Rilancio un interessante articolo, ben fatto e documentato, salvo su un punto, riportato nel blog La falsa morte, il nome del cui autore non è dato conoscere.
Quello che si può osservare all’autore dell’articolo è che oggi, a differenza del passato, certi “sviluppi” del magistero ordinario sembrano avvenire più “nei fatti” e in concreto, che nella formale dottrina, il tutto facilitato dalla presenza dei media, in particolare dei social. Si pensi alle famose frasi dette da Papa Francesco: “chi sono io per giudicare” o a “Quello che dobbiamo creare è una legge sull’unione civile. In questo modo [le coppie omosessuali] sono legalmente coperti. Io mi sono battuto per questo”. Quello che conta, insomma, sembra essere la prassi, l’”avvio di processi” che potrebbero portare a sviluppi nel lungo periodo. Un tempo, come riportato nell’articolo, certe posizioni venivano discusse e giudicate alla luce della Scrittura. Oggi, invece, la Scrittura sembra essere passata in secondo piano rispetto alla pastorale e alla fraternità…
«cum Petrus senescente mundo non senescat, sed sicut aquila renovetur virtus eius»
«mentre il mondo invecchia, Pietro non invecchia, bensì rinnova i suoi poteri come l’aquila»
“Oh hai sentito l’ultima del Papa?”
“No che ha detto?”
“Ha detto che” [qualsiasi cosa su qualsiasi argomento in qualsiasi forma a qualsiasi destinatario]
“Ma che davvero?”
“Eh già proprio così.”
“Ma insomma cioè a me questa cosa non è che convince proprio tantissimo.”
“Se l’ha detto il Papa è vero.”
“Vabbè però.”
“Vabbè però niente. Se siamo cattolici dobbiamo crederci. Il Papa è infallibile.”
“Ah dobbiamo.”
“Eh sì dobbiamo.”
“Allora mi adeguo.”
Questa, in estremissima sintesi, è come non funziona l’infallibilità del Papa.
Non funziona così.
Il Concilio Vaticano I. La Relazione di Gasser. 1° condizione: soggetto. 2° condizione: oggetto. 3° condizione: atto. La condizione assente: la coscienza del Papa. Il dottor Stranamore ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare il Papa.
Quest’anno se ne sono accorti in pochi, praticamente solo gli addetti ai lavori perché il resto del mondo era affaccendato in altre bazzecole tipo una stramaledetta pandemia, eppure tra una cosa e l’altra in questo fantastico 2020 siamo arrivati al 150° anniversario del Concilio Vaticano I, il Concilio che ci ha dato due splendidi dogmi:
- Dei Filius: l’esistenza di Dio può essere conosciuta con la sola forza della ragione (questo è il mio preferito tra tutti i dogmi, poveretto, è quello meno conosciuto…);
- Pastor Aeternus: il Papa è infallibile quando parla “ex cathedra”.
Qualcosa mi dice che in questo momento storico l’argomento merita, perciò parliamo dell’infallibilità.
Nella Chiesa si è sempre saputo che “in qualche modo” il Papa è infallibile, ma fino al 1870 non c’era certezza unanime su come la cosa funzionasse. Grossomodo le scuole di pensiero che fino a quella data si confrontavano sull’argomento erano:
- il Papa è infallibile solo quando si esprime d’accordo con tutti i vescovi: conciliarismo ([1]);
- il Papa è infallibile anche senza un Concilio, ma solo a certe condizioni: diciamo subito che alla fine è questa la tesi dogmatizzata;
- il Papa è sempre e comunque infallibile: ultramontanismo ([2]).
A un certo punto, Pio IX decide di chiudere la questione una volta per tutte e proclamare dogmaticamente l’infallibilità del Papa; nonché, per superare le obiezioni dei conciliaristi, di farlo appunto in un Concilio. Pertanto convoca il CV1, il quale ci regala i suddetti dogmi, dopodiché il 20 settembre 1870 arrivano i bersaglieri, Pio IX decide di sospendere i lavori, e caro Stato della Chiesa ti dico addio e grazie per tutto il pesce.
E dunque Pastor Aeternus, un documento di poche parole… sembra impossibile, ma una volta per leggere un documento ecclesiastico ce la si poteva cavare con una paginetta fronteretro… insegna così:
«Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa.
Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema.»
Con grande scorno dei conciliaristi, il Papa dice (in un Concilio) che non ha bisogno del Concilio per insegnare infallibilmente; tuttavia, con delusione degli ultramontanisti hardcore, il Papa afferma di essere infallibile soltanto ([3]) quando parla ex cathedra. Ma che significa ex cathedra?
Il documento ufficiale più rilevante è sicuramente la Relazione tenuta l’11 luglio 1870 da Monsignor Vinzenz Gasser, membro della Commissione che coordinava i lavori dei partecipanti al Concilio ([4]); io ne ho letto la traduzione in inglese nel libro “The Gift of Infallibility”, edito da quei tosti gesuiti della Ignatius Press. Non mi risulta sia mai stata fatta una traduzione professionale italiana; questa è una mia opinabile traduzione di quello che mi pare il cuore della questione ([5]):
«3° Nota bene. È chiesto in che senso l’infallibilità del Romano Pontefice sia “assoluta”. Io rispondo ed ammetto apertamente: in nessun senso si può dire che sia assoluta, perché l’infallibilità assoluta appartiene solo a Dio, che è la prima ed essenziale verità, e che non può né ingannare né essere ingannato. Tutte le altre infallibilità, in quanto trasmesse per uno scopo specifico, hanno i propri limiti e le proprie condizioni a cui devono sottostare.
Questo vale anche per l’infallibilità del Romano Pontefice. Infatti, la sua infallibilità è vincolata da certi limiti e condizioni. Quali siano queste condizioni non dovrebbe essere dedotto a priori, bensì dalla stessa promessa ovvero manifestazione di volontà fatta da Cristo. Ora, quali sono le conseguenze per queste condizioni derivanti dalla promessa di Cristo fatta a Pietro ed ai suoi successori? Egli promise a Pietro il dono dell’inerranza nella relazione di Pietro con la Chiesa Universale: “Tu sei Pietro, e su questa roccia io costruirò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16:18) “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle” (Gn 21:13-17). Pietro, posto fuori da questa relazione con la Chiesa Universale, non trasmette ai suoi successori il carisma della verità che viene dalla sicura promessa di Cristo.
Dunque, in realtà, l’infallibilità del Romano Pontefice è ristretta:
1. in ragione del soggetto, cioè quando il Papa, assiso sulla cattedra di Pietro, centro della Chiesa, parla in qualità di pastore universale e supremo giudice;
2. in ragione dell’oggetto, cioè quando si tratta di materie di fede e di morale;
3. in ragione dell’atto stesso, cioè quando il Papa definisce cosa deve essere creduto o rigettato da tutti i fedeli.»
Insomma l’infallibilità del Papa è subordinata a queste tre condizioni. Se non sono rispettate tutte e tre, no infallibilità.
Ora umilmente io mi applico, da fedele raziocinante a cui il Signore non ha dato una testa solo perché ci mettesse sopra il cappello, a ragionare intorno a ciascuna di esse.
“quando il Papa, assiso sulla cattedra di Pietro, centro della Chiesa, parla in qualità di pastore universale e supremo giudice”
La cosa interessante di questa condizione, specie per i cattolici del XX e XXI secolo, è che qua non si dice semplicemente che chi parla debba essere proprio lui il Papa. E grazie tante, di chi altro stiamo a parlare. Fosse solo questa, la condizione sarebbe tautologica dunque inutile.
Il punto è un altro: qui rileva non tanto l’identità fisica del singolo Tizio o Caio che è stato eletto Papa, bensì il fatto che egli stia parlando proprio come Papa, nella qualità di Papa, mentre esercita le sue specifiche funzioni “sulla cattedra di Pietro”; quella che Gasser chiama “persona pubblica” ([6]):
«La personale infallibilità del Papa non appartiene al Romano Pontefice in quanto persona privata, neppure in quanto dottore privato; in quanto tale egli è uguale a tutti gli altri dottori privati, e (come notava il Caetano) gli uguali non hanno potere sugli altri uguali, specialmente quel genere di potere che il Romano Pontefice esercita sulla Chiesa universale.
Ciò che invece difendiamo è l’infallibilità della persona del Romano Pontefice, non come individuo ma come persona pubblica, cioè capo della Chiesa nella sua relazione con la Chiesa universale. Infatti non si deve dire che il Papa è infallibile semplicemente per l’autorità del papato, bensì perché egli è certamente e indubbiamente soggetto alle direttive dell’assistenza divina. Ma egli usufruisce dell’assistenza divina promessagli, che gli impedisce di errare, solo quando realmente ed attualmente esercita il suo dovere di supremo giudice e pastore universale della Chiesa.
