Alcune sentinelle del Concilio pubblicano (o pubblicavano? Dopo la retromarcia sul risorgimento tutto è possibile…) articoli e libri per difendere la storia Chiesa dalle accuse mosse dagli anticlericali. Tuttavia si guardano bene di smentire uno dei più audaci accusatori della storia del cattolicesimo, Giovanni Paolo II, che coi suoi mea culpa ha portato acqua al mulino delle logge e di tutte le congreghe anticattoliche. In vista della “beatificazione” di G.P.II fortemente voluta da Benedetto XVI, segnaliamo un articolo del vaticanista Luigi Accattoli, che presenta ovviamente in modo positivo il pensiero wojtyliano.
La “purificazione della memoria” da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, di Luigi Accattoli (conferenza tenuta il 6.06.2007 al Policlinico Gemelli di Roma)
Gli atti di “purificazione della memoria” compiuti da Giovanni Paolo II e culminati nella “Giornata del perdono” del 12 marzo 2000 costituiscono l’eredità forse più originale e impegnativa del suo lungo pontificato. (…)

“Confessione delle colpe e richiesta di perdono” era intitolata la speciale liturgia che si celebrò quel giorno. Sette rappresentanti della Curia romana leggevano altrettanti “invitatori”, ai quali rispondeva il Papa con sette “orazioni”, riguardanti i “peccati in generale”, le “colpe nel servizio della verità”, i “peccati che hanno compromesso l’unità del Corpo di Cristo”, le “colpe nei confronti di Israele”, le “colpe commesse con comportamenti contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni”, i “peccati che hanno ferito la dignità della donna e l’unità del genere umano”, i “peccati nel campo dei diritti fondamentali della persona”.
Ecco la seconda confessione di peccato, riguardante “le colpe nel servizio della verità”, che fu letta dal cardinale Ratzinger, prefetto dell’ex Sant’Uffizio (cioè dell’organo della Santa Sede responsabile di quel “servizio”): “Preghiamo perché ciascuno di noi, riconoscendo che anche uomini di Chiesa, in nome della fede e della morale, hanno talora fatto ricorso a metodi non evangelici nel pur doveroso impegno di difesa della verità, sappia imitare il Signore Gesù, mite e umile di cuore”.
Ed ecco la quarta delle sette “confessioni” di peccato, riguardante la persecuzione degli ebrei: “Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo nome fosse portato alle genti; noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi figli e, chiedendo perdono a Dio, vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità con il popolo dell’alleanza”. Quella richiesta di perdono a Dio e agli ebrei il Papa due settimane più tardi la porterà a Gerusalemme e la porrà – riprodotta su un foglietto – tra le fessure del Muro del Pianto.
(…)
Ecco una rapida antologia dei “mea culpa” wojtyliani, elencati secondo l’anno in cui furono pronunciati. Essa richiama una ventina di pronunciamenti su un totale di più di cento.
1979. Apre la serie il pronunciamento sul “caso Galileo”, che risale al 10 novembre del 1979: a quella data, egli è Papa da appena un anno. Della condanna di Galileo all’abiura si era già occupato il Concilio Vaticano II, che ne aveva fatto ammenda – senza citare lo scienziato – al paragrafo 36 della Gaudium et Spes (1965): «A ulteriore sviluppo di quella presa di posizione del Concilio, io auspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovano le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo». Quel riconoscimento sarà formulato dalla «Commissione pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana del XVI e del XVII secolo», coordinata dal cardinale Paul Poupard, il 31 ottobre 1992. – In analogia al “riesame” del caso Galileo si può citare il “riesame” del caso Rosmini, condotto personalmente dal cardinale Ratzinger e culminato in una “nota” del 2001 “sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del rev.do sac. Antonio Rosmini Serbati” che così conclude: “Il senso delle proposizioni così inteso e condannato non appartiene in realtà all’autentica posizione di Rosmini”. Il 7 marzo 2000, durante la presentazione del documento Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le colpe del passato – ne dovremo riparlare – Ratzinger aveva citato Le cinque piaghe della Santa Chiesa di Rosmini – che il Sant’Uffizio sotto Pio XI aveva messo all’indice – come un positivo “rimprovero profetico” rivolto alla comunità dei credenti.
