ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 28 novembre 2020

La Chiesa cattolica non apparteneva a Cesare..

Cambiare il testo del Padre Nostro non corrisponde ad alcuna logica né esegetica né teologica. 

Rilancio ampi stralci dell’interessante articolo del prof. Gian Pietro Caliari, pubblicato sul blog di Marco Tosatti, che riflette su cambiamento della frase “non ci indurre in tentazione” della preghiera del Padre Nostro. 

Nel Vangelo di San Matteo, Gesù introduce la preghiera con un vero e proprio comando: Οὕτως οὖν προσεύχεσθε ὑμεῖς (oùtos oùn proseùkesfe umeìs), “Voi dunque pregate così!” (Matteo 6, 9).

Nel testo secondo San Luca, invece, la preghiera è insegnata dal Maestro ai discepoli a seguito di una precisa richiesta: Κύριε, δίδαξον ἡμᾶς προσεύχεσθαι (Kùrye, dìdazon emàs proseùkesfai), “Signore, insegnaci a pregare” (Luca 11, 1).

Imperativo e insegnamento sono ben sintetizzati dalla tradizionale monizione liturgica, che precede la recita del Pater Noster all’inizio dei riti di comunione: Praeceptis salutaribus moniti et divina istituzione formati, audemus dicere(Ammoniti dai salutari precetti e formati dal divino insegnamento, osiamo dire).

Il testo greco della preghiera, oltre che dai due Evangelisti, ci è giunto anche da un’altra fonte coeva ai Vangeli e sempre in greco.

Un breve documento di legislazione canonica del primo secolo, in uso fra le prime comunità cristiane della Palestina e della Siria, intitolato Διδαχή, Didaché.

Il più antico manoscritto greco di quest’ultimo testo è riportato nel Codex Hierosolymitanus, che ne riporta il titolo esteso di Διδαχὴ τῶν δώδεκα ἀποστόλων (didaché tòn dòdeka apostòlon): “Insegnamento dei dodici apostoli”.

Sappiamo che in Matteo 6, 9-13 il testo della preghiera, così come oggi lo recitiamo, è completo del titolo (Πάτερ ἡμῶν ὁ ἐν τοῖς οὐρανοῖς (Páter hemòn, ho en toìs ouranoìs), “Padre nostro che sei nei cieli” e delle sei petizioni che seguono.

In Luca 1, 2-4, invece, il titolo è solo Padre (Πάτερ, Pàter), e il testo lucano non riporta la terza petizione presente invece in Matteo: “sia fatta la tua volontà come in cielo e così in terra”; e tralascia anche la parte conclusiva dell’ultima petizione “ma liberaci dal male”.

Il testo del Padre Nostro che ci è tramandato dalla Didaché 8, 2 è perfettamente identico a quello di Matteo 6, 9-13, ma è completato al termine dall’eucologia: Ὅτι σοῦ ἐστιν ἡ βασιλεία καὶ ἡ δύναμις καὶ ἡ δόξα εἰς τοὺς αἰῶνας – Così di te è il regno, e la potenza e la gloria per i secoli”.

L’uso di questa formula eucologica al termine della preghiera è stato mantenuto ininterrotto nella tradizione ortodossa della Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo; mentre nella liturgia romana damaso-gregoriana (Vetus Ordo) se ne ritrova l’eco nella grande dossologia che conclude il Canone Romano.

Nella riforma post-conciliare della Santa Messa (Novus Ordo), l’eucologia della Didaché è stata introdotta non come immediata conclusione del Padre Nostro, ma dopo l’embolismo (Liberaci, Signore, da tutti i mali), che segue la recita della preghiera.

Sia il testo del Vangelo di Matteo sia quello di Luca come infine la Didaché riportano, tuttavia, coerentemente e testualmente la prima parte della sesta petizione: καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν (kaì mé eisenénkeis hemàs eís peirasmón).

I valenti traduttori della CEI, nel palese tentativo di rendere pastoralmente potabile e religiosamente corretta la preghiera di Gesù, si sono soffermati sul verbo reggente di questa proposizione che è composto dalla negazione μὴ (non) e dal congiuntivo aoristo εἰσενέγκῃς (eisenénkeis), così da formare un imperativo negativo.

