ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 13 gennaio 2021

Ma se le cose stanno così..

Nello Stato del papa non c’è giustizia giusta?


Cari amici di Duc in altum, vi propongo la traduzione di un articolo dell’Associated Press che prende in esame la questione del sistema giudiziario in vigore nello Stato della Città del Vaticano. Un sistema, scrive Nicole Winfield, che non rispetta i diritti basilari degli imputati.

***

Un’indagine penale su un investimento immobiliare vaticano sta mettendo in luce alcune debolezze nel sistema giudiziario della Città-Stato e la mancanza di alcune protezioni fondamentali per coloro che sono accusati ,evidenziando l’incompatibilità delle procedure della Santa Sede con le norme europee.

Il Vaticano non è mai stato una democrazia, ma sta diventando sempre più evidente l’incongruenza di un governo che è un’autorità morale sulla scena globale e tuttavia una monarchia assoluta. Il papa è giudice supremo, legislatore ed esecutore, e detiene il potere ultimo di assumere e licenziare funzionari, giudici e pubblici ministeri e di emanare e abrogare leggi e regolamenti.

Un consigliere papale di lunga data (che per protesta contro quelle che considera gravi violazioni dei diritti umani nell’indagine sull’investimento immobiliare di Londra da 350 milioni di euro ha lasciato tutti i suoi ruoli di consulenza della Santa Sede) ha spiegato il suo ragionamento nelle e-mail al funzionario numero 2 del Vaticano, che sono state ottenute da The Associated Press. Se non si interviene, ha scritto Marc Odendall, “la Santa Sede non potrà più integrarsi nel sistema dei Paesi civili e tornerà a un universo riservato agli Stati totalitari”.

L’indagine è diventata di dominio pubblico il 1° ottobre 2019, quando le guardie del corpo del Papa hanno fatto irruzione nella Segreteria di Stato vaticana – gli uffici del governo centrale della Santa Sede – e nell’Autorità di controllo finanziario del Vaticano, nota come Aif. Papa Francesco ha autorizzato personalmente le irruzioni dopo che un fidato alleato ha allertato i pm vaticani di sospetti sull’investimento.

L’indagine è stata dipinta come un segno del fatto che Francesco sta reprimendo la corruzione. E ci sono prove di almeno una cattiva gestione finanziaria da parte di funzionari vaticani, dal momento che hanno accettato di pagare degli intermediari italiani decine di milioni di euro in compensi. Ma i sospettati dicono che Francesco era almeno a conoscenza del pagamento e che i vertici della Santa Sede lo hanno autorizzato. Un avvocato per uno ha persino sostenuto che lo stesso papa lo avesse approvato. L’Ufficio del promotore di giustizia vaticano ha negato ad AP che Francesco avesse autorizzato i soldi, ma ha riconosciuto di aver partecipato a una riunione di persone che stava negoziando le fasi finali dell’accordo in cui “ha chiesto loro di trovare una soluzione con la buona volontà di tutti”. I pubblici ministeri hanno anche affermato che il sostituto della Segreteria di Stato monsignor Edgar Peña Parra allo stesso modo non era un sospettato, perché “non era stato informato” su ciò che i suoi subordinati stavano facendo, anche se pure la documentazione dei pubblici ministeri stessa suggerisce che lo fosse. In effetti, nessun dirigente superiore è noto per essere indagato.

Il caso ha messo in luce i limiti della legge vaticana, che si basa su un codice italiano del 1889 non più in uso e limita notevolmente i diritti degli imputati durante la fase investigativa rispetto ai moderni ordinamenti giuridici. Ad esempio, Francesco ha autorizzato i pubblici ministeri vaticani a utilizzare un “rito sommario” che ha permesso loro di deviare dalle procedure tipiche, essenzialmente dando loro carta bianca per interrogare e condurre perquisizioni e sequestri senza la supervisione di un giudice istruttore, dicono gli avvocati della difesa. “È una fase che è completamente nelle mani dei pubblici ministeri”, ha detto Laura Sgrò, che ha difeso clienti davanti al tribunale vaticano ma non è coinvolta in questo caso. “È una fase che non prevede il minimo diritto alla difesa”.

