A proposito di #eutanasia, non si potrebbe parlare meglio di così.
In questo piccolo blog, di regola, il pane lo facciamo in casa, buono o scadente che sia. La farina è quasi sempre di sacchi altrui (quello di Dante in particolare), ma a setacciarla, impastarla e cuocerla ci penso io. Faccio un’eccezione quando mi imbatto in qualcosa di così importante e così ben detto che la cosa più sensata è semplicemente ricopiarlo.
È il caso di questa lettera che un mio amico, che si chiama Andrea Alberti, ha mandato al Corriere Cesenate, il settimanale della nostra diocesi. Mi pare che dica tutto. Tutto quello che serve veramente, intendo. E lo dice perfettamente, con un accento di verità per me ineludibile. È una testimonianza, ma non nel senso soggettivistico, per non dire intimistico e sentimentale, in cui talvolta oggi si riduce questo termine; lo è nel senso forte, originario, della parola, che è quello di matrice giuridica: il racconto di un fatto, che costituisce una prova su cui formare il giudizio.
Consiglio perciò ai passanti di andarla a leggere qui: https://www.corrierecesenate.it/Lettere/A-proposito-di-eutanasia-Io-saprei-amare-cosi-Come-questi-genitori-che-ho-incontrato-sulla-mia-strada
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Maria Cristina, la luce di una vita per «Dio solo!»
Riconosciute dalla Chiesa le virtù eroiche di Maria Cristina Cella Mocellin, che preferì rischiare la propria vita anziché mettere a rischio il suo terzo figlio in grembo. Un esempio che richiama quello di santa Gianna Beretta Molla e fu frutto di un amore e una continua «tensione verso Dio», come racconta alla Bussola il sacerdote che la guidò spiritualmente fino al matrimonio.
«Maria Cristina era una ragazza normalissima, allegra, amante della vita e delle iniziative, quando c’era il palio tra i rioni di Cinisello si scatenava. Ma allo stesso tempo per lei, e per altri suoi coetanei in oratorio, il mondo soprannaturale era una realtà concreta, mentre a noi oggi sembra qualcosa di distante, separato dalla nostra vita. Di Maria Cristina mi ha sempre molto meravigliato il suo orrore per il peccato, intendo anche il peccato che noi chiameremmo veniale. Per lei era insopportabile. E qui sta la differenza».
È don Armando Bosani a raccontarci al telefono uno dei tratti salienti della spiritualità di Maria Cristina Cella Mocellin (18 agosto 1969 - 22 ottobre 1995), giovane sposa e madre di cui la Chiesa ha riconosciuto le virtù eroiche, proclamandola quindi venerabile lunedì 30 agosto. Il suo esempio si situa temporalmente nel mezzo a quelli di (almeno) altre due mamme straordinarie dell’Italia contemporanea, santa Gianna Beretta Molla e la serva di Dio Chiara Corbella Petrillo, a cui è accomunata dalla decisione di posporre le proprie cure per non recare danni alla piccola vita che portava in grembo. E anche nel caso di Cristina non si trattò di una decisione estemporanea, che fu invece frutto di un’esistenza vissuta alla luce dell’eternità. «Accanto alle virtù c’erano ovviamente quei simpatici difetti che tutti i suoi amici potrebbero attestare, ma con un lavoro continuo su sé stessa, una tensione verso Dio. Perciò, la scelta di non curarsi per salvare il bambino è stata una logica conseguenza», spiega ancora don Armando, guida spirituale della nuova venerabile dalla sua adolescenza al giorno del matrimonio, a seguito del quale Cristina si trasferì da Cinisello Balsamo a una frazione (Carpanè) del comune vicentino di Valbrenta, il paese del marito Carlo Mocellin.
