Quelle voci di dimissioni di Francesco, mentre si allungano i tempi del ricovero. E due libri parlano di Chiesa che brucia e gregge smarrito…
Sulle condizioni di salute di Francesco, il sito paravaticano ilsismografo scrive: “La domanda che circola da ieri pomeriggio tardi, quando sono state diffuse immagini di un filmato in cui si vede Papa Francesco in sedia a rotelle mentre riceve il saluto di quasi tutti le persone (e molti dei loro parenti) ricoverate nelle diverse stanze singole del decimo piano del Policlinico Gemelli, riguarda questa sedia” (…). L’articolo termina così: “Intanto dal Gemelli arrivano voci su probabili dimissioni del Papa nelle prossime ore”.
Il tema del posto Bergoglio è al centro di due libri di cui si occupa Sandro Magister.
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Conclave in vista, tutti a prendere le distanze da Francesco
Al futuro conclave non dedicano neppure una riga. Eppure, due libri gemelli usciti di recente in Italia proprio lì vanno a parare inesorabilmente.
Il primo ha per titolo La Chiesa brucia e il secondo Il gregge smarrito. Entrambi diagnosticano un cattivo stato di salute della Chiesa, con un netto peggioramento proprio durante l’attuale pontificato.
Ma i loro autori non sono affatto degli oppositori di papa Francesco. Il primo libro è firmato da Andrea Riccardi, storico della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, molto ascoltato dal papa che lo riceve spesso in udienza privata e gli ha affidato – tra l’altro – la regia dello scenografico summit interreligioso presieduto dallo stesso Francesco lo scorso 20 ottobre sulla piazza del Campidoglio. Mentre il secondo libro è firmato da una neonata associazione dal nome “Essere qui” il cui numero uno è Giuseppe De Rita, 89 anni, fondatore del CENSIS e decano dei sociologi italiani, nonché protagonista di una stagione del cattolicesimo postconciliare che ebbe il suo evento chiave nel 1976 in una grande assemblea di Chiesa su “Evangelizzazione e promozione umana”.
Nel suo libro, proprio alle linee maestre di quel lontano convegno De Rita vorrebbe riportare oggi la Chiesa, all’opposto – a suo dire – di quanto fatto da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che avrebbero sterilmente insistito sulla sola evangelizzazione trascurando la promozione umana e la rete delle relazioni sociali.
Nel frattempo, però, non solo la secolarizzazione ha inaridito gran parte del cattolicesimo, specie in Occidente, ma è dilagata quella rivoluzione antropologica che ha mutato radicalmente l’idea del nascere, del generare, del morire, del libero arbitrio, in una parola l’idea stessa dell’uomo, molto lontana da quella della Bibbia, magistralmente messa in luce da quello che è forse il più bel documento prodotto dalla Santa Sede in questi ultimi anni, firmato dalla pontificia commissione biblica e dal titolo “Che cosa è l’uomo?”.
Sulla sfida posta da questa rivoluzione antropologica e sulla risposta della Chiesa, in entrambi i libri c’è poco o nulla. Il loro orizzonte analitico è ristretto, quando invece la posta in gioco è epocale, analoga a quella del cristianesimo dei primi secoli, che senza assimilarsi né separarsi dal mondo circostante, in larga misura estraneo ed ostile, seppe entrare con esso in una relazione fortemente critica, esercitando al tempo stesso un’influenza culturale straordinaria sulla società, in senso cristiano.
Va notato che l’autore del primo libro, Riccardi, è anche membro di spicco dell’associazione “Essere qui” che firma il secondo libro, assieme ad altre personalità come Romano Prodi, ex presidente della commissione europea ed ex capo del governo italiano, Gennaro Acquaviva, tessitore per il partito socialista del concordato del 1984 tra la Santa Sede e l’Italia, Ferruccio De Bortoli, ex direttore del maggiore quotidiano italiano, il “Corriere della Sera”.
Tutti si propongono come un “think tank” offerto alla Chiesa per il suo cammino. Senza criticare nulla dell’attuale pontificato, ma nemmeno esaltandolo. Ne parlano poco e in forma elusiva, come stando a distanza da una parabola ormai giunta al suo tramonto. Che è esattamente la loro premessa per ragionare sul futuro papa.