Dunque, la sentenza “il Romano Pontefice è infallibile” non è falsa (poiché Cristo ha promesso questa infallibilità alla persona di Pietro ed ai suoi successori) ma è incompleta, perché il Papa è infallibile solo quando con un solenne giudizio definisce un problema di fede o di morale per tutta la Chiesa universale.»
Per esempio, i tre libri storici scritti da Ratzinger “Gesù di Nazareth” non erano documenti provenienti dalla cattedra di Pietro: lì l’autore non agiva in quanto persona pubblica Benedetto XVI, ma solo in quanto individuo e dottore privato Joseph Ratzinger ([7]).
Insomma, Cristo ha dato l’infallibilità a Pietro non come favore personale a Pietro, ma come aiuto per tutti gli altri; non è per il Papa, è per noi. Ciò che a noi interessa primariamente è la persona pubblica del Papa, il Papa nel momento in cui agisce nell’esercizio delle sue specifiche funzioni ([8]); la persona privata ci interessa soltanto in secondo luogo e soltanto nella misura in cui influenza quella pubblica ([9]).
“quando si tratta di materie di fede e di morale”
Dai che questa è facile: il Papa è infallibile solo quando parla di questi due argomenti. Sebbene la precisa delimitazione delle suddette materie non sia sempre facilissima ([10]), tutti quanti possiamo intuitivamente comprendere la differenza con questioni fondamentalmente diverse, tipo:
- se il sole giri attorno alla terra o viceversa;
- se il riscaldamento globale esista davvero, e nel caso quanto sia dovuto a cause naturali o umane;
- quale sia il limite di stranieri che una nazione può accogliere senza innescare l’autodistruzione etnica;
- auto a benzina, diesel, metano, elettrica, a pedali, a cazzotti, ibrida;
- se sia più buono il pandoro o il panettone;
- se il fuorigioco c’era o non c’era;
- che cavolo succede nell’ultimo film di Christopher Nolan;
- eccetera eccetera.
Queste ed altre simili questioni non possono mai formare oggetto di magistero infallibile, pertanto, se pure per ipotesi il Papa si esprimesse su tali argomenti stando “sulla cattedra di Pietro” (cioè nell’esercizio ufficiale delle sue funzioni, es. in un’enciclica), esse resterebbero sempre e comunque sue opinioni private e personali; non sarebbero coperte dall’infallibilità e il popolo fedele potrebbe dissentire nei modi più opportuni.
“quando il Papa definisce cosa deve essere creduto o rigettato da tutti i fedeli”
Questa è la condizione più rigorosa. Il Papa, per parlare ex cathedra, deve anche esprimersi in un certo modo, che deve essere definitorio, obbligatorio e universale.
● DEFINITORIO: una definizione, etimologicamente, è qualcosa che indica dove “finisce” un significato. Questo è molto importante perché una definizione per sua natura deve essere univoca, non equivoca; chiara, non ambigua. Se il Papa si esprime in modo vago, se dice una “x” che non si capisce bene se voglia dire “a” oppure “z”, allora questa non è una definizione, dunque non è coperta da infallibilità: come posso essere vincolato a credere qualcosa, se non si capisce neppure che cosa?
(se poi si presenta l’interprete di seconda e terza mano… il chierico, il giornalista, il guru da social media… il quale con vasta retorica ci spiega che quella parola significava proprio questo e non quest’altro, allora gli si può rispondere gentilmente che l’interpretazione autentica non ce la deve dare lui, ce la deve dare il Papa; e fino a quando ciò non accade, l’interprete di seconda e terza mano può andare ad accomodarsi da quella parte)
Nelle sedute del CV1 emerse la preoccupazione che questo requisito fosse troppo vago, perciò qualcuno propose di codificare una vera e propria formula giuridica: se il Papa vuole usare l’infallibilità, deve pronunciare proprio queste e non altre parole. La proposta fu respinta perché, qualsiasi formula si voglia codificare, se in passato i Papi hanno usato l’infallibilità senza usare la formula, allora essa non era veramente necessaria. Gasser spiega il concetto con un ragionamento logicamente serrato che si conclude con una frase assai poetica che mi è piaciuta tantissimo ([11]):
«Alcuni dicono: i giudizi dogmatici del Pontefice sono infallibili, dunque definiamo la forma che deve essere usata dal Pontefice in tali giudizi. Ma questa proposta non può essere accettata perché qui non stiamo trattando qualcosa di nuovo. Già migliaia e migliaia di giudizi dogmatici sono stati emessi dalla Sede Apostolica ([12]); dov’era la legge che prescriveva la forma da osservare?
Forse alcuni diranno: se non abbiamo una legge, facciamone una. Ma con questo ricadremmo in quella già condannata teoria che riteneva il Concilio superiore al Papa. Inoltre, di che utilità sarebbe una legge del genere? Non sarebbe completamente inutile, perché inverificabile dai fedeli e dai vescovi sparsi per il mondo? ([13]) Infine, sarebbe assai pericolosa perché offrirebbe l’opportunità di innumerevoli obiezioni infondate ed ansietà.
Dunque, lasciamo che Pietro si regoli da solo in accordo con le parole di Nostro Signore, perché mentre il mondo invecchia, Pietro non invecchia, bensì rinnova i suoi poteri come l’aquila.»
L’originale latino dell’ultimo periodo merita proprio di essere letto così come nacque nella mente dell’autore:
«Ergo cingat Petrus semetipsum iuxta verbum Domini nostri Iesu Christi, cum Petrus senescente mundo non senescat, sed sicut aquila renovetur virtus eius.»
Concetto davvero bello e profondo e potente.
Anche ci fu chi espose l’obiezione opposta (N.B. questa cosa che Gasser doveva parare i colpi da entrambi i fronti, conciliaristi e ultramontanisti, è molto istruttiva), ovvero che la stessa parola “definire” fosse troppo giuridica e restrittiva dei poteri del Pontefice. Per rispondere a questa obiezione, Gasser tornò sull’argomento il 16 luglio 1870 ([14]):
«Sembra che la parola “definire” sia di ostacolo per alcuni dei reverendi padri, che nelle loro osservazioni l’hanno completamente eliminata oppure sostituita con un’altra parola, es. “decretare” o qualcosa di simile, oppure hanno detto simultaneamente “definisce e decreta”, eccetera. Ora spiegherò in poche parole come la parola “definire” debba essere intesa secondo questa Commissione.
Infatti, questa parola non dovrebbe essere intesa in senso giuridico, nel senso in cui essa significhi mettere fine ad una controversia che è sorta rispetto all’eresia o alla dottrina di cui si sta propriamente parlando “de fide”. Piuttosto, la parola “definisce” significa che il Papa, direttamente e definitivamente, pronuncia la sua sentenza su una dottrina che riguarda materie di fede o morale, e lo fa in modo tale che ciascun fedele possa essere certo del significato inteso dalla Sede Apostolica, ovvero dal Romano Pontefice; in tal modo, infatti, lui o lei sa per certo che la tale o talaltra dottrina è ritenuta dal Romano Pontefice come da considerarsi eretica, oppure prossima all’eresia, oppure certa od invece erronea, eccetera.
Questo dunque è il significato della parola “definire”.»
Qui Gasser dice una cosa bellissima, su cui non serve neppure spendere tante parole: la chiarezza. L’importanza di usare parole tali che tutti, non solo gli addetti ai lavori, possano capire se il significato di una parola è il tale o il tal altro.
(e magari ci fosse stato un Gasser in Vaticano anche novantacinque anni dopo)
● OBBLIGATORIO: qualcosa che è presentato ai cattolici come vincolante. Oh amico, io te lo dico, se vuoi essere cattolico, allora devi proprio credere che questo sia vero o falso; se non ci credi, pazienza e amici come prima, ma sappi che stai fuori dalla Chiesa e non dire che non ti avevamo avvisato.
(va da sé che questo esclude a priori tutto ciò che venga presentato, con una formula che oggi va molto di moda, come “pastorale e non dottrinale”; e dunque, a qualsiasi cosa venga presentata sotto questa elegante formula, si può sempre obiettare che no scusa, guarda, ma io non ci credo, e se me lo vuoi far credere allora sai che facciamo, riparliamone quando me lo presenti come dottrinale punto e basta)
● UNIVERSALE: qualcosa che vale per tutti i fedeli. Il che è ovvio, perché se una cosa è vera o falsa, lo è oggettivamente. Non basta che il Papa faccia un’affermazione a Tizio o Caio, a un suo amico, a un ristretto gruppo di persone, a una comunità locale; deve essere un’affermazione espressamente rivolta alla Chiesa universale. E siccome l’universalità è non solo nello spazio ma anche nel tempo, ad essere vincolata non è solo la generazione di fedeli vivente al tempo in cui è fatta la definizione, ma anche tutte le generazioni a venire. Cioè l’insegnamento deve essere definitivo.
