Una liturgia in retromarcia. Le modifiche al nuovo Messale
Parliamo della terza edizione italiana del Messale Romano di Paolo VI. Sì, perché c’è anche il Messale Romano più antico di San Pio V che non è stato mai abolito. Ma questo è un tabù! Dai vari cambiamenti introdotti nei testi eucologici si evince una mentalità teologica e una scelta interpretativa di parte, che non sempre collimano con la fede della Chiesa nella sua interezza. La Sacrosanctum Concilium, da cui scaturisce il nuovo messale, viene letta con un approccio restrittivo di Papa Francesco, secondo il quale la riforma liturgica scaturita dall’ultimo Concilio è irreversibile. Si guarda solo avanti ma con la retromarcia innestata.
Non è in discussione la validità della S. Messa ma la sua comprensione alla luce di riforme su riforme che invece sembra mirino a farne smarrire il vero significato nei fedeli.
P. Serafino M. Lanzetta
Avvento, apriamo il cuore a Gesù che bussa
Come san Giovanni Battista preparò i sentieri alla venuta del Messia, atteso da quattromila anni, così le quattro settimane di Avvento sono occasione per ricevere Gesù, adesso, nella nostra vita. Il Signore bussa sempre alle porte dei nostri cuori e accoglierlo oggi significa gioire pienamente con Lui alla fine dei tempi. L’Avvento ci chiama alla purificazione attraverso la preghiera e una sincera confessione, che ci riempiono della grazia di Cristo.
Il Tempo di Avvento è, soprattutto, una stagione di preparazione per mezzo della purificazione. Le parole di San Giovanni Battista - in un vero senso, il santo del Tempo di Avvento - che esprimono la sua missione nel mondo spiegano il significato del cammino di Avvento: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i Suoi sentieri!” (Mt 3:3). Così come San Giovanni Battista ha preparato i sentieri alla venuta del Signore al mondo del tempo, così anche le quattro settimane di Avvento sono la nostra preparazione per un benvenuto pieno al Signore nella nostra vita adesso, cosicché saremo pronti a darGli il benvenuto finalmente e pienamente il giorno della Sua venuta nella gloria alla fine dei tempi.
La preparazione prossima della venuta del Signore fatta da San Giovanni Battista ha portato a compimento quattromila anni di preparazione per la venuta del Messia, l’Unto del Signore, da parte del Popolo di Dio. Questa lunga preparazione è cominciata con la Colpa Originale di Adamo ed Eva, e la promessa del Salvatore da parte di Dio: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3:15). Durante le settimane di Avvento, noi ci uniamo con i nostri fratelli del Popolo di Dio che hanno aspettato e tanto desiderato la venuta del Messia, del Salvatore. Nella Sacra Liturgia, ascoltiamo la Parola di Dio, dataci attraverso i Profeti, con la quale Dio Padre ha ispirato e nutrito la speranza del Suo Popolo in attesa, fino al giorno dell’Incarnazione di Dio Figlio per la nostra eterna salvezza, l’Incarnazione Redentiva.
Durante il Tempo di Avvento, uniamoci in modo del tutto speciale alla Beata Vergine Maria, il più perfetto fiore del Popolo di Dio, che Dio ha preparato fin dal suo concepimento a ricevere il Messia nel suo grembo al momento della Sua venuta nel tempo. Chiediamo la sua intercessione, perché possiamo imitare la sua purezza di cuore, facendo i nostri cuori sempre più disposti a ricevere Cristo alla Sua venuta nella nostra vita, soprattutto per la Santissima Eucaristia, il Pane Celeste che è veramente il Suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità.
