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martedì 7 settembre 2021

Gli idoli crescono di numero e potenza

Aurelio Porfiri risponde a Raniero La Valle: Post Teismo, o Post Ragione?


Carissimi Stilumcuriali, il M° Aurelio Porfiri ci offre questa argomentata riflessione e risposta ad alcune tesi esposte da Raniero La Valle, una ben nota personalità del progressismo cattolico filo-comunista. Buona lettura. 

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Post teismo o post ragione?

Mi è capitato di leggere un’interessante articolo del giornalista, politico e intellettuale Raniero La Valle, rappresentante illustre del cattolicesimo progressista e soprattutto di quel mondo cattolico che ha ritenuto l’esperienza socialista e comunista come confacente alla propria fede religiosa. In realtà, il 19 marzo 1937 aveva già ben inquadrato questo problema Pio XI, quando nella Divini Redemptorisaffermava: “Il comunismo nel principio si mostrò quale era in tutta la sua perversità, ma ben presto si accorse che in tale modo allontanava da sé i popoli, e perciò ha cambiato tattica e procura di attirare le folle con vari inganni, nascondendo i propri disegni dietro idee che in sé sono buone ed attraenti. Così, vedendo il comune desiderio di pace, i capi del comunismo fingono di essere i più zelanti fautori e propagatori del movimento per la pace mondiale; ma nello stesso tempo eccitano a una lotta di classe che fa correre fiumi di sangue, e sentendo di non avere interna garanzia di pace, ricorrono ad armamenti illimitati. Così, sotto vari nomi che neppure alludono al comunismo, fondano associazioni e periodici che servono poi unicamente a far penetrare le loro idee in ambienti altrimenti a loro non facilmente accessibili; anzi procurano con perfidia di infiltrarsi in associazioni cattoliche e religiose. Così altrove, senza punto recedere dai loro perversi princìpi, invitano i cattolici a collaborare con loro sul campo così detto umanitario e caritativo, proponendo talvolta anche cose del tutto conformi allo spirito cristiano e alla dottrina della Chiesa. Altrove poi spingono l’ipocrisia fino a far credere che il comunismo in paesi di maggior fede o di maggior cultura assumerà un altro aspetto più mite, non impedirà il culto religioso e rispetterà la libertà delle coscienze. Vi sono anzi di quelli che riferendosi a certi cambiamenti introdotti recentemente nella legislazione sovietica, ne concludono che il comunismo stia per abbandonare il suo programma di lotta contro Dio. Procurate, Venerabili Fratelli, che i fedeli non si lascino ingannare! Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana. E se taluni indotti in errore cooperassero alla vittoria del comunismo nel loro paese, cadranno per primi come vittime del loro errore, e quanto più le regioni dove il comunismo riesce a penetrare si distinguono per l’antichità e la grandezza della loro civiltà cristiana, tanto più devastatore vi si manifesterà l’odio dei «senza Dio»”.

L’incontro tra socialismo, comunismo e cristianesimo è uno dei filoni del modernismo, che farà dire pochi anni dopo l’enciclica di papa Pio XI a Ernesto Buonaiuti, uno dei grandi protagonisti del primo modernismo, quanto segue: “Chissà che dalla propaganda dei senza-Dio non esca domani un manipolo di idealisti che mostri agli uomini come la giustizia e la pace si introducono nel mondo, non attraverso propagande che pongono le loro basi sull’interesse gretto e precario del vivere quotidiano, ma solo attraverso predicazioni spirituali, che instillano nell’uomo il senso di quelle idealità superiori per le quali soltanto vale la pena di vivere e di morire. Quel giorno si potrà valutare la tempestiva funzione dei comunisti cattolici”. Insomma, non c’era verso di convincerli.

Ecco, i senza Dio, come dice papa Ratti, è un po’ il tema che Raniero La Valle tratta nel suo blog in un post del 9 luglio 2021 intitolato “Il Dio che perdiamo”. Un articolo interessante che prendeva spunto dal dossier curato da Enrico Peyretti sul sito “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri”, dal titolo “Dossier sul post-teismo”, in cui varie persone esprimevano la propria opinione su questo tema.

Raniero La Valle sembra voler spegnere le derive più estreme di coloro che vorrebbero sbarazzarsi di Dio e della religione senza troppi complimenti, ma poi così commenta: “Forse si potrebbe dire qui  come alla base ci sia un equivoco di fondo sul contenuto stesso della disputa: per i neo-noncredenti collocare nel passato la questione di Dio vuol dire rifiutarne l’oggettivazione che l’ha resa tributaria del mito, della fantasia, dell’invenzione antropomorfa, l’ “Oggetto Immenso” fatto preda della ragione; e ne hanno i motivi. Ma col Dio pensato così i conti sono stati fatti da tempo, alla domanda sull’identità di Dio la risposta è quella di Gesù alla Samaritana,  Dio non va cercato su questo monte o su quell’altro, ma in Spirito e verità; la questione invece è quella del rapporto umano con lui, è la fede che lo coinvolge nella storia, è della fede che si può identificare un prima e un dopo (“il Figlio dell’uomo quando verrà troverà la fede sulla Terra?”); la domanda è sul senso e le implicazioni della fede di quanti credono in lui, è questo che appicca il fuoco alla storia”.