Ora, comunque, la si voglia girare εἰσενέγκῃς è la seconda persona singolare del congiuntivo aoristo di εισ-φέρω (eís-fero) che significa letteralmente “indurre”, “portare verso” o “portare dentro”, in senso spaziale ma anche metaforico (Cfr. F. Zorell, Lexicon graecum Novi Testamenti, Parisiis, 1932, p. 384; e M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti graeci, Roma 1960, p. 14).

La traduzione latina della vulgata di San Gerolamo (ne nos inducas) e quella italiana (non indurci) si attengono strettamente e fedelmente al testo originale greco; mentre il nuovo “non abbandonarci” non solo introduce un verbo che non esiste nel testo originale ma rischia di distorcere il significato intrinseco dell’espressione e di deviare essenzialmente il senso teologico del testo stesso.

Il testo greco, come abbiamo visto, usa il congiuntivo negativo nella forma verbale dell’aoristo, e inoltre ripete poi due volte il suffisso εισ (eís) sia per introdurre il verbo φέρω (féro) sia per introdurre il moto a luogo εἰς πειρασμόν (s peirasmón).

Il testo latino della vulgata e quello tradizionale italiano rispettano rigorosamente tale struttura originaria, infatti recitano: “ne nos in-ducere in tentationem” e “non in-durci in tentazione”.

Un’ultima considerazione merita ancora il verbo εἰσενέγκῃς che all’aoristo appunto indica un’azione, temporalmente non determinata, concepita nella sua globalità, e non vincolata a un prima o a un dopo.

Il “non abbandonarci” sembra, al contrario, affermare che Dio ora – se volesse – potrebbe tranquillamente abbandonare il credente alla tentazione.

Così, per chi ritiene inaccettabile pensare che Dio possa “indurci” alla tentazione, dovrebbe parimenti ritenere che è cosa del tutto teologicamente fuorviante che Dio “ci abbandoni” nella tentazione!

Ora, la vera problematicità non sta nel verbo ma nel sostantivo del complemento di moto a luogo εἰς πειρασμόν (eís peirasmón), che San Girolamo traduce come tentatio e l’italiano come tentazione.

Il sostantivo πειρασμός (peirasmòs) ricorre 21 volte nel Nuovo Testamento, con una gamma di significati che vanno da una connotazione assolutamente negativa (tentazione, peccato, calamità, afflizione) a una del tutto neutra (prova, esame, tentativo).

Ad esempio, in Matteo 26, 41 quando Gesù nel Getzemani invita gli Apostoli a vegliare e pregare “per non entrare nella prova”:  “vegliate e pregate affinché non entriate nella prova” (εἰς πειρασμόν). E qui, evidentemente, Gesù si riferiva a quella prova suprema che, lui stesso stava affrontando nell’ora della sua Passione.

Nella Prima Lettera di Pietro 1,6: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove (ἐν ποικίλοις πειρασμοῖς). E qui il riferimento è alla prima grande persecuzione, che ha investito l’intero impero romano sotto Domiziano (81-96 d.C.). Un riferimento questo che, tuttavia, è inserito in una benedizione (euloghia) rivolta a Dio Padre per il progetto di salvezza attuato per mezzo della risurrezione di Cristo.

Anche il verbo, corrispondente al sostantivo peirasmòs, πειράζω (peiràzo) ricorre 39 volte nel Nuovo Testamento e anch’esso ha lo stesso spettro di significati.

Lo troviamo in Matteo 4,1: “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo” (πειρασθῆναι ὑπὸ τοῦ διαβόλου). O, nel versetto, 4,3 dove il diavolo è definito come il “tentatore” (ὁ πειράζων).

Dunque, in questo caso, si tratta di una vera e propria tentazione che proviene dallo stesso che “è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna» (Giovanni 8, 44).

