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sabato 17 marzo 2012

Semina verbi


La cristianizzazione della IV ecloga giunge a Dante passando per Costantino


di Francesco Lamendola - 14/03/2012

 



«È giunta ormai l’ultima età dell’oracolo cumano
E ricomincia il gran ciclo dei secoli.
Torna la Vergine, tornano i regni di Saturno;
e una nuova progenie scende dall’alto del cielo.
E il bambino che nascerà, con cui avrà fine per la prima volta
La stirpe del ferro e quella d’oro sorgerà nel mondo intero,
tu, casta Lucinia, proteggilo: già regna il tuo Apollo.
Sotto il tuo consolato, Pollione,
proprio il tuo,
avrà inizio quest’epoca gloriosa. Con la tua guida
i grandi mesi prenderanno a scorrere.
Se dei nostri delitti resta traccia,
svanirà, sciogliendo il mondo dal terrore senza fine.
Egli riceverà la vita dagli dèi, e agli dèi vedrà
Uniti gli eroi, e anche lui sarà con loro
E reggerà il mondo pacificato con la virtù paterna.
Ma per te, fanciullo, i primi piccoli dono darà la terra
Senz’essere coltivata: l’edera serpeggiante  e l’elicriso
E colocasia tra ridente acanto.
Da sole le caprette torneranno a casa gonfie
Di latte, né la mandria avrà paura del leone;
da sola la tua culla effonderà soavi fiori.
Morirà il serpente, e l’erba insidiosa del veleno
Morirà…»
(Virgilio, «Bucoliche», IV, 1-26; traduzione di M. Cavalli.)



