L’ipocrisia del ministro della Salute Speranza
Sentiamo spesso in questi giorni richiami all’articolo 32 della costituzione, che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Il diritto alla salute presuppone ovviamente il diritto alla vita. Il diritto alla vita e alla salute è certamente un bene primario, che prevale sui beni economici. Sotto questo aspetto la tutela delle attività economiche di un paese è importante, perché questa attività economica dipende anche la vita e la salute della popolazione, ma è tuttavia un bene subordinato a quello della vita e della salute, perché non può esercitare attività economiche chi è morto o malato.
Entrambi i beni, quello della salute e quello del benessere economico, sono però di ordine materiale e sottomessi a loro volta a un bene superiore che li trascende, che è il bene dell’anima di ogni individuo e il bene comune spirituale di un popolo. La salvezza dell’anima è più importante della salvezza del corpo e non c’è bene materiale su questa terra, per quanto rilevante, che possa essere eguagliato al pur minimo grado di bene spirituale.
I Pastori della Chiesa dovrebbero ricordarcelo ogni giorno, ma tacciono su questo punto. La recente enciclica di papa Francesco Fratelli tutti sarebbe stata una straordinaria occasione per ricordarlo, ma purtroppo in questo documento la dimensione orizzontale della fraternità prevale su quella verticale del rapporto dell’uomo con Dio. Eppure un altro documento vaticano apparso il 22 settembre, la lettera Samaritanus bonus della Congregazione per la Dottrina della Fede, ci ha ricordato che esistono assoluti morali, che esistono atti intrinsecamente cattivi, e l’aborto e l’eutanasia sono una violazione della legge naturale, un crimine contro la vita e un attentato all’umanità.
Ma allora perché questi sacrosanti princìpi non vengono applicati alla realtà di oggi da parte della Conferenza Episcopale e dei vescovi italiani, la cui voce si è espressa in maniera flebile, per non dire inesistente a proposito di due gravissime iniziative del ministro della Salute Roberto Speranza? Mi riferisco a due atti recenti che non bisogna confondere, ma di cui la massima responsabilità va al ministro Speranza, uno di quelli che più spesso si richiamano alla tutela costituzionale della salute.
Il primo atto risale al mese di agosto, quando le nuove linee guida del Ministero della Sanità hanno stabilito che la pillola abortiva RU486 può essere assunta a fino alla nona settimana di gestazione, senza obbligo di ricovero ospedaliero. Il ministro Speranza ha detto che “È un passo avanti importante nel pieno rispetto della 194 che è e resta una legge di civiltà del nostro Paese”. Il ministro ha scritto queste parole in un post su Facebook, dove ha linkato anche unarticolo di Repubblica dal titolo “Aborto, cade l’ultimo no. Il ministro Speranza cambia la direttiva: la pillola RU486 potrà essere utilizzata senza ricovero”.
Il secondo atto, stabilito dall’Agenzia Italiana del Farmaco con la Determina n. 998 dello scorso 8 ottobre, prevede che non sarà più necessario l’obbligo della ricetta medica per dispensare anche alle minorenni la pillola EllaOne, detta la pillola dei cinque giorni dopo perché può essere assunta fino a 120 ore (5 giorni) dopo il rapporto sessuale, contro le 72 ore (3 giorni) delle cosiddette “pillole del giorno dopo”, come la Norlevo. Nei mass media Norlevo ed EllaOne, rispettivamente pillola del giorno dopo e pillola dei cinque giorni dopo, sono definite “metodi di contraccezione di emergenza” e non pillole abortive, per il fatto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è arrogata di modificare l’inizio della vita biologica, affermando che essa non comincia con la fecondazione, ma con quello dell’impianto della cellula fecondata nell’utero, che avviene qualche giorno dopo. In realtà la vita umana inizia con il concepimento e qualsiasi atto che interviene dopo l’avvenuta fecondazione è un atto abortivo, perché sopprime non un grumo di cellule ma un embrione umano nel suo primo stadio. La Norlevo e la EllaOne sono dunque pillole abortive come la RU486 e il loro uso viola gravemente la legge morale, perché porta all’omicidio di un essere umano innocente.
