C’è un modo infallibile, osserva Søren Kierkegaard, per agevolarsi e semplificarsi la vita: essere dei farfalloni nel campo dei sentimenti, e dei voltagabbana in quello dei principi; seguire la corrente delle mode, aderire come un guanto a ciò che pensa e fa il mondo e sostituire la chiacchiera ai fatti, senza darsi alcun pensiero.
Ovviamente, per fare ciò bisogna calpestare ogni residuo di pudore, di coerenza, serietà e dignità: ma che importa, visto che il mondo non dà alcuna importanza a simili cose, anzi le considera scrupoli superflui ed esagerati, se non proprio inutile zavorra da gettare via per poter procedere spediti e leggeri? D’altra parte, la condizione necessaria per adottare un simile stile di vita è scacciare il pensiero che la vita stessa rappresenti qualche cosa di serio, che abbia un fine e uno scopo, che ci sia stata data per fare qualcosa di preciso, di buono e necessario e non per coltivare qualsiasi passione e inseguire qualunque capriccio.
Se poi passiamo a considerare il caso specifico del cristiano – Kierkegaard diceva che tutti siamo cristiani, quindi nessuno lo è davvero; ma oggi si dovrebbe dire che nessuno è più cristiano, neanche quelli che credono di esserlo, ed è proprio così – vedremo che lo stile del chiacchierone è esattamente lo stesso e che implica una mancanza di serietà e di coerenza ancor più evidenti. Il cristiano è colui che dedica tre quarti d’ora della sua settimana ad ascoltare un altro sedicente cristiano, il prete, che fa un bellissimo sermone domenicale; dopo di che non ci pensa più per altri sei giorni, e mai lo sfiora l’idea che quelle bellissime cose egli dovrebbe almeno sforzarsi di calarle nella realtà concreta della propria vita.
O chiacchieroni, o cristiani: una cosa esclude l’altra?
Certo, quest’ultima osservazione è particolarmente azzeccata per la messa protestante, che è, in fin dei conti, poco più di un memoriale e una semplice liturgia della parola, senza la Presenza Viva di Gesù Cristo nel mistero eucaristico; ma quanto è diversa la messa cattolica, dopo l’introduzione della cosiddetta riforma liturgica post-conciliare? E che dire delle omelie del nuovo clero pseudo cattolico, basate esclusivamente su una prospettiva terrena, e da ultimo trasformate in propaganda vaccinale, sostituendo implicitamente l’idea della Redenzione di Cristo con quella di una “salvezza” tutta materiale, peraltro quanto mai problematica, derivante dall’assunzione del pessimo vaccino, fabbricato con cellule di feti abortiti? Che cosa c’è ancora di cristiano in tutto questo? Che cosa c’è di cristiano nella celebrazione della Festa dell’Assunzione di Maria, fatta sguinzagliando un trio di danzatrici indù lungo tutto il Duomo di Napoli, sino allo spettacolo finale davanti all’altar maggiore: spettacolo che, se consisteva in una semplice danza etnica, era del tutto inopportuno in quel luogo e in quel giorno, e se invece era una vera danza religiosa, dava luogo a una sacrilega profanazione? Ma di che stiamo parlando! Se il sedicente papa in persona ha presieduto all’intronizzazione d’un idolo pagano nella Basilica di San Pietro, e i vescovi e i “fedeli” l’hanno adorato, di quale cristianesimo stiamo discutendo? Appunto: del cristianesimo denunciato da Kierkegaard un secolo e mezzo fa: il cristianesimo non di Gesù Cristo, ma dei chiacchieroni, dei farfalloni, dei leggeroni, delle banderuole al vento. Di tutti quelli che vogliono risparmiarsi ogni fatica e ogni difficoltà nel cammino della vita, e più di qualsiasi altra cosa desiderano essere graditi al mondo.