Quando Virgilio scriveva questi versi bellissimi, concludendoli con l’immagine magnifica del bambino e della madre che si scambiano un dolcissimo sguardo d’amore (e la sua arte superba riesce a far sì che il lettore non riesca a capire con certezza se si tratta del sorriso che il bambino rivolge ala madre o di quello che lei rivolge a lui), senza dubbio non poteva immaginare la fortuna che essi avrebbero avuto al di fuori dell’ambito letterario.
È ormai praticamente certo che il sommo poeta latino, al momento di concepire la IV ecloga delle sue «Bucoliche», fosse influenzato, in una misura che è oggi impossibile stabilire con certezza, da un insieme di credenze mistiche e religiose di provenienza orientale, ivi compreso l’ebraismo, anche se l’interpretazione che ne diedero poi i cristiani, come di una profezia della nascita di Cristo dalla Vergine Maria e dell’avvento della nuova religione vittoriosa, non può trovare, ovviamente, alcun riscontro oggettivo, dato che Gesù doveva ancora nascere.
Nondimeno, gli esegeti cristiani dei secoli successivi non fondavano sul nulla la loro asserzione che Virgilio, possedendo un animo “naturaliter christianus”, aveva comunque concorso a preparare la seminagione della nuova dottrina, in quanto aveva predisposto gli animi a quel tipo di sensibilità e a quel tipo di attesa che avrebbero trovato nella Buona Novella venuta dalla Galilea le condizioni adatte per attecchire e diffondersi nell’Impero Romano.
Fabio Planciade Fulgenzio, ad esempio, un erudito africano vissuto fra il V e il VI secolo, che molti studiosi tendono a identificare con il contemporaneo Fulgenzio di Ruspe, vescovo della Chiesa cattolica nordafricana, con la sua «Expositio Virgilianae continentiae», interpretò il viaggio di Enea nell’Averno come una allegoria cristiana; e, poiché la sua opera esercitò un influsso capitale sulla cultura del Medioevo, preparò anche la strada alla lettura cristiana di Virgilio da parte di Dante e, in particolare, della famosa IV ecloga.
L’insigne filologo Domenico Comparetti (Roma, 1835 - Firenze, 1927), con il suo importante studio «Virgilio nel Medioevo», pubblicato nell’ormai lontano 1872, ma sempre ricco di dati preziosi e fecondo di acute e penetranti analisi, ha approfondito sia il filone letterario della tradizione virgiliana “cristiana”, sia il filone della leggenda popolare che lo volle grande saggio, grande filosofo e persino mago (cfr. anche il nostro saggio: «Il culto di Virgilio nel Medioevo», consultabile sul sito Esonet).
D’altra parte, se è un fatto che bisogna collocare fra le pie leggende l’interpretazione di Astrea come la Vergine Maria, la “nova progenies” discesa dal cielo come Cristo, i “sceleris vestigia nostri” come il peccato originale e il serpente che muore come Satana il quale, dopo aver indotto Eva al peccato e avere così precipitato l’umanità fuori dal Paradiso terrestre, viene definitivamente sconfitto dalla “Virgo” purissima, resta da spiegare perché Virgilio abbia voluto caricare di una così grande attesa messianica la nascita di un comunissimo bambino, che fosse il figlio di Asinio Pollione, che fosse il figlio tanto atteso da Ottaviano e Scribonia (e che sarà, invece, una femmina, la tristemente famosa Giulia) o che fosse Marcello, il nipote di Ottaviano, figlio di sua sorella Ottavia, destinato a morire in giovane età, e più tardi eternato nel celebre verso 883 del VI libro dell’«Eneide», con le parole di Anchise ad Enea: «Tu Marcellus eris».
Il problema, insomma, resta: perché tanta solennità; perché, addirittura, un ritorno dell’età di Saturno, ossia dell’oro; e, soprattutto, perché quell’accenno ad una antica colpa del genere umano, che non è stata ancora interamente estinta, quando si tratta di celebrare semplicemente la nascita di un bambino, e sia pure del figlio di qualche importante personaggio? Oppure bisogna pensare che non vi sia relazione causale fra la nascita del misterioso “puer” e il ritorno dell’età dell’innocenza, e che la redenzione dell’umanità venga solo a coincidere temporalmente con il lieto evento di quella nascita?
Sia come sia, l’idea di una colpa collettiva dell’umanità, che deve essere redenta, è sostanzialmente estranea alla mentalità classica: nella quale esiste, sì, insieme all’idea del tempo ciclico, anche quella di un avvicendamento delle quattro età del mondo - dell’oro, dell’argento, del bronzo e del ferro -, ma non dovuto a una singola colpa degli antichi progenitori, bensì rientrante in un processo cosmico che continuamente si rinnova.
Quanto al “magnorum saeculorum ordo”, Virgilio senza dubbio si riferisce alla predizione contenuta nei Libri Sibillini, che, secondo Plinio («Naturalis Historia», XIII, 88), una vecchia donna avrebbe offerto al re Tarquinio: suddividendo l’età del mondo in dieci grandi epoche o “magni menses”, formanti il “magnus annus”, ella aveva profetizzato che al termine di essi avrebbe avuto inizio un nuovo “magnus annus”, a sua volta diviso in due “magni menses”, il primo dei quali avrebbe reintrodotto la nuova “aurea aetas”, mentre il secondo avrebbe riportato pienamente l’età felice di Saturno.
Lo stesso Virgilio, nelle «Georgiche» (II, 474), aveva narrato come Astrea, inorridita dall’empietà degli uomini nell’età del ferro, fosse fuggita via dalla Terra; adesso, con il ritorno dei “Saturnia regna”, annuncia che una nuova progenie scenderà dall’alto («caelo demittitur alto»), cosa che si potrebbe anche intendere in senso letterale, se egli ha seguito le tracce di Lucrezio che, nel «De rerum natura» (II, 1154), richiamandosi, a sua volta, a un passo dell’«Iliade» (VIII, 19) e a una teoria di origine stoica, immaginava realmente gli uomini discesi dal cielo.
Scrivono Maurizio Bettini e altri (in: «Togata gens. Letteratura e cultura di Roma antica», Firenze, La Nuova Italia, 2012, vol. 1, p. 527):