CRISTO BUSSA ALLE PORTE DEI NOSTRI CUORI
Dom Prosper Guéranger, O.S.B., il rinomato commentatore della Sacra Liturgia vissuto nel XIX secolo, scrive del Tempo di Avvento con queste parole:
«Nei giorni dell’Avvento, il Salvatore va a bussare alla porta di tutte le anime, in una maniera ora sensibile, ora nascosta. Viene a chiedere se hanno posto per lui, affinché possa nascere in loro. Ma, benché la casa che egli chiede sia sua, poiché lui l’ha costruita e la conserva, si è lamentato che i suoi non l’hanno voluto ricevere (Giov. 1, 11), almeno nella loro maggioranza. “Quanto a quelli che l’hanno ricevuto, ha concesso loro di diventare figli di Dio, e non più figli della carne e del sangue” (ibid. 12, 13)». (Prosper Guéranger, L’Anno liturgico, Vol. 1, Avvento e Natale, tr. P. Graziani [Alba (Cuneo): Edizioni Paoline, 1956), p. 41).
L’Avvento è veramente un tempo di forti grazie per la purificazione e la dilatazione dei nostri cuori così da dare più pienamente il benvenuto al Signore Gesù nella nostra vita.
La descrizione dell’Avvento di Dom Guéranger richiama alle nostre menti la visione di San Giovanni Apostolo ed Evangelista, nella quale il Signore parla alle sette Chiese dell’Asia Minore, della Sua venuta alla fine dei tempi. Il Signore esorta i Suoi figli al pentimento per i peccati e al riaccendersi del Suo amore nei loro cuori. Sì, le parole del Signore naturalmente generano paura, quello che la Chiesa chiama santa paura o Timore di Dio. È un timore che ci risveglia a riconoscere che viviamo come se Gesù non venisse nel mondo e nel nostro cuore, e che ci spinge a prendere la via della riforma del nostro modo di vivere. Non è una paura che ci porta alla disperazione, perché il Signore stesso ci assicura:
«Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).
Il Signore sta sempre bussando alla porta del cuore, talvolta in modi drammatici, ma sempre nel modo usuale per il quale Egli ci viene incontro nella Chiesa, cercando il nostro amore, desiderando di stabilire la Sua dimora con noi.
PURIFICHIAMO I NOSTRI CUORI PER RICEVERE IL SIGNORE
La prassi della penitenza e, soprattutto, la confessione dei nostri peccati e la loro assoluzione per la grazia di Dio nel Sacramento della Penitenza stanno al cuore della nostra preparazione di Avvento. Come possiamo meglio preparare i sentieri del Signore ai nostri cuori se non pregando con maggior fervore e mettendo in pratica atti di mortificazione per i quali il Signore libera le nostre menti dalle distrazioni e i nostri cuori dagli affetti sbagliati?
La nostra preghiera e penitenza durante il Tempo di Avvento raggiungono la loro pienezza e, allo stesso tempo, sono sostenute per il nostro regolare incontro con il Signore nel Sacramento della Penitenza. Con la confessione dei nostri peccati, che siano grandi o che siano piccoli, ci purifichiamo e dilatiamo i nostri cuori, cosicché Cristo possa prender più pienamente la Sua dimora con noi e in noi. Con l’assoluzione dei nostri peccati nel Sacramento della Penitenza, Nostro Signore ci viene incontro e abita con noi, assistendoci ad abbracciare il lavoro di riparazione, cosicché la Sua misericordia e il Suo amore si radichino sempre più profondamente nei nostri cuori.
Una buona e sincera confessione dei nostri peccati, perciò, richiede che la persona “deve confessare al sacerdote tutti i peccati gravi che ancora non ha confessato e di cui si ricorda dopo aver accuratamente esaminato la propria coscienza” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1493). Tale confessione deve essere integrale, nel senso che i peccati gravi devono essere confessati secondo la loro specie e il loro numero. Se non fosse così verrebbe meno l’affrontare la nostra colpevolezza con onestà e il cercare il perdono di tutti i peccati di cui siamo consci.
Non siamo obbligati a confessare i peccati veniali, ma fa bene farlo, perché anche le mancanze piccole inibiscono il regno totale di Cristo nei nostri cuori. Non renderci conto dei nostri peccati veniali può facilmente condurci a peccati più gravi. “Sebbene non sia in sé necessaria, la confessione delle colpe veniali è tuttavia vivamente raccomandata dalla Chiesa” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1493).
