“Heiliger Vater”, “Querido hermano”. Il duello in punta di penna tra Roma e la Chiesa di Germania
Passano i giorni, ma dove andrà a parare lo scambio di lettere tra il cardinale Reinhard Marx e il papa continua a essere un enigma.
Una cronistoria della vicenda può aiutare a capire, ma prima di tutto va tenuto presente il contesto, quel “Cammino sinodale” che la Chiesa di Germania ha avviato tre anni fa e i cui traguardi sono già scritti, reclamati da una maggioranza schiacciante di vescovi e laici: cariche elettive, fine del celibato sacerdotale, ordini sacri alle donne, morale sessuale rivoluzionata. Un incubo anche per papa Francesco, che invano, con una lettera del 29 giugno 2019 “al popolo di Dio che è in cammino in Germania”, ha tentato di frenare la deriva. E ora forse ci riprova, proprio con la sua risposta alla lettera di Marx.
Il primo atto di questo scambio epistolare è appunto la lettera che il cardinale Marx scrive al papa il 21 maggio.
Nella lettera, Marx enfatizza a dismisura il peso degli abusi sessuali sulle sorti della Chiesa. Afferma che si è giunti a “un fallimento istituzionale e sistemico”, di cui tutti sono “corresponsabili”. Ma “il punto di svolta per uscire da questa crisi” c’è – scrive – “ed è unicamente il ‘Cammino sinodale’”. E a questo fine offre le sue dimissioni da arcivescovo di Monaco e Frisinga, come “segnale personale per una nuova ripartenza della Chiesa e non soltanto in Germania”.
Di questa lettera nessuno inizialmente sa nulla, ma il 4 giugno Marx la rende pubblica, dichiarando d’esserne stato autorizzato quel giorno stesso dal papa.
L’indomani, 5 giugno, il presidente della conferenza episcopale tedesca Georg Bätzing, vescovo di Limburgo, intervistato dal canale televisivo Ardmediathek, appoggia in pieno la tesi espressa da Marx:
Poi però, l’8 giugno, sulla prima pagina de “L’Osservatore Romano” compare qualcosa di inusitato: una lettera al direttore del giornale vaticano firmata da un anziano e stimato cardinale, Julian Herranz, grande canonista e in questa veste coautore delle riforme giuridiche degli ultimi due pontificati in materia di abusi sessuali.
Herranz non fa il minimo cenno esplicito alla lettera del cardinale Marx, ma ne contesta la tesi portante, quella del carattere “sistemico” della crisi. La responsabilità dei misfatti non è di tutti, non è dell’intera Chiesa, ma è personale, di chi li commette. La Chiesa può essere infangata dai peccati dei suoi membri e screditata dai “poteri forti” di questo mondo, ma resta pur sempre santa e salvatrice, e per questo va ancor più difesa.
“Non si abbandona la Madre quando è ferita”, conclude Herranz citando Francesco. Difficile pensare che abbia pubblicato questa lettera, in così forte evidenza su “L’Osservatore Romano”, senza l’accordo del papa.
L’8 giugno entra in campo anche un altro cardinale, Walter Kasper, 88 anni, tedesco, teologo di valore riconosciuto e da sempre classificato come progressista, indicato più volte da papa Francesco, fin dall’inizio del pontificato, come suo primo teologo di riferimento, eppure anche lui molto critico del “Cammino sinodale” in corso in Germania.
Nemmeno Kasper fa un riferimento esplicito alla lettera di Marx, ma demolisce la tesi che il “Cammino sinodale” – così come impostato e condotto – possa rigenerare la Chiesa tedesca. La quale invece dovrebbe prestare la più grande attenzione agli ammonimenti di papa Francesco nella sua lettera del giugno 2019.
Kasper esprime queste sue posizioni in un’intervista al “Passsauer Bistumsblatt”, il settimanale della diocesi di Passau. E curiosamente, il vescovo di questa diocesi della Baviera, Stefano Oster, uno dei pochissimi oppositori del “Cammino sinodale”, è stato ricevuto in Vaticano da papa Francesco il 4 giugno, lo stesso giorno della pubblicazione della lettera del cardinale Marx.
Il 10 giugno arriva infine la risposta del papa a Marx, resa pubblica il giorno stesso.
