Quel “corvo” in Vaticano che minaccia Bertone
IL SEGRETARIO DI STATO VATICANO, TARCISIO BERTONE
Lettera anonima e minacce di morte per il Segretario di Stato. Il misterioso estensore cita don Bosco che annunciò sventure in casa Savoia se fosse passata una legge anti-clericale. Finì con quattro lutti di reali in poche settimane
ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO
CITTÀ DEL VATICANO
Oltretevere, le lettere anonime non sono una novità, né un’eccezione. Ne circolano tante, con accuse spesso infamanti quanto infondate o comunque non provate. Vengono usate per screditare questo o quell’ecclesiastico, perbloccare l’ascesa di questo o quel prelato. Non deve dunque stupire più di tanto che negli ultimi giorni ne sia circolata una con pesanti allusioni e una frase minacciosa contro il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, principale collaboratore di Benedetto XVI.
Lo rivela il settimanale Panorama, nel numero in edicola domani. La lettera si apre con una minacciosa citazione di don Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, la congregazione a cui appartiene lo stesso Bertone: «Grandi funerali a corte!», con la quale il grande santo torinese preannunciava lutti a Vittorio Emanuele II nel caso il regno piemontese avesse continuato con le politiche di confisca dei beni della Chiesa.
L’anonimo estensore della missiva contro Bertone mostra di essere assai ben informato sulle vicende della Curia, e prosegue accusando il porporato di non saper decidere e di scegliere i collaboratori solo sulla base delle sue simpatie personali. E fa riferimento in particolare alla decisione presa dal Papa e da Bertone di trasferire il segretario generale del Governatorato, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, allontanandolo dal Vaticano.
La vicenda, della quale Vatican Insider si è occupato più volte, si è trascinata da mesi e ha rappresentato un caso più unico che raro nella storia recente della Santa Sede. Un caso la cui soluzione è però ormai imminente: il ricambio al Governatorato sta per essere annunciato e monsignor Viganò è destinato a partire per la nunziatura di Washington.
Oltre a scambi di lettere, commissioni di inchiesta interne, accuse reciproche, che hanno finito per rendere a dir poco pesante il clima che si respira nello Stato più piccolo del mondo, le vicende legate alla sostituzione di Viganò hanno fatto proliferare anche i «corvi».
In Vaticano non si è soliti dare importanza alle lettere anonime, che finiscono puntualmente nel cestino. Il cardinale Bertone, più irritato che preoccupato, ha mostrato la lettere al capo della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani. Ed è partita la caccia per individuare l’estensore. Panorama spiega che con tutta probabilità non si tratta di un mitomane, ma di un prelato ben inserito nei sacri palazzi.
La profezia di sventura lanciata da don Bosco sui Savoia risale al 1854, quando nel Parlamento piemontese si stava discutendo la legge che avrebbe soppresso gli ordini religiosi. Il santo fece arrivare al re Vittorio Emanuele la trascrizione di antichi documenti ritrovati ad Hautecombe, nella culla di Casa Savoia. In quei testi gli antichi conti della dinastia sabauda sconfessavano e maledivano i loro discendenti che avessero agito contro la Chiesa. Il monarca e i familiari erano rimasti piuttosto impressionati e avevano inviato a don Bosco quattrocento lire per il suo Oratorio. Un modo per esorcizzare la paura.
Ma il sacerdote, dopo aver consegnato i documenti a palazzo reale, aveva raccontato ai suoi amici di aver fatto un sogno. E puntualmente fece arrivare una lettera al re nella quale glielo raccontava. «Ho sognato un bambino, che mi affidava un messaggio per voi: un funerale a corte!». Vittorio Emanuele non diede peso alla missiva. Don Bosco, però fece un secondo sogno e spedì una seconda lettera: «Lo stesso bambino ora non annunzia un gran funerale, ma grandi funerali a corte». Il sacerdote raccomandava al re «che pensi a regolarsi in modo da schivare i minacciati castighi», mentre lo prega «di impedire a qualunque costo quella legge».
Questa volta i Savoia reagirono e inviarono il marchese Frassati a fare una sfuriata al prete menagramo. Don Bosco si difese: «Quello che ho scritto è la verità. Mi rincresce di aver cagionato questo disturbo al sovrano, ma si tratta del bene suo e di quello della Chiesa».
Il 5 gennaio 1855, mentre il disegno di legge contro i religiosi venne presentato e discusso, si ammalò improvvisamente la regina madre Maria Teresa, di 54 anni, che si spense il 12 gennaio. Quattro giorni dopo, appena ritornata dai funerali della suocera, la moglie di Vittorio Emanuele, Maria Adelaide, che aveva partorito da una settimana, fu colpita da una grave gastroenterite. Quello stesso giorno il re ricevette una nuova lettera di don Bosco: «Persona illuminata ab alto ha detto: “Apri l’occhio: è già morto uno”. Se la legge passa, accadranno gravi disgrazie nella tua famiglia. Questo non è che il preludio dei mali. Erunt mala super mala in domo tua. Se non recedi, aprirai un abisso che non potrai scandagliare». Quattro giorni dopo la moglie del re morì appena trentatreenne, e la sera stessa, 20 gennaio, ricevette l’estrema unzione anche il fratello di Vittorio Emanuele, Ferdinando duca di Genova, che si spense l’11 febbraio.
La Camera approvò la legge il 2 marzo con 117 voti a favore e 36 contrari. I cattolici raccolsero 97mila firme per bloccarla. Ma invano. In maggio il progetto arrivò in Senato. Il giorno 17 di quel mese morì il piccolo Vittorio Emanuele Leopoldo, ultimogenito del re. Don Bosco espresse tutto il suo dolore per quelle morti: in poche settimane le tombe reali si sono aperte per quattro volte.
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