Ci sono voluti mesi prima che i sospettati fossero addirittura in grado di raccontare la loro versione della storia ai pubblici ministeri, nonostante loro nomi e foto, visualizzati su una circolare della polizia vaticana, fossero trapelati ai media. I loro avvocati non hanno avuto accesso alla documentazione del caso. Non hanno mai ricevuto un elenco del materiale sequestrato, né avuto la possibilità di impugnare i sequestri davanti a un giudice, come sarebbe richiesto in Italia. Ad oggi nessuno è stato incriminato.

I pm insistono sul fatto che i diritti degli imputati sono stati salvaguardati e che il Papa ha dovuto ordinare il “rito sommario” per un tecnicismo dovuto al vecchio codice in uso.

Ma Paolo Carozza, membro della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, che promuove la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani, ha detto che sembravano esserci delle bandiere rosse con il caso, a partire dal mandato di perquisizione, anche se ha riconosciuto di non avere familiarità con i particolari. “Penso che (sia) evidentemente non compatibile con gli standard fondamentali della giustizia procedurale che sarebbero applicati in altri sistemi legali europei”, ha detto Carozza, professore di diritto presso l’Università di Notre Dame e già membro dell’Inter-American Commissione sui diritti umani. “Devono esserci cause specifiche per ricerche specifiche di cose specifiche… E poi ci deve essere un resoconto dopo, certamente, e un’opportunità per contestare le cose”.

Kurt Martens, un avvocato rotale che lavora nell’altro sistema giudiziario vaticano per crimini ecclesiastici, è stato più schietto: “Questo è quello che hai in una repubblica delle banane”.

A complicare ulteriormente la loro difesa, una volta emessa una sentenza, gli imputati non hanno possibilità di ricorrere al di fuori del sistema vaticano, poiché la Santa Sede non è firmataria della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che consente agli imputati di rivolgersi alla Corte europea di Strasburgo.

Il commentatore di politica italiana Ernesto Galli della Loggia ha fatto riferimento alla mancanza di garanzie in un recente articolo in prima pagina sul quotidiano Corriere della sera. “Com’è compatibile ad esempio il diritto di ogni persona a conoscere le accuse che gli vengono mosse, a conoscerne i motivi, ad avere un giusto processo da parte di giudici indipendenti?”, si è chiesto. Si riferiva al caso di un cardinale, implicato nell’affare, che Francesco licenziò sommariamente per accuse non correlate, ma la sua osservazione ha un valore più generale.

In passato sono emerse domande sulla mancanza di una separazione dei poteri in Vaticano e sull’indipendenza del suo sistema giudiziario. In un famoso caso, i pubblici ministeri hanno deciso di non indagare nemmeno sul cardinale il cui appartamento in Vaticano è stato ristrutturato utilizzando mezzo milione di dollari in donazioni per l’ospedale pediatrico del Papa. Il presidente dell’ospedale che ha dirottato i fondi è stato condannato dal tribunale vaticano.

Più recentemente, Francesco ha revocato sommariamente lo statuto di prescrizione in un caso di abuso sessuale criminale, senza alcuna possibilità per il sacerdote accusato di contestare la decisione.

Quando il Vaticano ha perseguito due giornalisti nel 2015 per aver riferito su documenti vaticani riservati, i cani di guardia dei media hanno denunciato il processo come un attacco alla libertà di stampa. I giornalisti, che hanno parlato di “kafkiana”, alla fine sono stati assolti dopo che il tribunale ha dichiarato, al termine del processo, di non avere mai avuto giurisdizione su di loro.

