La ventilata idea di un passaporto sanitario di cui si vorrebbe dotare chi si è vaccinato, consentendo soltanto a costoro la piena libertà di circolazione, assomiglia grandemente alla iniziativa attuata dal regime sovietico quando ogni cittadino, per muoversi da una città all’altra, doveva informare l’ufficio passaporti. Sappiamo che nel regime sovietico la libertà era soppressa, e sappiamo come finì. Vogliamo diventare un nuovo paese a regime sovietico?
Rilanciamo un interessante articolo scritto da Aldo Rocco Vitale e pubblicato su L’Opinione delle libertà.
“Il controllo statale sulla popolazione urbana si attuò con l’aiuto del sistema dei passaporti, in cui veniva registrato il domicilio stabile di ogni cittadino, la cosiddetta propiska. Cambiando domicilio, il cittadino era costretto, ancor prima di lasciare la vecchia abitazione, ad informare del trasferimento il suo ufficio passaporti, collegato dalla polizia, e a registrarsi subito poi nel nuovo posto di residenza”. Così il celebre storico Victor Zaslavskij, nella sua densa e ricchissima “Storia del sistema sovietico: l’ascesa, la stabilità, il crollo”, ha descritto le limitazioni alla libertà di circolazione che le autorità sovietiche avevano imposto alla popolazione tramite la differenziazione tra “città aperte”, cioè centri urbani strategicamente irrilevanti, e “città chiuse”, cioè poli economico-industriali ritenuti strategici verso i quali e dai quali la libertà di spostamento doveva essere minuziosamente esaminata, sorvegliata, autorizzata.
La ventilata idea di un passaporto sanitario di cui si vorrebbe dotare chi si è vaccinato, consentendo soltanto a costoro la piena libertà di circolazione, assomiglia grandemente alla suddetta iniziativa sovietica e, specialmente per chi ritiene che alla indubbia pericolosità del Coronavirus non possa e non debba essere assommata la pericolosità di provvedimenti anti-giuridici che possano minare la democrazia e lo Stato di diritto (almeno in Italia e in Europa), non può che destare perplessità su almeno tre livelli: scientifico, giuridico, (bio)etico.
Dal punto di vista scientifico: poiché non è ancora dimostrata l’immunità totale e di lungo termine che il vaccino anti-Covid dovrebbe garantire, anzi semmai si paventa l’esatto contrario da parte degli studiosi, è evidente che una tale limitazione della libertà di circolazione non sarebbe scientificamente fondata o fondabile come alcuni erroneamente ritengono. Dal punto di vista giuridico: la limitazione della libertà personale, per Costituzione, può essere prevista soltanto per brevi periodi, soltanto dalla legge (e quindi in ogni caso non potrebbero essere le regioni o i privati come le compagnie aeree o gli oramai celebri Dpcm a disporre in tale senso, ma potrebbe soltanto un intervento del Parlamento con legge ordinaria), o dall’autorità giudiziaria ricorrendo i presupposti di legge. In ogni caso, il sacrificio non può che essere temporaneo, cioè per un arco di tempo ben definito, tranne che si intenda transitare silenziosamente dalla dimensione dello Stato di diritto, in cui tutti godono degli stessi diritti, a quella dello “Stato terapeutico” in cui soltanto quanti sono ritenuti sani o immuni o immunizzati possono godere delle più ampie garanzie giuridiche. Proprio in questa seconda evenienza, peraltro, si porrebbe un ulteriore profilo problematico, cioè come evitare la creazione di due “caste” distinte, la prima composta dai cittadini in salute, vaccinati, immunizzati e la seconda dagli altri, vedendosi riconosciuta i primi la massima tutela giuridica possibile, negata, invece, ai secondi, e il tutto se specialmente – come da taluni proposto – si intendesse escludere dalla priorità vaccinale gli anziani o altre categorie per salvare non più vite, ma più anni di vita. Agli anziani (e forse anche ai disabili, ai malati cronici, ecce cc), insomma, sarebbe negato il diritto alla salute in quanto non vaccinabili, e tutti gli altri diritti, come quello di circolazione, poiché non vaccinati e quindi non dotabili di passaporto o patente immuno-sanitari. Dal punto di vista bioetico: con l’introduzione di passaporti o patenti di immunità, si rischia di causare una permanente forma di controllo (anche sanitario) sui cittadini la cui portata e il cui utilizzo potrebbero ben presto andare oltre la semplice cautela sanitaria al fine di garantire la pubblica incolumità. La Cina, per esempio, ha annunciato che manterrà i suoi sistemi di tracciamento anche dopo la fine della pandemia, con ovvie ripercussioni sulla libertà e sulla privacy dei suoi “sudditi”, esortando, addirittura, il mondo intero a seguire il medesimo percorso di espansione del controllo.
