Quel consenso informato è viziato perché non libero
È manifesto che il governo stia obbligando alla vaccinazione non de iure, ma de facto, dato che se il cittadino non si vaccina non può esercitare una serie di libertà costituzionalmente garantite. Dunque il consenso espresso non è valido, perché è stato estorto a seguito di alcune minacce provenienti dal governo. Tale condotta governativa potrebbe configurare qualche reato? L’ipotesi è da approfondire, però si potrebbe supporre il reato di violenza privata.
Vaccinazione e consenso informato. In merito a questo binomio vogliamo qui articolare una breve riflessione non tanto sull’aspetto informativo del consenso affinché questo sia valido. Tale aspetto è cardinale perché riguarda i possibili effetti avversi della vaccinazione i quali, nel medio e lungo termine, rimangono abbastanza oscuri (seppur con il passar del tempo gli effetti avversi a breve e medio termine inizino ad essere riconoscibili, stante il fatto, però, che non esiste ancora letteratura scientifica sul punto). Non conoscendo con precisione i danni da vaccinazione il consenso del vaccinando risulta non essere informato. Detto ciò, il difensore dei vaccini senza se e senza ma così obietterebbe: il rischio da vaccinazione, che si riflette anche sulla mancanza di una informazione completa, può essere lecitamente sopportato in caso di urgenza come la presente. Vero: può essere lecitamente sopportato, ma deve essere lecitamente sopportato da chiunque. Come più volte ricordato da queste colonne, mancando i requisiti di efficacia e necessità in merito all’uso di questi vaccini, viene meno anche la possibilità di imporre la vaccinazione di massa.
Però, come accennato, non vogliamo qui mettere sotto la lente di ingrandimento il requisito dell’informazione affinché il consenso alla vaccinazione sia valido, bensì quello della libertà (seppure il requisito della informazione incida sulla libertà perché in assenza di completezza informativa, la volontà del malato non è libera. Cfr. Tribunale Roma, 23-7-2007, n. 2049). Affinché il consenso sia valido occorre che sia libero. È manifesto che il governo stia obbligando alla vaccinazione. Non obbligo de iure, perché non esiste una legge che impone la vaccinazione, bensì un obbligo de facto, dato che se il cittadino non si vaccina non può esercitare una serie di libertà costituzionalmente garantite. Dunque, potremmo così dire, un obbligo alla vaccinazione indirettamente giuridico.
Possiamo perciò asserire che il cittadino che si vaccina perché, in assenza di green pass, non potrebbe più svolgere alcune attività, tra cui quelle lavorative, esprima un consenso libero? Appare manifesta la risposta negativa: tale consenso è viziato dalla mancanza di libertà nell’esprimerlo. È infatti un consenso fortemente condizionato. Recita l’art. 5 della Convenzione di Oviedo: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato”.
Solo il consenso volto alla prevenzione del virus è libero, invece il consenso espresso per evitare altre conseguenze spiacevoli diverse dal Covid, non è libero. Quindi i milioni di persone che hanno dichiarato: “Io non mi sarei mai vaccinato, ma se non lo facevo non avrei potuto fare questo e quello”, hanno espresso un consenso viziato, non valido, perché non libero.
Solo una norma che obbligasse esplicitamente alla vaccinazione potrebbe rimanere indifferente ad un consenso fortemente condizionato. In altri termini, solo se la vaccinazione diventasse un trattamento sanitario obbligatorio previsto dalla legge non avrebbe più senso eccepire il vizio di consenso per mancanza di libertà, proprio perché trattamento imposto e non proposto (ciò naturalmente non escluderebbe una critica a simile legge).