Un esempio concreto. A mia scienza, l’ultima volta in cui un Papa ha usato l’infallibilità è stato quando Giovanni Paolo II il 22 maggio 1994 ha scritto la lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis che si concludeva così:
«Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa.»
Possiamo immediatamente riconoscere la sussistenza di tutte le 3 condizioni:
1° presente: il Papa l’ha scritto in una lettera apostolica, perciò nel pieno esercizio del suo ufficio;
2° presente: materia di fede;
3° presente: definizione (più chiaro di così), obbligante (“deve essere tenuta”) e universale (“in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”).
C’è ancora una condizione interessante, su cui vale la pena spendere qualche parola. Non perché si tratti di una condizione necessaria, ma al contrario, proprio perché non lo è: si tratta di una condizione proposta e rigettata. Gasser ne parla così ([15]):
«Ciononostante, alcuni dei molto reverendi padri, non soddisfatti di queste condizioni, vanno oltre e vogliono inserire in questo documento anche condizioni, che si trovano poste in diversi modi nei diversi trattati teologici, concernenti la buona fede e la diligenza del Pontefice nel cercare ed annunciare la verità.
Tuttavia queste cose, poiché riguardano la coscienza del Pontefice piuttosto che la sua relazione con la Chiesa, devono essere considerate come più legate all’ordine morale che a quello dogmatico. Infatti Nostro Signore Gesù Cristo ha specificamente stabilito che il carisma della verità non dipende dalla coscienza del Pontefice (la quale è una cosa privata, anzi privatissima, e nota solo a Dio), bensì dalla pubblica relazione del Pontefice con la Chiesa Universale; altrimenti, questo dono dell’infallibilità non sarebbe un mezzo efficace per difendere e riparare l’unità della Chiesa.
Dunque, non si deve temere che la Chiesa universale possa essere guidata ad un errore dottrinale dalla cattiva fede e dalla negligenza del Pontefice. Infatti la protezione di Cristo, l’assistenza divina promessa ai successori di Pietro, è così efficace che essa farà sì che il giudizio del supremo Pontefice sia impedito nel caso in cui questo sarebbe erroneo e distruttivo per la Chiesa; viceversa, se effettivamente il Pontefice arriva a una definizione, allora questa sarà infallibilmente vera.»
Per capire bene il contesto di queste parole bisogna ricordare che al Concilio Vaticano I non c’era solo chi voleva limitare l’autorità del Papa, ma anche chi voleva estenderla smisuratamente. Tra questi ultimi circolava la tesi di Albertus Pighius (per gli amici, Alberto Pigge o Pighi), secondo cui al Papa spetta non solo l’infallibilità, ma anche una sorta di parziale impeccabilità, ovvero il Papa non potrebbe mai cadere nel peccato di eresia. Questa tesi però è diplomaticamente scansata da Gasser, così ([16]):
«La Commissione è stata ingiustamente accusata di voler elevare alla dignità di dogma un’opinione estrema, ad esempio quella di Albert Pighius. Questa opinione, che il Bellarmino riteneva pia e probabile, era che il Papa, anche in quanto individuo e dottore privato, sia capace di errare per ignoranza ma non possa cadere nell’eresia o insegnare eresia.
Senza dilungarci sul resto, lasciatemi dire che questo appare chiaro dalle stesse parole di Bellarmino che, nel suo 4° libro, capitolo VI riferisce l’opinione di Pighius nelle seguenti parole: “può essere creduto probabilmente e piamente che il supremo Pontefice sia non solo incapace di errare in quanto Pontefice, ma che perfino come persona privata sia incapace di essere eretico attraverso la pertinace affermazione di qualcosa contrario alla fede.”
Detto questo, appare chiaro che la dottrina da noi proposta non è quella di Albert Pighius, né l’estrema opinione di un’altra scuola, ma piuttosto è la stessa opinione che il Bellarmino insegna e adduce “in quarto luogo” e proclama come la più certa e sicura.»
Qui Gasser sta parlando dell’opinione esposta e ritenuta certa da Bellarmino secondo cui ([17]):
«sia che il Papa possa, o sia che non possa essere eretico, egli non sarà mai capace di definire una proposizione eretica che debba essere creduta dall’intera Chiesa.»
Ovvero, il dogma non affronta la nota questione sulla possibilità aberrante (nel senso veramente etimologico) del Papa eretico; dogmatizzata non è l’impossibilità del Papa eretico, bensì l’impossibilità della definizione eretica.
Possiamo allora capire perché, di fronte a coloro che proponevano di aggiungere anche un’ulteriore condizione del tipo “il Papa deve essere una brava persona, deve avere buona fede e diligenza” … il fine sottinteso immagino fosse evitare eventuali ipotetici abusi da parte di un eventuale ipotetico pontefice che si fosse rivelato un po’ meno santo della media standard … a queste proposte Gasser risponde in un modo che alle nostre pie e delicate orecchie può apparire brutale, ovvero che della coscienza del Papa in fin dei conti non è che ci importa poi tanto.
Eh sì, perché ragioniamo: come facciamo a mettere una condizione legata alla buona fede soggettiva nella coscienza del Papa, se poi nella coscienza può vedere solo Dio? Diciamo che può essere infallibile solo un Papa che abbia la buona fede e sia diligente nel cercare la verità di Dio? E come facciano noi a sapere se qualcuno è veramente in buona fede o fa solo finta? Chi crede alla tesi di Pigge darà per scontato che il Papa sia in buona fede, ma la tesi di Pigge è una pia opinione a cui si può anche non credere. E allora?
E allora, ricordando quello che è stato detto guardando la 1° condizione, a noi ciò che importa non è il Papa in quanto individuo, ma il Papa in quanto persona pubblica. Questa precisazione di Gasser, questa “non-condizione”, ribadisce il concetto: quel che importa non è ciò che il Papa effettivamente pensa nel suo cervello, ma ciò che insegna ufficialmente e chiaramente.
Nota bene che Gasser nella sua Relazione non dice che non sia mai esistito in un remoto passato, e non potrà mai esistere in un remotissimo futuro, un Papa che sia in cattiva fede ed abbia negligenza nelle cose di Dio; dice piuttosto che “non si deve temere che la Chiesa universale possa essere guidata ad un errore dottrinale dalla cattiva fede e dalla negligenza del Pontefice”.
Insomma, se un Papa in privato assumesse oh-cielo-Dio-non-voglia comportanti scorretti e indegni del suo ruolo, se dovesse avere cattiva fede e negligenza, se come singolo individuo dovesse essere (tratteniamo il fiato per l’orrore) una persona cattiva… e ricordiamo che Cristo non ha mai promesso che tutti i Papi sarebbero stati brave persone… allora certo io posso dispiacermi per la sua anima, posso disapprovare moralmente il suo comportamento (almeno quella parte di esso che è visibile anche ai fedeli che lo guardano da lontano), ma devo ricordare che la cosa non ha proprio nulla a che fare con la sua infallibilità. Quello che sta nella coscienza del Pontefice lo sanno solo lui e il Padreterno, e se la vedranno quando l’uno sarà giudicato dall’altro.
Queste insomma sono le condizioni dell’infallibilità. No condizioni, no infallibilità. Benissimo.
Tutto apposto, allora?
Ni.
Resta ancora il piccolo problema di come debba comportarsi il fedele medio di fronte a un insegnamento del Papa che non solo non è infallibile, ma sorge anche il lieve sospetto che sia, in effetti, un po’ meno vero del solito.
Dunque,
il dottor Stranamore ovvero
come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare il Papa
anche quando non sono proprio 100% d’accordo con lui
Tanto per cominciare, la prima cosa è fare un respiro profondo. Fuori dall’infallibilità, il Papa può sbagliare. Gli vogliamo tutti tanto bene, ma può succedere, più o meno raramente a seconda dei casi. Eh. Non crolla il mondo. La Chiesa va avanti. È importante precisare questa cosa, perché a volte capita di farsi prendere dall’ansia e alla sola idea che eh ma qua questa cosa che ha detto non è proprio vera vengono i sudori freddi e poi panico e una sensazione di formicolio lungo le braccia e ronzio alle orecchie tachicardia oddio ma come ma no ma non è possibile e insomma la semplice ipotesi ipotetica del Papa che sbaglia sembra una specie di superbomba atomica termonucleare che distrugge tutto tipo l’ordigno-fine-di-mondo del dottor Stranamore che se succede allora BOOM è falso è tutto falso dio non esiste e ho sbagliato tutto nella vita e ho sprecato tutto è la fine del cattolicesimo la fine della Chiesa la fine del mondo la fine
No.