Di Francesco si sa. Ha i suoi prediletti per la successione. Il primo è il cardinale filippino, un po’ cinese per parte di madre, Luis Antonio Gokim Tagle, prefetto di “Propaganda Fide” e per questo uno dei porporati più conosciuti al mondo
Per Tagle, si obietta, c’è l’ostacolo dell’età. Ha 64 anni e quindi potrebbe regnare troppo a lungo perché i cardinali elettori scommettano su di lui. Ma soprattutto è ritenuto troppo vicino a Jorge Mario Bergoglio per non finire poi travolto dalle molteplici insofferenze per l’attuale pontificato, che verranno inesorabilmente allo scoperto in un futuro conclave.
Per questo da qualche tempo Tagle sta sotto traccia, lui che nei primi anni dell’attuale pontificato era stato tanto attivo e loquace. Si tiene prudentemente a distanza, tanto più ora che il pontificato è al tramonto e le sue carenze sono sempre più manifeste.
In particolare, Tagle ha messo accortamente la sordina a quell’interpretazione del Concilio Vaticano II come rottura e nuovo inizio, da lui appresa durante i suoi studi di teologia a New York, alla scuola di Joseph Komonchak, e poi messa per iscritto, a sua firma, in un capitolo chiave della storia del Concilio più letta al mondo, prodotta dalla cosiddetta “scuola di Bologna” fondata da don Giuseppe Dossetti e da Giuseppe Alberigo.
Un altro porporato caro a Francesco è l’arcivescovo di Monaco e Frisinga Reinhard Marx, 68 anni, associato nel 2013 dal papa alla ristretta rosa dei cardinali chiamati ad assisterlo nel governo della Chiesa universale e promosso in curia alla presidenza del consiglio per l’economia.
È vero che il “cammino sinodale” messo in moto in Germania, con Marx tra i promotori, angustia seriamente Francesco, per i suoi obiettivi dirompenti. Ma il papa continua a tenersi vicino questo cardinale, forse calcolando di ricorrere al suo aiuto per frenare la deriva.
Marx però ha tutta l’aria di voler giocare in proprio e distanziarsi da una prossimità a Bergoglio che potrebbe fargli danno in un conclave. Ha lasciato la presidenza della conferenza episcopale tedesca e soprattutto – accampando una responsabilità collettiva dei vescovi nello scandalo degli abusi sessuali – ha offerto le proprie dimissioni da arcivescovo di Monaco e Frisinga.
Il papa le ha rifiutate, ma la mossa del cardinale è stata letta da alcuni osservatori come finalizzata proprio a un’autocandidatura di Marx alla successione, naturalmente per un pontificato che segni il drastico superamento del “cattolicesimo romano”, in ossequio al secolare complesso antiromano della Chiesa cattolica di Germania, sempre tentata da una assimilazione al protestantesimo.
Poi ci sono i cardinali che a Francesco sono invece i più invisi. Angelo Becciu gli è talmente indigesto che il papa l’ha brutalmente spogliato dieci mesi fa – senza spiegazione alcuna e prima di qualsiasi regolare processo – di tutti i “diritti” del cardinalato, compreso l’accesso al conclave.
Propriamente Becciu non è mai stato un papabile, ma un grande elettore sì, anche grazie alla sua appartenenza alla rete internazionale dei cardinali e vescovi amici del movimento dei Focolari, una delle lobby ecclesiastiche più funzionali a pilotare i consensi. Mettendo Becciu fuori giuoco con ignominia, Francesco ha di fatto disarmato anche il reticolo che a lui faceva capo.
Pietro Parolin è un altro dei cardinali che Bergoglio ha contribuito a rimuovere dalla lista dei papabili. Ma propriamente, Parolin ci ha già messo molto del suo per deludere chi inizialmente vedeva in lui un auspicabile successore, capace di riportare sulla giusta rotta la nave della Chiesa nella burrasca creata da papa Francesco, correggendone le derive senza tradirne lo spirito.
Infatti, finito com’è sotto gli occhi di tutti il marasma della segreteria di Stato sottoposta al suo governo, è difficile immaginarlo capace di governare la Chiesa, che è realtà incomparabilmente più vasta e complessa. Per non dire della catena di insuccessi delle sue iniziative diplomatiche, “in primis” con la Cina.
