Qual è il vero programma del lieto visitatore dei “potenti del mondo”, delle Sinagoghe, delle Moschee e d’ogni “tempio” per il culto dell’uomo… di chi copre pederasti e scandali e beatifica il “grande” dell’autodemolizione conciliare? Di chi, dopo mezzo secolo di strage d’anime, è lesto a celebrare il Vaticano II col Sinodo e il suo “Instrumentum… tenebris” per l’evangelizzazione che varca i limiti della libertà religiosa dell’uomo. Di chi mira alla nuova coscienza illuminista ed ecumenista della neochiesa in irreversibile «ascesa» verso il punto omega del cosmo?
Chi volesse vagliare la continuità cattolica di tale «ermeneutica»; capire se si accorda o piuttosto inverte lo scopo della Chiesa di Cristo con menzogne e iniziative mondialiste, dovrebbe paragonarla a quella dei Papi che parlano della vera pace nel Regno di Cristo.
«La sacra Scrittura ci insegna, e la tradizione dei Padri ci conferma, che la Chiesa è il Corpo mistico di Gesù Cristo» (San Pio X, Vehementer Nos, 11.2.1906). E, così come in ogni corpo umano deve trepidare un’anima spirituale, così l’umanità come un corpo deve riconoscere di avere un’anima data dal Creatore, che è la Chiesa di Cristo. E «la vera pace di Cristo non può essere che nel regno di Cristo»… procurando restaurarlo, faremo il lavoro più necessario insieme e più efficace per una stabile pacificazione.
Che è del mondo sordo al Regno di Gesù Cristo, perchéla Chiesadocente è occupata dal simulacro conciliare sagomato su elucubrazioni ecumenistiche aperte a ogni vento?
Vediamo la previsione di tali tempi in un sunto dell’Enciclica «Ubi arcano» di Pio XI, (23.12.1922).
“Gli uomini non più fratelli agli uomini, come detta la legge cristiana, ma quasi stranieri e nemici; smarrito il senso della dignità personale e del valore della stessa umana persona nel brutale prevalere della forza e del numero; gli uni intesi a sfruttare gli altri per questo sol fine di meglio e più largamente godere dei beni di questa vita; tutti erranti, perché rivolti unicamente ai beni materiali e temporali, e dimentichi dei beni spirituali ed eterni al cui acquisto Gesù Redentore, mediante il perenne magistero della Chiesa, ci invita. Ora, è nella natura stessa dei beni materiali che la loro disordinata ricerca diventi radice di ogni male e segnatamente di abbassamento morale e di discordie. Infatti da una parte non possono quei beni, in se stessi vili e finiti, appagare le nobili aspirazioni del cuore umano, che, creato da Dio per Iddio, è necessariamente inquieto, finché in Dio non riposi. Dall’altra parte (al contrario dei beni dello spirito, che quanto più si comunicano tanto più arricchiscono senza mai diminuire) i beni materiali quanto più si spartiscono fra molti, più scemano nei singoli, dovendosi di necessità sottrarre agli uni quello che agli altri è dato; onde non possono mai né contentare tutti egualmente, né appagare alcuno interamente, e con ciò diventano fonte di divisione e insieme afflizione di spirito, come li sperimentò il sapiente Salomone: «vanità delle vanità… e un inseguire il vento» [Eccle., I, 2, 14]. E ciò avviene nella società non meno che negli individui. «Donde mai le guerre e le contese tra voi ? – domanda l’apostolo San Giacomo – Non forse dalle vostre concupiscenze?» [Iac., IV, 1]…
Ed è questa esorbitanza di desideri, questa cupidigia di beni materiali, che diviene pure fonte di lotte e di rivalità internazionali, quando si presenta palliata e quasi giustificata da più alte ragioni di Stato o di pubblico bene, dall’amore cioè di patria e di nazione. Poiché anche questo amore, che è per sé incitamento di molte virtù ed anche di mirabili eroismi, quando sia regolato dalla legge cristiana, diviene occasione ed incentivo di gravi ingiustizie, quando, da giusto amor di patria, diventa immoderato nazionalismo; quando dimentica che tutti i popoli sono fratelli nella grande famiglia dell’umanità, che anche le altre nazioni hanno diritto a vivere e prosperare, che non è mai né lecito né savio disgiungere l’utile dall’onesto, e che infine, « la giustizia è quella che solleva le nazione, laddove il peccato fa miseri i popoli » [Prov., XIV, 34]. Onde il vantaggio ottenuto in questo modo alla propria famiglia, città o nazione, può ben sembrare (il pensiero è di Sant’Agostino [S. August., De Civ. Dei, lib. IV, c. 3] lieto e splendido successo, ma è fragile cosa e tale da ispirare i più paurosi timori di repentina rovina: « gioia cristallina, splendida, ma fragile, sulla quale sovrasta ancora più terribile il timore che improvvisamente si spezzi ».
