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sabato 3 ottobre 2020

Bonifici o malefici?

«Bonifici di Becciu agli accusatori nel processo per pedofilia a Pell»


I 700 mila euro inviati in Australia potrebbero essere stati utilizzati per «comprare» gli accusatori del rivale. Lo scrive il Corriere della sera.

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I 700 mila euro inviati in Australia attraverso alcuni bonifici frazionati potrebbero essere stati utilizzati per «comprare» gli accusatori nel processo per pedofilia contro il cardinale George Pell. È l’ipotesi degli inquirenti vaticani che rischia di provocare una nuova e clamorosa svolta dell’indagine avviata sugli ammanchi da centinaia di milioni di euro dell’obolo di San Pietro e altre disponibilità della Segreteria di Stato. Le verifiche riguardano le movimentazioni disposte da monsignor Angelo Becciu, il Sostituto costretto la scorsa settimana alle dimissioni dall’incarico di Prefetto della Congregazione delle cause dei santi che ha perso anche i diritti connessi al cardinalato. E si allargano ai dipendenti della Segreteria, ma soprattutto ai faccendieri accusati di aver portato a termine «una manovra ben pianificata per realizzare una ingente depredazione di risorse finanziarie della Segreteria di Stato che non ha eguali».

Lo scontro

La rivalità tra i prelati Pell e Becciu non è mai stata un mistero all’interno e fuori dalla Santa Sede. Tanto che nel 2015, quando Pell — allora Prefetto della Segreteria per l’Economia — parlò al meeting di Rimini della necessità di «mettere in ordine i nostri affari in modo che possano essere mostrati al mondo esterno» e annunciò che «la prossima ondata di attacchi alla Chiesa potrebbe essere per irregolarità finanziarie», molti pensarono che si riferisse proprio alla gestione dei soldi destinati agli indigenti e invece utilizzati per investimenti immobiliari. Nessuno poteva però immaginare che all’epoca Becciu e gli altri componenti della Segreteria — primo fra tutti monsignor Alberto Perlasca — si fossero affidati a faccendieri come Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi per acquistare palazzi e spostare soldi in conti esteri.

L’accusatore

E invece proprio analizzando le movimentazioni bancarie è stata trovata traccia di un bonifico partito da un deposito della Segreteria e finito su un conto Ior riconducibile a Becciu nel 2018, prima che il sostituto fosse destinato al nuovo incarico. Si è deciso così di analizzare anche quanto accaduto negli anni precedenti e sono stati scoperti altri bonifici che attraverso alcuni passaggi intermedi sarebbero arrivati, almeno in parte, a uno degli accusatori di Pell. A metà del 2017 il cardinale era stato inquisito per aver molestato sessualmente due ragazzi del coro nella sagrestia della chiesa di San Patrick, a Melbourne, al termine di una messa nel 1996. Uno dei due giovani è morto nel 2014 per overdose, l’altro ha confermato le accuse durante il dibattimento. Nonostante i dubbi e le campagne di stampa soprattutto in Australia sulla possibilità che il dibattimento fosse in realtà «una farsa», Pell è stato condannato a sei anni nel dicembre 2018 e chiuso nel carcere di massima sicurezza di Barwon. Sentenza annullata nell’aprile scorso dall’Alta corte australiana che ha liberato il cardinale ritenendo che la Corte di Vittoria ha «omesso di considerare se esistesse una possibilità ragionevole che il reato non fosse stato commesso», anteponendo così il principio fondamentale del «ragionevole dubbio». A pesare sul verdetto la rivelazione che prima di morire uno dei due coristi avesse confessato alla madre di non aver subito abusi.

Fiorenza Sarzanini

Fonte: Corriere della sera

Il giallo del bonifico da 700mila durante il processo Pell

Stando alle ricostruzioni giornalistiche, monsignor Perlasca avrebbe parlato alla magistratura vaticana di un bonifico di 700 mila euro versato su un conto australiano all’epoca del processo a Pell. L’ex Sostituto Becciu replica definendo “plateali falsità” le accuse del suo ex collaboratore alla Segreteria di Stato



Il caso Becciu, scoppiato a sorpresa nella tarda serata dello scorso 24 settembre, sembra destinato a non terminare a breve. Da più di una settimana, infatti, non passa giorno senza che ci siano presunte rivelazioni relative al periodo in cui il prelato sardo ricopriva l’incarico di Sostituto della Segreteria di Stato. Per quanto se ne sa, ad oggi l’ex Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi non risulta indagato né dalla magistratura italiana, né da quella italiana. Ma dalle indiscrezioni emerse in questi giorni sembrerebbe che il suo nome sia stato fatto ai promotori di giustizia dello Stato da un suo ex collaboratore in Terza Loggia, monsignor Alberto Perlasca.

L’ex capo ufficio amministrativo della Prima Sezione della Segreteria di Stato, indagato dalla magistratura vaticana nell’ambito dell’inchiesta sull’immobile di Londra, avrebbe cominciato a raccontare ai pm la sua versione sulla gestione disinvolta delle casse della Santa Sede. Dopo la perquisizione a casa e in ufficio effettuata dalla Gendarmeria con tanto di sequestro di documenti cartacei e apparecchi informatici, Perlasca è stato convocato dagli inquirenti ai quali avrebbe indicato le presunte responsabilità di Becciu nella spericolata gestione delle casse della Segreteria di Stato.

