Lettera ad Aldo Maria Valli sul suo nome
mi sono rallegrato del fatto che nella tua ultima lettera tu abbia ravvivato la memoria del buon camaldolese abate Cappellari, Gregorio XVI. Egli fu preso di mira impietosamente dal mio Giuseppe Gioachino Belli e sono tutti da leggere i suoi sonetti caustici contro il papa bellunese e il suo aiutante Gaetano Moroni, che in realtà fu uomo di grande cultura e a cui dobbiamo molte notizie storiche di grande importanza.
Non so perché, ma a me è venuta in mente la presentazione di un tuo libro a cui partecipai qualche anno fa dalle parti di via del Corso. C’erano con te Ettore Gotti Tedeschi e Corrado Augias, e ricordo che Augias fece un riferimento al tuo nome che mi sembra lui definisse come “stilnovistico”. In effetti, te lo dico da musicista, il tuo nome ha un buon suono, alternando le sillabe con un 2-3-2 che offre una certa eleganza nel suo insieme. Vorrei rifletterci, perché mi sembra che da quello che può sembrare un gioco intellettuale potrebbe venire, invece, qualcosa per ispirarci.Come sai, Aldo era il nome di mio padre, quindi mi è particolarmente caro. Sei una delle pochissime persone che conosco che portano quel nome che si riferisce a sant’Aldo, eremita dell’ottavo secolo (forse) festeggiato il 10 gennaio. Il nome Aldo sembra derivare dal germanico e significa vecchio, ma nel senso di saggio. Del nostro santo sappiamo veramente poco, quasi niente in verità. Sembra, dicevo, che fosse un eremita, ma non di quelli che si allontanano completamente dal mondo, bensì di quelli che in certi momenti condividevano la vita comunitaria con altri eremiti come lui. Mi sembra un buon esempio, anche per noi, quello di ritagliarsi uno spazio per noi stessi per non essere contagiati dalla mentalità del mondo che vive nella nostra Chiesa (il passaggio al bosco) pur non rinunciando completamente al nostro ruolo sociale. In effetti una certa tradizione raffigura sant’Aldo in preghiera con le mani annerite, perché sembra fosse un carbonaio. Che bel simbolo per noi, quello di essere sempre in atteggiamento di preghiera anche se con le mani sporche, il che vuol dire due cose: primo, siamo disposti a sporcarci le mani per non rinunciare a dare la nostra testimonianza; secondo, riconosciamo che, malgrado la nostra volontà di pregare intensamente, sappiamo che ci presentiamo davanti a Dio come peccatori. Ricordiamoci: se in Matteo 27 Pilato si lava le mani per la condanna di Gesù, noi invece, come sant’Aldo, accettiamo di mostrarle sporche.
Poi il tuo secondo nome è Maria, come la Madre di Gesù. E qui non posso che ripetere, con san Bernardo, de Maria numquam satis: non ci sarebbe abbastanza spazio per dire tutto quello che possiamo su Maria. Eppure, una cosa mi rimane particolarmente impressa e la voglio condividere con te, e riguarda l’atteggiamento di Maria sotto la croce. Qualcuno ha osservato che nei dipinti la Madre di Gesù dovrebbe essere raffigurata in piedi, non accasciata. Questo perché, pur nel dolore indicibile, Ella fu sempre in grado di conservare una sua dignità e compostezza. La famosa sequenza Stabat Mater ci dice che Maria stabat dolorosa iuxta crucem, dandoci così un’immagine di compostezza pur nel momento dell’indicibile sofferenza. Mi sembra un bell’esempio per tutti noi, su come affrontare le sofferenze della vita, anche quelle causate dalla nostra stessa Chiesa. Essere in grado di mantenersi in equilibrio, anche quando il cavallo scalpita: “Equilibrio non è la posizione di un uomo seduto pacatamente su una poltrona. Il vero equilibrio è quello del cavaliere sul suo cavallo, mentre realizza con la massima intensità tutte le sue potenzialità” (Plinio Côrrea de Oliveira). Insomma, questa immagine di compostezza nell’indicibile dolore deve aiutarci ad affrontare i nostri dolori e i nostri tormenti, anche nei confronti di una Chiesa in cui, recentemente, avvertiamo un grande freddo.
https://www.aldomariavalli.it/2021/08/30/lettera-ad-aldo-maria-valli-sul-suo-nome/
Lettera ad Aurelio Porfiri sui vescovi (i quali, se vogliono, possono fare la differenza)
di recente il cardinale Cupich, arcivescovo di Chicago, ha vietato la recita, alla fine della Santa Messa, della preghiera a san Michele Arcangelo e anche la recita dell’Ave Maria.