Calma.
Un Papa che sbaglia, fuori dalle condizioni dell’infallibilità, non dimostra la falsità del cattolicesimo; dimostra solo di avere il peccato originale. Lo sapevamo già.
Allora che fare?
#1 Esempio: il Papa non dà alcun insegnamento verbale, però dà il cattivo esempio con la pratica e/o tollera apertamente gli errori altrui.
In questo caso abbiamo un esempio storico abbastanza pesante, la contestazione fatta da San Paolo a San Pietro “mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto” (2Gal, 2:11).
(NB è molto bello che lo Spirito Santo abbia ispirato i redattori neotestamentari a menzionare apertamente l’episodio invece di nasconderlo sotto al tappeto, così mettiamo subito in chiaro certe cose, papale papale)
Senza spendere troppe parole sulla faccenda, ovviamente assai ben descritta da commentatori più dotti e autorevoli (per le spicce, il problema era se i neoconvertiti dal paganesimo dovessero o no adeguarsi agli usi alimentari ebraici), è ovvio che in quel caso si era fuori dall’infallibilità perché mancava proprio la definizione. Non è fondamentalmente diverso da quello che succede ogni volta che un Papa commette un peccato personale. San Paolo in teoria avrebbe anche potuto abbozzare per rispetto, ma immagino avesse paura che ne fosse sviata la comunità.
Col senno di poi, è molto facile dire “ah certo dobbiamo essere tutti coraggiosi e fare tutti come San Paolo” (sì sì vai avanti tu, io ti seguo immediatamente dopo, un attimo che finisco il caffè); ovviamente in realtà non è mai così semplice, perché ci sono tante variabili da considerare; la mancata contestazione può diventare cattivo esempio per taluni, ma una contestazione fatta in malo modo può anche diventare cattivo esempio per talaltri.
La mia personale opinione in questo caso è che da parte del fedele medio, per intenderci quello che il Papa lo vede solo da lontano, il criterio discriminante tra “respiro uno due tre e dico ad alta voce che ha peccato” oppure “taccio e bado ai peccatacci miei che ne ho già tanti e pure troppi” stia fondamentalmente nel rischio del cattivo esempio e dello sviamento, non tanto dei “semplici” in generale, bensì delle concrete specifiche anime della cui formazione abbiamo in qualche modo la responsabilità.
#2 Esempio: il Papa vuole proprio insegnarci qualcosa che non è né di fede né di morale.
Supponiamo che in un futuro remoto ascenda al sacro soglio un Pontefice il quale, come primo atto urbi et orbi, rediga immediatamente la seguente Lettera Apostolica:
«Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la squadra di calcio […] è la migliore del mondo, e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa, i quali devono immediatamente abiurare il proprio precedente tifo sportivo e divenire immediatamente tifosi della squadra di calcio […].»
Questa è facile. Mancanza della 2° condizione. Nota bene che questa condizione, a differenza delle altre, non è superabile; cioè, mentre se il Papa dice una cosa come persona privata in teoria poi potrebbe ridirla come persona pubblica, oppure se dice una cosa nell’oscurità poi in teoria potrebbe ridirla con chiarezza, qua c’è poco da fare: se una cosa non sta nella fede o nella morale, non è che ce la puoi cacciare dentro a forza. Non ci sta e basta.
In tal caso, possiamo serenamente dire al Papa (con tanto rispetto filiale) che la squadra di calcio […] è un club di brocchi, scarsoni, pippe e mezze pippe, e noi non abbiamo alcuna intenzione di divenirne tifosi, né lui ha il potere di comandarcelo, perché fuori dalle materie di fede e di morale egli non gode di alcuna speciale autorità.
Il successore di Pietro, ne siamo sicuri, annuirà con affetto paterno e comprensivo.
#3 Esempio: il Papa vuole insegnare qualcosa che non ci sembra tanto per la quale, però non è una cosa in apparente contraddizione con quanto già precedentemente insegnato dalla Chiesa, è semplicemente una roba che ci lascia un po’ perplessi.
Supponiamo per esempio che il Romano Pontefice, chiacchierando il lunedì mattina alla macchinetta del caffè con i suoi amici e subalterni, d’un tratto colga l’occasione per insegnare ai presenti la dottrina che Enoch ed Elia sono ancora vivi ed anzi sono proprio in mezzo a noi, qui sulla Terra, immortali in incognito, pronti a passare al momento giusto in modalità missione per conto di Dio.
(NB esiste davvero l’antica credenza che il patriarca Enoch e il profeta Elia non abbiano mai conosciuto la morte fisica, ma siano conservati in buona salute “da qualche parte” per essere giocati come carte jolly e diventare i due testimoni di cui parla l’Apocalisse 11:3, quelli che daranno filo da torcere all’Anticristo e avranno il potere di sputare fuoco dalla bocca e poi NO SPOILER)
(NBB ma è mai possibile che nessuno abbia ancora pensato a fare un fumetto o una serie su Enoch & Elia?!?)
In questo caso il giudizio non sarebbe infallibile perché, pure volendo dare per buona la 2° condizione, mancherebbero ancora la 1° (sarebbe arduo vedere qui la “persona pubblica” del Papa) e la 3° (i destinatari non sono tutti i fedeli della Chiesa, ma solo i tizi raccolti attorno alla macchinetta del caffè).
Che fare, dunque?
In linea di principio, sarebbe comunque una buona cosa rivolgere al Pontefice “non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà” (canone 752). Cioè, anche se non siamo nel magistero infallibile, oh, è comunque il Papa che sta parlando, mica un povero blogger da venticinque lettori, porta rispetto.
Tuttavia, si può dissentire anche con rispetto ed ossequio, e del resto, se fossimo necessariamente obbligati a credere anche al magistero non infallibile, allora le condizioni che ci starebbero a fare?
La soluzione migliore allora ritengo sia quella di considerare attentamente ciò che ci viene insegnato, di ritenerlo plausibile e probabile, e di dissentire rispettosamente solo nel caso e nella misura in cui noi abbiamo la personale qualità di essere particolarmente addottorati nella questione in argomento (es. il biblista ottuagenario potrebbe alzare la mano con cui non sta tenendo il caffè e obiettare con cognizione di causa che questo e quest’altro).
#4 Esempio: il Papa insegna qualcosa che sembra in apparente contraddizione con quanto già precedentemente insegnato dalla Chiesa.
Questo è sicuramente il caso più spinoso. Qua il religioso ossequio va letteralmente a farsi benedire, perché non è che per dare ragione al Papa di oggi posso tranquillamente dare torto al Papa di ieri (a questo punto allora mi metto comodo e aspetto il Papa di domani e quello di dopodomani).
Di nuovo, non c’è bisogno di inventare, abbiamo un precedente parecchio rognoso, quello di Papa Giovanni XXII (n. 1249, p. 1316, m. 1334). Chi avesse letto il nome della Rosa ricorderà forse che si tratta del Papa vivente al tempo degli eventi ivi descritti, ed anche l’episodio del suo errore dottrinale è brevemente accennato. Copio la descrizione della faccenda direttamente da Cathopedia:
Giovanni XXII sostenne l’opinione che le anime dei defunti dimoranti “sotto l’altare di Dio” (Apocalisse 6,9) non ricevessero il Giudizio subito dopo la morte ma venissero ammesse alla piena beatitudine o fossero condannate all’Inferno unicamente dopo il Giudizio Universale. Egli presentò questa sua concezione soprattutto in tre omelie: il 1º novembre e il 15 dicembre 1331 e il 5 gennaio 1332. Nella terza omelia affermò che sia i demoni che gli uomini riprovati andranno al castigo eterno dell’Inferno solo dopo il Giudizio Universale. Per avvalorare la sua concezione Giovanni XXII redasse nell’anno 1333 anche una dissertazione. Il re Filippo VI di Francia fece fare un esame dall’Inquisizione. L’esame iniziò il 19 dicembre 1333. Da parte sua anche il Papa convocò una commissione di cardinali e di teologi, che il 3 gennaio 1334 in concistoro lo indusse a dichiarare che avrebbe revocato la sua concezione se essa fosse stata trovata in contrapposizione alla comune dottrina della chiesa. Morì il 4 dicembre 1334 poco dopo aver terminato una bolla (la Ne super his) datata al giorno prima, cioè il 3 dicembre 1334, ritrovata ed emanata dal suo successore papa Benedetto XII, in cui poco prima di morire ritrattò la sua dottrina. Oggi la Chiesa cattolica ritiene che Giovanni XXII parlò esprimendo un’opinione personale e non ex cathedra.
Quanto al suo successore, Benedetto XII, praticamente la prima cosa che fece appena eletto fu chiudere subito il problema con una bella definizione dogmatica, giudizio infallibile e fine della questione, respiro di sollievo collettivo. “Mi chiamo Cefa, risolvo problemi”.
