di Alberto Strumia
Immagino, o almeno spero, che non siano pochi, tra i lettori di questo blog, coloro che hanno letto libri divenuti famosi per il loro carattere predittivo, per non dire “propriamente profetico” – e addirittura “apocalittico” – dell’attuale situazione del mondo, e anche della Chiesa, come Il padrone del mondo (del 1907) di R.H. Benson, o 1984 (del 1948-49) di G. Orwell e Il racconto dell’Anticristo di V.S. Soloviev (del 1899). Meno noto è certamente un altro libro, più impegnativo per i suoi riferimenti filosofici e teologici oltre che letterari, tipici di uno studioso, ma non meno “profetico”, come Il dramma dell’umanesimo ateo di H. De Lubac (pubblicato nel 1945). Sono libri che sembrano scritti per noi oggi. Ne propongo qui un brano, tratto dal paragrafo intitolato “La Torre di Babele” nel quale l’autore segue la lettura “profetica” condotta da Dostoievski nei suoi scritti, facendosi egli stesso in qualche modo profeta con lui. Per alleggerirne la lettura, densa di elementi anche piuttosto “tecnici”, ho estratto dal testo, senza alterarle, quelle parti che mi sono sembrate ben leggibili e cariche di giudizi e indicazioni per i nostri giorni. Ho inserito anche, in parentesi quadra, qualche mia breve annotazione per facilitare alcuni riferimenti agli accadimenti dei nostri anni.
Ecco il testo. «L’avventura che agli sguardi di tutti appare più attuale, è quella simboleggiata dalla Torre di Babele. Dostoievski adatterà l’antico simbolo biblico per esprimere l’avventura socialista [oggi fusasi con quella “liberal laicista occidentale”, come Orwell aveva previsto nel suo 1984], da lui intesa in un senso particolare. Per lui “il socialismo non è soltanto la questione operaia o quella del quarto stato, è anzitutto la questione dell’ateismo, della sua incarnazione contemporanea; è la questione della Torre di Babele, che si costruisce senza Dio, non per raggiungere i cieli dalla terra, ma per abbassare i cieli fino alla terra” (I fratelli Katamzov, I, 32).
Questa Torre di Babele, diciamolo subito, l’uomo non la può costruire da solo. Se non sarà Dio ad aiutarlo, bisognerà che intervengano i demoni. Essa sarà l’opera di veri demoni, e se questi da soli non ci riusciranno, allora altri, più realisti, si rivolgeranno segretamente al capo delle armate del male, a Satana. “La Torre di Babele resterà senza dubbio incompiuta, come la prima, dice il Grande Inquisitore. Gli uomini verranno a trovarci dopo di avere penato degli anni per costruirla, e saremo noi a portarla a termine” [il satanismo in progressiva crescita, in forme criptate, come “gioco” e “sfida”, o esplicite, attraverso le sette, i film e internet, oggi ha raggiunto giovani, gente comune, capi di stato e potentati finanziari]. Dostoievski ci propone dunque due formule di socialismo ateo, tutte e due diaboliche: l’una fa l’oggetto del romanzo I demoni; l’altra viene esposta dal Grande Inquisitore immaginato da Ivan in I Fratelli Karamazov.
I demoni. È una discesa nelle profondità più tenebrose dell’anima umana, e nello stesso tempo il gesto annunciatore in cui l’Europa leggerà il suo destino.
E quali profondità nella diagnosi! Non ci si deve però ingannare. Se egli si mostra feroce per i rivoluzionari, di cui scolpisce così bene i lineamenti, non mostra però di avere maggiore pietà per il mondo che questi fanno crollare; “meno di qualunque altro, ha scritto Berdiaev, egli si farebbe il difensore del vecchio mondo borghese; nello spirito, egli è rivoluzionario, ma vuole una rivoluzione con Dio e con Cristo” (Les sourses et les sens du communism russe, 116).
C’è qualche cosa nella sua anima che cospira perfino con quei demolitori da lui esecrati, e la visione apocalittica che sorge dinanzi a lui, non prende tutta la sua sostanza dagli orrori vissuti di cui si informa: essa procede pure dalle sue “disposizioni apocalittiche”.