È di perenne, sconvolgente attualità andare a rileggersi ciò che scriveva Kierkegaard sull’ultimo numero de L’Ora del 30 settembre 1855: ed era il suo testamento spirituale, poiché due giorni dopo, il 2 ottobre, cadeva per la strada e, trasportato in ospedale, si spegneva l’11 novembre, rifiutando la comunione dalle mani dei ministri luterani (da: S. Kierkegaard, L’ora. Atto di accusa al cristianesimo nel regno di Danimarca; introduzione di Mario Dal Pra e traduzione di Antonio Banfi, Roma, Newton Compton Editori, 1977, pp. 160-162):
Mentre ogni concezione della vita (già nelle forme più alte del paganesimo, per tacere completamente del Cristianesimo) ritiene che l’uomo ha il compito di avvicinarsi a Dio e che questo sforzo è destinato a rendere la vita difficile, tanto più difficile, quanto più lo sforzo è serio, deciso e rigoroso, nel corso dei tempi l’umanità è giunta ad un’altra idea del significato e del compito della sua vita. Nella sua furberia naturale, l’umanità è riuscita a strappare alla vita il suo segreto; ha scoperto cioè che si può rendere facile e comoda la vita quando la si vuol aver tale (e certo al si vuol aver tale). Basta solo abbassare sempre più il valore della propria personalità, il valore dell’uomo: la vita allora divien sempre più facile. Diventa un chiacchierone e vedrai che tutte le difficoltà scompariranno.
Una volta il sentimento era per la donna tutta la sua vita. Bastava un dolore per chiudere la sua esistenza fuori da tutta questa vita. Bastava che l’amante morisse o le divenisse infedele, perché essa sentisse come assoluta necessità di rinunciare alla vita; il che, condotto alle estreme conseguenze, produceva lotte e tormenti interiori, dava origine a urti dolorosi col mondo, insomma rendeva la vita difficile. Ma perché tutte queste difficoltà? Se tu sei una leggerona tutte queste difficoltà scompaiono. La morte o l’infedeltà dell’amato diviene una semplice pausa, come quando, durante un ballo, ci si mette un poco a sedere. Tra una mezz’ora ballerai con un nuovo cavaliere. Sarebbe stato in fondo ben noioso ballar tutta la notte con un solo cavaliere; e, per ciò che riguarda l’eternità, è utilissimo sapere che là aspettano parecchi cavalieri. Non vedi? Tutte le difficoltà svaniscono; la vita diventa piacevole, semplice, lieta, facile; in breve, noi viviamo in un mondo magnifico, purché si sappia viverci, purché si sappia andare la serietà.
Una volta per l’uomo il suo proprio carattere era tutta la sua realtà. Egli aveva principi, principi che non avrebbe rinnegato o lasciato ad alcun prezzo. Egli avrebbe rinunciato alla vita, sui sarebbe sottomesso ad ogni maltrattamento, piuttosto che sacrificare qualcosa dei suoi principi. Poiché egli comprendeva che la rinuncia anche alla minima pare ei suoi principi avrebbe voluto dire sacrificarli tutti o sacrificare sé con essi. In tal modo la vita era piena di difficoltà.
Søren Kierkegaard diceva che tutti siamo cristiani, quindi nessuno lo è davvero, ma oggi si dovrebbe dire che nessuno è più cristiano neanche quelli che credono di esserlo!
Ma, dunque, perché tante difficoltà? Se tu diventi un leggerone, tutte le difficoltà svaniscono. Diventa un leggerone, abbi oggi un’idea, domani un’altra, popi di nuovo quella di prima, e quindi un’altra ancora; diventa un chiacchierone, moltiplicati in te stesso, spezza la tua personalità, abbi un’idea anonima e un’altra col tuo nome, una a parole, un’altra per iscritto, una come impiegato, un’altra come privato cittadino, un’altra per il Club, e vedrai (mentre tutti gli uomini di carattere, quanto più erano tali, tanto più sperimentavano e riconoscevano che questo mondo è mediocre, miserabile, triste, corrotto, malvagio, adatto solo per gli imbroglioni e i fanfaroni) vedrai, dico, che questo mondo è una bellezza, proprio adatto per te.