Piuttosto, tra i moderati c’è chi vedrebbe volentieri sulla cattedra di Pietro un cardinale come l’ungherese Péter Erdô, 69 anni, arcivescovo di Esztergom e Budapest e per dieci anni presidente del consiglio delle conferenze dei vescovi cattolici d’Europa, ben apprezzato da molti anche per aver guidato con saggezza e fermezza la resistenza ai fautori del divorzio e della nuova morale omosessuale, nel doppio sinodo sulla famiglia di cui era relatore generale.
Tra due mesi Erdô presiederà a Budapest il 52.mo congresso eucaristico internazionale e papa Francesco vi si recherà a celebrare, il 12 settembre, la messa conclusiva. L’occasione sarebbe ottima per accendere un faro su di lui come personalità di alto profilo del collegio cardinalizio, con molti talenti per essere eletto papa.
Sta di fatto, però, che Bergoglio le ha inventate tutte per declassare il suo viaggio a Budapest e tenere in ombra questo suo possibile, ma soprattutto temuto, successore. Ha prima aggiunto e poi dilatato a quattro giorni una propria visita nella confinante Slovacchia, e in tal modo ha ridotto la sua presenza al congresso eucaristico a un frettoloso scalo, visibilmente espletato contro voglia.
Di certo, un successore come Erdô riporterebbe il papato nel solco di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, cioè proprio di quei due papi che avrebbero interrotto – secondo i due libri citati all’inizio – il felice intreccio tra Chiesa e società, tra “evangelizzazione e promozione umana”, della prima stagione postconciliare.
Perché, invece, Riccardi e soci il candidato giusto l’avrebbero. È il cardinale Matteo Zuppi (nella foto), 66 anni, arcivescovo di Bologna e pronipote di un altro cardinale, Carlo Confalonieri (1893-1986), che fu anche segretario di papa Pio XI, ma soprattutto cofondatore, con lo stesso Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio, indiscutibilmente la più potente, influente e onnipresente lobby cattolica degli ultimi decenni, a livello mondiale.
Come assistente ecclesiastico generale della Comunità di Sant’Egidio e parroco fino al 2010 della basilica romana di Santa Maria in Trastevere, oltre che da quell’anno vescovo ausiliare di Roma, Zuppi s’è mosso al centro di una rete incomparabile di persone e di eventi su scala planetaria, sia religiosa che geopolitica, dagli accordi di pace in Mozambico degli anni 1990-92 all’odierno supporto dell’intesa segreta tra la Santa Sede e la Cina, dagli incontri interreligiosi di Assisi ai “corridoi umanitari” per gli immigrati in Europa dall’Africa e dall’Asia.
Adattatasi come un camaleonte ai due pontificati di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, con Francesco la Comunità di Sant’Egidio ha toccato l’apogeo, con Vincenzo Paglia alla testa degli istituti vaticani per la vita e la famiglia, con Matteo Bruni a capo della sala stampa e soprattutto con Zuppi, promosso alla testa dell’arcidiocesi di Bologna, fatto cardinale e ora in corsa anche per la presidenza della conferenza episcopale italiana.
Da qui alla sua elezione a papa il procedere non è affatto assicurato, ma è seriamente nell’ordine delle cose. Tanto più con un collegio di cardinali elettori disordinato, di incerto sentire e facile ad essere instradato, ad opera di una lobby questa volta non cardinalizia – come la leggendaria “mafia” di San Gallo che avrebbe propiziato l’elezione di Bergoglio – ma sicuramente più influente e determinante, che ha il nome, appunto, di Comunità di Sant’Egidio.
Zuppi ama essere definito “cardinale di strada”, come nel docufilm da lui già messo in circolazione, e ha avuto l’astuzia di firmare la prefazione all’edizione italiana del libro pro LGBT del gesuita James Martin, amatissimo da papa Francesco.
Ma appunto. Come provano i due libri sopra citati, è scoccata l’ora di prendere le distanze dal papa regnante, se si punta a succedergli. Dopo averne spremuti tutti k favori, la lobby di Sant’Egidio ha deciso di consegnare Francesco agli archivi. La Chiesa brucia, il gregge è smarrito, è l’ora di un nuovo papa. I due libri ne tracciano a loro modo il profilo. Peccato che il vuoto programmatico di entrambi, sulle vere sfide epocali che la Chiesa è oggi chiamata ad affrontare, non gli sarà di aiuto.
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