Il Vaticano ha a lungo difeso il suo sistema legale come solido, ma Odendall, il consigliere papale che si è dimesso per protesta per le irruzioni, ha ripetutamente detto agli alti funzionari vaticani che l’attuale indagine espone la Santa Sede a danni istituzionali e di reputazione. Odendall ha avvertito a novembre il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, di una “bomba a orologeria che rischia di esplodere se la situazione inaccettabile del sistema giudiziario della Santa Sede diventasse pubblica”.

È già successo. La prossima settimana, gli avvocati di una donna italiana ricercata dai pm vaticani nell’ambito dell’indagine, si opporranno alla sua estradizione in un tribunale italiano. Un possibile argomento a loro disposizione: che non essendoci un trattato di estradizione tra Italia e Vaticano, la legge italiana preclude l’invio di qualsiasi italiano in un paese che non garantisce i “diritti fondamentali” a un giusto processo.

Nicole Winfield

Fonte: Associated Press

https://www.aldomariavalli.it/2021/01/13/nello-stato-del-papa-non-ce-giustizia-giusta/

The Associated Press e Galli della Loggia. Incompatibilità delle procedure della Santa Sede con le norme europee. Lo Stato della Città del Vaticano non garantisce i “diritti fondamentali” a un giusto processo

Propongo per la lettura degli attenti lettori di questo Blog dell’Editore due articoli che seguono, rispettivamente a firma di Nicole Winfield per The Associated Press di oggi, 12 gennaio 2021 e a firma di Ernesto Galli della Loggia in prima pagina sul Corriere della Sera del 29 dicembre 2020, preceduti da una Nota dello Staff del Blog dell’Editore.

Siamo tanto modesti che scriviamo e lo dimentichiamo
Perché si sa: fai del bene e scordalo
Ma ogni tanto il nostro Editore ce lo ricorda, di andare a rileggere quanto abbiamo scritto


Suggeriamo ai nostri attenti lettori, donne e uomini – anche alla luce del Motu proprio di aggiornamento nel diritto canonico in tema di accoliti e lettrici, e alla luce delle ultime decisioni proprie di Francesco Motu proprio di Santo Stefano e dell’Epifania – come abbiamo fatto già in passato, di estendere il desiderio di vedere le riforme della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, oltre nei settori finanziario-economico e organizzativi-strutturali, anche nel settore giuridico, che sicuramente va portato al passo con i tempi e aggiornato a 360 gradi.

Da rivedere certamente nella giurisprudenza d’Oltretevere è il diritto alla difesa e il diritto riconosciuto ai cittadini stranieri, quindi non cittadini vaticani, per i quali, al momento, lo Stato della Città del Vaticano non vanta giurisdizione alcuna. Se dovrà essere riconsiderata l’estradizione di cittadini italiani dall’Italia allo Stato della Città del Vaticano, dovrà intendersi come accordo bilaterale. Ma si sa, che per questo si aprirebbe un capitolo sensibile, poiché prelati cittadini vaticani in caso di ipotesi di reato commessi in territorio italiano potrebbe portare a conseguenze imbarazzanti. Si vedrebbero eccellenti prelati imputati nei tribunali italiani. In ultimo, si dovrebbe anche riconsiderare il metodo usato dagli inquirenti giudiziari vaticani, sicuramente poco ortodosso da “indagine sommaria”, che non porta alla sentenza di terzo grado passata in giudicato, ma conduce solo alla cacciata, tagliata delle teste alla Mastro Titta, senza il dovuto giusto processo, come dovrebbe essere per chi è prima indagato, poi imputato e infine, casomai, condannato.

Considerate le firme di rilievo – Winfield e Galli della Loggia -, che trattano l’argomento in questi giorni, ritorniamo per la terza volta con la nostra lente sull’argomento. Questo dopo averne parlato nel periodo estivo, il 7 giugno 2020, seguito da tre articoli l’8 e il 9 giugno 2020 (QUI), ed essendoci tornati in un secondo momento in autunno, il 31 ottobre 2020 [QUI]. Si vede che abbiamo parlato al vento, ma le parole scritte non volano e restano scritte con data, argomento, analisi e firma.