In fondo, la diffusione stessa del Coronavirus è già stata fonte di lesione per i diritti umani, come è stato ricordato dall’apposito report di Amnesty International sull’abbandono degli anziani nelle Rsa italiane nel corso della cosiddetta “prima ondata”. Si rischia, però, di passare dalla violazione dei diritti umani a causa di abbandono e assenza da parte dello Stato, alla violazione dei diritti umani a causa dell’iper-presenza dello Stato nelle vite dei cittadini, poiché come ha ricordato Erich Kahler in uno Stato totalitario i particolari più minuti della vita dei cittadini – come la religione, gli spostamenti, i rapporti sociali, le spese – sono costantemente e minuziosamente regolati, disciplinati, sorvegliati. Dal punto di vista bioetico, inoltre, la legalizzazione di passaporti e/o patenti di immunità potrebbe dar vita ad ulteriori problemi, come l’eventuale discriminazione sui luoghi di lavoro nel caso di assunzioni, tramite una preferenza per quanti hanno una immunità certificata ed una corrispettiva esclusione di quanti invece non ne hanno. In questa direzione, del resto, si potrebbe altresì creare una nuova fonte di lucro illecito per le organizzazioni criminali dedite alla falsificazione dei documenti. Si consideri, inoltre, che i diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti non possono essere subordinati al rilascio di un passaporto o di qualunque altra documentazione emessa dallo Stato, poiché, se davvero si tratta di diritti fondamentali, essi non sono “concessi” dallo Stato, ma ad esso pre-esistenti, cioè anteriori e superiori e, come tali, incomprimibili. Sempre dal punto di vista bioetico, del resto, si porrebbe anche il problema di chi dovrebbe conservare dati così sensibili come quelli contenuti in un passaporto sanitario e di come potrebbero essere eventualmente utilizzati anche per scopi diversi e ultronei rispetto a quelli per cui sarebbero raccolti, specialmente se in formato digitale. Del resto, appena nel 2017 il Governo italiano ha promesso di cedere a Ibm i dati sanitari dell’intera popolazione italiana, così come, oltre oceano, Google ha ottenuto i dati sanitari di 50 milioni di statunitensi senza il loro consenso.
Insomma, il passaporto sanitario, la patente di immunità o qualunque altro dispositivo del genere, rappresentano un grave pericolo per i principi e i diritti fondamentali su cui si fondano la democrazia e lo Stato di diritto, e, francamente, sarebbe quanto mai paradossale la circostanza per cui, al fine di tutelare la salute individuale e collettiva, si dovessero sacrificare irrimediabilmente tutti gli altri diritti e tutte le altre libertà costituzionali. Con tutta evidenza, al dilemma posto “in salute, ma schiavi o malati, ma liberi”, occorre trovare il modo di rispondere – da parte della mancante sintesi della politica, più che da parte dell’onnipresente interventismo dei tecnocrati – come probabilmente risponde lo spirito della nostra Costituzione oramai da mesi silenziata, cioè liberi e in salute!
Il professor Peter Doshi, associato presso l’Università del Maryland, dove si occupa di ricerca dei servizi sanitari farmaceutici, redattore associato dell’autorevole British Medical Journal (BMJ), opinionista in materia per il New York Times, ha scritto un articolo proprio su questa rivista secondo cui l’efficacia reale dei vaccini in circolazione, quelli della Pfizer e Moderna non sarebbe intorno al 95% ma tra il 19% ed il 29%, ben al di sotto della soglia del 50% per l’autorizzazione da parte degli enti regolatori. Inoltre, sono tante le cose non chiare. Per chiarirle è necessario entrare in possesso dei dati che, purtroppo, le case farmaceutiche, tutte, hanno detto che inizieranno a rendere disponibili solo tra 24 mesi dopo il completamento dello studio.