1980. Il 17 novembre a Magonza incontra gli evangelici tedeschi e li invita a un riconoscimento comune delle responsabilità che portarono alla divisione: “Non vogliamo giudicarci l’un l’altro, vogliamo piuttosto riconoscere insieme la nostra colpa”. Un’analoga esortazione rivolgerà alle Chiese ortodosse il 5 giugno 1991da Bialystok (Polonia), durante un incontro nella cattedrale ortodossa: «Ovunque è esistito il torto, indipendentemente da quale sia la parte, esso va superato mediante il riconoscimento della propria colpa davanti al Signore e mediante il perdono».
1983. Il 10 settembre affronta a Vienna la questione delle guerre che costellano la storia d’Europa: «Dobbiamo confessare e chiedere perdono per le colpe di cui noi cristiani ci siamo macchiati, in pensieri, parole e opere e attraverso l’inerme indifferenza di fronte all’ingiustizia». Ritroveremo questo tema sei anni più tardi, nella Lettera apostolica per il 50mo anniversario dello scoppio della seconda guerra mondiale (26 agosto 1989), il cui tono drammatico già ci dice quanta strada Giovanni Paolo II abbia compiuto – in poco tempo – su una materia tanto delicata: «Le mostruosità di quella guerra si manifestarono nel continente che più a lungo è rimasto nel raggio del Vangelo e della Chiesa. Veramente è difficile continuare il cammino avendo dietro di noi questo terribile calvario degli uomini e delle nazioni!»
1985. A Yaoundè (Cameroun), parlando agli intellettuali, il 13 agosto dice parole impegnative sulla tratta dei neri: «Nel corso della storia uomini appartenenti a nazioni cristiane purtroppo non sempre si sono comportati così (cioè “secondo il Vangelo”, ndr) e noi ne chiediamo perdono ai nostri fratelli africani che tanto hanno sofferto, per esempio per la tratta degli schiavi». Sul tema della tratta le parole più forti le dirà visitando la «casa degli schiavi», nell’isola di Gorèe (Senegal), il 22 febbraio del 1992: «Da questo santuario africano del dolore nero imploriamo il perdono del Cielo».
1986. Il 13 aprile visita la Sinagoga di Roma e deplora le «persecuzioni» dirette «contro gli ebrei in ogni tempo da chiunque; ripeto: da chiunque!» Qui il riferimento è ai Papi suoi predecessori. – Per l’accompagnamento ratzingeriano del riesame papale della questione ebraica si può citare la premessa al volume La Chiesa, Israele e le religioni del mondo (1998, traduzione italiana San Paolo 2000, citazione a p. 5) dov’è affermata “la consapevolezza di una colpa, a lungo rimossa, che grava sulla coscienza dei cristiani dopo i terribili eventi dei dodici funesti anni dal 1933 al 1945″. “Hitler potè perpetrare l’Olocausto perché non ci fu una sufficiente sensibilità dei cristiani verso gli ebrei”, dirà Ratzinger in un’intervista al Tg2 il 15 marzo 1999 in vista della pubblicazione del documento We remember.
1987. Incontrando a Phoenix – negli Usa – gli amerindi, il 14 settembre, così parla del maltrattamento che subirono da parte dei colonizzatori: “E’ doveroso riconoscere l’oppressione culturale, le ingiustizie, la distruzione della vostra vita e delle vostre società tradizionali. Purtroppo non tutti i membri della Chiesa tennero fede alle loro responsabilità di cristiani”. Lo stesso linguaggio aveva usato nel 1984 in Canada e nel 1986 in Australia, negli incontri con gli autoctoni, come fosse sua preoccupazione sgombrare il terreno dalle offese della storia, prima di parlare a quei popoli sofferenti.
1988. L’11 ottobre a Strasburgo, davanti al Parlamento europeo, riconosce la tendenza della Chiesa medievale a imporre la fede attraverso l’ordinamento statale: «La cristianità latina medievale – per non menzionare altro – non è mai sfuggita alla tentazione integralista di escludere dalla comunità temporale coloro che non professavano la vera fede».