Le nostre osservazioni fatte al tempo già comprendevano l’opportunità di rilevare presunte violazioni perpetrate nel rispetto dei diritti internazionali dell’uomo da parte della Santa Sede, che non aderisce al tribunale della corte europea ed ha presso le Nazioni Unite solo un ruolo di Osservatore. Si tratta di un ruolo strategico che osserva, ma che non deve sottostare alle norme emanate dalle Nazioni Unite, poiché la Santa Sede di tale istituzione non è membro. Il tutto va considerato con il peso specifico che la Santa Sede ha nel panorama internazionale. Risultato finale: abbiamo uno Stato totalitario con considerazione nel panorama internazionale, ma che di tale panorama non rispetta le normative giuridiche poiché è monarchia assoluta a carattere elettivo dove il Regnante detiene i tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario, oltre che il quarto potere, quello mediatico) e può intervenire nell’iter giudiziario di un processo penale, come e quando vuole.

Nella fattispecie abbiamo analizzato le singole posizioni dei cittadini italiani Torzi, Mincione e Marogna, quindi “stranieri” per lo Stato della Città del Vaticano, sui quali la Santa Sede ha comunque praticato un discutibile operato giurisdizionale. Va sottolineato la colpevole assenza di una azione di contrasto a tale atteggiamento discutibile per il quale la Repubblica italiano non ha debitamente “tutelato” i propri cittadini, che la Santa Sede ha trattenuto in modo discutibile nelle proprie celle di sicurezza per dieci giorni (caso Torzi), presumibilmente prevaricando principi con detenzioni nella Città del Vaticano, senza rispettare una preventiva richiesta di estradizione da parte italiana, poiché Torzi è stato chiamato in Vaticano con un secondo fine e poi rinchiuso in cella.

Un capitolo a parte andrebbe riservato alle perquisizioni e sequestri svolti in Italia in immobili di proprietà privata, oltre che ingiuste detenzioni in Italia di 15 giorni con la richiesta “inverosimile” di estradizione da parte dei magistrati vaticani, nel caso Marogna. Istituto, quello dell’estradizione, inesistente tra Repubblica italiana e Santa Sede. Al tempo nel nostro approfondimento abbiamo citato leggi vaticane e l’unico esistente accordo bilaterale valido tra i due stati sovrani è l’accordo sancito con i Patti lateranensi, dove è assente il capitolo estradizione.

In merito alle ultime insolite perquisizioni e sequestri svolti negli immobili di proprietà della famiglia Tirabassi in territorio italiano, operazione congiunta tra forze di polizia italiane, Guardia di finanza e Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, sottolineiamo che tutto ciò non trova riscontro in alcun “protocollo operativo bilaterale”. Ricordiamo che l’adesione ad Interpol dello Stato della Città del Vaticano è riferita meramente al solo scambio d’informazioni sensibili e non all’attuazione sul territorio di altro stato di operazione svolte con personale sul campo. Ad oggi non vi sono procedure autorizzate dal Parlamento italiano per le quali organi di polizia dello Stato della Città del Vaticano possano intraprendere attività di polizia giudiziaria in territorio italiano.

In ultimo, ma non meno importante, ritorniamo anche sul caso Becciu divenuto il caso l’Espresso, significando ancora una volta che se al caso 60SA è da considerare estraneo Edgar Peña Parra, poiché “non era stato informato dai subalterni”, se è vero che tutto è stato gestito dai funzionari subalterni, ci chiediamo nuovamente perché Angelo Becciu viene considerato con altro peso e altra misura, e non è considerato estraneo come il suo successore da Sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato? Due pesi e due misure, delle due l’una.

Staff del Blog dell’Editore
12 gennaio 2021


Indagine evidenzia le limitate protezioni del sistema legale vaticano
di Nicole Winfield
AP, 12 gennaio 2021
[nostra traduzione italiana di lavoro dall’inglese]

Un’indagine penale su un investimento immobiliare vaticano sta mettendo in luce delle debolezze nel sistema giudiziario della Città-Stato e la mancanza di alcune protezioni fondamentali per coloro che sono accusati – evidenziando l’incompatibilità delle procedure della Santa Sede con le norme europee.