I socialisti rivoluzionari sono gli eredi dei liberali che alla scuola dell’Occidente sono diventati atei. “Annientare Dio”, questo è il primo punto del loro programma, la prima parola d’ordine che essi diffondono con i loro fogli di propaganda. Poi tirano le conseguenze di questo ateismo: non contentandosi di una vaga fede nel progresso, essi intraprendono la costruzione di una umanità senza Dio. Sono logici. Ma dove li condurrà questa logica?
La prima fase del loro lavoro è distruttiva: distruzione della vecchia società, soprattutto distruzione di tutto quello che derivava dalla fede in Dio. Non solo il cielo viene vuotato, ma l’uomo viene sconsacrato. Più nulla in lui deve richiamare una origine trascendente ed un destino sacro. Bisogna cacciare tutti i sogni, ed allora sulla base della scienza, si potrà mettersi a costruire un nuovo edificio, si potrà organizzare il benessere della umanità.
Si tratta sempre della famosa Torre. Ma una volta che l’uomo si sia liberato di Dio, sarà poi libero di fatto? Quelli che vogliono procurare la sua felicità, capiscono molto presto che la dovranno procurare suo malgrado.
Tra i congiurati uno solo ha seriamente riflettuto al problema; uno solo ha concepito un piano completo per ciò che dovrà tener dietro alla rivoluzione. Il suo sistema è semplice ed egli lo riassume in questa formula: “partito dalla libertà illimitata, sono arrivato al dispotismo illimitato”.
Che si divida dunque la umanità in due parti. Un decimo avrà sugli altri nove decimi una autorità assoluta. Questa è la condizione necessaria per instaurare il Paradiso. Senza dubbio, come gli viene suggerito, sarebbe ancor più logico di sterminare questi nove decimi; allora non resterebbe altro “che un pugno di gente istruita, che organizzandosi secondo i principi scientifici, vivrebbe felice per sempre”. Questa idea non ha che un difetto: è troppo difficile a mettersi in pratica.
Dostoievski con questo intende suggerirci “che i sistemi sociali fuori delle basi cristiane, la sola sorgente capace di trasformare l’uomo, diventano fatalmente dei sistemi di violenza e di schiavitù”.
I fatti hanno forse mostrato che la sua convinzione non era arbitraria!
Ma egli pensava inoltre che l’esperienza non poteva essere spinta fino in fondo. Alla base della impresa, c’è ancora troppa utopia! Supponiamo infatti la vecchia società sia abolita e che incominci ad edificarsi la nuova: “ne risulterebbero tali tenebre, un tale caos, qualche cosa di grossolano, di così cieco ed inumano, che tutto l’edificio crollerebbe sotto le maledizioni della umanità, prima ancora che fosse finito di costruire” (Diario di uno scrittore, I, 348).
I fratelli Karamazov. A questo punto entra in scena il Grande Inquisitore. Costui, l’uomo che suscita una fede frenetica nel gregge che disprezza e che ha il potere spaventoso di fare rinnegare Gesù da parte di quegli stessi che un’ora prima l’acclamavano, appartiene ad una famiglia spirituale ben diversa da quella dei nostri rivoluzionari. Egli non ha mai dato ricetto nel suo cervello al minimo atomo di utopia; non incomincia col sognare “liberazioni”. Volendo lui pure il bene dell’umanità, egli ne conosce fin da principio le condizioni; ne pone nettamente l’antitesi: libertà o felicità. Al Cristo egli rimprovera precisamente di avere avuto fiducia nell’uomo: perché imporgli quel fardello intollerabile della libertà? Le sue osservazioni taglienti sono nella memoria di tutti: “Tu hai concessa la libertà agli uomini, invece di confiscarla: avevi dunque dimenticato che, alla libertà di scegliere tra bene e male, l’uomo preferisce la pace, fosse pure la pace della morte?… Tu ti facevi dell’uomo un’idea troppo alta; egli è schiavo, benché sia stato creato ribelle!… L’inquietudine, il dubbio, l’infelicità, ecco il guadagno degli uomini liberati dalle tue sofferenze…”. Se il Cristo ha fallito, se è così comunemente rinnegato, maledetto, non accusi che se stesso: “Tu volevi essere amato di un amore libero; tu hai dunque preparata la tua rovina…”. E di fronte a questo verdetto, le fiere dichiarazioni: “Noi abbiamo corretta la tua opera… [e oggi siamo diventati i “correttori dell’opera di Cristo”, anche nella Chiesa…] Gli uomini si sono rallegrati di essere di nuovo condotti come un branco… Noi ci siamo dichiarati i padroni della terra…”. Il sistema del Grande Inquisitore non si arresta alla costrizione esterna ma asservisce le anime. In grazia sua gli uomini trovano “un depositario della loro coscienza”.