1992. Il 21 ottobre presenta come un «atto di espiazione» per le colpe dei colonizzatori la visita che ha appena compiuto a Santo Domingo, a mezzo millennio dall’inizio dell’Evangelizzazione delle Americhe: «Mediante il pellegrinaggio al luogo dove iniziò l’evangelizzazione – pellegrinaggio che ha avuto il carattere di ringraziamento – abbiamo voluto, al tempo stesso, compiere un atto di espiazione davanti all’infinita santità di Dio per tutto ciò che, in questo slancio verso il continente americano, è stato segnato dal peccato, dall’ingiustizia e dalla violenza».
1994. Il 15 maggio parla così del massacro tribale in Rwanda, che infuria in quelle settimane: «Si tratta di un vero e proprio genocidio, di cui purtroppo sono responsabili anche dei cattolici». Con questo testo si direbbe che abbia inteso rispondere a coloro che l’accusavano di riconoscere solo colpe lontane nel tempo.
1995. A Olomouc, nella Repubblica Ceca, il 21 maggio pronuncia una delle “confessioni” più solenni: «Oggi io, Papa della Chiesa di Roma, a nome di tutti i cattolici, chiedo perdono dei torti inflitti ai non cattolici nel corso della storia tribolata di queste genti; e al tempo stesso assicuro il perdono della Chiesa cattolica per quello che di male hanno patito i suoi figli». Nel corso del 1995 – anno internazionale della donna – tante volte parla della condizione femminile, esprimendo anche «rammarico» per il comportamento ecclesiastico in materia: «Faccio appello a tutti gli uomini della Chiesa, affinché si sottopongano, ove necessario, a un cambiamento del loro cuore, e facciano propria, come richiede la loro fede, una visione positiva delle donne» (Messaggio alla delegazione vaticana alla conferenza di Pechino sulla donna, 29 agosto).
1997. Queste parole sulla «Notte di San Bartolomeo» (strage degli Ugonotti protestanti da parte dei cattolici avvenuta nella notte tra il 23 e il 24 agosto a Parigi, nel 1572) le pronuncia nella notte e nella città del massacro: «Alla vigilia del 24 agosto non possiamo dimenticare il doloroso massacro di San Bartolomeo, dalle motivazioni molto oscure nella storia politica e religiosa della Francia. Dei cristiani hanno compiuto atti che il Vangelo condanna».
2000. Il 17 febbraio, nel 400° anniversario del “rogo” di Giordano Bruno, esprime – con lettera del cardinale Sodano a un convegno sul filosofo di Nola – “profondo rammarico” per quel “triste episodio della storia cristiana”. Parole analoghe aveva pronunciato per Jan Hus (condannato al rogo dal Concilio di Costanza nel 1415) il 21 aprile del 1990 e il 17 dicembre 1999; come anche per i 24 “martiri evangelici di Presov” (messi a morte dai cattolici nel 1687), il 2 luglio del 1995, durante la visita in Slovacchia. – Il cardinale Ratzinger aveva accompagnato la riflessione papale sul rogo degli eretici, come appare da questa dichiarazione su Giordano Bruno che improvvisa davanti ai giornalisti il 24 settembre 1977: “Sono convinto che dobbiamo sempre essere coscienti della tentazione della Chiesa, in quanto istituzione, di trasformarsi in uno stato che perseguita i suoi nemici. Chiediamo al Signore perdono per questi fatti del passato e perché non ricadiamo più in questi errori”.