Una volta la personalità di un uomo dipendeva dall’alta stima ch’egli faceva del suo essere cristiano. Era cosa seria per lui morire a se stesso, odiar sé stesso, soffrire perla verità, e la vita era perciò difficile, anzi così ricca di pene che anche i più coraggiosi cedevano, quasi, sotto tante difficoltà, si torcevano come vermi, e persino i più umili giungevano quasi ala disperazione. Ma perché, dunque tante difficoltà? Se tu diventi un leggerne, vedrai che tutte e difficoltà svaniscono. Diventa un chiacchierone; diventa un parroco, un decano, un vescovo danese, che, in nome del suo sacro giuramento sui Vangeli, ogni settimana, per tre quarti d’ora va blaterando qualcosa di sublime, ma che, per il resto, ti saluta bellamente ogni ideale. Oppure diventa un laico che per tre quarti d’ora si lascia commuovere da quelle sublimità che il predicatore va blaterando per tre quarti d’ora, ma che, per il resto, ti saluta bellamente ogni ideale. Vedrai, tutte le difficoltà scompariranno. Falsifica radicalmente la concezione divina o cristiana della vita, riconosci la via giusta e cara a Dio (contro la parola di Dio) secondo che essa è agevole, e vedrai scomparire tutte le difficoltà. Questo mondo diverrà una meraviglia e, col passare dei secoli, questo sublime modo di vivere diverrà sempre più sublime, più comodo e più agevole. E non darti pensiero, credimi. Tu non devi vergognarti di fronte a nessuno, ché tutta la compagnia è del medesimo tipo. Perciò ti spetta la lode, la ode per la tua furberia, la lode da parte degli altri, che, con la loro lode per te - guarda furberia! – procacciano la lode anche per sé e ti condannerebbero solo se tu non fossi come gli altri.
Oggi i cattolici adulti hanno tolto la croce dal cristianesimo. Solo che togliere la croce è la stessa cosa che togliere Gesù Cristo. Cosa mai rimane?
La furberia, dunque, ha sempre fatto parte della psicologia umana; perciò la domanda che ci dobbiamo porre è: come avviene che l’uomo moderno abbia disimparato ad esser una persona seria, e che il cristiano adulto abbia scordato così rapidamente il cristianesimo, per divenire, l’uno e l’altro, dei vuoti chiacchieroni? Il chiacchierone è colui che oggi dice una cosa, domani ne dice un’altra; che oggi fa una cosa, domani un’altra; è appagato dal suono della propria voce e non si dà alcun pensiero di stabilire un minimo di coerenza fra le sue parole e le sue azioni. Il chiacchierone è l’uomo del giorno, l’uomo del momento, colui che non si stacca mai dal gruppo e che arriva a un tal punto di abbrutimento da coltivare l’idea di essere originale e persino speciale, quando invece esce dallo stampino ove si fabbricano gli uomini in serie. Ma come si diventa tali, specie se i propri genitori, o i propri nonni, che erano persone serie e non dei chiacchieroni, hanno dato tutt’altro esempio coi fatti, e non solo a parole? Ciò accade, a nostro credere, allorché si smarrisce del tutto la nozione della serietà della vita. Quando la vita è percepita come una cosa futile, casuale, priva di senso e di orientamento, gli uomini smettono di preoccuparsi di essere delle persone serie. I nostri genitori e i nostri nonni sapevano che la vita è una cosa seria: per questo si sforzavano di essere persone serie. Essere persone serie, cioè coerenti, impegnate, tese verso un obiettivo non banale, un obiettivo che ci trascende perché si trova al di là di quel che la vita può materialmente offrire, significa necessariamente andare incontro a difficoltà, incomprensioni, invidie, ostacoli, meschinità, piccinerie e, quanto più ci si sforza di essere persone serie, anche persecuzioni vere e proprie. I cristiani seri non esitano a dare la propria vita pur di non offendere Gesù: e questo avviene anche oggi, ma quasi sempre molto lontano da noi, nei luoghi ove professare il Nome di Gesù significa letteralmente esporre la propria vita al martirio.
Qui da noi, le cose funzionano in tutt’altro modo. Qui da noi, una quantità di cosiddetti cristiani e di cosiddetti cattolici dicono e fanno tutto quel che piace al mondo, sino al punto di approvare il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, la sodomia, e ogni tipo di pratica volta a procurare bambini a chi voglia soddisfare il proprio desiderio di paternità e di maternità, ma senza prendersi il disturbo di dividere la propria vita con un compagno o una compagna del sesso opposto, perché l’importante è amare, e dove c’è l’amore c’è una famiglia. Tali sono le enormità che dicono e fanno i cattolici adulti per rendersi la vita più semplice ed eliminare ogni ostacolo dal proprio cammino. Rispetto ai tempi di Kierkegaard, c’è stato un ulteriore raffinamento di malizia: allora bastava abbassare l’asticella della propria dignità e della propria serietà; ora si abbassa l’asticella del Vangelo e dello stesso Gesù Cristo, si riduce il cristianesimo a pura chiacchiera e Gesù Cristo a un grande chiacchierone, e il gioco è fatto. Ed ecco che i Bergoglio, i Paglia, i James Martin, i Sosa Abascal, i Marx e tutti gli altri possono dire e fare quel che dicono e fanno, da perfetti chiacchieroni, senza darsi un pensiero al mondo che non sia quello di piacere agli uomini piuttosto che a Dio, di strappare l’applauso, di ricevere le lodi della stampa e delle televisioni, di essere invitati nei salotti e nei luoghi che contano, di essere al cento dell’attenzione generale.
