La svista di Famiglia Cristiana
Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
venerdì 16 dicembre 2011
Il settimanale cattolico Famiglia Cristiana ha assegnato il riconoscimento speciale di “Italiano dell'anno” al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Con il massimo rispetto dovuto alla più alta carica dello Stato, absit injuria verbis, mi permetto di nutrire serie perplessità su tale scelta.
Che Napolitano venga incoronato King George dal New York Times, o eletto uomo dell’anno dalla versione italiana della rivista mensile Wired, nota come la “Bibbia di Internet”, appare questione pacifica e indiscutibile. Che lo faccia un settimanale che ama definirsi cattolico, appare invece assolutamente discutibile. Diciamo che si è trattato di una colossale topica. Così la percepiscono, almeno, tutti quegli italiani, e non sono pochi, che non hanno dimenticato l’ombra che grava sull’attuale Presidenza a causa della tristissima vicenda umana di Eluana Englaro.
Mi duole interpretare il ruolo antipatico del rabat-joie e guastare la festa, ma la coscienza impone che la verità non possa essere sottaciuta.
Il 6 febbraio 2009 è ormai ricordato nella storia costituzionale del nostro Paese come il giorno del gran rifiuto di Giorgio Napolitano, il giorno in cui Il Presidente della Repubblica, non apponendo la propria firma al decreto legge cosiddetto “Salva Eluana”, ha creato un grave e pericoloso precedente nei rapporti istituzionali tra Capo dello Stato e Governo repubblicano. Non si tratta qui di riaprire dolorose ferite, o di rivangare le dure contrapposizioni di quel triste periodo, ma di ricordare la realtà dei fatti. I cattolici possono anche rispettare il Presidente della Repubblica – con lo stesso rispetto che va tributato a tutte le altre autorità civili – ma non possono davvero prenderlo ad esempio o come modello rappresentativo.
Nella motivazione che ha spinto Famiglia Cristiana a conferire il titolo di uomo dell’anno a Napolitano, si legge, tra l’altro: «Nel pieno di una crisi economica e politica difficilissima, il Presidente è stato per l'intera nazione un punto di riferimento imprescindibile, una bussola credibile e affidabile al di sopra di ogni schieramento di parte (…), indicando sempre ciò che unisce il Paese a scapito di ciò che divide».
Vorremmo sommessamente ricordare al settimanale delle Paoline che accanto all’economia ed alla politica esistono anche altri valori, che la Chiesa Cattolica – nella sua suprema autorità del Romano Pontefice – proclama come assoluti e non negoziabili. Tra questi valori vi è quello della vita, sempre e comunque degna di essere vissuta, rispetto alla quale nessuna autorità terrena può arrogarsi un diritto di soppressione. Tale principio, peraltro, fu pubblicamente ribadito proprio durante i giorni convulsi in cui si consumava la tragedia di Eluana dallo stesso Santo Padre Benedetto XVI nel suo messaggio per la XVII Giornata Mondiale del Malato (2 febbraio 2009). In quell’occasione, infatti, il Papa ricordò che «occorre sempre affermare con vigore l’assoluta e suprema dignità di ogni vita umana», poiché «non muta, con il trascorrere dei tempi, l’insegnamento che la Chiesa incessantemente proclama: la vita umana è bella e va vissuta in pienezza anche quando è debole ed avvolta dal mistero della sofferenza».
La reazione del mondo cattolico al rifiuto di Giorgio Napolitano di apporre la propria firma nel decreto avrebbe salvato la vita di Eluana Englaro, fu durissima.
A quel non possumus incostituzionale, si incaricò di replicare lo stesso Avvenire del 7 febbraio 2009, contestando la decisione del Presidente sul piano giuridico e su quello morale. Per quanto riguarda il primo, il compito di censurare Napolitano venne affidato all’articolo di Gianni Santamaria intitolato “Decreto ineccepibile, non andava bloccato - Costituzionalisti d’accordo: era urgente e necessario”. In quell’articolo, il giornalista di Avvenire fa parlare due ex Presidenti della Corte Costituzionale, Antonio Baldassarre e Cesare Mirabelli, ed un ex Vice-Presidente della stessa Corte, Massimo Vari, i quali hanno spiegato, in maniera giuridicamente ineccepibile, perché il decreto legge approvato dal Governo per salvare Eluana era legittimo, ed i motivi per cui il Presidente della Repubblica era tenuto a firmarlo. A quegli autorevolissimi interventi Avvenire aggiungeva anche l’opinione del costituzionalista Marco Olivetti per commentare come «il deliberato rifiuto» di Napolitano integrasse un «fatto gravissimo», tale da far ritenere che lo stesso Presidente fosse «chiaramente uscito dalle sue funzioni», ed avesse «mancato ad un suo dovere costituzionale».
Ancora più duro fu il giudizio morale affidato all’editoriale di Avvenire di quello stesso 7 febbraio 2009, a firma di Sua Eminenza il Cardinal Angelo Bagnasco, dal titolo particolarmente evocativo: “Più buio attorno a noi. E la vita più insidiata”.