Dunque, abbiamo provato che il consenso espresso da molte persone non è valido, ossia è stato estorto a seguito di alcune minacce provenienti dal governo. Tale condotta governativa potrebbe configurare qualche reato? L’ipotesi è da approfondire però si potrebbe supporre il reato di violenza privata. L’art. 610 cp così recita: “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”. Il giurista Del Corso sostiene che si configura violenza privata in ambito clinico “qualora il medico, per un malinteso senso filantropico, spianato il fucile contro il paziente, lo costringa a prendere il portentoso medicamento” (Il consenso del paziente nell’attività medico-chirurgica, RIDPP, 1987, p. 564. Sul tema consenso informato e violenza privata in campo medico cfr. C. Leotta, Digesto delle discipline penalistiche – aggiornamento, Utet). Sostituite il medico con il governo e il fucile con le privazioni attualmente paventate e vi ritrovereste nella ipotesi che qui stiamo indagando.
Chiaramente quel qualcosa che si è costretti a fare, menzionato dall’art. 610 cp, non deve essere necessario per il bene comune, altrimenti la minaccia sarebbe giusta. Ad esempio, lo Stato giustamente minaccia gli evasori fiscali con alcune sanzioni e di certo questo comportamento non configura violenza privata. Ecco il governo dovrebbe provare che la vaccinazione sia necessaria oltre che efficace. Se lo provasse allora dovrebbe varare una legge che obbligasse tutti a vaccinarsi. Ma, fino a prova contraria, tale obbligo rimane iniquo.
Tommaso Scandroglio
https://lanuovabq.it/it/quel-consenso-informato-e-viziato-perche-non-libero
Io speriamo che funziona
- Il Controcanto - Rassegna stampa del 21 Settembre 2021Il "grande" immunologo Abrignani tranquillizza tutti sulle pagine del Corriere. "Funziona la terza dose? Speriamo". Ora i "no vax" non hanno più scuse per rinviare l'iniezione che salva. Repubblica dichiara guerra alle "fake news" senza mai nominare Alberto D'Argenio. Sul Fatto scrivono i migliori intellettuali d'Italia, ieri Lucarelli oggi Scanzi (domani, forse, Jimmy il Fenomeno). Buon ascolto!
Visione TV https://www.youtube.com/watch?v=ByNEV1G14mU
Aborti e vaccino, quei dati in aumento: serviva più prudenza
La stessa Pfizer sconsigliava il vaccino sia in gravidanza che in allattamento. Invece le autorità hanno proceduto a vaccinare le donne anche all'inizio della gravidanza con la solita narrazione dei benefici che superano i rischi. Ebbene: uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine su donne americane mostra un aumento del tasso di abortività che si attesta al 12% quando il tasso fisiologico di aborti spontranei negli USA è del 4%.
Nelle ultime settimane, la campagna vaccinale anti Covid è stata estesa in Italia anche alle donne in gravidanza. Si tratta di una scelta che suscita parecchie perplessità. Da quando esistono le vaccinazioni, si è sempre avuta una particolare attenzione a non somministrare vaccini in gravidanza, dal momento che – come molti altri farmaci - potrebbero interferire nei meccanismi di embriogenesi e causare malformazioni ai nascituri. Solo in anni molto recenti è stato dato il via libera alla vaccinazione anti Difterite-Tetano-Pertosse (trivalente) nelle donne gravide, ma soltanto dopo la 28esima settimana di gestazione, proprio per evitare questi danni all’embrione.
Un secondo vaccino consentito in gravidanza è quello anti influenzale. Altri vaccini non vengono praticati. Nel caso dei nuovi vaccini anti Covid, per le loro caratteristiche di farmaci autorizzati in via straordinaria e la limitatezza sugli studi relativi alla loro efficacia e sicurezza, si imponeva una ancor maggiore cautela nell’utilizzo di tali prodotti. Così è stato, ma solo all’inizio.