Senonché della mancata pace e dei mali che conseguono dall’accennata mancanza, vi è una causa più alta insieme e più profonda; una causa che già prima della grande guerra era venuta largamente preparandosi; una causa alla quale l’immane calamità avrebbe dovuto essere rimedio, se tutti avessero capito l’alto linguaggio dei grandi avvenimenti. Sta scritto nel libro di Dio: «quelli che abbandonarono il Signore andranno consunti» [Is., I, 28]; e non meno noto è ciò che Gesù Redentore, Maestro degli uomini, ha detto: « senza di me nulla potete fare » [Ioan., XV, 5]; ed ancora: « chi non raccoglie meco, disperde » [Luc., XI, 23]. Queste divine parole si sono avverate, ed ancora oggi vanno avverandosi sotto i nostri occhi. Gli uomini si sono allontanati da Dio e da Gesù Cristo e per questo sono caduti al fondo di tanti mali; per questo stesso si logorano e si consumano in vani e sterili tentativi di porvi rimedio, senza neppure riuscire a raccogliere gli avanzi di tante rovine. Si è voluto che fossero senza Dio e senza Gesù Cristo le leggi e i governi, derivando ogni autorità non da Dio, ma dagli uomini; e con ciò stesso venivano meno alle leggi, non soltanto le sole vere ed inevitabili sanzioni, ma anche gli stessi supremi criteri del giusto, che anche il filosofo pagano Cicerone intuirà potersi derivare soltanto dalla legge divina. E veniva pure meno all’autorità ogni solida base, ogni vera ed indiscutibile ragione di supremazia e di comando da una parte, di soggezione e di ubbidienza dall’altra; e così la stessa compagine sociale, per logica necessità, doveva andarne scossa e compromessa, non rimanendole ormai alcun sicuro fulcro, ma tutto riducendosi a contrasti ed a prevalenze di numero e di interessi particolari.
Si volle che non più Dio, non più Gesù Cristo presiedesse al primo formarsi della famiglia, riducendo a mero contratto civile il matrimonio, del quale Gesù Cristo ha fatto un « Sacramento grande » [Eph., V, 32], con erigerlo a santo e santificante simbolo dell’indissolubile vincolo che a Lui stesso lega la sua Chiesa. Ne rimase abbassata, oscurata e confusa nei popoli tutta quella elevatezza e santità di idee e di sentimenti, di cui la Chiesa aveva circondato fin dal suo primo formarsi questo germe della società civile, che è la famiglia: la gerarchia domestica, e con essa la domestica pace, andò sovvertita; sempre più minacciata e scossa la stabilità ed unità della famiglia; il santuario domestico sempre più frequentemente profanato da basse passioni e da micidiali egoismi, che tendono ad avvelenare ed inaridire le sorgenti stesse della vita, non soltanto della famiglia, ma anche dei popoli.
Non si volle più Dio, né Gesù Cristo, né la dottrina sua nella scuola, e la scuola, per triste ma ineluttabile necessità, divenne non soltanto laica e areligiosa, ma anche apertamente atea e antireligiosa, dovendo l’ignaro fanciullo presto persuadersi che nessuna importanza hanno per la vita Dio e la Religione, di cui mai sente parlare, se non forse con parole di vilipendio. Così, ed anche solo per questo, la scuola cessava di guidare al bene, ossia di educare, privata di Dio e della sua legge, e della stessa possibilità di formare le coscienze e le volontà alla fuga dal male, alla pratica del bene. Così veniva pur meno ogni possibilità di preparare alla famiglia ed alla società elementi di ordine, di pace e di prosperità. Spente così ad oscurate le luci dello spiritualismo cristiano, l’invadente materialismo non fece che preparare il terreno alla vasta propaganda di anarchia e di odio sociale degli ultimi tempi: donde, infine sfrenata, la guerra mondiale gettava nazioni e popoli gli uni contro gli altri, a sfogo di discordie e di odi lungamente covati, abituando gli uomini alla violenza ed al sangue, e col sangue suggellando gli odi e le discordie di prima.