Oggi il cristianesimo non è piu' di Gesù Cristo, ma dei chiacchieroni, dei farfalloni, dei leggeroni, delle banderuole al vento: di tutti quelli che vogliono risparmiarsi ogni fatica e ogni difficoltà nel cammino della vita, e più di qualsiasi altra cosa desiderano essere graditi al mondo!
Nella società laica le cose vanno allo stesso modo. Un fidanzato o una fidanzata seri, diceva Kierkegaard, fanno del loro amore la cosa più importante di tutte: se la vita li priva di esso, non siedono mezz’ora a riposare, per poi passare a un altro fidanzato o un’altra fidanzata. Ma erano altri tempi, perché esisteva comunque il fidanzamento, esisteva il matrimonio, esisteva l’idea, almeno teorica, che scegliere una persona significa impegnarsi con lei per sempre, davanti a Dio e davanti agli uomini. Oggi tutto questo è diventato archeologia: nel giro di una generazione, sposarsi è diventato un lusso; e quanto a fidanzarsi, il concetto stesso è sparito dall’orizzonte. Ci si prende ci si lascia; poi si prende o ci si fa prendere da qualcun altro, senza aver atteso neanche il tempo di una sosta fra un ballo e l’altro: chiodo scaccia chiodo, via un amore si passa ad un altro. Eterosessuale oppure omosessuale, che differenza ci sarà mai? Questi sono dettagli: è sempre amore, e questo è tutto ciò che conta. Al fondo della nuova filosofia spiccia di milioni di persone c’è l’idea che la vita è quella cosa da cui bisogna togliere tutte le spine, tutte le difficoltà, tutti i sacrifici, perché soffrire è da stupidi quando invece ci si può divertire. È così che i cattolici adulti hanno tolto la croce dal cristianesimo. Solo che togliere la croce è la stessa cosa che togliere Gesù Cristo. Cosa mai rimane?
O chiacchieroni, o cristiani: una cosa esclude l’altra
di Francesco Lamendola
02_Il duro messaggio di La Salette: peccato e castigo, “martello e tenaglia” (seconda parte)
8 luglio 2021
La Vergine a La Salette presentò con estrema chiarezza, dunque, il legame direi “ontologico” esistente tra peccato e castigo:
« Se il raccolto si guasta la colpa è vostra. Ve l’ho fatto vedere l’anno passato con le patate: voi non ci avete fatto caso. Anzi quando ne trovavate di guaste bestemmiavate il Nome di Mio Figlio. Esse continueranno a marcire e quest’anno, a Natale, non ve ne saranno più (…). Se avete del grano, non seminatelo. Quello seminato sarà mangiato dagli insetti e quello che maturerà cadrà in polvere al momento della battitura. Sopraggiungerà una grande carestia. Prima di essa i bambini al di sotto dei sette anni saranno colpiti dai tremiti e moriranno tra le braccia di coloro che li terranno. Gli altri faranno penitenza con la carestia. Le noci si guasteranno e l’uva marcirà”. La Signora, tuttavia, aggiunse che: “Se si convertono le pietre e le rocce si muteranno on mucchi di grano e le patate nasceranno da sole nei campi ».
Nonostante la luminosa prospettiva dei benefici anche materiali provenienti da una conversione sincera, gli abitanti di La Salette non prestarono attenzione agli appelli di uan Madre così premurosa. Ebbene, cosa ne è stato di quelle dure profezie?