Lo stesso verbo, tuttavia, è usato anche nel senso di testare e mettere alla prova in senso negativo, come in Matteo 16,1: “I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova (πειράζοντες).  E così anche in Matteo 19,3 “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova (πειράζοντες αὐτὸν)”.

In Ebrei 11,17, invece, lo stesso verbo è usato col significato di mettere alla prova in senso positivo: Per fede, Abramo, messo alla prova (πειραζόμενος), offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio”.

O nell’Apocalisse, dove la prova è intesa come via per smascherare la falsità:  “Hai messo alla prova (ἐπείρασας) quelli che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi” (2, 2).

La tentazione – è questo vale anche per l’Antico Testamento – nel linguaggio biblico esprime la pedagogia propria di Dio Padre nei confronti degli uomini: “Dio li ha provati (ὁ θεὸς ἐπείρασεν αὐτοὺς) e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là” (Sapienza 3, 5-7).

Nel libro del Siracide, infine, la prova (tentazione) suprema che il credente deve affrontare è proprio quando si presenta al cospetto di Dio per rendergli culto: “Fili, accedens ad servitutem Dei sta in iustitia et timore et praepara animam tuam ad tentationem; “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione” (2, 1).

La traduzione corrente di questo versetto del celebre libro sapienziale, la cui prima traduzione in greco dall’originale ebraico risale al 132 a.C., tralascia un dettaglio essenziale del testo greco che si chiude con questa esortazione: “ἑτοίμασον τὴν ψυχήν σου εἰς πειρασμόν”.

Ecco, figlio se ti presenti per rendere culto a Dio “prepara la tua vita (τὴν ψυχήν – ten psukén) verso la prova (s peirasmón)”.

La prova, la tentazione, l’esame che hanno come corrispettivo la correzione, il ravvedimento, il voto negativo – in caso di fallimento – e il compiacimento, il premio e il voto positivo – in caso di successo – sono gli elementi costitutivi del rapporto Padre-figli e Dio-credenti.

“Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli! Del resto, noi abbiamo avuto come correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo perciò molto di più al Padre degli spiriti, per avere la vita? (Ebrei 12, 7-9).

Ecco il Dio cristiano ci tratta  come figli e come figli che possono comprendere; non come bastardi e dementi!

La scelta compiuta da Vescovi italiani di alterare anche il testo liturgico della Oratio Dominica, dunque, non corrisponde ad alcuna logica né esegetica né teologica.

https://www.sabinopaciolla.com/cambiare-il-testo-del-padre-nostro-non-corrisponde-ad-alcuna-logica-ne-esegetica-ne-teologica/

La Chiesa cattolica non appartiene a Cesare.

“La libertà di culto è stata duramente guadagnata nel corso dei secoli. Ed è così facilmente persa o compromessa. L’attuale pandemia mette in luce una serie di problemi in cui lo spirituale passa in secondo piano rispetto al temporale. In alcuni luoghi, I night club sono aperti mentre le chiese sono chiuse. Anthony Fauci ha dato la sua approvazione per il sesso tra sconosciuti (indossando però le mascherine). Lo spirituale, tuttavia, ha la supremazia sugli incontri sociali, sugli eventi sportivi, sull’economia e persino sulla salute.”

Un articolo del prof. Donald DeMarco, pubblicato su Crisis Magazine, nella mia traduzione.  

chiese chiuse per covid coronavirus

 

I canadesi, a differenza dei loro omologhi più risoluti negli Stati Uniti, tendono ad essere rispettosi della legge, fino al punto della sottomissione. La rivoluzione non è mai stata nei geni. Quando il governo li esorta a indossare mascherine per aiutare ad alleviare la minaccia della diffusione del virus Covid-19, ci si aspetta che si adeguino, e che si adeguino senza lamentarsi.