Occorre e urge una vera pace per gli animi… Ma tale non è se non la pace di Cristo; « e la pace di Cristo regni nei vostri cuori » [Col., III., 15], né altra potrebbe essere la pace sua che Egli dà [Ioan., XIV, 27], mentre Dio, com’Egli è, intuisce i cuori [I Reg., XVI, 7], e nei cuori ha il suo regno. D’altra parte Gesù Cristo ha ben diritto di chiamare sua questa vera pace dei cuori, Egli che per primo disse agli uomini « voi siete tutti fratelli » [Matth., XXIII, 8] e loro promulgava, suggellandola nel suo sangue, la legge di universale mutua dilezione e tolleranza: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate a vicenda come io vi ho amati » [Ioan., XV, 12]; «Sopportate gli uni i pesi degli altri, e così adempirete alla legge di Cristo» [Gal., VI, 2].
Ne consegue immediatamente che la pace di Cristo dovrà bensì essere una pace giusta (come il suo profeta l’annuncia: « la pace, opera di giustizia » [Is., XXXII, 17]), essendo Egli quel Dio che giudica la giustizia stessa [Ps., IX, 5]; non potrà però constare soltanto di dura ed inflessibile giustizia, ma dovrà essere fatta dolce e soave da una almeno uguale misura di carità con effetto di sincera riconciliazione. Tale è la pace che Gesù Cristo conquistava a noi ed al mondo intero e che l’Apostolo, con tanto energica espressione, in Gesù Cristo stesso impersona, dicendo: «Egli è la nostra pace»; perché, soddisfacendo alla divina giustizia, col supplizio della crocifissa carne sua, in se stesso uccideva ogni inimicizia, facendo la pace [Eph., II, 14 et ss] e riconciliando tutti e tutto in se stesso. Così è che nell’opera redentrice di Cristo, che pure è opera di divina giustizia, l’Apostolo stesso non vede che una divina opera di riconciliazione e di carità: «Dio riconciliava a sé il mondo in Cristo» [II Cor., V, 19]; «a tal segno Iddio ha amato il mondo, che ha dato il suo Figliuolo unigenito» [Ioan., III, 16]. Il Dottore Angelico ha trovato la formula ed il conio per l’oro di questa dottrina, dicendo che la pace, la vera pace, è cosa piuttosto di carità che di giustizia; perché alla giustizia spetta solo rimuovere gli impedimenti della pace: l’offesa e il danno; ma la pace stessa è atto proprio e specifico di carità [2a, 2 ae, q. 29, III, ad 3um].
Della pace di Cristo, cosa del cuore e tutta di carità, si può e si deve ripetere quello che l’Apostolo dice del regno di Dio, che appunto per la carità signoreggia nei cuori: « Il regno di Dio non è questione di cibo e di bevanda » [Rom., XIV, 17], cioè la pace di Cristo « non si pasce di beni materiali e terreni », ma di spirituali e celesti. Né potrebbe essere altrimenti, dato che proprio Gesù ha rivelato al mondo i valori spirituali e rivendicato loro il dovuto apprezzamento. Egli ha detto: « Che cosa giova all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi danneggia l’anima sua? O che cosa darà l’uomo in cambio dell’anima sua? » [Matth., XVI, 26]. Egli è colui che diede quella divina lezione di carattere: «Non temete coloro che uccidono il corpo, e non possono uccidere l’anima, ma piuttosto temete colui che può mandare in perdizione e l’anima e il corpo »! [Matth., X, 28; Luc., XII, 14].
«Cercate prima il regno di Dio… e tutto ciò vi sarà dato in più». [Mt 6, 33; Lc 12I, 31]
Infrenata la cupidigia dei beni materiali, rimessi nell’onore che loro compete i valori dello spirito, alla pace di Cristo, per naturale felicissimo accordo, si accompagna, con la illibatezza e dignità della vita, l’elevazione dell’umana persona, nobilitata nel Sangue di Cristo, nella figliuolanza divina, nella santità e nel vincolo fraterno che ci unisce allo stesso Cristo, nella preghiera e nei Sacramenti, mezzi infallibilmente efficaci di elevazione e partecipazione divina, nell’aspirazione all’eterno possesso della gloria e beatitudine di Dio stesso, a tutti proposto come meta e premio.