Il Vaticano non è mai stato una democrazia, ma sta diventando sempre più evidente l’incongruenza di un governo che è un’autorità morale sulla scena globale e tuttavia una monarchia assoluta. Il Papa è giudice supremo, legislatore ed esecutivo, che detiene il potere ultimo di assumere e licenziare funzionari, giudici e pubblici ministeri e di emanare e abolire leggi e regolamenti.

Un consigliere papale di lunga data che ha lasciato tutti i suoi ruoli di consulenza della Santa Sede per protestare contro quelle che considerava gravi violazioni dei diritti umani nell’indagine sull’investimento immobiliare di Londra da 350 milioni di euro, ha spiegato il suo ragionamento nelle e-mail al funzionario numero 2 del Vaticano, che sono state ottenute di The Associated Press. Se non si interviene, scrisse Marc Odendall, “la Santa Sede non potrà più integrarsi nel sistema dei Paesi civili e tornerà a un universo riservato agli Stati totalitari”.

L’indagine è esplosa nella consapevolezza pubblica il 1° ottobre 2019, quando le guardie del corpo del Papa hanno fatto irruzione nella Segreteria di Stato vaticana – gli uffici del governo centrale della Santa Sede – e nell’Autorità di controllo finanziario del Vaticano, nota come AIF. Papa Francesco ha autorizzato personalmente le irruzioni dopo che un fidato alleato ha allertato i pm vaticani di sospetti sull’investimento.

L’indagine è stata dipinta come un segno che Francesco sta reprimendo la corruzione. E ci sono prove di almeno una cattiva gestione finanziaria da parte di funzionari vaticani, dal momento che hanno accettato di pagare degli intermediari italiani decine di milioni di euro in compensi. Ma i sospettati dicono che Francesco era almeno a conoscenza del pagamento e che i vertici della Santa Sede lo hanno autorizzato. Un avvocato per uno ha persino sostenuto che lo stesso Papa lo avesse approvato. L’Ufficio del promotore di giustizia vaticano ha negato ad AP che Francesco avesse autorizzato i soldi, ma ha riconosciuto di aver partecipato a una riunione di persone che stava negoziando le fasi finali dell’accordo in cui “ha chiesto loro di trovare una soluzione con la buona volontà di tutti”. I pubblici ministeri hanno anche affermato che il Sostituto della Segreteria di Stato Monsignor Edgar Peña Parra, allo stesso modo non era un sospettato, perché “non era stato informato” su ciò che i suoi subordinati stavano facendo, anche se pure la documentazione dei pubblici ministeri stessa suggerisce che lo fosse. In effetti, nessun dirigente superiore è noto per essere indagato.

Il caso ha messo in luce i limiti della legge vaticana, che si basa su un codice italiano del 1889 non più in uso e limita notevolmente i diritti degli imputati durante la fase investigativa rispetto ai moderni ordinamenti giuridici. Ad esempio, Francesco ha autorizzato i pubblici ministeri vaticani a utilizzare un “rito sommario” che ha permesso loro di deviare dalle procedure tipiche, essenzialmente dando loro carta bianca per interrogare e condurre perquisizioni e sequestri senza la supervisione di un giudice istruttore, dicono gli avvocati della difesa. “È una fase che è completamente nelle mani dei pubblici ministeri”, ha detto Laura Sgro, che ha difeso clienti davanti al tribunale vaticano ma non è coinvolta in questo caso. “È una fase che non prevede il minimo diritto alla difesa”.