In quella dura requisitoria Bagnasco poneva, tra l’altro, tre domande «che non possono essere censurate», e «che si affacciano insistenti alla coscienza». Primo, «come è possibile far morire una persona in nome di una sentenza?». Secondo, «Come si può tollerare che passi nella mentalità comune una pretesa nuova necessità, e cioè il diritto di morire, invece di sostenere e garantire, anche nelle situazioni estreme, il diritto alla vita?». Terzo, «non dare più il cibo e l’acqua ad una persona, come si deve chiamare se non omicidio?».
L’editoriale del porporato proseguiva, poi, con la toccante metafora del buio: «Una luce si sta spegnendo, la luce di una vita. E l’Italia è più buia. Un grande vuoto aleggia destinato ad accrescersi nei giorni che seguiranno, non solo perché Eluana non sarà più tra noi, ma perché la cultura egemone avrà ancora una volta negato la realtà, quella del limite, la realtà del dolore che la ragione – pur cercando di alleviarlo – ha sempre considerato parte stessa della vita; la realtà della sofferenza che la fede non esalta in sé, ma che nella croce di Cristo si illumina di significato e di valore».
Non è mancata, infine, in quel famoso editoriale del Cardinal Bagnasco una risposta, seppur indiretta, al rifiuto di Napolitano: «Una parola tuttavia di grave preoccupazione dobbiamo dirla circa la concatenazione di circostanze che vanno producendo un tale inaccettabile esito. Questa vicenda dolorosa, che vede al centro una persona che tutti sentiamo affettuosamente “nostra”, ci ha resi più insicuri. Non perdiamo l’occasione per riaffermare in modo più convinto e corale il sì alla vita; per fare, come società, un passo decisivo ed esemplare sulla via di un umanesimo reale e non parolaio. Per questo non possiamo tacere».
I cattolici hanno come punto di riferimento quella «Croce di Cristo che illumina la realtà di significato e di valore», e non l’«umanesimo parolaio» di tutti coloro – Napolitano compreso – che hanno contribuito a far spegnere una giovane vita, privandola dei mezzi di sostentamento essenziali.
Spiace dirlo, ma per i cattolici il caso Englaro non rappresenta davvero un momento edificante nella vita istituzionale dell’attuale Presidente della Repubblica. E in quella tragica vicenda non si può certo dire – con buona pace di Famiglia Cristiana – che Napolitano abbia rappresentato «ciò che unisce il Paese a scapito di ciò che divide». Sì, diciamo che si è trattato davvero di una svista.
Che Napolitano venga incoronato King George dal New York Times, o eletto uomo dell’anno dalla versione italiana della rivista mensile Wired, nota come la “Bibbia di Internet”, appare questione pacifica e indiscutibile. Che lo faccia un settimanale che ama definirsi cattolico, appare invece assolutamente discutibile. Diciamo che si è trattato di una colossale topica. Così la percepiscono, almeno, tutti quegli italiani, e non sono pochi, che non hanno dimenticato l’ombra che grava sull’attuale Presidenza a causa della tristissima vicenda umana di Eluana Englaro.
Mi duole interpretare il ruolo antipatico del rabat-joie e guastare la festa, ma la coscienza impone che la verità non possa essere sottaciuta.
Il 6 febbraio 2009 è ormai ricordato nella storia costituzionale del nostro Paese come il giorno del gran rifiuto di Giorgio Napolitano, il giorno in cui Il Presidente della Repubblica, non apponendo la propria firma al decreto legge cosiddetto “Salva Eluana”, ha creato un grave e pericoloso precedente nei rapporti istituzionali tra Capo dello Stato e Governo repubblicano. Non si tratta qui di riaprire dolorose ferite, o di rivangare le dure contrapposizioni di quel triste periodo, ma di ricordare la realtà dei fatti. I cattolici possono anche rispettare il Presidente della Repubblica – con lo stesso rispetto che va tributato a tutte le altre autorità civili – ma non possono davvero prenderlo ad esempio o come modello rappresentativo.
Nella motivazione che ha spinto Famiglia Cristiana a conferire il titolo di uomo dell’anno a Napolitano, si legge, tra l’altro: «Nel pieno di una crisi economica e politica difficilissima, il Presidente è stato per l'intera nazione un punto di riferimento imprescindibile, una bussola credibile e affidabile al di sopra di ogni schieramento di parte (…), indicando sempre ciò che unisce il Paese a scapito di ciò che divide».