Ogni tanto qualcuno ritira fuori la storia di Giovanni XXII per argomentare che il Papa possa essere un eretico formale, cioè uno nega qualcosa che è stato definito infallibilmente. Questo però è insostenibile perché, all’epoca del fattaccio, la visione beatifica era sì radicata nella Tradizione (se non lo fosse stata, non ci sarebbe stata tutta la sollevazione clerical-popolare che ci fu), ma non era ancora ufficialmente dogma, semmai lo diventa proprio a seguito di questa vicenda.
(NB questo è proprio il modo in cui di solito nasce la maggior parte dei dogmi; ci sono tanti elementi della Tradizione che sono de fide tenendam e sono sempre stati creduti da tutta la Chiesa, ma non sono dogmi, proprio perché a nessuno è mai passato per l’anticamera del cervello di metterli in discussione, non ancora almeno)
Certo, il fatto che la visione beatifica non fosse ancora dogma non ci autorizza ad archiviare la cosa fischiettando e minimizzando. La verità è che c’è poco da girarci intorno, qui il Pontefice aveva preso una cantonata immane, contraddicendo pesantemente, non so, mille anni di Tradizione? Non riesco neppure lontanamente ad immaginare quanto possa essere stato doloroso per i fedeli dell’epoca, i quali ovviamente per prima cosa ogni mattina accendevano il pc e cercavano ansiosamente gli aggiornamenti, per poi andare a litigare sui social media medievali scannandosi tra guelfi e ghibellini. Meno male che noi siamo cristiani migliori.
Sulla base delle suesposte condizioni, è facile concludere che l’insegnamento di Giovanni XXII fosse non infallibile, forse per mancanza della 1° condizione (omelie e dissertazioni non sono atti esclusivi della cattedra di Pietro), ma soprattutto e sicuramente per mancanza della 3°, perché il Pontefice non presentò mai la sua balzana idea come obbligatoria ed universale. Forse avrebbe anche voluto farlo, ma incontrò una così grande resistenza nella Chiesa che non si arrischiò mai a sganciare la bomba, e alla fine ritrattò (spontaneamente o “spintaneamente” che fosse, come abbiamo detto, poco importa: della coscienza interna del Papa ce ne cale fino a un certo punto). Oggi possiamo provvidenzialmente vedere in quelle circostanze la mano dello Spirito Santo, che noi sappiamo assistere sempre il Romano Pontefice, anche quando tale assistenza significa concretamente mettergli il freno a mano e impedirgli di andare irreparabilmente a sfasciarsi con tutta la barca.
Pertanto, la mia personale opinione su cosa fare nel caso ipotetico ipoteticissimo ipoteticissimissimo in cui il Papa dovesse insegnare non infallibilmente qualcosa che sembra essere in apparente contraddizione con quanto già precedentemente insegnato dalla Chiesa, è che il fedele medio, che volesse essere fedele non solo al Papa presente ma anche a tutti quelli passati, debba trovare il modo rispettoso e adeguato per dire pressappoco qualcosa del tipo:
“benissimo, Santo Padre, allora provate a insegnarlo in una forma che rispetti le condizioni dell’infallibilità, e vediamo se Dio lo permette”.
E dopo questo standoff, delle due l’una:
- o Dio lo permette, e allora l’insegnamento è vero e il fedele medio aveva torto, cioè l’apparente contraddizione con gli insegnamenti precedenti era appunto apparente e non reale;
- oppure Dio non lo permette, e finché ciò perdura, il fedele è autorizzato a pensare che l’insegnamento è falso e la contraddizione è reale.
Se poi il Pontefice, pur senza mai arrivare a un giudizio infallibile (perché qualcosa-chissà-che-cosa lo tira sempre per la veste e glielo impedisce), insiste e persevera a dare giudizi non infallibili, allora va bene, pace e amen: il Papa sbaglia, prendiamone atto, preghiamo per lui, offriamo digiuni e penitenze per lui, amiamolo filialmente e soprannaturalmente
(NB questa cosa che oggi volere bene a una persona significa dirle “hai ragione” anche quando ha torto è una delle cose più disastrose della nostra epoca)
dopodiché chiediamo a Dio di ravvederlo prima o poi, fosse pure l’ultimo giorno della vita sua, come appunto fu nel caso di Giovanni XXII, nonché, detto proprio brutalmente, di aiutarci ad aspettare nella miglior disposizione d’animo l’arrivo di un Papa successivo e possibilmente migliore del precedente. Eh a una certa ci sta pure questa.
Perché ricordiamo che, come diceva Gasser buonanima, mentre il mondo invecchia, Pietro non invecchia, bensì rinnova i suoi poteri come l’aquila.
NOTE
[1] La forma estrema di conciliarismo, che riteneva l’autorità di tutti i vescovi uniti in Concilio addirittura superiore a quella del Papa, era già stata confutata dal V Concilio Lateranense del 1517; tuttavia perdurava una forma moderata anche detta gallicanesimo poiché fu sostenuta soprattutto dai teologi francesi su pressione di Luigi XIV (il Re Sole non voleva che il Papa si impicciasse troppo nei suoi affari, anche quando erano affari dei vescovi francesi).
Nei lavori del CV1, questo conciliarismo emerge spesso come proposta di subordinare l’infallibilità del Papa a una sorta di obbligo preliminare, se non di convocare un vero e proprio concilio, quantomeno di consultare preventivamente i vescovi e i teologi. Alla fine queste proposte sono bocciate, non solo per motivi teologici (l’infallibilità del Papa è “separata” da quella della Chiesa universale, cfr nota 10), ma anche pratici: sarebbe assai difficile ricostruire a posteriori se questa consultazione abbia effettivamente avuto luogo, resterebbe sempre un margine di dubbio sulla sussistenza dell’infallibilità.
Qui si vede subito la qualità ottima delle condizioni: sono chiare ed oggettive. Qualsiasi fedele mediamente informato deve essere in grado con un minimo sforzo intellettuale di riconoscere se sono o non sono presenti. Un’infallibilità incerta non è infallibilità e non serve a niente.
«L’ultramontanismo (dal latino ultra montes, “al di là dei monti”) è stato un fenomeno dei paesi europei, consistito in un atteggiamento di adesione, supporto verso colui che era “al di là delle Alpi”, cioè il Papa, sia sul piano dottrinale sia su quello giurisdizionale. Lo spazio temporale in cui si manifesta va dalla Riforma Protestante fino a tutto il XIX secolo. In teologia l’ultramontanismo indicava quella dottrina che proclamava il primato del papa sulle Chiese nazionali.»
Attualmente la parola ricorre, e così sono abituato a usarla io, per indicare quella esagerata reverenza per il Papa che lo tratta da infallibile anche oltre i limiti definiti dal dogma (cioè l’ultramontanismo estremo è diventato ultramontanismo e basta).
[3] Volendo fare proprio i pignoli, si potrebbe sostenere che il dogma non insegna che in assenza di condizioni, come dire, “constat de non infallibilitate”, bensì “non constat de infallibilitate”. Cioè (mettendomi nei panni dell’ultramontanista spinto) il dogma si limita ad affermare l’infallibilità in presenza delle condizioni, ma non esclude categoricamente l’infallibilità anche in assenza di tutte o alcune di esse.
In teoria è un discorso molto sottile ma legittimo; in pratica vedo due problemi. Il primo è che Gasser nella sua Relazione esprime proprio la tesi restrittiva; il secondo è che qualche esempio storico di epic fail ce l’abbiamo davvero (il caso più eclatante è Giovanni XXII). Perciò ritengo che questa ipotesi di allargare i cordoni dell’infallibilità, tutto considerato, non regga.
[4] L’importanza del lavoro di Gasser, che riassunse ed esaminò tutte le osservazioni alla prima bozza della Pastor Aeternus, è dimostrata dal fatto che gran parte del capitolo 25 della Lumen Gentium è preso paro paro dalla Relazione, che infatti è citata quattro volte tra le note a piè pagina. Cioè, non dico che Gasser è stato dogmatizzato pure lui, ma quasi. Karl Rahner je spiccia casa.
[5] La traduzione inglese può essere letta qui:
«(03) Note well. It is asked in what sense the infallibility of the Roman Pontiff is “absolute.” I reply and openly admit: in no sense is pontifical infallibility absolute, because absolute infallibility belongs to God alone, who is the first and essential truth and who is never able to deceive or be deceived. All other infallibility, as communicated for a specific purpose, has its limits and its conditions under which it is considered to be present.