«Quando dante e Virgilio incontrano l’ombra del poeta Stazio, fra i canti XXI e XXII del “Purgatorio”, i due viaggiatori apprendono che questi, vissuto al tempo degli imperatori Flavi, nella seconda metà del I sec. d. C., avrebbe fatto in tempo a convertirsi al cristianesimo. Per questo la sua anima si trova nel Purgatorio, e non assieme agli atri poeti e scrittori dell’antichità che risiedono nel Limbo, alle soglie del’Inferno, nel Nobile Castello, Stazio rivela a Virgilio che la sua conversione sarebbe avvenuta proprio grazie ai versi della IV ecloga:

“Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte,
quando dicesti: Secol si rinnova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenie scende da ciel nova.
Per te poeta fui, per te cristiano.
(Purgatorio, XXII, 67-73)

In quel periodo, continua il racconto di Stazio, tutto il mondo era già “pregno” dei semi della “vera credenza”, sparsi nel messaggio cristiano. L’idea che, nella IV ecologa, Virgilio sia stato un inconsapevole tramite del messaggio cristiano non è un’invenzione di Dante. Almeno a partire dal III secolo, infatti, i Padri della Chiesa trasformarono la IV ecloga in una profezia del cristianesimo. Il primo a diffondere la cristianizzazione dell’ecologa virgiliana fu però l’imperatore Costantino. In un discorso pronunciato pubblicamente in occasione del Venerdì Santo, la “Oratio ad sanctorum coetum”, infatti, Costantino interpretò la Vergine evocata da Virgilio (la Giustizia) come se fosse la Vergine Maria, il misterioso “puer” (“bambino”) dell’ecloga come se fosse il Salvatore, e la “nova progenies” (gli uomini della rinnovata età dell’oro) come se fossero i cristiani. Si trattava di un’abile forzatura del testo virgiliano, naturalmente, favorita dal fatto che Costantino pronunciò il suo discorso in greco, e in greco erano dunque stati tradotti - e opportunamente modificati - i versi dell’ecologa. Questa interpretazione del testo virgiliano ebbe grandissima influenza sulla recezione successiva del poema. È davvero un’interessante coincidenza il fatto che lo stesso imperatore che fece del cristianesimo la religione dell’impero, Costantino, sia anche all’origine dell’interpretazione cristiana di uno dei più importanti testi letterari della cultura romana.»

Costantino, dunque, ancora lui: davanti a una assemblea ecclesiastica, in un anno imprecisabile fra il 313 e il 325, esprimendosi in lingua greca, egli avrebbe dato inizio, “ufficialmente”, all’interpretazione cristiana della IV ecloga di Virgilio, durata poi per tutto il Medioevo.
Eusebio, il quale riferisce quel discorso, afferma che l’imperatore, in origine, lo aveva composto in latino, e che esso venne poi tradotto in greco da alcuni segretari; traduzione che, discostandosi dal testo originale di Virgilio, avrebbe reso più facile la lettura allegorica del carme, sfruttando una serie di ambiguità lessicali.
Quel che possiamo dire per certo, con il filologo Carlo Piazzino (da: C. Piazzino, «Antologia delle Bucoliche e delle Georgiche virgiliane», Torino, Paravia  & C., 1953, p. 27), è che «l’ecloga è volutamente avvolta in un’atmosfera nebulosa, determinata forse dall’influsso di dottrine e culti mistici, importati a Roma da ogni parte del mondo conosciuto, e da quello dei misteri orfici, pitagorici ed eleusini, degli oracoli sibillini, dei libri sacri e della tradizione giudaica Ma anche indipendentemente da ciò, il carme avrebbe forse avuto quel tono di indeterminatezza richiesto da un componimento di tal genere, oscillante tra la visione e la profezia».
Sì, certo.
Ma perché non ammettere almeno la possibilità che se, dopotutto, un disegno provvidenziale accompagna realmente la storia degli uomini, allora quelle mistiche suggestioni virgiliane sono state realmente funzionali alla diffusione del Verbo cristiano, così come Dante aveva immaginato?



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