“Ma i nemici dei Comandamenti non sono sempre secolari. Si possono trovare anche all’interno della Chiesa, usando la manipolazione del linguaggio. Infatti è raro sentire un qualsiasi pastore della Chiesa invocare la legge di Dio come una ragione per evitare un comportamento peccaminoso. In larga misura, le autorità della Chiesa hanno permesso la decostruzione sostituendo i Comandamenti con un vocabolario burocratico “non giudicante” per compiacere la sensibilità contemporanea.”

Un articolo di padre Jerry Pokorsky, pubblicato su Catholic Culture. Ve lo propongo nella mia traduzione.  

vescovi

 

I dieci comandamenti rappresentano le leggi immutabili di Dio. L’obbedienza a Gesù e al Suo nome porta la salvezza: “Chi crede in Lui non è condannato; chi non crede è già condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unico Figlio di Dio.” (Gv. 3:18) I Comandamenti, adempiuti in Gesù, formano la “struttura scheletrica” della moralità cristiana. La nostra risposta virtuosa forma i muscoli, i tendini e la carne. Ma noi rimaniamo in conflitto con noi stessi a causa delle nostre inclinazioni peccaminose, mentre i Comandamenti provocano un conflitto con il mondo e all’interno della Chiesa.

I nemici secolari dei Comandamenti – i sostenitori della moderna correttezza politica – all’inizio insistevano: “Non imponetemi la vostra moralità!” Naturalmente, ogni legge – dalle leggi sul traffico ai regolamenti del fisco – fa esattamente questo, regolando le regole di comportamento della società. L’ideologia pro-choice (a favore dell’aborto, ndr) mirava a sostituire la struttura morale dei Comandamenti – e di Gesù – con una struttura anormale di degradazione morale. La mossa successiva è stata quella di rimproverare la loro opposizione con calunnie come: “L’odio non è un valore di famiglia”. Così ci siamo ritirati collettivamente, temendo di essere giudicanti, ci siamo scusati educatamente dalla battaglia culturale e abbiamo lasciato che il male si inasprisse. Con poca o nessuna opposizione, le élite secolari hanno preso il controllo delle comunità, delle scuole e del governo, superandoci nel nostro letargo “vivi e lascia vivere”.

Siamo sull’orlo della fase finale: L’imposizione di leggi ingiuste che non solo ci tolgono la libertà, ma insistono che violiamo anche i Dieci Comandamenti.

Ma i nemici dei Comandamenti non sono sempre secolari. Si possono trovare anche all’interno della Chiesa, usando la manipolazione del linguaggio. Infatti è raro sentire un qualsiasi pastore della Chiesa invocare la legge di Dio come una ragione per evitare un comportamento peccaminoso. In larga misura, le autorità della Chiesa hanno permesso la decostruzione sostituendo i Comandamenti con un vocabolario burocratico “non giudicante” per compiacere la sensibilità contemporanea. Ecco un esempio recente e fin troppo familiare:

Padre Kevin O’Brien [il sacerdote amico di lunga data del presidente Biden] è sotto inchiesta a causa di affermazioni secondo cui “ha esibito comportamenti in contesti per adulti, consistenti principalmente in conversazioni, che possono essere incoerenti con i protocolli e i limiti stabiliti dai gesuiti”, ha detto l’università giovedì.

I funzionari non hanno rivelato se le presunte violazioni dei protocolli e dei confini stabiliti dai gesuiti siano peccati mortali.

La patologica riluttanza della gerarchia a invocare i Comandamenti mina l’autorità morale dei vescovi. Senza la chiara invocazione della legge di Dio per incriminare i noti trasgressori e senza le legittime censure ecclesiastiche, i politici cattolici come Biden e Pelosi sono liberi di scegliere le “politiche” non vincolanti della Chiesa. Questo permette loro di rivendicare lo status di cattolici in piena regola nonostante le posizioni radicali pro-aborto e pro-gay che violano il quinto e sesto comandamento. Trascurando posizioni politiche intrinsecamente malvagie, anche un eminente leader della Chiesa come il cardinale Tobin presume di parlare autorevolmente: “Penso che una persona in buona coscienza potrebbe votare per il signor Biden”.

Anche i sostenitori dei cosiddetti ministeri LGBTQ in varie organizzazioni religiose vivono secondo le proprie regole, a prescindere dalle leggi di Dio. In nome del “ministero inclusivo”, molti sacerdoti, vescovi e cardinali arcivescovi evitano di proposito di identificare il male intrinseco della sodomia, della masturbazione reciproca e del mettersi in prossimità del peccato. Lo slogan del “gay pride” nel migliore dei casi celebra tendenze anormali. Ma il suo vero scopo è quello di desensibilizzare l’inclinazione naturale del disgusto per le perversioni sessuali e di preparare i giovani alla seduzione. La gerarchia si è resa complice per negligenza e talvolta, come ora sappiamo fin troppo dolorosamente, per partecipazione.