Francesco respinge l’offerta di dimissioni, si dilunga anche lui molto sulla “catastrofe” degli abusi sessuali, e anche lui riconosce che “ci viene chiesta una riforma”. Ma non fa il minimo cenno al “Cammino sinodale” tedesco. La riforma vera, scrive, “comincia da se stessi”. “Non ci salveranno le inchieste né il potere delle istituzioni; non ci salverà né il potere del denaro né l’opinione dei media”.
E siamo all’oggi. Marx, boss supremo del “Cammino sinodale” tedesco, era quello che diceva: “Non siamo una filiale di Roma”. Ma ora, a dimissioni respinte, resta arcivescovo di Monaco sotto una tutela più stretta di Francesco. Il quale forse calcola, in tal modo, di tenere un po’ più a freno anche il “Cammino sinodale”, effettivamente non più menzionato da Marx nella dichiarazione con cui ha preso atto della risposta del papa.
In più, forse, Francesco pensa di annegare il sinodo tedesco nel “mare magnum” del sinodo mondiale sulla sinodalità da lui indetto per il 2023, la cui fitta agenda planetaria è già sul piede di partenza.
Ma che questa operazione di contenimento riesca, è tutto da vedere. Perché nel frattempo la plateale ribellione, in primo luogo germanofona, al “Responsum” della congregazione per la dottrina della fede che proibisce le benedizioni delle coppie omosessuali – una delle bandiere del sinodo di Germania – mostra che il convoglio, ormai partito, non si ferma più. In questo caso specifico anche per la doppiezza enigmatica di papa Francesco, che un giorno mostra di approvare il “Responsum” e un giorno no.
Tornando alle due lettere del cardinale Marx e del papa, ecco qui di seguito una loro analisi più approfondita, a firma del professor Pietro De Marco.
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TRA MARX E BERGOGLIO
di Pietro De Marco
1. Non intendo togliere niente alla sincerità della pena che pervade la lettera di offerta di dimissioni del cardinale Reinhard Marx. Nel mio personale stile di giudizio la verità del singolo merita sempre rispetto; ma non esaurisce mai il significato, la portata, degli eventi di cui è parte e sovente ne altera la comprensione.
Il “mea culpa” insistito ed esibito, da parte del partito ecclesiastico riformatore di cui il cardinale è esponente, sullo scandalo della pedofilia nel clero cattolico sta assumendo forme e profili insidiosi e incontrollabili dagli stessi che se ne avvalgono. Il “mea culpa” agisce infatti come un’arma intraecclesiale, poiché non vi è, propriamente, nel partito riformatore, un intento di purificazione dell’esistente (il santo ordinamento della Chiesa) ma di liquidazione.
All’errore dei pastori di non avere tenuto conto – se non troppo tardi – dei possibili “danni alla persona” e della perseguibilità in sede civile degli abusi, e di aver solo sanzionato il delitto di “sollicitatio” a carico del prete colpevole, si sta rispondendo oggi, troppo spesso, con una indiscriminata autocolpevolizzazione di cui proprio le dichiarazioni di Marx sono un caso esemplare. Essa forse ammansisce l’opinione pubblica e l’aggressività dei media – così come frena le molte politiche anticristiane – ma amplifica entità e rilevanza del fenomeno, immergendovi la realtà intera della Chiesa.
Questo schiacciamento scriteriato (comunque dettato da criteri ateologici) della Chiesa sul peccato di suoi singoli membri, effetto dell’oblio della realtà umano-divina della Chiesa e dei battezzati, avviene da tempo in due direzioni, che conviene ricordare.
L’una consiste nel rafforzare, da parte della Chiesa, quell’oggettivo conferimento all’opinione pubblica (non al “mondo”, come si usa dire, che è altro concetto) di un’autorità sulla Chiesa stessa. Una strategia antica di tutte le istanze anti-istituzionali a cui Roma si è sempre opposta; infine legittimata in forma confusa e acritica – col ricorso ai “laici” ormai divenuti “laicité” ostile – nell’età conciliare, sotto il pretesto della laicità del cristiano e dell’ascolto dell’uomo moderno.
L’altra, ben nota e diagnosticata da tempo, accentua per compensazione dei sensi di colpa l’autopresentazione della Chiesa in termini di funzione o presenza ausiliaria, come istituzione solidale e comunità morale, idonea ad abitare nella favola postmoderna di un “altro mondo possibile” di buoni e giusti.