Prima della vocazione al matrimonio, Cristina aveva creduto di essere stata chiamata ad altro. Era stata cresciuta da due genitori semplici (Caterina e Giuseppe), che per primi le avevano trasmesso l’amore per Dio. Fin dall’infanzia aveva frequentato l’oratorio femminile nella parrocchia della Sacra Famiglia, a Cinisello, ricevendo la formazione catechistica dalle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida. In particolare, in quegli anni, aveva tratto grande giovamento dalle figure di suor Annarosa Pozzoli (di cui le rimasero sempre impresse le parole: «Dio non ci ha salvato con un panettone, ma con la vita del Suo unico Figlio») e di suor Gabriella Belleri, religiosa della quale Cristina fu diretta collaboratrice negli anni dell’adolescenza. Una vita impegnatissima tra gli studi liceali, l’aiuto al catechismo come insegnante, l’attività di animatrice domenicale all’oratorio, il gruppo missionario, le prove di canto per la liturgia, ecc.
Impegni, questi, che non la distoglievano da una ricca vita interiore. La chiamavano «la ragazza della cappella», come ci conferma telefonicamente suor Gabriella. «Al mattino presto, Cristina andava a pregare in una cappella laterale della chiesa. Era una ragazza bella tosta, vivace, molto attiva, conoscendola superficialmente uno non avrebbe mai pensato che avesse una spiritualità così intensa. Ma parlandoci personalmente, capivi quanto amasse Gesù». Dalle Suore della Carità aveva appreso il motto «Dio solo!», che la ispirava continuamente e, non a caso, si ritrova disseminato lungo le pagine del Diario che iniziò a scrivere da quindicenne. Nei primi anni di liceo, aveva pensato di farsi suora. Ma poi l’incontro (imprevisto) con Carlo a Valstagna (provincia di Vicenza), nelle vacanze estive del 1985, l’avrebbe portata sulla strada del matrimonio. Per il suo futuro sposo era stato il classico colpo di fulmine; per Cristina, invece, l’amore per lui era fiorito pian piano, dopo mesi di scambi epistolari e un cammino di discernimento vocazionale che le aveva fatto capire che quella era la via pensata da Dio per lei.
La sua via doveva essere vivificata dalla sofferenza, sperimentata intensamente - sulla propria pelle - già a 18 anni. Al ritorno da una vacanza in Canada le era comparso un sarcoma sulla coscia sinistra. Era passata da un ospedale all’altro, sottoponendosi a tre cicli di chemioterapia. Era stata come una prima grande prova di quel progetto di seguire Gesù che aveva espresso in passato fin dalla prima pagina del Diario («…portando la mia croce con gioia e nella sofferenza accettando la volontà di Dio», scriveva l’11 novembre 1984) e più volte ripetuto con la consapevolezza, propria dei santi, che è l’offerta del dolore a salvare il mondo. Dal Diario - pubblicato postumo, nel 2005, a cura di padre Patrizio Garascia (il sacerdote che divenne la guida spirituale di Cristina dopo il suo trasferimento nel vicentino) - emerge in modo affascinante, come anche dalle lettere, il rapporto personale che la venerabile aveva con Dio.
Dai suddetti primi cicli di chemio era uscita guarita e soprattutto ne era uscito fortificato l’amore tra lei e Carlo, che aveva viaggiato tra il Veneto e la Lombardia per starle accanto. Il matrimonio, celebrato da don Armando, giunse il 2 febbraio 1991, quando lei aveva vent’anni e mezzo. Dai suoi scritti si coglie la grande gioia provata da Cristina per quel sacramento che la univa a Carlo e la consapevolezza che il loro amore coniugale poteva rimanere autentico e crescere solo se orientato all’amore di Dio.
Il primo figlio della coppia, Francesco, nasce a dieci mesi di distanza dal matrimonio e a lui si aggiunge, un anno e mezzo dopo, Lucia. Pochi mesi dopo arriva la notizia della terza gravidanza, quella di Riccardo, notizia seguita a stretto giro dalla diagnosi di un tumore all’inguine di Cristina. «Superato lo sconforto iniziale - si legge su un sito dedicato alla venerabile -, Cristina e Carlo iniziano un grande itinerario di preghiera, personale e di coppia. Davanti all’oncologo entrambi si mostrano decisi nel voler salvaguardare innanzi tutto la vita del bambino che Cristina ha in grembo. Ella subisce quindi un’operazione locale, atta ad asportare il tumore, ma attende ad iniziare le cure chemioterapiche, per non danneggiare la vita del feto. Riccardo nasce a luglio del 1994 ed è un bel bambino vispo e pienamente sano».