La “grave preoccupazione di scegliere” è loro ormai risparmiata; non hanno più né da pensare, né da volere. Neppure in faccia alla morte, avranno la rivelazione del loro destino: è prevista la loro eutanasia spirituale [oltre a quella del corpo]. Per essere felici, essi sono totalmente alienati. Ora la Torre può essere eretta; le fondamenta sono solide. L’Inquisitore ha scavato fino alle radici dell’essere, ed ha estirpato ogni germe perturbatore. Egli, senza nulla perdere della sua calma sovrana, ha fatto alleanza con Satana, “lo Spirito terribile ed intelligente, lo Spirito della negazione e del nulla, lo Spirito profondo, eterno, assoluto”. È il profeta del nulla, ed è ciò che costituisce la sua forza terribile. Egli solo può riuscire, perché egli solo ha l’audacia di affrontare Dio, come la sua vivente antitesi; cos’è infatti Dio se non un creatore di libertà? Egli solo ha dunque il diritto di dire al Cristo, quando questi vuole ancora venire ad immischiarsi nelle faccende di questo mondo: “Perché ci vieni a disturbare?”. Egli solo può proclamarsi l’Anti-Cristo.
Il pensiero dominante di Dostoievski è che uccidendo Dio nell’uomo, si uccide con ciò stesso l’uomo. Ma le cose sono ancora meno semplici, poiché se ogni tragico è eliminato “dal gregge umano”, non segue che sia lo stesso per i suoi capi:
“Tutti i milioni di esseri così saranno felici, salvo un centinaio di migliaia [oggi nel “mondo globale” ne bastano molti di meno: quelli che detengono i poteri economico-finanziari, i capi dei grandi stati e i capi delle grandi religioni, compreso quello della Chiesa cattolica]; salvo noi, i depositari del segreto. Poiché noi saremo infelici; i felici si conteranno a milioni di milioni [felici perché ottusi e inconsapevoli] e ci saranno centomila martiri della conoscenza, esclusiva e maledetta, del bene e del male…”.
In verità quale destino più tragico del destino di questi artefici della menzogna e della schiavitù, che con tutta la lucidità vedono il niente a cui conducono gli uomini, verso cui essi stessi si avviano? Il Grande Inquisitore con il partito che associa al suo segreto ed alla sua opera combina assieme il tipo del “socialista” e il tipo del superuomo, quali sono stati abbozzati negli altri romanzi; due volte ateo – cioè sempre contro Dio –, due volte, per conseguenza, contro l’uomo: negli altri ed in se stesso. Se questa figura è la più impressionante, è pure la più profetica tra tutte quelle che sono state generate dal genio di Dostoievski. Poco importa lo scenario su cui l’ha collocata. Egli credeva veramente, noi lo sappiamo, che il “cattolicismo romano” avesse “venduto il Cristo in cambio del regno della terra” [il paragone con i nostri ultimi anni è raccapricciante, ma “inevitabile”!].
Ma quel socialismo del Grande Inquisitore non rassomiglia affatto a quello che la storia già gli mostrava nei suoi primi protagonisti, né a quello che aveva descritto ne I demoni, prendendo le mosse dai terroristi russi. È notevole il suo carattere positivista. Il Grande Inquisitore ed i suoi associati sembrano essere fratelli di quei “servitori della Umanità” sognati da Comte; “degni ambiziosi” che “si impadroniscono del mondo sociale non per diritto alcuno, ma per dovere evidente”, per poter organizzare l’“ordine finale” [oggi tutto questo è il “Nuovo ordine mondiale” massonico, è il tanto predicato (nella politica come anche nella Chiesa) “nuovo umanesimo”, è quello che vediamo accadere “intorno” e ormai anche “addosso” a noi].