Un parrocchiano della Columbia Britannica, tuttavia, è diventato uno che ha fatto notizia per essersi rifiutato di indossare una maschera durante la messa. Egli cita un passo delle linee guida dichiarate dalla sua Chiesa che permette eccezioni per coloro che non possono indossare la mascherina per motivi legittimi, come la salute. Il suo pastore, sostenuto dal suo vescovo, gli ha però dato un severo ultimatum: indossare la mascherina o non partecipare alla Messa. La questione sembra ancora più difficile da comprendere alla luce del fatto che la Provincia [del Canada] non ha emanato delle linee guida obbligatorie sulla mascherina. L’ufficiale della Provincia Dr. Bonnie Henry ha dichiarato che “ordinare l’uso universale della mascherina in tutte le situazioni crea inutili sfide con l’adempimento e la stigmatizzazione”. Il parrocchiano, che rimane anonimo per paura di rappresaglie, è determinato ad assistere alla messa nonostante gli ordini del clero. In apparenza, la storia appare come un conflitto inconciliabile tra sfida intenzionale e autoritarismo. Ma la superficie è per i giornali.

Il sacerdote, per non essere sfidato, ha incluso il suo parrocchiano recalcitrante in un sermone in cui ha dichiarato che il suo parrocchiano non è stato obbediente al governo non avendo indossato una mascherina e non è stato obbediente correttamente a Cesare (che cosa poco canadese!). Dopo aver letto questo sorprendente riferimento a Cesare, ho preso la mia copia de Le cose che non sono di Cesare di Jacques Maritain. Riguardo alla distinzione tra il potere spirituale e quello temporale, il Contadino della Garonna [cioè Jacques Maritain, ndr) fa il seguente commento: “Nulla è più importante per la libertà delle anime e per il bene dell’umanità che distinguere correttamente questi due poteri: nulla, nel linguaggio odierno, ha un così grande valore culturale. È risaputo che la distinzione è la conquista dei secoli cristiani e la loro gloria” (pag. 1). Maritain si riferisce a una distinzione che affonda le sue radici nella distinzione critica fatta da sant’Agostino tra la Città di Dio e la Città dell’uomo. La Città pagana rivendicava l’intero essere umano e allo stesso tempo divinizzava lo Stato. La libertà dell’anima non era di alcuno interesse.

Il sacerdote era oltre le righe nel riferirsi all’obbedienza a Cesare? Probabilmente, dato che la Chiesa cattolica non appartiene a Cesare. La triste ironia per quanto riguarda la situazione della Columbia Britannica è che il conflitto si sta svolgendo all’interno della Chiesa. Sicuramente si potrebbero fare degli accomodamenti che includano il distanziamento sociale, il lavarsi frequentemente le mani, una adeguata selezione dei posti a sedere nella chiesa, ecc. Il divieto assoluto di partecipare alla Messa sembra, in questo caso, prematuro e inutile.

La libertà di culto è stata duramente guadagnata nel corso dei secoli. Ed è così facilmente persa o compromessa. L’attuale pandemia mette in luce una serie di problemi in cui lo spirituale passa in secondo piano rispetto al temporale. In alcuni luoghi, I night club sono aperti mentre le chiese sono chiuse. Anthony Fauci ha dato la sua approvazione per il sesso tra sconosciuti (indossando però le mascherine). Lo spirituale, tuttavia, ha la supremazia sugli incontri sociali, sugli eventi sportivi, sull’economia e persino sulla salute.

L’episodio nella diocesi di Nelson della British Columbia (che si sta ripetendo in molte parti del mondo) dovrebbe ricordare a tutti noi la priorità dello spirituale, ma anche la necessità di trovare un equilibrio, e non allontanarsi dalla gentilezza e dalla comprensione. La Chiesa dovrebbe essere testimone della libertà delle anime. Le decisioni particolari nell’ordine pratico possono essere complesse e difficili, ma non possiamo dimenticare ciò che è più importante. Il rispetto delle priorità è essenziale nella risoluzione di qualsiasi controversia.  

Donald DeMarco è professore emerito dell’Università di San Girolamo e professore aggiunto presso il Collegio e il Seminario dei Santi Apostoli. È un cronista abituale della rivista Saint Austin Review e l’autore, più recentemente, di Riflessioni sulla pandemia di Covid-19: Una ricerca di comprensione.

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https://www.sabinopaciolla.com/la-chiesa-cattolica-non-appartiene-a-cesare/

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