«È chiusa, la messa».
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Così dice il mio nipotino Marco, due anni e mezzo e precoci segni di una preoccupante intelligenza, quando lo porto a fare l’altalena e lo scivolo davanti alla nostra parrocchia e vede sbarrate le porte della chiesa. La sua metonimia mi pare centratissima: una chiesa “è” la messa; senza messa, non è niente. Fosse anche un monumento insigne, un “patrimonio dell’umanità” come dicono quelli dell’Unesco, da cristiano mi interesserebbe non più di qualsiasi altro edificio storico.
Una chiesa cattolica, anche la più brutta, è invece il luogo più prezioso del mondo solo perché lì si compie il sacrificio di Cristo e anche quando non si celebra la messa c’è quel lumino rosso che attesta che Cristo è presente nel sacramento eucaristico, h24, 7/7, 365 giorni all’anno. Alla domanda: “dov’è Dio?” un cattolico ha molti modi per rispondere, il più diretto dei quali è indicare la chiesa più vicina: “Dio è lì, nel tabernacolo, che ti aspetta giorno e notte”.
Per questo, senza entrare troppo nel merito di una questione dai contorni per me poco chiari, la recente disposizione ecclesiastica che, a quanto si è appreso, ha stabilito che in san Pietro a Roma d’ora in poi si svolgano non più di quattro messe al giorno, tutte rigorosamente concelebrate – ponendo bruscamente fine alla tradizione che da sempre prevedeva la possibilità per ogni sacerdote di chiedere di celebrare, anche sine populo in quel luogo santo “vicino a Pietro” – mi pare frutto di cecità.
Non stravedo per la basilica di San Pietro, e tutte le volte che ci sono stato non ho mai provato le emozioni che altri riferiscono e che da giovane anch’io avrei ingenuamente desiderato. Purtroppo sono impermeabile alla sua retorica monumentale e ai suoi simbolismi: il cupolone, la piazza, il colonnato del Bernini “che abbraccia il mondo”, la finestra del palazzo apostolico da cui appare la bianca figura del papa, eccetera eccetera, sono tutte cose che, dal punto di vista religioso, mi lasciano pressoché indifferente. Non che me ne vanti, beninteso, mi limito a constatarlo. Per quanto mi riguarda, fossi stato al posto di papa Giulio II avrei continuato a restaurare la basilica costantiniana che c’era prima e mi sarei tenuto quella (che oggi farebbe la gioia di noi tardoantichisti). Tutta quella magnificenza rinascimentale, del resto, è costata cara alla chiesa: non parlo di soldi (che è l’argomento di Giuda), ma della rottura luterana. Magari i tedeschi lo scisma l’avrebbero fatto lo stesso, dato che “Los von Rom” è una loro fissa (anche adesso, a quanto pare, ne stanno preparando uno); ma chissà, magari sarebbe stato meno devastante. Comunque sia, se un giorno il papa dovesse decidere di vendere tutto l’immobile e San Pietro diventasse un museo (o una moschea), certo mi dispiacerebbe molto, ma non ne farei una tragedia. La fine della basilica non sarebbe la fine del cristianesimo.
La messa no. La messa è un’altra cosa. Senza la messa non resta più niente. La “strana” norma che limita le messe in san Pietro mi ha fatto venire in mente questo pensiero bizzarro. Nel mondo vi sono più di quattrocentomila sacerdoti cattolici, senza contare tutti quelli validamente ordinati nelle altre chiese che hanno la successione apostolica. Ipotizzando che la grande maggioranza di loro dica messa tutti i giorni e tenendo conto della diffusione del cristianesimo in ogni parte del mondo e dei diversi fusi orari, si può immaginare che attualmente in ogni momento del tempo che scorre si stia celebrando la messa. In ogni momento del tempo, da qualche parte del mondo, in una chiesa o in qualche altro luogo (comprese le prigioni) sta avvenendo l’unico sacrificio redentore di Cristo. E forse il mondo sopravvive proprio per questo. Forse il peso enorme dei suoi peccati non schiaccia l’umanità solo perché in ogni momento, da qualche parte, un sacerdote alza l’ostia consacrata verso il cielo.
Se lo scisma è la fissa dei tedeschi, quella dei liturgisti, almeno da cinquant’anni a questa parte, è «meno messe, più messa». Sulla prima parte del programma, direi che si sono portati molto avanti e il nuovo regolamento di san Pietro segna un ulteriore passo verso il traguardo; sulla seconda mi pare invece che sia buio pesto. Quando, per via dei pochi sacerdoti rimasti, per giunta “obbligati” a concelebrare, e solo cum populo (perché si sa, se non c’è el pueblo …), di messe ce ne saranno molte meno di adesso e quella catena sacrificale che forse tiene in piedi il mondo sarà sempre più spesso interrotta. Allora, che ne sarà di noi? (Ma questa è solo la divagazione di un vecchio mentre spinge l’altalena del nipotino).
https://leonardolugaresi.wordpress.com/2021/03/31/e-chiusa-la-messa/
«C’era un Grillo in un campo di lino …». Anche Giuda scelse il “bene possibile”: il suo bene, non quello che Cristo gli propose
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