“Chiedere che tutti i dati sui vaccini vengano pubblicati nella loro completezza è una richiesta legittima e più che giustificata”. Il professor Silvio Garattini, farmacologo, fondatore e presidente dell’Istituto Mario Negri, nel commentare l’opinione di Peter Doshi pubblicata il 4 gennaio sul British medical journal, e che qui rilanciamo, ribadisce quanto spiegato nell’intervista pubblicata nel numero in edicola del Salvagente: “Avere a disposizione i dati singoli in base ai quali Fda e Ema hanno valutato e autorizzato i vaccini Pfizer e Moderna è essenziale. Da esperienza posso dire che Fda, più di Ema, hanno una politica molto aperta in fatto di pubblicazione di tutti i dati presi in considerazione per le loro valutazioni”.
Ecco l’articolo del 4 gennaio scorso del prof. Peter Doshi nella mia traduzione.
Cinque settimane fa, quando ho sollevato domande sui risultati delle sperimentazioni del vaccino covid-19 di Pfizer e Moderna, tutto ciò che era di pubblico dominio erano i protocolli di studio e alcuni comunicati stampa. Oggi sono disponibili due pubblicazioni su riviste e circa 400 pagine di dati riassuntivi sotto forma di molteplici rapporti presentati da e alla FDA prima dell’autorizzazione d’emergenza dell’agenzia per il vaccino mRNA di ogni azienda. Mentre alcuni dei dettagli aggiuntivi sono rassicuranti, altri no. Qui descrivo le nuove preoccupazioni circa l’attendibilità e la significatività dei risultati di efficacia riportati.
“Sospetto covid-19”
Tutta l’attenzione si è concentrata sui risultati di notevole efficacia: Pfizer ha riportato 170 casi di covid-19 confermati dalla PCR, suddivisi da 8 a 162 tra gruppi di vaccini e placebo. Ma questi risultati sono stati sminuiti da una categoria di malattia chiamata “sospetto covid-19” – quelli con covid-19 sintomatico che non sono stati confermati dalla PCR. Secondo il rapporto della FDA sul vaccino di Pfizer, ci sono stati “3410 casi totali di covid-19 sospetti, ma non confermati nella popolazione complessiva dello studio, 1594 si sono verificati nel gruppo del vaccino vs. 1816 nel gruppo del placebo”.
Con un numero di casi sospetti 20 volte superiore a quello dei casi confermati, questa categoria di malattia non può essere ignorata semplicemente perché non c’è stato un risultato positivo al test PCR. In effetti, questo rende ancora più urgente la comprensione. Una stima approssimativa dell’efficacia del vaccino contro lo sviluppo dei sintomi del covid-19, con o senza un risultato positivo del test PCR, sarebbe una riduzione del rischio relativo del 19% (vedi nota) – molto al di sotto della soglia di efficacia del 50% per l’autorizzazione stabilita dai regolatori. Anche dopo aver eliminato i casi che si verificano entro 7 giorni dalla vaccinazione (409 sul vaccino di Pfizer contro 287 sul placebo), che dovrebbero includere la maggior parte dei sintomi dovuti alla reattogenicità (capacità di provocare una reazione e soprattutto una reazione immunologica, ndr) a breve termine del vaccino, l’efficacia del vaccino rimane bassa: 29% (vedi nota).
Se molti o la maggior parte di questi casi sospetti fossero in persone che hanno avuto un risultato falso negativo del test PCR, ciò ridurrebbe drasticamente l’efficacia del vaccino. Ma considerando che le malattie simil-influenzali hanno sempre avuto una miriade di cause: rinovirus, virus influenzali, altri coronavirus, adenovirus, virus sinciziale respiratorio, ecc., alcuni o molti dei casi sospetti di covid-19 possono essere dovuti a un agente causale diverso.
Ma perché l’eziologia dovrebbe essere importante? Se coloro che hanno avuto il “sospetto covid-19” avevano essenzialmente lo stesso decorso clinico del covid-19 confermato, allora “sospetto più covid-19 confermato” può essere un punto finale più significativo dal punto di vista clinico rispetto al solo covid-19 confermato.
Tuttavia, se il covid-19 confermato è in media più grave del sospetto covid-19, dobbiamo comunque tenere presente che, in fin dei conti, non è la gravità clinica media che conta, ma l’incidenza della malattia grave che colpisce i ricoveri ospedalieri. Con un numero 20 volte superiore di sospetti covid-19 rispetto al covid-19 confermato, e studi non progettati per valutare se i vaccini possono interrompere la trasmissione virale, un’analisi della malattia grave indipendentemente dall’agente eziologico – in particolare, i tassi di ospedalizzazione, i casi di terapia intensiva e i decessi tra i partecipanti agli studi – sembra giustificata, ed è l’unico modo per valutare la reale capacità dei vaccini di ridurre la pandemia.