Anche il potere che instaurano, si presenta come fosse anzitutto l’opera di una volontà di potenza. Quelli che la realizzeranno sono una razza di Dominatori.
Per stabilire l’ordine nuovo, essi pensano dapprima al loro dominio: “Noi ci siamo dichiarati i dominatori della terra” [mediante l’ideologia: sociale, ecumenista, pagana, ambientalista, naturalista, panteista, ecc.]; bisogna che essi portino a termine la loro conquista: “noi raggiungeremo il nostro scopo, saremo Cesare, il nostro regno sarà deificato”; solamente in seguito essi si occuperanno dell’umanità che disprezzano ed ingannano: “Noi allora penseremo alla felicità universale”. Non annunciano essi forse il “tempo del disprezzo”? Ma profezia non è previsione; è anticipazione spirituale.
Questo profeta conviene leggerlo secondo lo spirito di ogni profezia, e, pur senza rinunciare alla speranza di trovarvi dei segni che ci aiuteranno a interpretare il nostro tempo, ricordarci che egli ci trasmette un genere di verità di cui nessuna realizzazione storica può esaurire il senso.
Secondo il Grande Inquisitore, l’umanità è tormentata da un bisogno di unione universale, e se tutti l’accolgono con riconoscenza, è perché tutti trovano in lui non solo un padrone, non soltanto un depositario della loro coscienza, ma ancora “un essere” che fornisce loro i mezzi di unirsi per non fare più che un grande formicaio. Dostoievski sa che questo bisogno si trova di fatto nel cuore dell’uomo. Ma egli sa anche che il “formicaio”, il “grande formicaio uniforme” non lo soddisfa affatto. Il fatto si è che non c’è unione degna di questo nome che tra persone, e non c’è persona senza libertà, come non c’è libertà senza Dio. Le bestie del branco non sono unite affatto. La legge di un mondo che rifiuta Dio è una legge di frazionamento e di isolamento completo, tanto più marcata quanto più stretta è la rete formata dai legami sociali. “In questo secolo tutti sono frazionati, ognuno si allontana dai suoi simili, ed allontana i suoi simili da sé; invece di affermare la loro personalità, tutti cadono in una solitudine completa”; così “gli sforzi degli uomini non sboccano che al suicidio totale”. “Questo isolamento terribile un giorno finirà certamente”, ma quel giorno sarà il giorno in cui il segno del Figlio dell’Uomo apparirà in cielo…
Al messianismo terrestre, Dostoievski oppone dunque l’apocalisse cristiana; ai sogni di un paradiso collocato nell’avvenire umano, la speranza del Regno di Dio. Conosciamo le interpretazioni di un troppo facile conservatorismo, che sul piano politico e sociale ha potuto accogliere un tale pensiero. Ma ora questo non ci interessa. Non sfuggiremo una verità per paura dei suoi abusi, o per diffidenza delle condizioni psicologiche che hanno potuto favorire il suo sbocciare. Così pure non si tratta qui di adesione, ma di intelligenza, e Dostoievski non può essere compreso che in profondità.
Dostoievski denuncia l’utopia socialista ancora sotto un altro aspetto. Questa Torre di Babele, supposto che un giorno si innalzi, che alla fine essa offra una dimora abitabile, in nome di che cosa mi si può costringere oggi a seppellirmi nelle sue fondamenta? Ogni generazione vale come un’altra, e la città futura non potrebbe mai interessarmi, come invece mi interessa un Regno eterno…
Non ci sono sarcasmi, non invettive, ma una tenerezza commossa e triste, che fa pensare al pianto di Gesù sulla città di Gerusalemme, in così vivo contrasto con la violenza dei testi apocalittici.