Da questa ricostruzione trapelata pare di capire che l’accusa di atti di peculato contestata da Papa Francesco all’ex Sostituto durante l’udienza choc del 24 settembre sarebbe proprio il risultato delle rivelazioni fatte ai magistrati dall’ex capo ufficio amministrativo della Prima Sezione. Perlasca, però, davanti allo spettro del carcere, avrebbe svelato agli inquirenti i meccanismi di quello che Massimiliano Coccia - l’autore dello scoop sull’Espresso - ha definito il “sistema Becciu”: non solo i retroscena sul bonifico di 100 mila euro alla Caritas di Ozieri e che sarebbe in realtà stato destinato alla cooperativa collegata al fratello (versione contestata dal porporato sardo in occasione della conferenza stampa tenuta all’indomani delle sue dimissioni), ma la descrizione di un metodo di esercizio del potere che avrebbe contemplato anche l’utilizzo di dossier per screditare i nemici interni.

Sono pesantissime le accuse che monsignor Perlasca avrebbe rivolto contro il suo ex superiore, ribadite addirittura in una lettera scritta direttamente al Santo Padre. Tra le dichiarazioni più gravi che l’ex funzionario della Segreteria di Stato, licenziato a maggio, avrebbe fatto alla magistratura vaticana sulla presunta condotta spericolata di Becciu ci sarebbe anche il riferimento a un bonifico di 700 mila euro fatto versare su un conto australiano in concomitanza con lo svolgimento del processo per abusi sessuali contro il cardinale George Pell.

Becciu ha contestato la veridicità delle confessioni che Perlasca avrebbe fatto agli inquirenti, dichiarando in una nota trasmessa dai suoi legali che “pur compatendolo, umanamente e cristianamente, (...) respinge decisamente ogni tipo di allusione”. Quelle del suo ex collaboratore sarebbero, secondo il prelato di Pattada, soltanto “plateali falsità”.

Perlasca, intanto, non ha smentito la ricostruzione giornalistica della sua versione data ai promotori di giustizia sulla cattiva gestione delle finanze e su quelli che Becciu, attraverso la nota emanata dai suoi difensori, ha definito “fantomatici rapporti privilegiati con la stampa, che si vorrebbero utilizzati a fini diffamatori nei confronti di alti prelati”.

D’altra parte, che Perlasca non ci tenesse a fare il capro espiatorio del pasticciaccio londinese era già chiaro dallo scorso giugno, mese in cui aveva rilasciato un’intervista a Fabio Marchese Ragona per Il Giornale sostenendo che sui “conti della Segreteria di Stato” non aveva “alcun potere di firma in quanto lo avevano solo i superiori” e anticipando il ritratto della presunta rete di finanzieri e consulenti - di cui all’epoca potrebbe aver già parlato ai magistrati nella testimonianza filtrata sui giornali in questi giorni - che sarebbe stata dietro all’operazione “opaca” di Sloane Avenue. In quell’occasione, Perlasca aveva puntato, seppur non direttamente, l’indice contro Fabrizio Tirabassi, minutante dell’Ufficio amministrativo, ed Enrico Crasso, ex dirigente della Credit Suisse e gestore delle finanze della Segreteria di Stato, ai quali avrebbe chiesto “di seguire da vicino la complessa questione” della rilevazione delle restanti quote dell’immobile londinese. E proprio Crasso e Tirabassi, in base alle ricostruzioni finite sulla stampa circa le confessioni rese agli inquirenti, sarebbero stati indicati da Perlasca come due degli ingranaggi fondamentali del presunto “sistema Becciu”.

C’è da dire che uno dei due monsignori che Repubblica ha definito “pentiti”, quel don Mauro Carlino a lungo segretario di Becciu, finito indagato per la vicenda londinese e poi licenziato dal Vaticano lo scorso maggio, ha smentito - tramite nota degli avvocati - di “aver mai fatto accuse nei confronti del cardinale, di essersi aperto con gli inquirenti dopo la radiazione dal corpo diplomatico e di essersi pentito, avendo sempre legittimamente operato”.

L’accusatore del porporato sardo, dunque, anche alla luce della replica di quest’ultimo, sarebbe il solo Perlasca. E c’è da scommettere che farà particolarmente discutere l’accusa che l’ex capo ufficio amministrativo della Prima Sezione avrebbe mosso relativamente al bonifico di 700 mila euro su un conto australiano versato nel periodo del processo al cardinal Pell conclusosi con un’assoluzione piena. Un’“allusione”, infatti, particolarmente pesante alla luce della convinzione manifestata dal porporato australiano che le sue disavventure giudiziarie in madrepatria potessero essere legate al programma di riforme finanziarie inaugurato in Vaticano ai tempi dell’incarico da Prefetto della Segreteria per l’Economia.

Dopo la notizia delle dimissioni dell’ex Sostituto, Pell è tornato alla ribalta con una dichiarazione piena di soddisfazione per “gli ultimi sviluppi”, con tanto di congratulazioni al Papa. Una reazione inusuale che ha fatto emergere pubblicamente il “contrasto professionale”, confermato in conferenza stampa da Becciu, tra i due porporati ai tempi della loro ‘coabitazione’ in Curia. Ma, come aveva affermato lo stesso cardinale australiano nella sua prima intervista da uomo libero, ad oggi non esistono prove per avvalorare la tesi dei “cannoni australiani con munizioni vaticane”.

Nico Spuntoni

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