In questa autopresentazione e prassi essa agisce – dopo gli scandali degli abusi – come il genitore gravemente colpevolizzato che cessa di esercitare responsabilità e autorità. Ed è facile capire che non si potrebbe fare di peggio. Infatti, se la seconda tendenza ha ormai pervaso la vita e la spiritualità correnti delle comunità cristiane, cattoliche e non, infantilizzandole, la prima è della massima gravità, poiché mette l’istituzione, l’autorità e la dignità stesse della Chiesa sotto il giudizio delle inconsistenti culture dell’aperto e del decostruito, al loro utopismo, al loro moralismo tutto politico.
Le Chiese, o in concreto le gerarchie e le élite laicali, che praticano ad ogni passo la strategia del “chiedere perdono” supportano così, di fatto, le più grossolane tesi anticlericali, rinunciando alla vera opera di governo e autocorrezione interna e pubblica. Dico “vera”, perché la linea tedesca del “Cammino sinodale” ne costituisce una versione falsa, in quanto gli atti di governo e di autocorrezione che essa prevede consistono nella costruzione di surrogati “accettabili” dell’istituzione e della forma cattolica.
Anche le origini di questa deriva sono lontane. Una profonda notazione del grande biblista luterano, poi approdato al cattolicesimo, Heinrich Schlier coglieva, già nei lontani anni Cinquanta, la correlazione tra una perdita della certezza del fondamento soprannaturale della Chiesa (reale e sussistente in Cristo) e una ipertrofia sostitutiva di organizzazioni e strutture, più o meno riformatrici o dal basso.
Le “rivoluzioni”, si sa, producono burocrazie. Nel “Breve rendiconto” del proprio percorso verso la Chiesa cattolica – “ove anche gli uomini si inginocchiano” –, il grande esegeta scriveva che ormai (1953) nella Chiesa evangelica “sul dogma decide, in termini di disciplina, una burocrazia ecclesiale”. E avvertiva che questo, che chiamerei estrinsecismo riformista, tentava anche l’amata Chiesa cattolica. E tale, in effetti, non solo sarebbe l’approdo prevedibile del “Cammino sinodale” di Germania, ma è già la sua prassi.
La mossa del cardinale Marx, quale ne sia il suo grado di consapevolezza, avviene in questo azzardo della Chiesa tedesca e lo supporta.
2. Questo scrivevo prima della lettera papale di risposta a Marx del 10 giugno scorso. Su di essa si possono subito osservare tre cose: (a) il papa, prendendo alla lettera le argomentazioni del cardinale di Monaco, amplifica il tema della catastrofe ecclesiale (“la triste storia degli abusi sessuali”) e ne satura anche il proprio testo; (b) sembra anche dire al confratello: poiché non sei il solo nella Chiesa a soffrirne, abbi come gli altri il coraggio di durare, di far fronte; e ancora gli dice (c) di andare avanti, come pastore, nel deserto della desolazione e della croce, perché “non ci salveranno le inchieste” (le onerose “Untersuchungen” sulla pedofilia commissionate dalla Chiesa tedesca a esperti esterni) né “il potere delle istituzioni”.
La replica del papa, con il rifiuto delle dimissioni, è dunque ordinata a un percorso di modifica non istituzionale ma personale. Alla problematicità di Marx, Francesco risponde con l’invito a “mettere in gioco la propria carne”, a non essere “ideologi di riforme”.
Parole accorte, visto che Roma non sa trovare altre risorse per far fronte ai vescovi tedeschi e al loro inquietante “Cammino sinodale”. Ma dobbiamo dissentire quando anche il papa, come il cardinale Marx, insiste con l’idea che “la Chiesa non può compiere un passo avanti senza accettare questa crisi”. Non solo perché essa è saldamente fondata in Cristo ma perché infinite anime vivono nella Comunione dei santi sulla terra senza trovare ostacolo alla carità nel peccato di alcuni preti.
La “confessione della nudità” – “ho peccato!”–, come si esprime con giusta immagine la lettera papale, appartiene ad ogni anima con il suo carico di croce. Ma è infecondo e senza verità sporcare l’intero corpo della santa Chiesa in un teatrale “mea culpa”, per parare i colpi di un’ideologia mondiale che non ha alcuna dignità di giudice ma ha la forza del Calunniatore. Si veda il caso recente delle denunce portate contro la scuola cattolica canadese di oltre un secolo fa (il caso delle Indian Residential Schools), inconsultamente prese per attendibili.
Il Santo Padre deve proteggersi dalla ingenuità di chi, nella Chiesa, confonde questa aggressiva cultura anticattolica con “le vaste regioni dell’esperienza e del sapere umano”, da cui la fede e la Chiesa dovrebbero imparare.
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