Ci sono voluti mesi prima che i sospettati fossero addirittura in grado di raccontare la loro versione della storia ai pubblici ministeri, nonostante loro nomi e foto, visualizzati su una circolare della polizia vaticana, fossero trapelati ai media. I loro avvocati non hanno avuto accesso alla documentazione del caso. Non hanno mai ricevuto un elenco del materiale sequestrato, né avuto la possibilità di impugnare i sequestri davanti a un giudice, come sarebbe richiesto in Italia. Ad oggi nessuno è stato incriminato.

I pm insistono sul fatto che i diritti degli imputati sono stati salvaguardati e che il Papa ha dovuto ordinare il “rito sommario” per un tecnicismo dovuto al vecchio codice in uso.

Ma Paolo Carozza, membro della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, che promuove la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani, ha detto che sembravano esserci delle bandiere rosse con il caso, a partire dal mandato di perquisizione, anche se ha riconosciuto di non avere familiarità con i particolari. “Penso che (sia) evidentemente non compatibile con gli standard fondamentali della giustizia procedurale che sarebbero applicati in altri sistemi legali europei”, ha detto Carozza, Professore di diritto presso l’Università di Notre Dame e già membro dell’Inter-American Commissione sui diritti umani. “Devono esserci cause specifiche per ricerche specifiche di cose specifiche… E poi ci deve essere un resoconto dopo, certamente, e un’opportunità per contestare le cose”.

Kurt Martens, un avvocato rotale che lavora nell’altro sistema giudiziario vaticano per crimini ecclesiastici, è stato più schietto: “Questo è quello che hai in una repubblica delle banane”.

A complicare ulteriormente la loro difesa, una volta emessa una sentenza, gli imputati non hanno possibilità di ricorrere al di fuori del sistema vaticano, poiché la Santa Sede non è firmataria della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che consente agli imputati di rivolgersi alla Corte europea di Strasburgo.

Il commentatore di politica italiana Ernesto Galli della Loggia ha fatto riferimento alla mancanza di garanzie in un recente articolo in prima pagina sul quotidiano Corriere della Sera. “Com’è compatibile ad esempio il diritto di ogni persona a conoscere le accuse che gli vengono mosse, a conoscerne i motivi, ad avere un giusto processo da parte di giudici indipendenti?”, chiese. Si riferiva al caso di un cardinale implicato nell’affare che Francesco licenziò sommariamente per accuse non correlate, ma il suo punto vale più ampiamente.

In passato sono emerse domande sulla mancanza di una separazione dei poteri in Vaticano e sull’indipendenza del suo sistema giudiziario. In un famoso caso, i pubblici ministeri hanno deciso di non indagare nemmeno sul cardinale il cui appartamento in Vaticano è stato ristrutturato utilizzando mezzo milione di dollari in donazioni per l’ospedale pediatrico del Papa. Il Presidente dell’ospedale che ha dirottato i fondi è stato condannato dal tribunale vaticano.

Più recentemente, Francesco ha revocato sommariamente lo statuto di prescrizione in un caso di abuso sessuale criminale, senza alcuna possibilità per il sacerdote accusato di contestare la decisione.

Quando il Vaticano ha perseguito due giornalisti nel 2015 per aver riferito su documenti vaticani riservati, i i cani di guardia dei media hanno denunciato il processo come un attacco alla libertà di stampa. I giornalisti, che hanno descritto un’indagine “kafkiana”, alla fine sono stati assolti dopo che il tribunale ha dichiarato al termine del processo di non avere mai avuto giurisdizione su di loro.

Il Vaticano ha a lungo difeso il suo sistema legale come solido, ma Odendall, il consigliere papale che si è dimesso per protesta per le irruzioni, ha ripetutamente detto agli alti funzionari vaticani che l’attuale indagine espone la Santa Sede a danni istituzionali e reputazionali. Odendall ha avvertito a novembre il Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, di una “bomba a orologeria che rischia di esplodere se la situazione inaccettabile del sistema giudiziario della Santa Sede diventasse pubblica”.