Cristo viene a bussare alla porta dei nostri cuori ogni giorno e ogni momento di ogni giorno. Egli desidera fare la Sua casa con noi per sempre. Riceviamo le grandi grazie del Tempo di Avvento, nel quale siamo entrati, cosicché i nostri orecchi siano disposti a sentire il bussare di Cristo e le nostre menti e i nostri cuori siano disciplinati a dare un più sentito e pieno benvenuto a Lui nella nostra vita.
Raymond L. Burke
https://lanuovabq.it/it/avvento-apriamo-il-cuore-a-gesu-che-bussa
L’Avvento e il senso della storia.
Quando Gesù tornò la prima volta, cioè quando risuscitò – poiché era veramente morto, e niente è un “andar via” tanto quanto la morte; perciò se uno risuscita vuol dire che davvero torna da un altrove remoto e irraggiungibile – tutti i suoi pensarono che ormai era fatta. Il mondo come l’avevano conosciuto fino a quel momento, con tutte le sue brutture, il tempo e la storia erano finiti lì: “con la resurrezione, è tutto passato, ora si inaugura il regno di Dio, e sarà una bellissima festa che durerà per sempre”. Questo pensavano tutti, e avevano ogni ragione per pensarlo, perché, dopo che uno è risorto dai morti, che cos’altro può mai succedere? Che cosa si deve aspettare ancora?
Noi facciamo fatica a rendercene pienamente conto, ma le origini del cristianesimo furono quanto mai drammatiche perché avvennero nel segno di una doppia, terribile crisi: i primi seguaci di Gesù risorto dovettero subire un duplice shock cognitivo, se così posso dire, che li mise in crisi, li destabilizzò e li fece iniziare a litigare. Il primo è l’annuncio che no, il mondo finora conosciuto, il tempo e la storia non sono affatto finiti e il glorioso ritorno di Cristo con il suo incontrastato dominio sull’universo ci sarà, ma non si sa quando (ed è come quando la serata tanto attesa è “rinviata a data da destinarsi”). Il secondo è il superamento, per ordine divino, della cultura della separazione in cui, in ossequio alla Legge (sempre divina!), essi come ebrei erano vissuti fino a quel momento. Lasciamo stare, ora, questo secondo colpo e riflettiamo un attimo sul primo.
Se leggiamo il racconto delle vicende successive alla morte di Gesù in Luca 24, non si può non restare colpiti da un dato temporale: tutta la faccenda sembra risolversi nel giro di poche ore. «Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino» (24,1), le donne si recano al sepolcro, non trovano il corpo e hanno la visione di «due uomini» che annunciano loro che Gesù è risorto. Vanno subito a raccontarlo «agli Undici e a tutti gli altri» (24,9) che restano increduli, ma Pietro «corre» al sepolcro, lo trova vuoto e torna a casa pieno di stupore. «In quello stesso giorno» (24,13) avviene l’apparizione del Risorto ai due discepoli di Emmaus, i quali, dopo aver risconosciuto Gesù, verso sera, sempre dello stesso giorno, «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme» (24,33) per riferire agli altri l’accaduto. «Mentre essi parlavano di queste cose», quindi sempre alla fine di quella giornata, «Gesù in persona apparve in mezzo a loro» (24,36), suscitando inizialmente spavento nei discepoli, che lo prendono per un fantasma, e per convincerli mostra le mani e i piedi feriti e mangia del pesce arrosto davanti a loro. Dopo di che, spiega ai discepoli il senso della sua passione, morte e resurrezione e che cosa accadrà da quel momento in poi: «nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi sarete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto. Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo» (24,47-51). Fine. È tutto qui, in una manciata di ore.
Voi, cos’avreste pensato e cosa avreste fatto a quel punto? Quello che pensarono e fecero gli apostoli e gli altri che erano con loro: «tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio» (24, 52-53, fine del vangelo di Luca). “Se ha detto di restare a Gerusalemme ad aspettarlo, sarà questione di qualche giorno, ma torna e mette tutto a posto Lui. L’avete sentito, no? Tutto il mondo si convertirà e riceverà il perdono dei peccati e noi saremo testimoni di questo miracolo. Poi sarà il paradiso in terra. C’è solo da star qui ad aspettarlo”. Questo si son detti, e questo hanno fatto, per scoprire però poco dopo che le cose non stavano affatto così.