The same is valid in reference to the infallibility of the Roman Pontiff. For this infallibility is bound by certain limits and conditions. What those conditions may be should be deduced not “a priori” but from the very promise or manifestation of the will of Christ. Now what follows from the promise of Christ, made to Peter and his successors, as far as these conditions are concerned? He promised Peter the gift of inerrancy in Peter’s relation to the Universal Church: “You are Peter, and on this rock I will build my Church, and the gates of hell shall not prevail against it …” (Mt. 16:18). “Feed my lambs, feed my sheep” (Jn. 21:13-17). Peter, placed outside this relation to the universal Church, does not enjoy in his successors this charism of truth which comes from that certain promise of Christ.
Therefore, in reality, the infallibility of the Roman Pontiff is restricted by reason “of the subject,” that is when the Pope, constituted in the chair of Peter, the center of the Church, speaks as universal teacher and supreme judge; it is restricted by reason of the “object,” i.e., when treating of matters of faith and morals; and by reason of the “act” itself, i.e., when the Pope defines what must be believed or rejected by all the faithful.»
Se poi uno volesse addirittura andare alla fonte originale in latino, contenuta nell’amplissima raccolta di Gian Domenico Mansi sugli atti dei Concili, la può leggere qui a pag. 618 del pdf (attenzione a scaricare che sono 65 MB!), trascrivo:
«3° Nota. Quaeritur in quo sensu infallibilitas pontificis Romani sit absoluta. Respondeo et ingenut fateor: nullo in sensu infallibilitas pontificia est absoluta, nam infallibilitas absoluta competit soli Deo, primae et essentiali veritati, qui nullibi et numquam fallere et falli potest. Omnis alia infallibilitas ut pote communicata ad certum finem habet suos limites et suas conditiones, sub quibus adesse censetur.
Idem etiam valet de infallibilitate Romani pontificis. Etiam haec certis limitibus et conditionibus est ad stricta, quaenam vero sint eae conditiones, non a priori, sed ex ipsa promissione sive manifestatione voluntatis Christi debet deduci. Quid iam ex Christi promissione, Petro et successor eiusdem facta, quoad has conditiones consequitur? Promisit Petro donum inerrantiae in ipsius relatione ad ecclesiam universitatem: “Tu es Petrus, et super hanc Petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversum eam…” (Mt 16:18) “Pasce oves meas, pasce agnos meos” (Gn 21:13-17). Petrus extra hanc relationem ad ecclesiam universalem positus in suis successoribus hoc veritatis charismate ex certa illa promissione Christi non gaudet. Proinde reapse infallibilitas Romani pontificis restricta est ratione subiecti, quando papa loquitur tanquam doctor universalis et iudex supremus in cathedra Petri, id est, in centro constitutus; restricta est ratione obiecti, quando agitur de rebus fidei et morum; et ratione actus, quando definit quid sit credendum vel reiierendum ab omnibus Christifidelibus. »
«The personal infallibility of the Pope must be more accurately defined in itself in the following way: it does not belong to the Roman Pontiff inasmuch as he is a private person, nor even inasmuch as he is a private teacher, since, as such, he is equal with all other private teachers and, as Cajetan wisely noted, equal does not have power over equal, not such power as the Roman Pontiff exercises over the Church Universal . Hence we do not speak about personal infallibility, although we do defend the infallibility of the person of the Roman Pontiff, not as an individual person but as the person of the Roman Pontiff or a public person, that is, as head of the Church in his relation to the Church Universal. Indeed it should not be said that the Pontiff is infallible simply because of the authority of the papacy but rather inasmuch as he is certainly and undoubtedly subject to the direction of divine assistance. By the authority of the papacy, the Pontiff is always the supreme judge in matters of faith and morals, and the father and teacher of all Christians. But the divine assistance promised to him, by which he cannot err, he only enjoys as such when he really and actually exercises his duty as supreme judge and universal teacher of the Church in disputes about the Faith. Thus, the sentence “The Roman Pontiff is infallible” should not be treated as false, since Christ promised that infallibility to the person of Peter and his successors, but it is incomplete since the Pope is only infallible when, by a solemn judgment, he defines a matter of faith and morals for the Church universal.»
[7] Ricordo di aver letto a suo tempo da retroscena giornalistici (ma non saprei confermare la veridicità e plausibilità della notizia) che l’intento iniziale dell’autore fosse quello di mettere in copertina soltanto “Joseph Ratzinger”, e che poi si sia arrivati al compromesso di entrambi i nomi solo dopo forti insistenze dell’editore, per motivi immagino squisitamente dottrinali ($$$).
A onor del vero bisogna però ammettere che, se questo aneddoto è reale, l’editore non è che avesse proprio tutti i torti, perché non possiamo realisticamente aspettarci che la distinzione tra individuo privato e persona pubblica sia immediatamente comprensibile per tutti quanti. Come minimo è una cosa che va spiegata bene ma proprio bene. Avere rispetto della fede dei semplici significa anche non pretendere da loro ragionamenti teologici troppo complessi, così come non sarebbe equo caricare la schiena di un bambino con un peso che a fatica regge un adulto.
(NB forse la cosa migliore sarebbe semplicemente che il Papa badasse a fare solo il Papa e fuori dal suo ufficio di Papa dicesse, facesse e si esponesse il meno possibile; non so però quanto questa soluzione sia concretamente praticabile)
[8] Un quesito che mi pongo, ma nella mia ignoranza non ho capito se sia già stato risolto oppure sia una questione aperta oppure sia un quesito così stupido che nessun altro se l’è neppure posto perché non vale lo spreco di neuroni, è se per “cattedra di Pietro” cioè “funzioni di pastore universale e supremo giudice” si intenda:
- in senso ampio, qualsiasi atto con cui il Papa esercita le sue funzioni;
- in senso stretto, un atto del Papa è che “del” Papa, qualcosa che può validamente fare solo lui.
Per fare un esempio concreto, le omelie del Papa rientrerebbero nella prima categoria, perché le omelie in quanto tali non sono un atto esclusivo del Papa, tutti i sacerdoti predicano dall’altare; viceversa l’enciclica (nel senso moderno del termine) rientra sicuramente nella seconda categoria.
Se questo criterio avesse un qualche fondamento, tutto il problema di una certa categoria di atti (es. discorsi, omelie, interviste, conferenze stampa… es. le omelie con cui Giovanni XXII errò sulla visione beatifica) cadrebbe subito, perché parliamo di atti che sono “dal” Papa ma non “del” Papa, non sono tipici ed esclusivi della cattedra di Pietro.
È anche possibile tuttavia che questo criterio sia veramente troppo restrittivo dei poteri del Pontefice, il quale può ben decidere il modo migliore in cui comunicare dalla cattedra di Pietro a seconda del contesto storico; tutti gli esempi storici di errore sono comunque fuori dall’infallibilità per altri motivi (es. le omelie di Giovanni XXII mancavano della 3° condizione).
Resta nel mio cervello una domanda aperta, comunque non è che non ci dormirò la notte, bisogna pure accettare di non poter sapere tutto.
[9] Bisogna però dire che c’è una complicazione molto fastidiosa che rischia di scombinare parecchio questa distinzione tra “persona privata” e “persona pubblica”. E si tratta di una complicazione oggi assume una rilevanza molto particolare, perché in quest’epoca si presenta un problema che ai tempi di Gasser non esisteva, e forse non è mai esistito prima (almeno non a questi livelli), non solo nella storia della Chiesa, ma in tutta la storia umana.
Questo problema è la sovrapposizione tra pubblico e privato, la confusione tra i due piani, in una specie di livello indistinto che non si capisce bene quanto pubblico e quanto privato. È la figura del papa mediatico (prendo a prestito questa espressione da qui), del papa che si presenta sì in pubblico, ma operando assolutamente al di fuori dagli atti tipici ed ufficiali del suo ruolo. I social media hanno solo amplificato un problema che c’era già con la radio e la tv.
Bisognerebbe allora ragionare, davvero profondamente ragionare, su quanto questo livello mediatico appartenga realmente, al di là delle apparenze e dello “show-business”, alla persona pubblica del Papa “assiso sulla cattedra di Pietro”.
[10] Tra i buoni propositi del Concilio Vaticano I c’era anche quello di dare una delimitazione precisa di cosa appartenga alla fede e cosa no, ma poi è arrivato l’esercito sabaudo e buonanotte ai suonatori. Peccato, perché in effetti un dogma qui ci avrebbe fatto proprio comodo. Gasser nella Relazione, a un suggerimento che proponeva di sostituire “materie di fede e morale” con la differente espressione “principi di fede e di morale”, risponde che non ce n’è bisogno e la butta sul facile dicendo che tanto “ogni teologo sa cosa si intende con queste parole”, e ci fa tanto piacere per tutti i teologi…
… ma per chi volesse approfondire, diciamo allora che la cosa non è proprio così facilissima. Per la nota che segue faccio grande affidamento su quanto scrive in appendice Mons. James T. O’Connor, curatore del summenzionato (e consigliato) libro “The Gift of Infallibility”.