Mi è capitato di vedere un video nel quale un sacerdote americano, al termine della celebrazione, annuncia ai fedeli le disposizioni del cardinale e poi, per l’ultima volta, canta un inno a Maria. Di quel video mi ha colpito, oltre alla comunicazione, la chiesa quasi completamente vuota e la freddezza dell’insieme. Posso dirlo? Il tutto mi ha trasmesso un sentore di fine, di morte.
Mi spiace per te, caro Aurelio, e per i nostri lettori, ma non riesco a sottrarmi a queste riflessioni cupe. D’altra parte, basta entrare in una qualsiasi chiesa per verificare che, tranne rare eccezioni, il clima, umanamente parlando, è di decadenza.
Mi chiedo se vescovi e cardinali riflettano mai su questo stato di cose (immagino di sì) e perché vadano avanti dritti per la strada del modernismo, che ci ha condotti a questo punto. Come possono non vedere? E, se vedono, perché persistono in una linea che ha portato al tracollo, alle chiese vuote, al trionfo dell’indifferentismo religioso?
Non mi si dica che un vescovo non può farci niente. Un vescovo può fare tutta la differenza del mondo. È lì per quello.
Qualche nome? In un post nel suo seguitissimo blog padre John Zuhlsdorf ne fa un paio che rendono l’idea: John Fisher (fatto decapitare da Enrico VIII per la sua opposizione all’annullamento del matrimonio con Caterina d’Aragona) e Clemens August von Galen (il “leone di Münster”, strenuo oppositore del nazismo). Ecco due vescovi che dissero non possumus, che non si piegarono, che testimoniarono la Verità nonostante la persecuzione. Lungo la storia ce ne sono stati tanti altri, a tutte le latitudini, e il loro insegnamento è uno solo: un vescovo, se vuole, può davvero incidere sulla realtà spirituale, sociale, culturale, politica.
Padre Zuhlsdorf scrive che “abbiamo bisogno di un cattolicesimo di forte identità da parte dei vescovi”, non di “parole dolci e sfumate” e, aggiungo io, di quel “dialogo” e di quella “prudenza” che sono spesso le foglie di fico con cui i pusillanimi cercano di coprire la loro mancanza di coraggio. Il problema è che i vescovi anche quando parlano tra loro si comportano allo stesso modo: non un “sì sì, no no”, ma un “sì, ma anche no”, un “no, ma anche sì”. E hanno solo il coraggio delle idee altrui.
Il nostro snervato cattolicesimo, tutto zucchero e peace and love, ha bisogno di vescovi virili. Signori vescovi, alzate la testa! Ma non per sposare il politicamente corretto. Quello lo fanno tutti. Basterebbe tornare a predicare i dieci Comandamenti, magari ricordando che se si sostiene, come ha fatto Francesco, che “non sono assoluti”, ecco che abbiamo già spalancato la porta agli “ismi” che fanno terra bruciata della Fede: soggettivismo, relativismo, indifferentismo.
A proposito, sai che cosa rispose l’arcivescovo Giacomo Biffi a un giornalista quando a Bologna un presepe fu affiancato, naturalmente in nome del “dialogo”, della “tolleranza” e del “pluralismo”, da immagini di Budda e Maometto? “Vede, Gesù Cristo ha un brutto carattere, non sopporta altri dèi vicino a lui. I primi martiri sono morti per questo”. Quelli erano vescovi!
Nella foto, il vescovo e cardinale Clemens August von Galen (1878 – 1946), il “leone di Münster”
Mons. Camisasca: Se accettiamo l’eutanasia poi arriverà la soppressione di persone affette da profonde depressioni
«La mentalità mondana è penetrata profondamente nella Chiesa. Ma questo è accaduto in ogni epoca della storia, in forme diverse. Questa sì, è una battaglia continua: contro lo spirito del mondo che vuole distruggere l’uomo riducendolo a una macchina al servizio dei potenti».
Monsignor Massimo Camisasca è vescovo di Reggio Emilia-Guastalla dal 2012. Milanese, cresciuto negli insegnamenti di don Luigi Giussani, ha persino un passato «sportivo»: fu il cappellano del mitico Milan di Arrigo Sacchi. Oggi, pastore attento e scrittore prolifico, è in prima linea nella difesa dei sempiterni principi teologici e morali della Chiesa.
Alessandro Rico, sul quotidiano La Verità del30 agosto 2021 lo ha intervistato sulla scottante questione del referendum proposto dall’Associazione Luca Coscioni che ha già raccolto 750.000 firme per abrogare parzialmente il reato di omicidio del consenziente.
