Antonio Socci ha scritto qualche giorno fa una lettera aperta a Romeo Castellucci riguardo allo spettacolo “Sul concetto di volto nel Figlio di Dio”, cercando di mettere in luce la presunta buona fede del regista teatrale. Una chiave interpretativa, quella del giornalista toscano, suggestiva e controcorrente, ma onestamente troppo forzata. Dipingere Castellucci come un mistico dei nostri tempi mi è sembrato, infatti, eccessivo.
Proprio ieri leggevo un articolo di Rino Camilleri in merito ad una intervista che l'artista avrebbe rilasciato alla rivista australiana Real Time Arts nel 2002.
Tra le tante cose che vi si possono leggere, emergono dichiarazioni a dir poco pesanti come la seguente in cui Castellucci tessendo le lodi dell'angelo decaduto afferma:
"The Angel of Art is Lucifer. He is the first Being who puts on and assumes the costume and the clothes of another in order to Be. He has duplicated language and has translated it. The art of transformation is for him alone. He comes from the region of Non-being. The only way for him to return to the zone of Being is to write the name of another with his voice, with his body–and this is what the theatre is ".
Ovvero:
"L'Angelo dell'Arte è Lucifero. È lui il primo che assume le sembianze e le fattezze di un altro. È Lui il primo ad aver sdoppiato il linguaggio, salvo poi tradurlo. È Lui il primo, e l'unico, ad aver dominato l'arte della trasformazione. Egli proviene dalla zona del non-essere. L'unica possibilità per lui di tornare alla zona dell'Essere è farlo con la voce, il corpo, il nome di un altro. A questo serve il teatro".
Ora che è emerso l'illustre modello a cui l'artista si ispira, non vi sembra tutto più chiaro?
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