BERGOGLIO E PAROLIN
Toto-papa sì o no, il 'solco' tra Santa Marta e Terza Loggia
Le parole di Papa Francesco, possibilmente ironiche, su alcuni prelati che lo vorrebbero già morto e starebbero preparando il Conclave hanno fatto gridare alla congiura. In realtà gli “incontri tra prelati” e le conversazioni sui futuri papabili non sono una novità. Parolin ha gettato non a caso acqua sul fuoco, pronunciando tuttavia parole che, seppur misurate, sono sintomatiche di uno scollamento tra Pontefice e Segreteria di Stato.
“Anche io ci penso a quel che sarà dopo di me, ne parlo io per primo”. Quasi un anno fa era stato Francesco, nel corso di un’intervista all’Adnkronos, ad ammettere di essere il primo a 'dilettarsi' con il toto-papa. Eppure la pubblicazione del contenuto del dialogo avvenuto lo scorso 12 settembre con i gesuiti slovacchi, nel quale Bergoglio ha detto di essere “ancora vivo” nonostante “alcuni” lo volessero già morto, ha spinto qualcuno a parlare di congiure e complotti in corso contro di lui. È davvero così? “So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il Papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il Conclave”, ha confidato il Santo Padre ai suoi confratelli.
Ironicamente, si dice che di futuro Conclave si inizi a parlare sin dal giorno dopo l’elezione del nuovo Papa. Gli “incontri tra prelati” del fantomatico Gruppo di San Gallo cominciarono già negli anni '90 e s’intensificarono a partire dal 2003, quando il pontificato di san Giovanni Paolo II sembrava destinato a finire a breve. Nel cosiddetto “mafia-club” - secondo la fortunata definizione data da uno dei partecipanti, Godfried Danneels - presenziavano diversi prelati, tra i quali c’erano Martini, Silvestrini, Lehmann, Kasper, Murphy-O'Connor, Policarpo, Husar e lo stesso Danneels. Al centro degli incontri c’era la promozione di un’agenda riformatrice per il futuro della Chiesa e la discussione sul possibile successore di Wojtyla.
Ma il presunto strapotere di questo gruppo sulle sorti del Conclave è smentito dalla realtà oggettiva data dall’elezione di Ratzinger, il profilo più temuto dai “congiurati”. Come scrive Andrea Riccardi nel recente libro La Chiesa brucia. Crisi e futuro del Cristianesimo, “alcuni cardinali che frequentavano questo gruppo si incontrarono con altri in casa di Silvestrini e agirono in modo un po' disorganizzato: scelsero come candidato di bandiera il card. Carlo Maria Martini”. Quindi, il mafia-club rivendicato da Danneels non fu capace di trovare un’intesa su un candidato unitario per sbarrare la strada al temuto teologo tedesco. In questo segno di debolezza all’apertura dei giochi nel 2005 potrebbe aver influito il parere personale dell’ex arcivescovo di Milano che, secondo quanto riporta Riccardi nel libro citando come fonte una conversazione con il diretto interessato, “non era favorevole all’elezione del gesuita Bergoglio”. Non è una rivelazione inedita: il fondatore di Sant’Egidio ne aveva già parlato nella recensione del libro di Roberto Regoli, Oltre la crisi della Chiesa. Il pontificato di Benedetto XVI, riportando con un “si dice” l’indiscrezione secondo cui Martini “non considerasse Bergoglio all’altezza del compito”.
Nel 2005 le riunioni di San Gallo si svolgevano regolarmente, eppure ciò non bastò ad eleggere un papa gradito né a bloccare l’elezione di uno sgradito. A maggior ragione è decisamente poco credibile ritenere che questo club di prelati divenuti per lo più ultraottantenni abbia potuto, otto anni dopo e con i concistori ratzingeriani di mezzo, essere stato determinante nella rinuncia di Benedetto XVI e nell’elezione di Francesco (non votato al primo scrutinio nel 2005). D’altra parte, gli incontri pre-conclave tra cardinali elettori non furono un’esclusiva del Gruppo di San Gallo e ci fu anche chi lavorò per affidare all’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio la successione di Wojtyla nel segno della continuità e del contenimento di certe derive liberal. A fumata bianca avvenuta, sembra che il cardinale Trujillo - principale sostenitore della candidatura di Ratzinger insieme a Meisner, Schönborn, Medina Estévez e Castrillon Hoyos - commentò ironicamente con i confratelli: “Non sapete quanti pranzi mi è costato questo papa!”.
Gli “incontri tra prelati” non sono mancati anche durante l’attuale pontificato ed è facile immaginare che il toto-papa, seppur nel felpato linguaggio curiale, sia stato argomento di conversazione in colazioni, pranzi e cene. Perché, ora, questo “Al lupo! Al lupo!”?
Non conosciamo il tono scelto da Francesco per la frase 'incriminata', ma la passione per la battuta dell’uomo e quel “pazienza, grazie a Dio sto bene!”, con cui ha smorzato la bomba appena lanciata, potrebbero far supporre un registro ironico. Ma nel modo in cui i media 'amici' hanno riportato la frase pronunciata dal pontefice ai gesuiti slovacchi si dà adito alla solita narrazione - tanto cara all’opinione pubblica ostile alla Chiesa - secondo cui il Vaticano sia un covo di serpi, dove i cardinali 'cattivi' passano intere giornate a complottare contro il papa 'buono'.
Bene ha fatto il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, a gettare acqua sul fuoco, rispondendo ai giornalisti che lo incalzavano sull’argomento di non vedere “un clima di questo genere” all’interno delle Mura. “Probabilmente il Papa ha informazioni che io non ho”, ha detto il porporato veneto. Della vicenda ha fornito una ricostruzione interessante Lucetta Scaraffia, secondo cui Parolin avrebbe mostrato “un modo del tutto inusuale per intervenire sulle parole del Papa, che di norma, almeno all’interno delle sacre mura, dovrebbero chiudere la questione senza appello”. Parole con cui, secondo l’opinione della storica, il cardinale avrebbe voluto “far capire che lui avrebbe affrontato diversamente il problema, se pure ci fosse stato, contrapponendo la sua natura riservata alla spontaneità e sincerità di Papa Francesco”. Scaraffia non è certo una commentatrice sprovveduta: fino al 2019 è stata direttrice di “Donne Mondo Chiesa”, il mensile dell’Osservatore Romano, giornale che dipende dalla Segreteria di Stato.
In ogni caso, l’affermazione di Parolin - senza farsi prendere la mano con le sopravvalutazioni - è comunque sintomatica di un certo scollamento tra Terza Loggia e Santa Marta nella gestione della macchina governativa: in effetti, in passato, gli occhi e le orecchie del Papa risiedevano proprio nella Segreteria di Stato. Ora, evidentemente, non è più così.
Nico Spuntoni
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