Solo il Battesimo, solo la Redenzione dal peccato e solo l’eredità di Cristo ci rende figli di Dio. Eppure viviamo un tempo in cui non solo questo è misconosciuto, ma viene proclamata ben altra fratellanza, per fondamento e per fine, come in una sorta di “cristianesimo ateo” (già approfondito qui).
Potrebbe accadere che allo stesso modo avvenga per la santità, considerando che il mese di Novembre si apre proprio con la festività di Ognissanti. Il termine indica la devozione a tutti coloro che hanno conquistato e meritato la gloria del cielo. Tuttavia, qualcuno potrebbe intendere che sia la festività di tutti, in quanto tutti a diverso modo sarebbero santi… Così il 1 Novembre potrebbe diventare la festa di tutti gli uomini, fratelli e santi, in se stessi. È una questione di santità. Di cosa sia la santità. E a ben vedere, ne esistono sei forme, che però si escludono reciprocamente. Oltre al significato cattolico, è possibile, infatti, distinguere una forma ascetica, una forma pedagogica, una forma naturale, una forma sociale ed una forma impossibile di santità.
La prima – la santità ascetica – fa riferimento alla tradizione asiatica, che vede il mondo come illusione e fonte di dolore in sé e indica un processo interiore di auto-redenzione (diventare Buddha di se stessi), che parte dalla consapevolezza della non-sussistenza del sé (compreso se stessi), per raggiungere il Nulla, il Nirvana come Incondizionatezza assoluta. Soltanto una lettura illogica e superficiale potrebbe paragonare questa etica religiosa all’ascesi del monaco cristiano, che rinnega se stesso per Cristo (unico Salvatore), che vince con la Grazia il peccato, che domina la concupiscenza, che crede nella carnalità di Cristo e non nella illusione della materia, che aspira a conservare anima e corpo in Paradiso, senza vedere il mondo come prigione, ma semmai il teatro della battaglia contro Satana e la sua “semente”.
La seconda forma di santità – quella pedagogica – è quella che fa riferimento all’idea socratica che ogni uomo possieda in sé il bene e che debba solo avere opportuni stimoli educativi, per mostrarlo; è quella forma che fa del male non il colpevole abuso di libertà, non l’atto intenzionalmente compiuto per superbia, al fine “di farsi Dio contro Dio”, ma una fragilità o una inconsapevolezza di chi semplicemente ignora il bene: come se Adamo o Satana avessero peccato per ignoranza o ingenuità, e non per una razionale, volontaria e mortale auto-deificazione.
La terza forma è quella illuministica di Rousseau, che fa dell’uomo un selvaggio né buono né cattivo, moralmente innocente e in naturale simbiosi con se stesso e con l’ambiente (ne ho parlato qui). Questa forma di santità sarebbe quella, poi, corrotta dalla famiglia e dalla proprietà privata, dalla scienza e dalle rivoluzioni sociali e culturali. Questa forma di santità sarebbe quella da ripristinare “morendo a se stessi” per alienare la propria persona allo Stato, in una sorta di battesimo collettivista laico (come imposto col Terrore dalla Rivoluzione francese e da ogni forma di comunismo e socialismo).
La quarta forma di santità è quella sociale, che appartiene anche ad una specie di cristianesimo socialista: una forma che riduce la santità a valori secolari di altruismo e filantropia, di senso del dovere civico. Una santità mondana propria di ogni uomo e ogni donna; una santità “anonima e secolare” propria di ogni uomo che a diverso modo, con diversa spiritualità, cerca il bene di questo mondo, la solidarietà terrena e magari una certa attenzione a tematiche ambientali. Si tratta di una santità che riconduce il Sacrificio del Figlio di Dio – necessario a causa della impossibilità umana di espiare la colpa del peccato – ad un magistrale esempio di solidarietà cosmica e coerenza etica.
A queste forme si aggiunge il paradosso di Lutero. Con Lutero, infatti, ci troviamo in una vera e propria assurdità logica: il Vangelo e la Legge di Cristo sono proclamati e – allo stesso tempo – resi vani. Per Lutero infatti la santità è per definizione sempre impossibile. L’uomo è così distrutto dal peccato originale da essere irrimediabilmente condannato al male. Non solo l’uomo prima di Cristo o l’uomo sottoposto alla legge mosaica; ma anche l’uomo sotto la Grazia: perché per Lutero la Grazia non redime, non guarisce davvero la natura umana, non la rende nuovamente capace di compiere opere meritorie (senza le quali la fede è vuota, come insegna san Giacomo). Nel protestantesimo, infatti, Dio è, da una parte, solo “un Dio della coscienza umana”, che vive ed esiste solo nella esperienza di fede (motivo da cui Feuerbach per coerenza ricaverà la tesi atea della invenzione umana di Dio, come ho spiegato qui). Dall’altra, Dio è una anarchia di volontà irrazionale che decide di salvare alcuni e non altri. Questi stessi salvati non sono poi redenti, ma solo considerati giusti dal Giudice divino. L’uomo resta peccato e nient’altro che peccato: persino quello che Dio destina, per il dono arbitrario della fede, alla salvezza. La giustificazione arbitraria e anarchica della Volontà divina “si impone” sul salvato, senza che sia sua neppure l’opera di credere, giacché crede solo perché è un asino non condotto (in questo caso) da Satana, ma da Dio.
Non celebriamo la festività di nessuna di queste false santità. La santità che Dio chiede è la santità di non restare come siamo: perché siamo eredi del peccato di Adamo e perché nessuno salva se stesso, perché a nulla conduce l’interiorità se non è aperta a Cristo e solo a Cristo. Ciò che Dio ama di noi è ciò che la Sua Grazia ci rende capaci di compiere e meritare; è la conformità all’immagine e alla somiglianza attraverso cui ci ha creati, una conformità che solo la Croce e il sangue di Cristo, che ha soddisfatto ala Giustizia divina, hanno ristabilito e restituito. La santità è di coloro che con le opere hanno amato Dio conducendo questo amore – come indicava sant’Agostino – al disprezzo di sé, in quanto peccatori. La comunità dei santi è la Chiesa trionfante che attende le anime della Chiesa purgante e le anime che, appartenendo alla Chiesa militante, giungono al giorno del proprio giudizio (cioè la morte) in uno stato di Grazia, senza il quale l’unico destino non può che essere l’inferno eterno.
di Pierluigi Pavone
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