Vorremmo sommessamente ricordare al settimanale delle Paoline che accanto all’economia ed alla politica esistono anche altri valori, che la Chiesa Cattolica – nella sua suprema autorità del Romano Pontefice – proclama come assoluti e non negoziabili. Tra questi valori vi è quello della vita, sempre e comunque degna di essere vissuta, rispetto alla quale nessuna autorità terrena può arrogarsi un diritto di soppressione. Tale principio, peraltro, fu pubblicamente ribadito proprio durante i giorni convulsi in cui si consumava la tragedia di Eluana dallo stesso Santo Padre Benedetto XVI nel suo messaggio per la XVII Giornata Mondiale del Malato (2 febbraio 2009). In quell’occasione, infatti, il Papa ricordò che «occorre sempre affermare con vigore l’assoluta e suprema dignità di ogni vita umana», poiché «non muta, con il trascorrere dei tempi, l’insegnamento che la Chiesa incessantemente proclama: la vita umana è bella e va vissuta in pienezza anche quando è debole ed avvolta dal mistero della sofferenza».
La reazione del mondo cattolico al rifiuto di Giorgio Napolitano di apporre la propria firma nel decreto avrebbe salvato la vita di Eluana Englaro, fu durissima.
A quel non possumus incostituzionale, si incaricò di replicare lo stesso Avvenire del 7 febbraio 2009, contestando la decisione del Presidente sul piano giuridico e su quello morale. Per quanto riguarda il primo, il compito di censurare Napolitano venne affidato all’articolo di Gianni Santamaria intitolato “Decreto ineccepibile, non andava bloccato - Costituzionalisti d’accordo: era urgente e necessario”. In quell’articolo, il giornalista di Avvenire fa parlare due ex Presidenti della Corte Costituzionale, Antonio Baldassarre e Cesare Mirabelli, ed un ex Vice-Presidente della stessa Corte, Massimo Vari, i quali hanno spiegato, in maniera giuridicamente ineccepibile, perché il decreto legge approvato dal Governo per salvare Eluana era legittimo, ed i motivi per cui il Presidente della Repubblica era tenuto a firmarlo. A quegli autorevolissimi interventi Avvenire aggiungeva anche l’opinione del costituzionalista Marco Olivetti per commentare come «il deliberato rifiuto» di Napolitano integrasse un «fatto gravissimo», tale da far ritenere che lo stesso Presidente fosse «chiaramente uscito dalle sue funzioni», ed avesse «mancato ad un suo dovere costituzionale».
Ancora più duro fu il giudizio morale affidato all’editoriale di Avvenire di quello stesso 7 febbraio 2009, a firma di Sua Eminenza il Cardinal Angelo Bagnasco, dal titolo particolarmente evocativo: “Più buio attorno a noi. E la vita più insidiata”.
In quella dura requisitoria Bagnasco poneva, tra l’altro, tre domande «che non possono essere censurate», e «che si affacciano insistenti alla coscienza». Primo, «come è possibile far morire una persona in nome di una sentenza?». Secondo, «Come si può tollerare che passi nella mentalità comune una pretesa nuova necessità, e cioè il diritto di morire, invece di sostenere e garantire, anche nelle situazioni estreme, il diritto alla vita?». Terzo, «non dare più il cibo e l’acqua ad una persona, come si deve chiamare se non omicidio?».
L’editoriale del porporato proseguiva, poi, con la toccante metafora del buio: «Una luce si sta spegnendo, la luce di una vita. E l’Italia è più buia. Un grande vuoto aleggia destinato ad accrescersi nei giorni che seguiranno, non solo perché Eluana non sarà più tra noi, ma perché la cultura egemone avrà ancora una volta negato la realtà, quella del limite, la realtà del dolore che la ragione – pur cercando di alleviarlo – ha sempre considerato parte stessa della vita; la realtà della sofferenza che la fede non esalta in sé, ma che nella croce di Cristo si illumina di significato e di valore».
Non è mancata, infine, in quel famoso editoriale del Cardinal Bagnasco una risposta, seppur indiretta, al rifiuto di Napolitano: «Una parola tuttavia di grave preoccupazione dobbiamo dirla circa la concatenazione di circostanze che vanno producendo un tale inaccettabile esito. Questa vicenda dolorosa, che vede al centro una persona che tutti sentiamo affettuosamente “nostra”, ci ha resi più insicuri. Non perdiamo l’occasione per riaffermare in modo più convinto e corale il sì alla vita; per fare, come società, un passo decisivo ed esemplare sulla via di un umanesimo reale e non parolaio. Per questo non possiamo tacere».
I cattolici hanno come punto di riferimento quella «Croce di Cristo che illumina la realtà di significato e di valore», e non l’«umanesimo parolaio» di tutti coloro – Napolitano compreso – che hanno contribuito a far spegnere una giovane vita, privandola dei mezzi di sostentamento essenziali.
Spiace dirlo, ma per i cattolici il caso Englaro non rappresenta davvero un momento edificante nella vita istituzionale dell’attuale Presidente della Repubblica. E in quella tragica vicenda non si può certo dire – con buona pace di Famiglia Cristiana – che Napolitano abbia rappresentato «ciò che unisce il Paese a scapito di ciò che divide». Sì, diciamo che si è trattato davvero di una svista.
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