La sola menzione della legge di Dio è diventata controversa. In risposta all’inaspettata risposta cattolica del Vaticano a un dubium riguardante la benedizione delle unioni omosessuali (“Dio “non può benedire il peccato”), il cardinale Cupich ha scritto, inspiegabilmente, che la delusione dei cattolici gay era “comprensibile”. Senza menzionare la Confessione, ha aggiunto che la Chiesa doveva ora “raddoppiare i nostri sforzi per essere creativi e resilienti nel trovare modi per accogliere e incoraggiare tutte le persone LGBTQ nella nostra famiglia di fede”. Il cardinale Cupich potrebbe avere difficoltà con il suo stesso Ufficio di protezione dei minori e con il Comitato di revisione nazionale se è troppo creativo con la sua inclusione. Anche la North American Man-Boy Love Association (NAMBLA) sono “persone LGBTQ” che partecipano abitualmente agli eventi del gay pride. Se invocasse il sacramento della penitenza come strumento di restauro, tuttavia, anche i figli prodighi della NAMBLA potrebbero ricevere un gioioso trattamento inclusivo.

La trascuratezza dei Comandamenti da parte della gerarchia distorce anche la sana relazione tra clero e laici. La gerarchia e i laici sono complementari e insostituibili. Il ruolo della gerarchia è di custodire e insegnare i primi principi della fede e della morale; il ruolo dei laici è di applicare i principi cristiani secondo il loro stato di vita. La gerarchia dovrebbe servire la verità del Vangelo con umile moderazione, evitando di esagerare. Con la grazia dei Sacramenti, i laici dovrebbero rispondere con muscoli e tendini virtuosi all’interno delle strutture morali, applicando le verità di Gesù con giudizi prudenziali nell’ordine temporale. La gerarchia della Chiesa rappresenta l’autorità di Cristo; le associazioni laiche rappresentano una grande varietà di interessi politici.

Ma una sorta di clericalismo sistemico che favorisce strategie pastorali inoffensive “Catholic Lite” (il cattolicesimo annacquato, ndr) ha infettato la gerarchia. L’appello al “dialogo” spesso sostituisce la voce morale profetica della Chiesa. Di conseguenza, i vescovi spesso prendono le distanze dagli energici sforzi dei laici cattolici (come i gruppi pro-vita), minando effettivamente il legittimo ruolo dei laici nell’arena politica. L’impressione generale è che le cancellerie (diocesane, ndr), non i laici, orchestrino l’azione politica cattolica. Eppure nelle questioni di contro-cultura impopolari, i vescovi (e l’USCCB) vanno sempre sul sicuro. Di solito sono gli ultimi a reagire, e solo quando la battaglia è già persa e sentono il bisogno di lucidare la loro immagine ortodossa. Il futile scontro all’ultimo sangue con l’amministrazione Biden dopo la sua elezione illustra vividamente lo schema esasperante.

L’opposizione al famigerato Equality Act (progetto di legge in discussione nel Parlament  USA, ndr) è un altro esempio di futilità del troppo poco e troppo tardi. Il cardinale Dolan ha lamentato l’attacco della legge (cioè dell’Ecquality Act, ndr) alla libertà religiosa usando argomenti persuasivi di diritto naturale. Ma tutti sanno che Biden firmerà la legge e non subirà gravi conseguenze religiose. Oltre a fare appello alla base dei cattolici fedeli, l’opposizione del cardinale Dolan all’Equality Act è un’infruttuosa dimostrazione di postura politica.

La moltiplicazione di documenti ecclesiastici per lo più irrilevanti non solo offusca la distinzione tra la necessaria opposizione della Chiesa ad atti intrinsecamente malvagi e le dubbie agende politiche della gerarchia, ma spiazza anche il lavoro dell’apostolato dei laici. Come risultato, cattolici e non cattolici concludono facilmente che la Chiesa è solo un altro gruppo di interesse speciale. Quindi, la connessione non negoziabile tra la volontà di Dio e la coscienza è oscurata o persa. La storia della difesa politica ecclesiastica rivela decenni di irrilevanza morale e impotenza. (Avete bisogno di prove? Quanti attivisti pro-vita si affidano alle guide elettorali dei vescovi?)

Le prospettive sono cupe. Lo stato profondo (deep state) sotto la bandiera di Biden ha iniziato a schiacciare i cattolici con le politiche e le proposte anti-vita e gay. Quasi certamente affronteremo devastanti dilemmi di coscienza nei mesi e negli anni a venire. Anche i preti e i vescovi non saranno immuni (nonostante decenni di acquiescenza). Potremmo perdere il nostro status di esenzione fiscale, sopportare cause legali, forse anche guadagnare un po’ di tempo dietro le sbarre per il crimine di praticare la fede cattolica senza vergogna. Ma potrebbe essere il momento per i pastori della Chiesa e i laici di stare orgogliosamente in piedi con i Dieci Comandamenti e il potere salvifico di Gesù.