Il ministro Speranza rende l’aborto più facile, lo estende alle minorenni, lo sottrae al giudizio morale, privatizzandolo e lasciandolo alla coscienza fragile di non ha ancora chiara la percezione del male, anche perché né la famiglia, né la scuola, offrono più indicazioni morali chiare a questo proposito. La responsabilità primaria di questa tragica situazione è in primo luogo delle autorità, sia ecclesiastiche che politiche: le prime dovrebbero intervenire in campo morale, le seconde in campo legislativo, per arginare l’omicidio di massa e tutelare la salute, senza richiamarsi ipocritamente all’art. 32 della costituzione, per combattere quel coronavirus, il virus comunista cinese, che appare sempre di più come un castigo inflitto dalla Divina Provvidenza.
https://www.radioromalibera.org/lipocrisia-del-ministro-della-salute-speranza/
FARIA: ATTENZIONE AGLI ARLECCHINI NELLA CHIESA, SERVI SCIOCCHI….
Carissimi Stilumcuriali, l’Abate Faria è capitato – per caso, ne siamo sicuri – su una copia di Avvenire, e l’ha letto da capo a piedi, comprese le rubriche dei collaboratori. La lettura del quotidiano ha scosso in qualche modo la sua serenità naturale, e ci ha mandato un commento pepato pepato…buona lettura.
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Caro Tosatti,
ieri mattina sfogliando distrattamente il giornale già cattolico della Cei, le mie stanche pupille si sono imbattute in una rubrichina intitolata “Lupus in pagina”, firmata da un tale Gianni Gennari che mi dicono essere un ex prete di quelli che il grande Augusto Del Noce avrebbe definito “cattocomunisti”, sposato con una ex suora nonchè già presidente dell’Associazione preti sposati. Mi dicono anche che il succitato ex prete è uno dei tanti volenterosi difensori di Bergoglio, e che in tale veste di guardiano della rivoluzione si diletta nella sua rubrichina a fare le pulci ai giornali con un occhio particolarmente attento quando c’è di mezzo l’inquilino per eccellenza di casa S. Marta.
Succede però che nella foga di impancarsi ad arcigno e severo censore delle altrui opinioni, a questo lupacchiotto spelacchiato capiti sovente di scivolare nella più classica delle bucce di banana. Riuscendo in tal modo nell’ardua impresa di confermare quello che in teoria vorrebbe stigmatizzare e mettere alla gogna. Ieri, ad esempio, il nostro ex prete cui non fanno difetto eleganza e bonomia dopo aver liquidato in poche battute un paio di articoli su Libero, se l’è presa con una pacata lettera di Luca Del Pozzo, che il sottoscritto come altri lettori di questo blog ben conoscono, pubblicata qualche giorno fa sul Foglio.
Tralasciando gli apprezzamenti dell’ex prete circa la “grave ignoranza e impreparazione esibita”, e sorvolando sul cattivo gusto di far dire all’autore cose mai dette (ad esempio aggiungendo un “mortale” dopo “cortocircuito” non presente nell’originale oppure attribuendo all’autore un inesistente “scandalo” riferito all’enciclica “Fratelli tutti”) al solo scopo di rimarcare la (presunta) gravità delle affermazioni oggetto d’inquisizione, la cosa interessante è che è proprio l’ex prete in questione a confermare quanto Del Pozzo aveva sottolineato.
Il fatto cioè che dietro il modello del “buon samaritano” – proposto in “Fratelli tutti” allo scopo, secondo una lettura ultimamente riconducibile alla Scuola di Bologna, di rendere più attrattivo il Vangelo – c’è la tesi dei “cristiani anonimi” cara al gesuita K.Rahner che tanto influsso esercitò, tra gli altri, su quel Walter Kasper che tutti sanno essere teologo molto apprezzato e ascoltato dall’attuale pontefice. La qual tesi – invero assai stravagante se non altro perché non si capisce per quale motivo uno dovrebbe farsi cristiano se può salvarsi anche senza esserlo – non solo per il nostro esperto all’amatriciana non farebbe problema, ma addirittura tale “lezione di Dottrina purissima” (sic!) sarebbe rintracciabile nientemeno che nel Nuovo Testamento. Per l’esattezza, in Mt 25 e 1Cor 13.