A gravidanza ultimata, Cristina si sottopone quindi alle cure necessarie contro il tumore, ma gli esami rivelano presto che le metastasi hanno raggiunto i polmoni. Tutti gli sforzi si rivelano inutili. E ciononostante la donna, come il suo Gesù, si è già abbandonata nelle braccia del Padre, alla cui Casa tornerà il 22 ottobre 1995. Prima aveva scritto: «Credo che Dio non permetterebbe il dolore, se non volesse ricavare un bene segreto e misterioso, ma reale. Credo che non potrei compiere nulla di più grande che dire al Signore: “Sia fatta la tua volontà”. Credo che un giorno comprenderò il significato della mia sofferenza e ne ringrazierò Dio. Credo che senza il mio dolore sopportato con serenità e dignità, mancherebbe qualcosa nell’armonia dell’universo».
Ermes Dovico
https://lanuovabq.it/it/maria-cristina-la-luce-di-una-vita-per-dio-solo
La guerra del Texas all’aborto. E la furia di Biden
La decisione della Corte Suprema di non bloccare la nuova legge texana, che proibisce gli aborti quando si riscontra il battito cardiaco del bambino, scatena le ire dei Dem americani. Biden prepara un contrattacco poco “democratico” e con lui la Pelosi. Ma intanto in Texas crolla il numero degli aborti e nasce una speranza per tutto il fronte pro vita.
Joe Biden e tutto il gotha del Partito Democratico e dell’industria abortista americana non l’hanno presa bene. La decisione della Corte Suprema (5-4) di non bloccare la nuova legge texana che proibisce gli aborti dal momento in cui è rilevabile il battito cardiaco del bambino, dunque intorno alla sesta settimana di gravidanza, ha comprensibilmente galvanizzato il movimento pro vita, ma ha fatto infuriare i Dem che sono già passati al contrattacco. Il presidente degli Stati Uniti ha definito il verdetto della Corte un «assalto senza precedenti» all’aborto e ha annunciato che farà di tutto per annullare gli effetti della legge approvata dal parlamento del Texas a maggio di quest’anno e in vigore da mercoledì 1 settembre.
La legge texana richiede che ogni esecutore di aborti verifichi la presenza del battito del cuore prima di procedere all’uccisione del bambino in grembo. Se si riscontra il battito, l’aborto non è appunto consentito, tranne in circostanze eccezionali (non stupro e incesto) come il pericolo di vita per la madre. Poiché per l’85-90% dei casi, secondo i dati dell’organizzazione abortista Aclu, gli aborti in Texas non avvengono prima della sesta settimana, quando molte donne sono ignare della gravidanza in corso, la legge potrà avere l’effetto di salvare decine di migliaia di bambini all'anno, tenendo conto che nel 2020 le cliniche locali hanno eseguito circa 54.000 procedure abortive. L’obiettivo deve essere chiaramente quello di vietare ogni aborto procurato, ma certamente in Texas si è fatto un gran passo avanti. E difatti in questi primissimi giorni di settembre il numero di aborti è precipitato.
Sono già una quindicina gli Stati che hanno approvato negli ultimi anni leggi di questo tenore, ma a differenza degli heartbeat bills precedenti, bloccati dalle varie corti federali, la normativa texana è la prima ad essere entrata in vigore. E questo, a 48 anni dalla sciagurata sentenza Roe vs Wade, è già un fatto storico. Ciò che differenzia la legge del Texas dalle altre è che solleva esplicitamente i funzionari statali dal compito di far rispettare la legge stessa, negando cioè loro qualsiasi autorità in materia, e si basa esclusivamente sulla responsabilità dei cittadini. In sostanza ogni comune cittadino, dall’1 settembre, può esigere il rispetto della legge citando in giudizio coloro che eseguono o favoriscono l’aborto nonostante il riscontro del battito cardiaco. Le donne che richiedono l’aborto non sono denunciabili, mentre lo sono tutti gli altri soggetti coinvolti: per ogni violazione dimostrata, la sanzione minima è di 10.000 dollari.