Anzitutto, bisogna capire bene cosa si intende per infallibilità del Papa “separata” da quella della Chiesa. La prima è l’infallibilità che il Papa può esercitare da solo; la seconda è l’infallibilità della Chiesa nel suo complesso, ciò che è universalmente insegnato da tutta la gerarchia e creduto da tutti i fedeli. Dire che la prima è “separata” dalla seconda significa appunto rigettare la tesi conciliarista e riconoscere il potere del Papa di esprimere un giudizio infallibile da solo, senza bisogno di convocare un Concilio Ecumenico (il quale se è davvero “ecumenico” rappresenta l’universalità della Chiesa, dunque può esprimere infallibilmente).
Le due infallibilità, però, quantunque “separate”, hanno lo stesso oggetto, cioè appunto ciò che sta nelle materie di fede e di morale. Il dogma della Pastor Aeternus insegna che, dovunque arrivi il limite dell’infallibilità della Chiesa, là arriva anche il limite dell’infallibilità del Papa; tuttavia non insegna (avrebbe dovuto farlo quell’altro dogma che non c’è stato) esattamente “fino a dove”, in queste due materie, arrivi il limite preciso dell’infallibilità. Ci sono, come dire, zone di confine su cui la discussione non è ancora chiusa.
# fede
L’incertezza del limite nella materia di fede sta nel fatto che noi abbiamo:
- il deposito della fede in senso stretto (cfr San Paolo in 1 Tim 6:20 e 2 Tim 1:14), cioè le verità direttamente contenute nella Rivelazione (Tradizione e Scrittura);
- verità che non sono direttamente contenute nel depositum fidei, ma che sono “connesse” in quanto logicamente necessarie, perché se uno negasse queste verità, indirettamente finirebbe per negare anche le verità direttamente rivelate.
San Tommaso distingue tra verità dirette e verità indirette (Summa teologica, parte II-II, q. 11, art. 2c); Gasser, nella Relazione, descrive le verità indirette come quelle verità che
«sebbene non rivelate di per sé, sono nondimeno necessarie allo scopo di difendere pienamente, spiegare propriamente e definire efficacemente il deposito della fede»
L’esempio classico di verità indiretta (si dice anche “fatto dogmatico”) è quando la Chiesa dichiara falsa una certa eresia o filosofia, per esempio quella luterana o marxista. È chiaro che questa nozione non si trova direttamente nella Bibbia o nella Tradizione, le quali non parlano di Lutero e Marx per la banale ragione che esse furono concluse molto tempo prima che nascessero i due disgraziati; ma logicamente, siccome Lutero e Marx contraddicono ciò che è contenuto nel depositum fidei, chi dà ragione ai primi nega necessariamente il secondo.
Il problema è che ci sono altri fatti dogmatici su cui non c’è altrettanta chiarezza, perché non sempre il nesso logico “se neghi x allora neghi il deposito” è così stringente e necessario.
Per esempio, le canonizzazioni dei santi sono infallibili? La cosa non è così scontata. Se la Chiesa mi dice che San Gancillo è in Paradiso, e invece sta di fatto che il bieco Gancillo è andato un po’ più in basso; oppure se la Chiesa mi dice che San Gancillo è un esemplare ammirevole di esercizio eroico delle virtù, e invece sta di fatto che il povero Gancillo si è salvato senza squilli di tromba, perché nell’esercizio delle virtù è stato alquanto mediocre, e le agiografie come dire calcano un po’ la mano… se tutto questo succede, va bene, mi spiace tanto per la gerarchia pasticciona che ha preso una cantonata, ma in che modo questo dovrebbe contraddire logicamente e necessariamente il deposito della fede?
(sull’argomento dell’eventuale infallibilità delle canonizzazioni, cfr qui)
Oppure, prendiamo il primo esempio del mio abbozzato elenco di materie non de fide: se il sole giri attorno alla terra o viceversa. Chiaro il riferimento alla spinosa vicenda Galileo, ma siamo proprio sicuri che l’argomento non sia una verità indiretta? Oggi è facile dirlo col senno del poi, perché il geocentrismo non è “necessario” alla veridicità di certi passi biblici, tuttavia all’epoca non doveva essere così chiaro, se ci fu quantomeno il pretesto per imbastire il famigerato processo (per un buon riassunto del quale, cfr qui).
# morale
A fronte del suggerimento n. 45 il quale proponeva di sostituire l’espressione “materia di fede e di morale” con l’espressione “principi di fede e di morale” … e qui un essere umano medio potrebbe commentare che se non è zuppa è pan bagnato, ma nella teologia tutte le parole sono importanti … Gasser rigetta la proposta perché
«i principi di morale possono essere anche quei principi meramente filosofici riguardanti i beni morali naturali (“naturalis honestatis), che non appartengono al deposito della fede in ogni aspetto»
Gli è che la “materia di morale” in senso ampio include:
- ciò che è stato direttamente rivelato da Dio;
- la legge morale naturale, conoscibile anche con la sola ragione;
- le specifiche concrete decisioni che la Chiesa deve prendere su problemi di morale che non sono contenuti nella Rivelazione.
Ora, mentre la prima categoria fa direttamente parte del deposito della fede e dunque nessuna questione, sulle altre la faccenda si complica (giustamente, se una cosa non è complicata non ci piace):
- la legge morale naturale non fa direttamente parte della Rivelazione, ma rientra nelle verità indirette, perché (Dei Filius) Dio è razionale e conoscibile dalla ragione; dunque, se con la ragione posso arrivare a capire la legge morale naturale, allora negare la legge morale naturale implica negare la Rivelazione, perché il Dio conosciuto dalla ragione è proprio quello rivelato dalla Rivelazione;
- la terza categoria rientra essa pure nelle verità indirette, nella misura in cui è “necessariamente connessa” alle verità dirette; ma non sarà sempre così facile capire quando la connessione logica è effettivamente “necessaria”.
#Lo stato della questione
Del “dogma perduto”, quello che il Concilio Vaticano I non ha fatto a tempo a definire, ci restano solo le bozze di costituzione dogmatica, da cui si evince che in effetti i membri conciliari si proponevano di insegnare che
«l’infallibilità della Chiesa si estende non solo alle materie di fede e morale rivelate da Dio, ma anche a tutte quelle verità necessarie per spiegare, difendere e definire le verità rivelate.»
Il Concilio Vaticano II ha ripreso questo argomento nella Lumen Gentium, al capitolo 25 (quello che di fatto è una mezza parafrasi di Gasser), quando dice:
«Questa infallibilità, della quale il divino Redentore volle provveduta la sua Chiesa nel definire la dottrina della fede e della morale, si estende tanto, quanto il deposito della divina Rivelazione, che deve essere gelosamente custodito e fedelmente esposto.»
Concetto ripetuto nel 1973 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con la Dichiarazione Mysterium Ecclesiae:
«Secondo la dottrina cattolica, l’infallibilità del Magistero della Chiesa si estende non solo al deposito della fede, ma anche a tutto ciò che è necessario perché esso possa esser custodito od esposto come si deve.»
Tutto apposto, allora?
Ni.
Anzitutto, perché gli insegnamenti del Concilio Vaticano II si proponevano volutamente e dichiaratamente di non definire nuove dottrine: e dunque, la spiegazione sull’infallibilità della Chiesa, essendo contenuta in un giudizio di per sé non infallibile, è un cane che si morde la coda. In secondo luogo, perché dire che l’infallibilità si estende anche “a tutto ciò che è necessario”, onestamente, è un po’ poco, se poi non si specifica concretamente quando e come caspita succede che una cosa sia “necessaria” oppure no.
«030. But some will persist and say: there remains, therefore, the duty of the Pontiff – indeed most grave in its kind – of adhering to the means apt for discerning the truth, and, although this matter is not strictly dogmatic, it is, nevertheless, intimately connected with dogma. For we define: the dogmatic judgments of the Roman Pontiff are infallible. Therefore let us also define the form to be used by the Pontiff in such a judgment. It seems to me that this was the mind of some of the most reverend fathers as they spoke from this podium. But, most eminent and reverend fathers, this proposal simply cannot be accepted because we are not dealing with something new here. Already thousands and thousands of dogmatic judgments have gone forth from the Apostolic See; where is the law which prescribed the form to be observed in such judgments?
031. Perhaps someone will say: if we don’t have a law, let us make one. But let us not do this lest we run up against that already condemned law which said that the council was above the Pope. Furthermore, of what use would be such a law? Would it not be completely useless, since it would never be able to be verified by the faithful and the bishops scattered throughout the world? Even more, it would be a very dangerous thing since it would offer the opportunity for innumerable foolish objections and anxieties. Therefore, let Peter gird himself according to the word of our Lord Jesus Christ, since Peter does not grow old while the world grows old but rather renews his powers like the eagle.»