Poichè a differenza dell’ex prete non li ricordo a memoria sono andato a leggere i succitati testi. Quello di Paolo è il celebre Inno alla Carità, mentre quello di Matteo è il vangelo della parabola delle dieci vergini, dei talenti e del giudizio finale (ops) il cui esito Gesù lega, semplifico, a ciò che si sarà o non si sarà fatto nei confronti “di questi miei fratelli più piccoli”.
Peccato che entrambi i testi che secondo l’ex prete che scrive sul già cattolico quotidiano della Cei sarebbero esemplificativi della rahneriana dottrina dei “cristiani anonimi”, sono al contrario quanto di più cristiano ci sia. Primo, perché in Paolo la caritas, che non va confusa con l’elemosina, è la carità con la “c” maiuscola stando ad indicare l’amore di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto; si tratta in altre parole di una delle tre virtù teologali che da sempre fondano l’ossatura della morale cattolica, e che – soprattutto – non può mai essere disgiunta dalle altre due, la Fede e la Speranza. Ora, pur essendo il sottoscritto un semplice fedele mi permetto di avanzare il dubbio che chi non conosce Cristo possa praticare virtù che fanno tutt’uno con il cristianesimo. O i conti non tornano. E Cristo ha patito quello che patito non perché possiamo dannarci, no, ma per un mondo più accogliente, più giusto, più salubre, più inclusivo, eccetera eccetera. Poi possiamo discutere sul fatto che non sempre i cristiani sono all’altezza del Vangelo e che un ateo o un miscredente possono essere belle e brave persone cento volte meglio di un cattolico praticante.
Ma non è questo il punto. Né sposta di una virgola quanto qui stiamo dicendo. Quanto al testo di Matteo, in particolare la parte finale che sicuramente aveva in mente l’ex prete nel mentre segnava con la matita rossa la lettera di Del Pozzo, è assodato da tempo e lo sanno pure i muri che quando Gesù parla dei “fratelli più piccoli” si riferisce, guarda caso, proprio ai cristiani. Stando così le cose, caro Tosatti, la domanda resta: secondo lei si può rendere più attrattivo il Vangelo indicando come modello un qualcosa che, in fin dei conti, non richiede l’adesione a quello stesso Vangelo che si vorrebbe fare più attraente?
Secondo me, no. Per cui delle due l’una: o non è questo – e io penso che non sia affatto questo – lo scopo dell’enciclica, che invece punta ad una fratellanza, diciamo così, della buona volontà che al limite può pure essere areligiosa; oppure lo scopo è effettivamente quello di riproporre il messaggio evangelico ad un mondo quasi del tutto indifferente al cristianesimo, ma allora il buon samaritano serve a poco e non c’è altra strada che ri-evangelizzare l’uomo contemporaneo, nella ferma convinzione che Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre. Detto ciò, mi permetta un’ultima notazione.
Anzi due. La prima: seppur microscopico, quest’ultimo episodio – ma che purtroppo già sappiamo non sarà l’ultimo – è tuttavia rivelatore del crescente nervosismo di certi ambienti e dell’aria che tira con buona pace di quanto anche di recente ha ricordato il card. Ruini a proposito di chi critica Bergoglio; secondo, se guardo indietro e confronto quello che accadeva nella Chiesa ieri con ciò che accade oggi, un dato salta agli occhi: ed è che gli ambienti dai quali oggi – parlo in generale – piovono lodi e applausi per l’attuale pontificato sono gli stessi dai quali ieri partivano attacchi a testa bassa all’indirizzo di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Con una differenza: che quando un pontefice viene criticato, per dire, dall’ala progressista è lui che sbaglia e i suoi critici santi subito; se invece il Papa riceve critiche dall’ala conservatrice allora è lui il martire e chi osa dire qualcosa un eretico.
Curioso, non trova? Oddio, non che la cosa debba sorprendere più di tanto. La storia, anche ecclesiale, è fin troppa piena di preclari esempi di gente che con estrema disinvoltura e nonchalance ha cambiato casacca. Lupi che hanno perso il pelo ma non il vizio di inarcare il sopracciglio e impartire lezioncine con la stessa spocchia di sempre. Come tanti Arlecchini qualunque, servi sciocchi del padrone di turno.
Abate Faria
Marco Tosatti
14 Ottobre 2020 16 Commenti
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