Ma è proprio questo rifiuto della presenza di Dio come oggettivo e trascendente ma soltanto come presenza immanente che ha importanza solo in quanto esiste un rapporto umano con Lui che lo sposta dal suo ruolo fondamentale ad essere un’idea che viviamo oramai come una reliquia del passato.

Anche qui il modernismo aveva già detto tutto, probabilmente reagendo alla Dei Filius del Concilio Vaticano I che diceva: “Se qualcuno dirà che l’unico vero Dio, nostro Creatore e Signore, non può essere conosciuto con certezza dal lume naturale della ragione umana, attraverso le cose che da Lui sono state fatte: sia anatema”. Cioè, la conoscenza di Dio è indipendente dalla soggettività del conoscente che la riconosce, ma non la crea. Sarebbe da commentare ampiamente anche la frase con cui La Valle conclude il suo articolo: “Se perdessimo questo Dio [il Dio personale], possiamo aggiungere,  perderemmo anche il Dio nonviolento che è il grande dono fatto all’umanità dalla Chiesa del Concilio, da Giovanni XXIII a papa Francesco ad Abu Dhabi alla preghiera nella piana di Ninive, e la violenza, a cominciare da quella religiosa, resterebbe inarginata”. Comunque, tutto ciò è comprensibile nel panorama culturale dell’autore, come detto insigne rappresentante del cattolicesimo progressista.

In un articolo sempre sul suo blog del 31 luglio, Raniero La Valle ritorna sul suo articolo precedente, che aveva destato molta attenzione. Il suo commento iniziale apre più interrogativi di quelli che intende risolvere: “Non è mia intenzione né sarei in grado di rispondere a tutte le questioni; è fuori discussione che la critica al post-teismo non ignora che si parla di un mistero, che l’unico linguaggio appropriato sarebbe quello apofatico, che la mistica è il vero luogo del rapporto umano con Dio; dunque tutte le repliche che insistono su questo hanno ragione. Tuttavia ben più di questo dicono molti che sostengono la posizione post-teista che come svolta epocale sancisce la chiusura dei conti con Dio, visto nelle forme forse un po’ stereotipe in cui lo ha tramandato il teismo (onnipotente, onnisciente, dispotico, ecc.)”.

Forme stereotipe la sua onnipotenza e onniscienza? Se è Dio può e conosce tutto, altrimenti non sarebbe Dio. Poi La Valle si lancia in un ragionamento che ha una certa organicità che così esordisce: “Perciò è utile interrogarsi ancora sui termini del confronto, per cercare di fare chiarezza. E intanto bisogna dire che ciò che ci viene proposto non è l’ateismo, perché per l’ateismo nessun Dio c’è mai stato, neppure questo oggi  dismesso; non è per il mutare dei tempi che egli viene ora negato, altra è la privazione di Dio che alla sua lunga e nobile tradizione va ascritta. Il post-teismo ragiona invece di un Dio che c’era, o che almeno è stato creduto (e tanto e da tanti che intorno a questa nozione di Dio si è caratterizzata un’intera epoca storica), e che ora in un mondo fattosi adulto non c’è più, non ha ragione di essere creduto e a cui è facile addossare improbabili connotati oggi confutati fino all’irrisione”. Insomma il post teismo non è l’ateismo, perché per l’ateo Dio non esiste, ma per il post teista esisteva un idea di Dio che ora non è più necessaria. Tutto è ridotto all’immanenza, Dio esiste perché io lo creo, quando non ne ho più bisogno scompare come se non potesse esistere indipendentemente dal mio pensarlo. Insomma, siamo sempre nel buon vecchio immanentismo, uno dei capisaldi del modernismo.

Il modo in cui La Valle finisce il suo secondo articolo, in cui aveva denunciato il post teismo piuttosto come una critica contro il monoteismo, è interessante: “Occorre pertanto vigilare perché questo “post” del teismo non sia piuttosto una ricaduta nel passato e perché questo ritorno all’areopago di Atene che dovrebbe affrancarci dal “Dio ignoto”, giustamente inaccessibile alla scienza, non ci consegni piuttosto agli idoli che sempre più stanno prendendo il controllo della nostra vita. Se noi abbiamo infatti più sicurezze e meno antidoti, gli idoli crescono di numero e potenza, che si tratti del pallone glorioso, dei mercati sovrani, dei brevetti irrinunciabili sui vaccini o della libertà di inquinare”. Qui mi trovo d’accordo con La Valle e con una frase attribuita (sembra maldestramente) a Gilbert Keith Chesterton: “Quando la gente smette di credere in Dio, non è vero che non crede in niente, perché crede in tutto”. E per capire questo basta guardarsi intorno.

Marco Tosatti

7 Settembre 2021 Pubblicato da  16 Commenti


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