La legge è stata pensata e dotata quindi con un grimaldello ad hoc per scardinare il sistema e, stavolta, gli abortisti non sono riusciti a trovare in tempo le contromosse per far prevalere le loro pretese. Anche perché i cinque giudici di area conservatrice della Corte Suprema (Alito, Thomas, Gorsuch, Kavanaugh, Barrett), gli ultimi tre dei quali nominati da Trump, hanno votato compatti, come raramente è accaduto in passato. Secondo i giudici, i ricorrenti (Aclu, Planned Parenthood, Whole Woman’s Health e altri gruppi abortisti) «hanno sollevato seri interrogativi sulla costituzionalità della legge del Texas in questione. Ma la loro istanza presenta anche antecedenti questioni procedurali complesse e nuove», rispetto alle quali i gruppi abortisti non sono stati in grado di fornire sufficienti ragioni per bloccare la legge. Quest’ultima, insomma, rimane in vigore, ma la partita non è chiusa, in quanto, come conclude la maggioranza della Corte Suprema, «questo ordine non è basato su nessuna decisione riguardo alla costituzionalità della legge del Texas, e in nessun modo limita altri ricorsi proceduralmente corretti contro la legge del Texas, anche nei tribunali statali del Texas».
Il caso, dunque, può tornare alle corti inferiori, dove proseguirà la battaglia legale, il cui esito rimane incerto. Ma lo scontro tra pro vita e pro morte si gioca anche su altre cause. Davanti alla Corte Suprema, infatti, è atteso in autunno l’esame della legge del Mississippi che vieta gran parte degli aborti dopo la quindicesima settimana e che sfida apertamente il sistema imperniato sulla Roe vs Wade e sulle sue discendenti decisioni, come la Planned Parenthood vs Casey (1992), che prevede che una donna debba poter abortire legalmente nei 50 Stati federati almeno fino al punto di “viability”, cioè prima che il bambino sia in grado di sopravvivere fuori dal grembo materno.
In tutto questo c’è da considerare la variabile Biden, un tempo ‘moderato’ sull’aborto, ma oggi completamente asservito alle lobby abortiste che ne hanno favorito la scalata al potere e disposto a forzare gli stessi principi democratici e federali. Oltre ad aver attaccato, come visto, la Corte Suprema, il numero uno della Casa Bianca ha dato mandato al suo entourage di «lanciare uno sforzo dell’intero Governo», così da capire «quali passi il Governo federale può intraprendere per garantire che le donne in Texas abbiano accesso ad aborti sicuri e legali come protetti dalla Roe, e quali strumenti abbiamo per proteggere le donne e i fornitori [dell’aborto] dall’impatto del bizzarro schema del Texas di applicazione [della legge] appaltata a parti private», cioè all’iniziativa dei cittadini. In campo pro life si teme che Biden possa emettere un ordine unilaterale per facilitare gli aborti fuori dal Texas, finanziando con i soldi dei contribuenti gli spostamenti delle cittadine texane che chiedono di abortire. A dimostrazione della sua svolta sempre più radicale, Biden è arrivato ieri a negare (contrariamente al passato) il dato biologico, dicendo di rispettare «coloro che credono che la vita inizi al momento del concepimento», ma di non essere «d’accordo» con loro.
A biasimare la Corte Suprema anche Nancy Pelosi. La speaker della Camera ha annunciato che al ritorno dei parlamentari in aula, il 20 settembre, sarà presentato il Women’s Health Protection Act, un disegno di legge che a dispetto del nome, ingannevole, intende allargare le maglie dell’aborto in tutti gli Stati Uniti.
Intanto, tornando al Texas, il fronte pro vita sta accrescendo gli sforzi per aiutare le mamme con gravidanze difficili, e bisognose di un supporto morale ed economico. Un impegno favorito anche dallo stanziamento di 100 milioni di dollari deciso dai legislatori locali nell’ambito di un programma per offrire alternative all’aborto. E sono queste alternative la strada giusta: su cui, si spera, si indirizzeranno altri Stati insieme al Texas.
Ermes Dovico
https://lanuovabq.it/it/la-guerra-del-texas-allaborto-e-la-furia-di-biden
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