Ecco alcuni stralci dell’intervista
Eccellenza, iniziamo dai concetti basilari: perché la Chiesa si oppone sia al suicidio assistito, sia all’eutanasia attiva?
«Perché l’uomo non è padrone della propria vita. Per comprendere questa affermazione è necessario entrare nelle linee fondamentali che guidano una delle culture prevalenti dell’epoca contemporanea, quella che Giovanni Paolo II chiamava “cultura della morte ” e Francesco chiama “cultura dello scarto”».
Che conseguenze comportano queste culture?
« L’uomo che si sente padrone di sé stesso, anche se non può non avvertire i limiti della propria esistenza quali la malattia e la morte, decide di allontanare da sé il più possibile i segni di tali limitazioni».
Ad esempio?
«Non si parla più di morte, ma di addio. Non si parla più di malattia, nascondendola dietro il diritto alla salute. Siamo invitati a riconoscerci come illimitati e onnipotenti, diventiamo così disumani. L’umanità invece sta nella cura, nel prenderci cura di noi stessi e degli altri».
In che modo?
«Lo Stato dovrebbe in tutti i modi sostenere le cure palliative, le terapie del dolore, aiutare attraverso una presenza infermieristica costante le famiglie segnate dalla drammatica realtà di malati inguaribili. Dobbiamo riscoprire il valore di ogni esistenza, anche la più tormentata».
E chi non sopporta più quei tormenti?
« Be’, questo non significa giudicare il dramma di chi vive, magari da anni, assistendo un proprio caro e non ce la fa più e neppure quello di chi desidera morire, stremato dalle lunghe prove».
Teme che il referendum promosso dai radicali, che mira alla parziale abrogazione del reato di omicidio del consenziente, sia il primo passo in direzione di una legge sull’eutanasia basata sui modelli di alcuni Paesi nordeuropei, come Belgio e Olanda?
«Autorevoli uomini del diritto come Giovanni Maria Flick e Luciano Luciano Violante hanno sostenuto che una legislazione che vorrebbe affrontare alcune problematiche singole finisce sempre per riconoscere dei diritti universali».
Quindi?
«Se noi diamo all’uomo il diritto di uccidere non potremmo più fermare la catena delle morti.
Perché allora combattere la pena di morte? Perché combattere la violenza sulle donne? Tutte lotte sacrosante, ma che possono trovare la loro giustificazione e forza soltanto in una legislazione che riconosca il valore sacro di ogni vita».
La nostra civiltà lo sta perdendo di vista?
«La civiltà borghese è una civiltà schizofrenica, rivendica i diritti di tutti tranne che di coloro che creano problemi. Ripeto: la strada deve essere quella del sostenere in ogni modo chi è in difficoltà, altrimenti si ricade nella barbarie che consiste nell’eliminare chi si pone come ostacolo alla nostra quiete. È la stessa ragione per cui siamo caduti nell’inverno demografico».
Teme, in definitiva, che l’eutanasia cominci a essere applicata ai casi in cui pare davvero più ragionevole concedere un aiuto a morire – i malati di cancro o i tetraplegici – per trasformarsi poi nella soppressione di persone affette da profonde depressioni, ma non invalide né allo stadio terminale?
«Temo purtroppo che sia così».
Nella Chiesa avverte un unanime desiderio di dare battaglia contro queste derive etiche? O crede che certe correnti progressiste finiscano per fare il gioco della cultura nichilista?
«Ritengo che nella Chiesa di oggi ci sia poca attenzione alle tragiche derive culturali del nostro tempo » .
Sì?
«Non si tratta tanto di fare battaglie, quanto di prendere coscienza della tragica svolta antropologica e di ricominciare a tessere, a partire dall’educazione dei più piccoli, l’alfabeto dell’umano che abbiamo quasi completamente dimenticato».
Qualcosa si è incrinato nella capacità della Chiesa di parlare a questo mondo: nel 2005 i cattolici furono capaci di neutralizzare il referendum sulla fecondazione assistita, oggi è già tanto se si riuscirà a rinviare ancora l’approvazione del ddl Zan. Cos’è successo?
«La mentalità mondana è penetrata profondamente nella Chiesa. Ma questo è accaduto in ogni epoca della storia, in forme diverse. Questa sì, è una battaglia continua: contro lo spirito del mondo che vuole distruggere l’uomo riducendolo a una macchina al servizio dei potenti».
Come si può rimediare ?
«Sono fondamentali una predicazione e un insegnamento che non dimentichino le verità fondamentali della vita presente e futura, dell’uomo come creatura, del peccato e della salvezza. Questo non riguarda soltanto i credenti. Il peccato e la salvezza riguardano tutti».
Di Sabino Paciolla
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