È già successo. La prossima settimana, gli avvocati di una donna italiana ricercata dai pm vaticani nell’ambito dell’indagine, si opporranno alla sua estradizione in un tribunale italiano. Un possibile argomento a loro disposizione: che non essendoci un trattato di estradizione tra Italia e Vaticano, la legge italiana preclude l’invio di qualsiasi italiano in un paese che non garantisce i “diritti fondamentali” a un giusto processo.

I grandi temi che la Chiesa ha pensato di non vedere
Si parla poco della condizione di declino e di crisi gravissima che il Cristianesimo sembra conoscere attualmente
di Ernesto Galli della Loggia
Corriere della Sera, 29 dicembre 2020

È opinione diffusa che l’attuale pontificato si caratterizzerebbe per un indirizzo audacemente innovativo, si dice addirittura rivoluzionario. A causa vuoi di una pastorale tutta rivolta alle grandi questioni mondiali dell’ecologia e della giustizia economica tra le nazioni, vuoi di una straordinaria e quasi indiscriminata apertura alle diversità culturali, al dialogo tra le fedi, alla «carità». È però singolare che a questa proiezione del pontificato verso il mondo, e all’attivismo indefesso con cui essa viene alimentata, corrispondano tuttavia un silenzio e una mancanza pressoché assoluta di riflessioni e di iniziative sulla condizione generale che il mondo stesso riserva oggi alla fede cristiana e alla Chiesa stessa.

Una condizione di crisi gravissima. Nell’intero emisfero settentrionale del pianeta il Cristianesimo sembra conoscere, infatti, un tale declino da far pensare che esso stia addirittura sul punto di spegnersi. Lo mostra al semplice sguardo la quantità di edifici religiosi che in tutti Paesi europei hanno chiuso i battenti. Specialmente le chiese, trasformate in gran numero in supermercati, sale bingo o centri commerciali. Ma lo indicano in modo ancor più pregnante due fatti decisivi. Innanzi tutto la sparizione di ogni residuo di quella che un tempo era la Cristianità intesa come fatto pubblico, cioè come connessione tra istituzioni religiose e istituzioni politiche che per secoli ha caratterizzato tutti i regimi europei, ancora in sostanza sul modello dell’Impero romano. In secondo luogo, il fatto che ormai non rimane quasi più traccia di quel «compromesso cristiano-borghese» instauratosi dopo la Rivoluzione francese che fino a qualche decennio fa era tipico di tutte le classi dirigenti euro-occidentali. Un compromesso in forza del quale, pur laicizzandosi e modernizzandosi, esse erano però rimaste legate in qualche modo all’antica fede. Da tempo, invece, nei loro modelli di vita, nell’educazione dei figli, nell’autocoscienza di sé, nei loro valori pubblici, le élite delle società sviluppate appaiono virtualmente scristianizzate. E inevitabilmente il resto della società segue il loro esempio.

Ora, di fronte a questa gigantesca frattura storica — che oggi si manifesta in tutta la sua straordinaria ampiezza ma che nell’ultimo mezzo secolo non ha mancato di sollecitare le alte e tormentate riflessioni del magistero, da papa Montini a papa Ratzinger — appare davvero singolare il silenzio non solo dell’attuale Pontefice ma dell’insieme della gerarchia. L’attenzione e l’iniziativa dell’uno e dell’altra non sembrano attratte neppure da altre due questioni di enorme portata ormai arrivate drammaticamente al pettine. Tali, a me pare, da obbligare la Chiesa a mettere in discussione di fatto la propria intera vicenda identitaria, a riformularne gli esiti in misura radicale.