Un primo dato concerne quanto avvenne alle patate. Effettivamente nel 1845 un fungo, che fu individuato nella Phytophthora infestans, aveva iniziato a distruggere i raccolti di patate, che erano l’alimento principale della popolazione. L’anno successivo, quello in cui la Vergine SS. era apparsa ai due fanciulli, i contadini avevano piantato semi infetti, per cui tutto il raccolto andò in rovina. Il fenomeno non riguardò solo la Francia ma si verificò in tutta l’Europa: Belgio, Prussia, Svizzera, Italia, nessun Paese scampò all’infestazione.
Il disastro agricolo, poi, continuò con le viti a cui non fu riservata una sorte molto migliore. Riporta il saggista Vittorio Messori:
« Io sono andato a studiare cosa successe all’uva in Francia dopo il 184 e ho scoperto cose incredibili. L’anno dopo le apparizioni, fece la sua comparsa un fungo parassita che aggredisce l’uva, spargendo una malattia detta “oidio”. Si tratta di una malattia della vite che mai si era vista in Francia prima di allora. Fece moltissimi danni e quando scomparve, si manifestò subito la filossera, un pidocchio microscopico che distrusse la metà dei vigneti di tutto il Paese. Venne trovato un rimedio per la filossera ma comparve immediatamente la peronospora, una malattia sconosciuta in Europa ed originaria dall’America » (1).
Le poche viti che erano riuscite a scampare ai due flagelli precedenti vennero annientate dal nuovo male.
In conclusione: perché tutte queste catastrofi, perché questi mali? Non siamo sempre noi uomini miserabili la causa delle nostre stesse sventure a causa di quella cieca disobbedienza che distrugge la nostra vita già su questa terra per poi perdere la nostra anima per l’eternità?
« Quello che l’intero discorso (della Madonna) presenta è una realtà ben comprensibile: il male produce ulteriore male e i castighi di Dio sono in realtà opera delle mani dell’uomo. Noi infatti sappiamo che la sofferenza nel mondo è causata dal peccato, in quanto esso è la radice dell’egoismo, il nucleo di un’esistenza impostata senza riferimenti a Dio, al suo aiuto e alla sua benedizione » (2).
Crocifisso, martello e tenaglia…
Vale la pena fissare l’attenzione sulla bella immagine, fortemente espressiva, che la Vergine ha presentato a La Salette per mostrare plasticamente l’appello alla riparazione: i due pastorelli raccontano che la bella Signora portava al collo un crocifisso, sulla cui parte orizzontale erano appesi da una parte un martello (simbolo del peccato) e dall’altra una tenaglia (simbolo della riparazione e della virtù):
« Colpisce il particolare della croce, poiché essa si presenta in modo davvero originale, avendo aggiunti, a metà dei bracci laterali, martello e tenaglie, simbolo dei due opposti atteggiamenti del peccatore incallito e del cristiano pentito che, con la propria condotta, possono decidere di conficcare i chiodi nella croce di Cristo oppure di rimuoverli con una vita santa e fedele a Dio. Ai piedi del crocifisso, il teschio con i femori incrociati simboleggia l’imminenza della morte e il dovere e l’urgenza della conversione » (3).
Fuori metafora, quindi, i peccati sono come nuovi colpi di martello che prolungano la Passione di Cristo per tutto il tempo in cui sono perpetrati, fino al momento in cui non vengono rimessi mediante un sincero pentimento seguito dal ricorso al Sacramento della Confessione; la mortificazione e la penitenza, al contrario, fanno da contrappeso alle offese degli uomini criminali perché fanno espiare le colpe proprie ed altrui, “schiodando Gesù dalla Croce” (usando un linguaggio metaforico) e ungendo di balsamo le crudeli ferite del Salvatore innocente…
Teniamo sempre innanzi agli occhi, allora, queste due belle immagini: quella della tenaglia di una vita spesa in riparazione dell’“amore non amato” (come amava ripetere san Francesco d’Assisi) e quella del Cuore di Cristo ferito che ci chiede amore per amore e, a qualcuno, anche “sangue per sangue” (come amava ripetere san Gabriele dell’Addolorata).
Note:
1) V. Messori, Ipotesi su Maria, ARES, Milano 2005, p. 203.
2) Padre L. Fanzaga-S. Gaeta, La Firma di Maria, Sugarco, Milano 2005, p. 38.
3) D. Manetti, Nostra Signora di La Salette, in La nuova Bussola Quotidiana, 3.02.2014.
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