Luca, a mio avviso, è il più importante autore del Nuovo Testamento perché non ha scritto soltanto un vangelo, come gli altri tre suoi colleghi, ma ha composto un’opera in due parti, di cui la prima parla di Gesù e la seconda tratta dell’inizio della sua chiesa. È il vero perno del Nuovo Testamento, perché è l’opera che ci permette di farne una lettura cattolica, cioè in buona sostanza che ci permette di essere cattolici. All’inizio del secondo libro, egli ci informa che il Risorto «si mostrò [agli apostoli] vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio» (Atti, 1,3). In apparente contrasto con quanto ci era parso di capire dal suo steso vangelo, ora apprendiamo che il tempo della convivenza tra Gesù risorto e gli apostoli è ben più lungo delle poche ore di cui sopra, ma soprattutto ci viene messo a tema in modo molto più dettagliato ed esplicito il problema di che cosa deve succedere dopo l’ascensione del Risorto al cielo. Il pensiero inespresso dei discepoli è sempre quello di prima (“ormai è fatta”) e dopo quaranta giorni assume ormai la forma di una domanda esplicita, forse condita di una punta di impazienza: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?» (Atti, 1,6).
La risposta deve averli sconcertati (come al solito), e probabilmente non l’hanno nemmeno ben capita, tanto era lontana dalle loro attese: c’è voluto quantomeno tutto il tempo della prima generazione cristiana per metterla faticosamente a fuoco e farsene obtorto collo una ragione: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (Atti, 1,7-8). Si noti che queste sono le ultime parole di Gesù, il quale subito dopo averle proferite prende su e se ne va (1,9: «fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo». Praticamente come un’altra morte, dal punto di vista della nostra carne). E mentre gli apostoli stanno ancora col naso all’insù, a bocca aperta, a fissare il cielo inebetiti, arrivano «due uomini in bianche vesti» che li rimproverano di star lì a perder tempo («a guardare il cielo») e li informano che Gesù «tornerà (ἐλεύσεται) allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (1,11).
Tornerà, ma quando? Un giorno. Ma intanto la storia è riempita di senso, e il senso è anche un compito: si noti la diversa prospettiva in cui lo stesso processo è presentato in Lc 24,47-48 e in Atti 1,8: nel primo testo la conversione del mondo con il perdono dei suoi peccati è una pre-visione, nel secondo è un comando. Nel vangelo, gli apostoli, ancora ingenuamente convinti che sarà per domani o dopodomani, si aspettano di essere testimoni di un grandioso spettacolo (è la pre-visione di una tele-visione, se così possiamo dire); negli Atti cominciano a capire di essere stati investiti di un compito, che non si sa quanto durerà, ma con la promessa di una forza divina che li assisterà e con la certezza del successo finale.
La storia, ripeto, ora si riempie di senso, e questo senso è la missione della chiesa. Si riempie di senso anche l’attesa, che non è più dunque una pia finzione, una sorta di esercizio mentale in cui dovremmo immaginare che debba ancora accadere ciò che è già avvenuto, cioè l’incarnazione del Figlio di Dio e poi la sua resurrezione, ma è l’attesa del tutto reale di qualcosa che effettivamente deve ancora accadere, il ritorno glorioso di Cristo e la sua definitiva presa di possesso del mondo. Diversamente dai primi discepoli, noi però sappiamo che non è per domani, né per dopodomani. A dire la verità, sappiamo solo che non sappiamo per quand’è, ma vorremmo – tanto più in questo inizio di Avvento 2020 – avere un po’ della loro santa, infantile impazienza: “Signore, fa presto! Dai, vieni non tardare! Vieni e rimetti a posto tutto, che qui non funziona più niente!
La risposta già la conosciamo: “avete la forza dello Spirito Santo che è scesa su di voi; siatemi testimoni (cioè martiri) a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”.
https://leonardolugaresi.wordpress.com/2020/11/29/lavvento-e-il-senso-della-storia/
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