C’è un chiaro bisogno di dati per rispondere a queste domande, ma il rapporto di 92 pagine di Pfizer non menziona i 3410 casi di “sospetto covid-19”. Né è stata pubblicata sul New England Journal of Medicine. Né lo ha fatto nessuno dei rapporti sul vaccino di Moderna. L’unica fonte che sembra averlo riportato è la revisione della FDA sul vaccino di Pfizer.
I 371 individui esclusi dall’analisi dell’efficacia del vaccino Pfizer
Un’altra ragione per cui abbiamo bisogno di più dati è l’analisi di un dettaglio inspiegabile che si trova in una tabella della revisione della FDA sul vaccino di Pfizer: 371 individui esclusi dall’analisi dell’efficacia per “importanti deviazioni dal protocollo entro i 7 giorni dopo la dose 2”. Ciò che è preoccupante è lo squilibrio tra gruppi randomizzati nel numero di questi individui esclusi: 311 dal gruppo del vaccino contro i 60 del placebo. (Al contrario, nello studio di Moderna, solo 36 partecipanti sono stati esclusi dall’analisi di efficacia per “deviazioni dal protocollo maggiore”- 12 gruppi di vaccini contro 24 gruppi di placebo).
Quali sono state queste deviazioni di protocollo nello studio di Pfizer e perché nel gruppo dei vaccini sono stati esclusi cinque volte di più? Il rapporto della FDA non lo dice, e queste esclusioni sono difficili da individuare anche nella relazione di Pfizer e nella pubblicazione della rivista.
Farmaci per la febbre e per il dolore, smascheramento e comitati per l’aggiudicazione degli eventi primari
Il mese scorso ho espresso preoccupazione per il potenziale ruolo confondente dei farmaci contro il dolore e la febbre nel trattamento dei sintomi. Ho ipotizzato che tali farmaci potrebbero mascherare i sintomi, portando a una sottovalutazione dei casi di covid-19, possibilmente in numero maggiore nelle persone che hanno ricevuto il vaccino nel tentativo di prevenire o trattare gli eventi avversi. Tuttavia, sembra che il loro potenziale di confondere i risultati fosse piuttosto limitato: sebbene i risultati indichino che questi farmaci sono stati assunti circa 3–4 volte più spesso nei soggetti che hanno ricevuto il vaccino rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo (almeno per il vaccino di Pfizer – Moderna non ha riferito in maniera così chiara), il loro uso era presumibilmente concentrato nella prima settimana dopo l’uso del vaccino, assunto per alleviare gli eventi avversi locali e sistemici post-iniezione. Ma le curve di incidenza cumulative suggeriscono un tasso abbastanza costante di casi confermati di covid-19 nel tempo, con date di insorgenza dei sintomi che si estendono ben oltre una settimana dopo il dosaggio.
Detto questo, il più alto tasso di utilizzo di farmaci nel braccio del vaccino fornisce un ulteriore motivo per preoccuparsi di uno smascheramento non ufficiale. Data la reattogenicità dei vaccini, è difficile immaginare che i partecipanti e i ricercatori non possano fare supposizioni informate sul gruppo in cui si trovavano. Il punto finale primario degli esperimenti è relativamente soggettivo, il che rende lo smascheramento un’importante preoccupazione. Eppure né la FDA né le aziende sembrano aver formalmente sondato l’affidabilità della procedura di randomizzazione e i suoi effetti sui risultati riportati.
Né sappiamo abbastanza sui processi dei comitati di aggiudicazione degli eventi primari che hanno contato i casi di covid-19. Sono stati resi randomizzati (blinded) ai dati sugli anticorpi e alle informazioni sui sintomi dei pazienti nella prima settimana dopo la vaccinazione? Quali criteri hanno utilizzato e perché, con un evento primario che consisteva in un risultato riferito dal paziente (sintomi del covid-19) e nel risultato del test PCR, era necessario un tale comitato? È anche importante capire chi faceva parte di queste commissioni. Mentre Moderna ha nominato il suo comitato di aggiudicazione composto da quattro membri – tutti medici affiliati all’università – il protocollo di Pfizer dice che tre dipendenti Pfizer hanno svolto il lavoro. Sì, i membri del personale Pfizer.
L’efficacia del vaccino in persone che hanno già avuto il covid?
Individui con una storia nota di infezione da SARS-CoV-2 o con una precedente diagnosi di Covid-19 sono stati esclusi dagli studi di Moderna e Pfizer. Ma ancora 1125 (3,0%) e 675 (2,2%) dei partecipanti agli studi di Pfizer e Moderna, rispettivamente, sono stati considerati positivi al SARS-CoV-2 al baseline.