2001. Il 4 maggio, ad Atene, chiede perdono per il saccheggio di Costantinopoli, attuato dai partecipanti alla “quarta crociata” (1204), che avevano costretto all’esilio il Patriarca ortodosso e l’avevano sostituito con un Patriarca “latino”. Con il suo gesto di umiltà, il Papa ottenne che i membri del Sinodo della Chiesa ortodossa greca recitassero con lui – a conclusione di quella giornata – il “Padre nostro”, benché il protocollo della visita – concordato alla vigilia – avesse escluso, su richiesta degli ortodossi, ogni atto di culto in comune, non essendo ancora le due Chiese in “piena comunione”. – In merito alle crociate si può citare un’affermazione del cardinale Ratzinger contenuta in un testo su Francesco d’Assisi, il quale dapprima sognò di farsi crociato (era il tempo in cui si andava preparando proprio la “quarta crociata” del mea culpa wojtyliano) ma poi – ci dice il cardinale – quand’ebbe “conosciuto veramente Cristo capì che anche le crociate non erano la via giusta per difendere i diritti dei cristiani in Terra Santa, bensì bisognava prendere alla lettera il messaggio dell’imitazione del crocifisso” (Trentagiorni 3/2002).
2003. Il 22 giugno a Banja Luka, in Bosnia, riconosce la corresponsabilità dei cattolici nei delitti degli Ustascia croati durante la seconda guerra mondiale e negli orrori della guerra di Bosnia (1992-1995).
Con questi singoli mea culpa Giovanni Paolo rende esplicito quanto il Concilio aveva affermato implicitamente (Galileo), recapita ai destinatari il messaggio che i padri conciliari avevano consegnato ai documenti (ebrei, comunità ortodosse ed evangeliche), applica a materie nuove (tribunali e roghi dell’Inquisizione, integralismo, indios, guerre e stragi, tratta dei neri, donne) quanto già era stato affermato in generale e in linea di principio.
Ma totalmente nuova è l’autocritica millenaria e giubilare che promuove a partire dal 1994 e che denomina Esame di fine millennio.
Quell’esame viene annunciato con la lettera apostolica Tertio millennio adveniente (1994), ma era stato già proposto e discusso in un Concistoro straordinario (riunione di tutti i cardinali) della primavera di quell’anno. Il primo abbozzo dell’esame è in un «promemoria» di 23 pagine, che il Papa aveva fatto inviare ai cardinali in vista del Concistoro, “Riflessioni sul grande giubileo dell’anno Duemila”: «Mentre volge al termine il secondo millennio del cristianesimo, la Chiesa deve rendersi consapevole con ravvivata lucidità di quanto i suoi fedeli si siano dimostrati, lungo l’arco della storia, infedeli peccando nei confronti di Cristo e del suo Vangelo». (…)
L’esame di fine millennio viene affidato alla più importante e più numerosa tra le otto commissioni coordinate dal Comitato per il Grande Giubileo: la commissione «teologico-storica», presieduta dal domenicano George Cottier, teologo della Casa pontificia, che convoca due colloqui internazionali: uno sulle Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano, che si tiene tra il 30 ottobre e il 1° novembre del 1997 e un altro sull’Inquisizione, che si tiene l’anno seguente, dal 29 al 31 ottobre.
Altro atto preparatorio al “mea culpa” giubilare è il documento della Commissione teologica internazionale, La Chiesa e le colpe del passato, che fornisce l’inquadramento dottrinale alla Giornata del perdono. Esso viene presentato alla stampa il 7 marzo 2000 dal cardinale Joseph Ratzinger (…).
Possiamo affermare, in conclusione, che Giovanni Paolo sia riuscito – agendo con grande tenacia e resistendo al dissenso interno alla sua Chiesa – a far divenire patrimonio comune del linguaggio cristiano al cambio del millennio la “confessione dei peccati”, che la tradizione affidava al singolo e che pochi prima di lui avevano osato esprimere a nome delle rispettive comunità. Il suo lascito viene accolto dal successore Benedetto XVI che appena eletto, nel “messaggio” in latino dalla cappella Sistina letto il 20 aprile davanti ai cardinali elettori, si impegna a continuare nell’opera di “purificazione della memoria” condotta dal predecessore.
(…)
(Fonte: http://www.luigiaccattoli.it/blog/?page_id=430 )
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segnalato da
L’INFORMAZIONE CATTOLICA
MARIA REGINA GENUAe CIVITATIS ORA PRO NOBIS
CIRCOLARE DELL’ASSOCIAZIONE
“SAN MICHELE ARCANGELO”
GENOVA
Resp.Raimondo Gatto
anno VI n.10
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