Ora è venuta “la bonaccia e gli uomini sono rimasti soli, come volevano: la grande idea di un tempo li ha lasciati; la grande sorgente di energia che finora li ha alimentati e riscaldati si è ritirata, ma ora è l’ultimo giorno dell’umanità. E tutto ad un tratto gli uomini hanno compreso che sono rimasti completamente soli, hanno sentito bruscamente un grande abbandono di orfani”. Divenuti orfani, che faranno essi se non serrarsi gli uni contro gli altri, prendersi le mani, sapendo ormai che essi sono tutto gli uni per gli altri? Con Dio, anche l’immortalità li ha abbandonati. E per questo “tutto quel grande eccesso di amore” che era orientato verso l’aldilà, troverà forse ora il suo oggetto sulla terra? Non lavoreranno essi tutti gli uni per gli altri, consolandosi a vicenda, ciascuno facendosi tutto a tutti?
In altra parte egli ha visto cosa diventano gli uomini orfani; ha visto un flagello inaudito abbattersi sull’Europa: “Certi esseri parassiti, esseri microscopici di una specie nuova [oggi abbiamo un virus cinese; e poi che cosa dobbiamo aspettarci? Un microchip che ci pilota nel pensare e nell’agire?], avevano fatta la loro comparsa, eleggendo il loro domicilio nel corpo delle persone. Ma questi animaletti erano spiriti dotati di intelligenza [artificiale?] e di volontà [di chi li ha fatti programmare in nome del potere?]. Gli individui che ne erano affetti, diventavano all’istante pazzi furiosi. Ma mai, mai gli uomini si erano tanto creduti così in possesso della verità quanto credevano di esserlo quegli afflitti. Mai avevano tanto creduto alla infallibilità dei loro giudizi, delle loro conclusioni scientifiche, dei loro principi morali e religiosi. Villaggi interi, città e nazioni intere ne erano contaminate e perdevano la ragione. Tutti erano in angoscia, e non si comprendevano più gli uni gli altri [il relativismo è la nostra Torre di Babele. E quando la verità è ridotta a opinione essa non si impone più per la sua evidenza o la sua razionalità, ma viene imposta come ideologia in un “pensiero unico” da chi ha il potere del momento]. Ognuno credeva di possedere da solo la verità (la sua opinione) e di discernere ciò che era il bene ed il male. Non si sapeva chi condannare, chi assolvere [in queste condizioni il peccato non è più una colpa personale, ma viene scaricato sulle “strutture”. Questo è il marxismo nascosto nelle nostre apparenti democrazie stataliste. Ma oggi, finalmente, non è più affatto nascosto, se non agli occhi degli ingenui, o dei suoi complici]. Gli uomini si uccidevano gli uni gli altri, sotto l’impeto di una collera assurda [sono i delitti di oggi, domestici come in strada, per futili motivi, efferati nei modi e nelle conseguenze, perché satanici nella loro origine]. Scoppiarono incendi, poi fu la fame… La pestilenza faceva strage e si propagava sempre più. In tutto il mondo soltanto alcuni potevano essere salvi: erano i puri e gli eletti, predestinati a rinnovare la terra; ma nessuno in nessun posto faceva attenzione a quegli uomini, nessuno ascoltava la loro voce” (Delitto e castigo, II, 557). [È un piccolo resto del popolo cristiano che, nascostamente, in piccoli gruppi, non senza l’intervento di Dio, salva la ragione e la fede].
No, gli uomini orfani non hanno accolto nobilmente la loro disgrazia, e questa è assolutamente senza rimedio [chi oggi, potente o povero diavolo che sia, sa imparare dagli avvenimenti/avvertimenti che lo circondano, dalle calamità, dalle prove eccezionali di ogni genere, del nostro tempo? Nessuno!]… Tuttavia…
“Non ho mai potuto fare a meno di Lui. Non potevo non vederLo alla fine, in mezzo agli uomini divenuti orfani. Egli veniva verso di loro, tendendo le braccia, e dicendo: “Come avete potuto voi dimenticarmi?”. Allora una specie di velo cadrebbe dagli occhi di tutti e risuonerebbe l’inno entusiasta della nuova ed ultima risurrezione…” [solo l’intervento diretto di Cristo potrà rimettere ordine nelle coscienze degli uomini e aprire loro gli occhi su se stessi, sugli altri, su tutta la realtà creata, su Cristo unico Salvatore, ristabilendo il “giusto rapporto” tra l’uomo e Dio Creatore]».
(H. De Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo, Morcelliana, Brescia 1979, pp. 259-268)
Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari.
fonte: albertostrumia.it
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