[12] Qui Gasser coglie l’occasione per rispondere a chi riteneva che il dogma fosse inutile perché il Papa aveva usato l’infallibilità pochissime volte nella storia.
[13] Oggi questa frase può sembrare superata: e che problema c’è, abbiamo il registratore!
Ricordiamo però che all’epoca di Gasser non c’era il registratore, non c’era la televisione, non c’erano i social media, non c’era il Papa mediatico e soprattutto non si concepiva proprio che il Papa “dovesse” fare gli spettacoli in mondovisione simultanea.
[14] La traduzione in inglese di questo intervento del 16 luglio 1870 (praticamente un’appendice della Relazione esposta l’11 luglio) può essere anche trovata qui:
«My second observation concerns the word ‘define’ as it is found in our Draft. It is obvious from the many exceptions that this word is an obstacle for some of the reverend fathers; hence, in their exceptions, they have completely eliminated this word or have substituted another word, viz., ‘decree,’ or something similar, in its place, or have said, simultaneously, ‘defines and decrees,’ etc. Now I shall explain in a very few words how this word ‘defines’ is to be understood according to the Deputation de fide. Indeed, the Deputation de fide is not of the mind that this word should be understood in a juridical sense (Lat. in sensu forensi) so that it only signifies putting an end to controversy which has arisen in respect to heresy and doctrine which is properly speaking de fide.
Rather, the word ‘defines’ signifies that the Pope directly and conclusively pronounces his sentence about a doctrine which concerns matters of faith or morals and does so in such a way that each one of the faithful can be certain of the mind of the Apostolic See, of the mind of the Roman Pontiff; in such a way, indeed, that he or she knows for certain that such and such a doctrine is held to be heretical, proximate to heresy, certain or erroneous, etc., by the Roman Pontiff.»
[15] Traduzione inglese:
«Nevertheless, some of the most reverend fathers, not content with these conditions, go farther and even want to put into this constitution conditions which are found in different ways in different theological treatises and which concern the good faith and diligence of the Pontiff in searching out and enunciating the truth. However, these things, since they concern the conscience of the Pontiff rather than his relation [to the Church], must be considered as touching on the moral order rather than the dogmatic order. For with great care our Lord Jesus Christ willed that the charism of truth depend not on the conscience of the Pontiff, which is private – even most private – to each person, and known to God alone, but rather on the public relation of the Pontiff to the universal Church. If it were otherwise, this gift of infallibility would not be an effective means for preserving and repairing the unity of the Church. But in no way, therefore, should it be feared that the universal Church could be led into error about faith through the bad faith and negligence of the Pontiff. For the protection of Christ and the divine assistance promised to the successors of Peter is a cause so efficacious that the judgment of the supreme Pontiff would be impeded if it were to be erroneous and destructive of the Church; or, if in fact the Pontiff really arrives at a definition, it will truly stand infallibly.»
Originale latino:
«Sed nonnulli ex reverendissimis patribus, his non contenti, ulterius progrediuntur, et volunt etiam in hanc constitutionem dogmaticam inducere conditiones, quae in tractatibus theologiens diversae in diversis inveniuntur, et quae bonam fidem et diligentiam pontificis in veritate indaganda et enuntianda concernerunt: quae proinde eum non relationem pontificis, sed in conscientiam ipsius ligent, ordini potius morali quam dogmatico accensendae sunt. Piissime enim Dominum noster Iesus Christus charisma veritatis non a conscientia pontificis, quae est uniuscuiusque res privata immo privatissima, soli Deo cognita, sed a relatione pontificis publica ad universalem ecclesiam dependens voluit; quia alias hoc infallibilitatis donum medium efficax ad unitatem ecclesiae conservandam et reparandam non esset. Sed ideo nil timendum, ac si per malam fidem et negligentiam pontificis universalis ecclesia in errorem circa fidem induci posset. Nam tutela Christi et assistentia divina Petri successoribus promissa est causa ita efficax, ut iudicium summi pontificis, si esset erroneum et ecclesiae destructivum, impeditur; aut, si reapse pontifex ad definitionem deveniat, illa infallibiter vera existat.»
[16] Traduzione inglese:
«As far as the doctrine set forth in the Draft goes, the Deputation is unjustly accused of wanting to raise an extreme opinion, viz., that of Albert Pighius, to the dignity of a dogma. For the opinion of Albert Pighius, which Bellarmine indeed calls pious and probable, was that the Pope, as an individual person or a private teacher, was able to err from a type of ignorance but was never able to fall into heresy or teach heresy.
To say nothing of the other points, let me say that this is clear from the very words of Bellarmine, both in the citation made by the reverend speaker and also from Bellarmine himself who, in book 4, chapter VI, pronounces on the opinion of Pighius in the following words: “It can be believed probably and piously that the supreme Pontiff is not only not able to err as Pontiff but that even as a particular person he is not able to be heretical, by pertinaciously believing something contrary to the faith.”
From this, it appears that the doctrine in the proposed chapter is not that of Albert Pighius or the extreme opinion of any school , but rather that it is one and the same which Bellarmine teaches in the place cited by the reverend speaker and which Bellarmine adduces in the fourth place and calls most certain and assured, or rather, correcting himself, the most common and certain opinion.»
[17] Il riferimento qui è al celebre “Disputationes de Controversiis”, epocale mattone con cui San Roberto Bellarmino mette in fila e ammazza una dopo l’altra tutte le critiche dei protestanti al papato. Di fatto il suo lavoro è stato la base su cui hanno lavorato i partecipanti al Concilio Vaticano I e infatti è citato spessissimo nei documenti conciliari. Nel 4° libro 2° capitolo, Bellarmino elenca 4 possibili opinioni sull’infallibilità del Papa:
- il Papa non è mai infallibile, è capace di insegnare eresie perfino se assistito da un Concilio (cioè totale negazione dell’infallibilità della Chiesa);
- il Papa è infallibile ma solo se lo assiste un Concilio, senza il quale invece il poveretto, come certi vecchi che guai a lasciarli senza badante, è capace pure che ti insegna delle eresie;
- tesi di Albert Pighius, all’estremo opposto: il Papa è un SUPER-EROE!!!, non ha alcun bisogno del guinzaglio del Concilio, egli non sarà mai e poi mai capace di essere un eretico o insegnare pubblicamente eresie, non solo come persona pubblica ma proprio come individuo privato;
- sia che il Papa possa, o sia che non possa essere personalmente eretico, egli non sarà mai capace di definire una proposizione eretica che debba essere creduta dall’intera Chiesa.
Bellarmino così definisce le 4 opinioni:
- eretica;
- erronea e prossima all’eresia;
- pia e probabile, ma non certa;
- certa e comunemente creduta da quasi tutti i cattolici.
NB il testo di Bellarmino (che vado personalmente a tradurre dall’edizione in lingua inglese edita da Mediatrix Press) è così:
la prima opinione è che se il Papa dovesse definire qualcosa, perfino in quanto Papa, e perfino con un Concilio ecumenico, egli può essere eretico ed insegnare l’eresia agli altri, come già accaduto in passato; questa è la tesi di tutti gli eretici del nostro tempo e specialmente di Lutero e Calvino;
la seconda opinione è che il Papa, perfino in quanto Papa, può essere eretico ed insegnare eresia, se definisce qualcosa senza un Concilio generale, come già accaduto in passato; Nilos Cabàsilas aveva seguito questa opinione nel suo libro contro il primato del Papa, e pochi altri seguono la stessa opinione; tutti costoro attribuiscono l’infallibilità di giudizio in materia di fede non al Papa, bensì alla Chiesa o ad un Concilio Ecumenico;
la terza opinione è all’estremo opposto, che il Papa non può in alcun modo essere eretico né insegnare pubblicamente eresie, perfino se definisce da solo alcune dottrine, come afferma Albert Pighius;
la quarta opinione è che in certa misura, sia o non sia il Papa un eretico, egli non può in alcun modo definire una proposizione eretica che debba essere creduta dall’intera Chiesa. Questa è la più comune opinione, creduta da quasi tutti i cattolici.
Di queste quattro opinioni, la prima è eretica; la seconda non è propriamente eretica, perché vediamo che alcuni che la seguono sono tollerati dalla Chiesa, sebbene essa sembri erronea e prossima all’eresia. La terza è probabile, ma non è ancora certa. La quarta è certissima e deve essere creduta.
Proprio la quarta opinione, come spiegato da Gasser, è quella dogmatizzata dal Concilio Vaticano I.
https://www.sabinopaciolla.com/le-condizioni-dellinfallibilita-papale/
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