e la concupiscenza invincibile.
Tuttavia, lo sguardo eccessivamente nichilista che il protestante appunta su se stesso approda ad un naturalismo pratico: a forza di sminuire la natura e di esaltare la forza della sola fede, si relegano la grazia divina e l’ordine sovrannaturale nella sfera delle astrazioni.
Per i protestanti la grazia non opera un autentico rinnovamento interiore: il battesimo non è la restituzione di uno stato sovrannaturale abituale, è soltanto un atto di fede in Gesù Cristo che giustifica e salva.
La natura non viene restaurata dalla grazia, rimane intrinsecamente corrotta, e la fede ottiene da Dio soltanto che egli getti sui nostri peccati il pudico mantello di Noè.
Quindi, la forma sovrannaturale che il battesimo aveva aggiunto alla natura radicandosi su di essa, tutte le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo sono ridotti a niente, ricondotti come sono a quest’unico atto disperato di fede-fiducia in un Redentore che fa grazia solo per ritrarsi lungi dalla sua creatura, mantenendo sempre un tale colossale abisso tra l’uomo definitivamente miserabile e il Dio trascendente tre volte santo.
Questo pseudosupernaturalismo, come lo chiama padre Garrigou-Lagrange, abbandona infine l’uomo, pur redento, alla sola forza della sue potenzialità naturali, e sprofonda fatalmente nel naturalismo; dopotutto gli estremi opposti coincidono! Jacques Maritain esprime bene l’esito naturalista del luteranesimo:
«La natura umana non potrà che rifiutare come un vano orpello teologico il manto di una grazia che nulla è per lei, e ricondurre su di sé la sua fede-fiducia, per divenire quella graziosa bestia affrancata il cui infallibile, continuo progresso incanta oggi l’universo» (2).
E questo naturalismo si applicherà in modo particolare all’ordine civile e sociale: ridotta la grazia ad un sentimento di fede fiduciaria, la Redenzione non consiste più che in una religiosità individuale e privata, senza presa sulla vita pubblica.
L’ordine pubblico, economico e politico, è dunque condannato a vivere e a svilupparsi al di fuori di Nostro Signore Gesù Cristo.
Al limite, il protestante cercherà nella sua riuscita economica il criterio della sua giustificazione agli occhi di Dio; è in tal senso che scriverà volentieri sulla porta della sua casa questa frase del Vecchio Testamento: «Rendi onore a Dio dei tuoi beni, dagli primizie di tutti i tuoi raccolti, e allora i tuoi granai saranno abbondantemente colmi e i tuoi tini traboccheranno di vino» (Pro 3, 9 s.).
Jacques Maritain scrive delle belle righe sul materialismo del protestantesimo, che darà vita al liberalismo economico e al capitalismo:
«Dietro gli appelli di Lutero all’Agnello che salva, dietro i suoi slanci di fiducia e la sua fede nel perdono dei peccati, c’è una creatura umana che alza la testa e fa molto bene i suoi affari nel fango in cui è piombata per la colpa di Adamo! Si districherà nel mondo, seguirà la volontà di potenza, l’istinto imperialista, la legge di questo mondo che è il suo mondo. Dio non sarà che un alleato, un potente» (op. cit., pp. 52-53).
Il risultato del protestantesimo sarà che gli uomini si attaccheranno di più ai beni di questo mondo e dimenticheranno i beni eterni.
E se un certo puritanesimo eserciterà una sorveglianza esteriore sulla moralità pubblica, esso non impregnerà i cuori dello spirito autenticamente cristiano che è uno spirito sovrannaturale, che si chiama primato dello spirituale.
Il protestantesimo sarà necessariamente condotto a proclamare l’emancipazione del temporale nei confronti dello spirituale. Ebbene, è proprio questa emancipazione che si ritroverà nel liberalismo.
I Papi ebbero, dunque, davvero ragione nel denunciare in questo naturalismo di ispirazione protestante l’origine del liberalismo che sconvolse la cristianità nel 1789 e nel 1848.
Così Leone XIII: «Queste audaci macchinazioni degli empi, che minacciano all’umano consorzio ogni giorno più gravi rovine e tengono in sollecita trepidazione l’animo di tutti, traggono principio ed origine da quelle velenose dottrine, che sparse nei tempi passati, quasi viziati semi in mezzo ai popoli, diedero a suo tempo frutti sì amari. Ben conoscete, venerabili fratelli, che la guerra implacabile mossa fin dal secolo decimosesto dai novatori contro la cattolica fede, [e che venne sempre crescendo sino ai sì nostri], ha per scopo d’aprire la porta ai ritrovai, e per dir più propriamente, ai deliri della ragione abbandonata a se stessa, tolta via ogni rivelazione e rovesciato ogni ordine soprannaturale» (3).
E più vicino a noi, papa Benedetto XV: «Dopo i tre primi secoli dalle origini della Chiesa, nel corso dei quali il sangue dei cristiani fecondò l’intera terra, si può dire che mai la Chiesa ha corso un tale pericolo come quello che si manifestò alla fine del XVIII secolo. Fu allora, infatti, che una Filosofia in delirio, prolungamento dell’eresia e dell’apostasia degli novatori, acquistò sugli spiriti una potenza universale di seduzione e provocò uno sconvolgimento totale con il proposito determinato di rovinare i fondamenti cristiani della società, non solo in Francia, ma, a poco a poco, in tutte le nazioni» (4).
Mons.Marcel Lefebvre (dal libro “Lo hanno detronizzato. Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.”)
1) Don Paul Aulagnier, 17 settembre 1981.
2) Trois Réformateurs, p. 25.
3) Enciclica Quod apostolici, del 28 dicembre 1878.
4) Lettera Anno jam exeunte, del 7 marzo 1917, PIN 486.
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