La prima di tali questioni è quella della democrazia. È vero naturalmente che la Chiesa non può essere una democrazia perché Dio non può essere messo ai voti. La democrazia però non è solo questione di voti. È anche — anzi soprattutto — una questione di diritti. Innanzi tutto di quei diritti della persona alla cui origine c’è il Cristianesimo e sui quali da decenni non a caso insiste in ogni occasione il magistero della Chiesa stessa. Ma allora la domanda ovvia che si pone è la seguente: come può essere compatibile con la tutela di tali diritti della persona il tipo di potere che esercita il Papa sul suo Stato e sull’istituzione ecclesiastica — un potere assoluto e incontrollato, arbitrario nel più vero senso della parola? Com’è compatibile ad esempio il diritto di ogni persona a conoscere le accuse che gli vengono mosse, a conoscerne i motivi, ad avere un giusto processo da parte di giudici indipendenti, con la sorte riservata al cardinale Becciu, il quale, spogliato dal Papa di alcune importanti prerogative legate alla sua carica senza nulla sapere dei motivi, in teoria aspetta giustizia — si noti il paradosso — da giudici nominati e revocabili ad nutum dal Papa stesso? Come si può chiedere al mondo di essere giusto, mi chiedo, se in casa propria le regole della giustizia sono queste? E d’altra parte, che in quella casa ci sia un problema vero di democrazia non è forse testimoniato anche dal fatto che ancora oggi in seguito a un episodio come quello appena detto (ma anche a mille altri) nessuno osi dire pubblicamente nulla? Sollevare qualche dubbio? Chiedere, Dio non voglia, qualche spiegazione? O l’obbligo democratico alla trasparenza tante volte invocato vale solo per gli altri?

Né si tratta solo di questo. Finora, infatti, a far da contrappeso alla natura autocratica del potere papale è stato il carattere elettivo della carica. Incontrollatamente elettivo, bisogna aggiungere: grazie al quale, quindi, a un Papa di un certo orientamento era possibilissimo (come infatti è accaduto quasi sempre) che succedesse un Papa di un orientamento affatto diverso. Ora invece, con la nomina da parte dell’attuale Pontefice di un sempre maggior numero di cardinali in tutto e per tutto a lui omogenei, minaccia di nascere di fatto al vertice dell’istituzione un vero e proprio «partito del Papa», detentore della maggioranza nel conclave. Grazie al quale al Papa regnante stesso diviene perciò possibile scegliere il proprio successore o perlomeno influenzarne in modo decisivo l’elezione. Determinando così il passaggio da un’autocrazia dalla titolarità incontrollata a una autocrazia dalla titolarità designata.

Infine, al problema della democrazia si ricollega direttamente pure la seconda delle grandi questioni arrivate al pettine che oggi interrogano la Chiesa e la sua storia: la questione del ruolo delle donne all’interno dell’istituzione ecclesiastica. O per dire meglio la questione della loro assoluta, continua, esclusione da qualsiasi ruolo significativo. Non mi riferisco al sacerdozio femminile. Mi riferisco al potere, alle cariche, che so, di presidente dello Ior, di governatore dello Stato, di nunzio o di segretario di Stato: che a mia conoscenza nessun passo dei Vangeli prescrive debbano essere affidate a uomini anziché a donne. Ma che la Chiesa invece continua imperterrita a credere un esclusivo monopolio maschile. Mi chiedo come possa immaginare di avere un qualsiasi futuro un’istituzione che nel mondo di oggi si muove in questo modo. Mostrando cioè una mancanza di senso storico che ricorda tristemente la vana battaglia che la stessa Chiesa cattolica ingaggiò per oltre un secolo contro i principi liberali. Oltre tutto — ancora una volta, come allora — smentendo in tal modo l’ispirazione più luminosa della propria storia e la testimonianza più straordinaria del proprio fondatore.

Ma se le cose stanno così, mi risulta allora abbastanza incomprensibile come possa essere definito innovativo, progressista o addirittura rivoluzionario, papa Francesco. Il quale esercita il suo potere al modo che ho detto e circa tutte le questioni e i problemi fin qui enumerati è convinto evidentemente che essi non esistano, o comunque che non meritino la sua attenzione. Per quel che conta la mia opinione, ho il sospetto che la sua via non porti lontano.

Foto di copertina: Aula del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.


12 Gennaio 2021
   Blog dell'Editore

di Vik van Brantegem

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