La scheda tecnica del Comirnaty, il vaccino della Pfizer, sconsigliava il vaccino sia in gravidanza che in allattamento. L’indicazione era stata recepita anche dagli organismi tecnici di supporto al Governo, tanto che al momento del varo della “Certificazione Verde” la condizione di gravidanza costituiva motivo valido per non essere soggetti all’obbligo del pass. Ora invece non è più così: non solo è in atto una campagna propagandistica per invitare le gravide a vaccinarsi, ma lo stato interessante non è più un motivo per l’esenzione temporanea dal vaccino: tale possibilità deve essere valutata dal medico del Centro Vaccinale, e le notizie che provengono dai vari hub vaccinali dicono che tali differimenti sono concessi molto raramente.
Il motivo è il solito, che viene da tempo ripetuto a tutte le tipologie di pazienti, per le malattie croniche, come per l’età giovanile e infantile: i benefici superano i rischi. Un teorema che sembra smentito, nel caso delle donne in gravidanza, dai risultati di alcuni studi. Risultati che presentano dei numeri estremamente chiari, anche se – paradossalmente - sono gli autori stessi di questi studi che cercano di minimizzarne il significato. Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi.
Prendiamo lo studio denominato “On preliminary findings of mRNA Covid-19 Vaccine Safety in Pregnant Persons", pubblicato sul New England Journal of Medicine il 17 giugno. Si tratta di uno studio osservazionale su donne gravide vaccinate con i due vaccini a mRNA negli Stati Uniti dalla fine di Dicembre del 2020 alla fine di febbraio del 2021. I ricercatori hanno riferito che tra le partecipanti allo studio (proprio così: uno studio sperimentale) dopo la vaccinazione si è avuto un aborto nel 12,6% dei casi, e gli autori hanno dichiarato che questa proporzione era corrispondente a quella attesa. Una affermazione decisamente inesatta.
Il tasso di abortività spontanea negli Stati Uniti è di circa il 4%. Questo significa che il numero di donne vaccinate con vaccini a mRNA è il triplo del numero fisiologico. Inoltre, il tasso di abortività post vaccinale potrebbe essere anche più alto, dal momento che, come affermato nell'articolo, tra le 827 partecipanti alla sperimentazione con una gravidanza completata, 700 avevano ricevuto la prima dose di vaccino nel terzo trimestre, in un periodo quindi meno a rischio di danni per l’embrione.
Attualmente, in maniera incomprensibile secondo quelli che dovrebbero essere i princìpi di precauzione, non è stato posto alcun limite temporale per la vaccinazione Covid. Avrebbe potuto essere posto quantomeno alla 28esima settimana, analogamente a quanto avviene per la vaccinazione DTP, e invece è possibile – anzi, è consigliato - effettuare la vaccinazione in qualunque momento della gravidanza, anche nelle prime settimane, quelle più delicate dal punto di vista embriogenetico.
Tornando allo studio pubblicato dal New England, ai colleghi che chiedevano spiegazioni e ulteriori dettagli sulla ricerca, gli autori hanno dovuto ammettere diversi errori metodologici e hanno ricalcolato il rischio cumulativo di aborto spontaneo da 6 a meno di 20 settimane di gestazione, eseguendo un'analisi aggiornata che ha coinvolto 2456 donne che hanno ricevuto almeno una dose di un vaccino del concepimento o prima delle 20 settimane di gestazione.
I rischi di abortività stimati sono del 14,1% nel complesso e 12,8% nelle analisi standardizzate per età. Un dato impressionante, e che non è affatto “fisiologico”. E dopo questi dati preliminari, ora sarebbe auspicabile attendersi nuove ricerche, finalizzate a verificare le condizioni di quell’85% di bambini arrivati per loro fortuna a vedere la luce. Dati, ad esempio, sulla prematurità, sui nati sottopeso, o con eventuali malformazioni. Solo con queste informazioni si potrà giudicare obiettivamente sui rischi e i benefici di questa sperimentazione sulle donne in gravidanza.
Paolo Gulisano
https://lanuovabq.it/it/aborti-e-vaccino-quei-dati-in-aumento-serviva-piu-prudenza
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