Con la grazia di Dio, la persecuzione può essere il catalizzatore che ci ispira a mostrare al mondo il volto glorioso di Cristo. Ci sono precedenti. Controllate la nostra storia di 2000 anni.

Di Sabino Paciolla

https://www.sabinopaciolla.com/padre-pokorsky-la-patologica-riluttanza-della-gerarchia-a-invocare-i-comandamenti-mina-lautorita-morale-dei-vescovi/

Bux: “La Comunione in Bocca è Più che Lecita. Non c’è Vescovo che Tenga”.


 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, qualche tempo fa il vescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo si era lasciato andare ad alcune considerazioni a dir poco azzardate sul modo di ricevere l’eucarestia. Vi offriamo qui l’opinione del teologo don Nicola Bux, raccolta da Marino Pagano. Buona lettura.  

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L’opinione del teologo don Nicola Bux

«Lo dice il Vangelo: la comunione in bocca è più che lecita. Non c’è vescovo che tenga»

 

«La comunione in bocca è un abuso». C’è ancora sconcerto in Puglia, tra i fedeli cattolici, per alcune parole del vescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, la diocesi di Padre Pio, in merito alle corrette modalità di ricevere la comunione, problema non secondario, tanto più in tempi di Covid. Parole che hanno fatto discutere, da settimane al centro di polemiche. Parole chiare, senza alcun rischio di interpretazioni malevole, in più nemmeno seguite da parziali smentite ed anzi confermate nella sostanza dal vescovo in qualche dichiarazione alla stampa.

Franco Moscone, chierico somasco proveniente da Alba, classe 1957 e vescovo in Puglia dal 2018, come ormai più che noto, ha espresso ostilità rispetto alla comunione assunta direttamente sulla lingua e non in mano, addirittura considerata errata alla radice. Una contrarietà netta, a prescindere. E a prescindere dalle norme dettate dal contenimento della pandemia.

Il vescovo, partendo dall’attualità, ha candidamente definito un abuso la comunione assunta secondo il tradizionale sistema, ancora preferito –al di là del rispetto delle regole- da molti credenti. Le parole sono arrivate durante la messa del 3 gennaio scorso, nella cornice della chiesa di Padre Pio, quella della Madonna delle Grazie a San Giovanni Rotondo. Come poter considerare sbagliata una pia tradizione, mai abbandonata dalla chiesa, resta un mistero.

E se si pensa che tutto ciò è accaduto proprio in casa di Padre Pio, noto per l’intensa partecipazione alla messa, da lui rivissuta ogni volta con mistica ‘passione’, lo sconcerto aumenta. Rispetto alle parole del vescovo Moscone nascono anche semplici considerazioni, naturali se si conosce la storia filologica delle parole di Cristo durante l’Ultima Cena, momento istitutivo dell’eucaristia.

Don Nicola Bux, teologo di livello europeo, collaboratore storico di Joseph Ratzinger (sia come cardinale sia come papa), ha le idee chiare su questo.

Lo abbiamo ascoltato.

«Il vescovo ha preso un abbaglio –attacca-. Dall’esame del testo greco del Vangelo non si deduce affatto che il corpo di Cristo venisse deposto nella mano, si pensi all’uso del piattello, utile ad evitare che l’ostia cadesse in terra nel momento in cui veniva deposta in bocca. Al massimo, come attesta il famoso codice purpureo di Rossano del V secolo, il fedele in antico assumeva l’ostia posizionata sul palmo di una mano, ma senza prenderla con le dita dell’altra». E quel «prendete e mangiatene tutti», richiamato da Moscone?

«Il Vangelo di Giovanni dice chiaramente che Gesù dà un “boccone” a Giuda e boccone significa un qualcosa che si dà in bocca – nota Bux -. Quanto al verbo “prendere”, va rilevato che in greco e in latino esso è rispettivamente “labete/accipite” ossia: ricevete. Il vescovo incorre in palese errore ritenendo che “prendete” significhi prendere solo con le mani. No: l’ostia si “riceve”, nel caso anche con la bocca. Penso alla reazione di san Pio, se avesse sentito un vescovo parlare così!”. La conclusione di Bux è dunque amara.

Segnaliamo, infine, un utile e ben scritto libro sul tema, un testo a firma di Federico Bortoli, con prefazione del cardinale Robert Sarah: La distribuzione della Comunione sulla mano. Profili storici, giuridici e pastorali, Cantagalli 2018. Bortoli è un presbitero e teologo, cancelliere della diocesi di San Martino-Montefeltro.

Marino Pagano

https://www.marcotosatti.com/2021/03/24/bux-la-comunione-in-bocca-e-piu-che-lecita-non-ce-vescovo-che-tenga/