La sicurezza e l’efficacia del vaccino in questi destinatari non ha ricevuto molta attenzione, ma poiché porzioni sempre più ampie delle popolazioni di molti Paesi possono essere “post-Covid”, questi dati sembrano importanti – e tanto più che il CDC statunitense raccomanda di offrire il vaccino “indipendentemente dalla storia di infezione precedente sintomatica o asintomatica da SARS-CoV-2”. Questo fa seguito alle conclusioni dell’agenzia, per quanto riguarda il vaccino di Pfizer, che ha avuto un’efficacia ≥92% e “nessuna preoccupazione specifica per la sicurezza” nelle persone con precedente infezione da SARS-CoV-2.
Secondo il mio conteggio, Pfizer ha a quanto pare riportato 8 casi di Covid-19 confermato, sintomatico, in persone positive per la SARS-CoV-2 al baseline (1 nel gruppo del vaccino, 7 nel gruppo placebo, utilizzando le differenze tra le tabelle 9 e 10) e Moderna, 1 caso (gruppo placebo; tabella 12).
Ma con solo da 4 a 31 reinfezioni documentate a livello globale, come potrebbero esserci nove casi confermati di covid-19 tra quelli con infezione da SARS-CoV-2 al basale in studi su decine di migliaia, con un follow-up mediano di due mesi? Questo è rappresentativo di un’efficacia significativa del vaccino, come sembra aver sostenuto il CDC? O potrebbe essere qualcos’altro, come la prevenzione dei sintomi del covid-19, eventualmente attraverso il vaccino o l’uso di farmaci che sopprimono i sintomi, e nulla a che fare con la reinfezione?
Abbiamo bisogno dei dati grezzi
Per rispondere alle numerose domande aperte su queste prove è necessario accedere ai dati grezzi dell’esperimento. Ma nessuna azienda sembra aver condiviso i dati con terzi a questo momento.
Pfizer afferma di rendere disponibili i dati “su richiesta e soggetti a revisione”. Questo non basta a rendere i dati disponibili al pubblico, ma almeno lascia la porta aperta. Non è chiaro quanto sia aperta, poiché il protocollo di studio dice che Pfizer inizierà a rendere disponibili i dati solo 24 mesi dopo il completamento dello studio.
La dichiarazione di Moderna sulla condivisione dei dati afferma che i dati “potrebbero essere disponibili su richiesta una volta completato lo studio”. Ciò si traduce in un periodo che va dalla metà alla fine del 2022, poiché il follow-up è previsto per 2 anni.
Le cose potrebbero non essere diverse per il vaccino Oxford/AstraZeneca che ha promesso dati a livello di paziente “una volta completato lo studio”. E la voce ClinicalTrials.gov per il vaccino russo Sputnik V dice che non ci sono piani per condividere i dati dei singoli partecipanti.
L’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e l’Health Canada, tuttavia, possono condividere i dati per qualsiasi vaccino autorizzato molto prima. EMA si è già impegnata a pubblicare i dati presentati da Pfizer sul suo sito web “a tempo debito“, così come Health Canada.
Conflitto di interessi: Mi sono dedicato al rilascio pubblico dei protocolli di sperimentazione del vaccino, e ho co-firmato lettere aperte che chiedono l’indipendenza e la trasparenza nel processo decisionale relativo al vaccino covid-19.
Nota a piè di pagina
I calcoli in questo articolo sono i seguenti: 19% = 1 – (8+1594)/(162+1816); 29% = 1 – (8 + 1594 – 409)/(162 + 1816 – 287). Ho ignorato i denominatori in quanto sono simili tra i gruppi.
Peter Doshi è redattore associato al BMJ e al team di News & Views. Con sede a Baltimora, è anche assistente professore di ricerca sui servizi sanitari farmaceutici presso la University of Maryland School of Pharmacy. Dal 2009, Doshi ha lavorato a una revisione sistematica Cochrane degli inibitori della neuraminidasi per l’influenza. Questa revisione ha sviluppato metodi innovativi per la valutazione delle informazioni normative, compresi i rapporti di studi clinici. Doshi ha completato una borsa di studio per la ricerca sull’efficacia comparativa presso la Johns Hopkins e ha conseguito il dottorato di ricerca in storia, antropologia e scienza, tecnologia e società presso il Massachusetts Institute of Technology.
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