Abbiamo visto e considerato che precipua causa dello scompiglio, delle inquietudini e dei pericoli che accompagnano la falsa pace è l’essere venuto meno l’impero della legge, il rispetto dell’autorità, dopo che era venuta meno all’una ed all’altra la stessa ragion d’essere, una volta negata la loro origine da Dio, creatore e ordinatore universale. Orbene, il rimedio è nella pace di Cristo, giacché pace di Cristo è pace di Dio, né questa può essere senza il rispetto dell’ordine, della legge e dell’autorità. Nel Libro di Dio infatti sta Scritto: «Conservate la Pace nell’ordine » [Eccli., XLI, 17]; «Gran pace avrà chi amerà la tua legge, o Signore» [Ps., CXVIII, 165]; «Chi osserva il precetto si troverà in pace » [Prov., XIII, 13]. E Gesù stesso più espressamente insegna: « Rendete a Cesare quel ch’è di Cesare » [Matth., XXII, 21], e perfino in Pilato Egli riconosce l’autorità sociale che viene dall’alto [Ioan., XIX, 11], come aveva riconosciuto l’autorità addirittura nei degeneri successori di Mosè [Matth., XXIII, 2], e riconosciuto in Maria e Giuseppe l’autorità domestica, loro assoggettandosi per tanta parte della sua vita [Luc., II, 51]. E dagli Apostoli suoi faceva proclamare quella solenne dottrina che, come insegna «doversi da tutti riverenza ed ossequio ad ogni potestà legittima», così proclama pure «potestà legittima non esservi se non da Dio» [Rom., XIII, 1].
… Insegna la Chiesa (ed essa sola ha da Dio il mandato, e col mandato il diritto di autorevolmente insegnarlo) che non soltanto gli atti umani privati e personali, ma anche i pubblici e collettivi devono conformarsi alla legge eterna di Dio; anzi assai più dei primi i secondi, come quelli sui quali incombono le responsabilità più gravi e terribili. Quando dunque governi e popoli seguiranno negli atti loro collettivi, sia all’interno sia nei rapporti internazionali, quei dettami di coscienza che gli insegnamenti, i precetti, gli esempi di Gesù Cristo propongono ed impongono ad ogni uomo; allora soltanto potranno fidarsi gli uni degli altri, ed aver anche fede nella pacifica risoluzione delle difficoltà e controversie che, per differenza di vedute e opposizione d’interessi, possono insorgere.
… Appare, da quanto siamo venuti considerando, che la vera pace, la pace di Cristo, non può esistere se non sono ammessi i princìpi, osservate le leggi, ubbiditi i precetti di Cristo nella vita pubblica e nella privata; sicché, bene ordinata la società umana, vi possa la Chiesa esercitare il suo magistero, al quale appunto fu affidato l’insegnamento di quei princìpi, di quelle leggi, di quei precetti.
Ora tutto questo si esprime con una sola parola: « il regno di Cristo ». Poiché regna Gesù Cristo nella mente degli « individui » con la sua dottrina, nel cuore con la sua carità, nella vita di ciascuno con l’osservanza della sua legge e l’imitazione dei suoi esempi. Regna Gesù Cristo « nella famiglia » quando, formatasi nella santità del vero e proprio Sacramento del matrimonio da Gesù Cristo istituito, conserva inviolato il carattere di santuario, dove l’autorità dei parenti si modella sulla paternità divina, dalla quale discende e si denomina [Ephes., III, 15]; l’ubbidienza dei figli su quella del fanciullo Gesù in Nazareth; la vita tutta quanta s’ispira alla santità della Sacra Famiglia. Regna infine Gesù Cristo « nella società civile » quando vi è riconosciuta e riverita la suprema ed universale sovranità di Dio, con la divina origine ed ordinazione dei poteri sociali, donde in alto la norma del comandare, in basso il dovere e la nobiltà dell’ubbidire. Regna quando è riconosciuto alla Chiesa di Gesù Cristo il posto che Egli stesso le assegnava nella società umana, dandole forma e costituzione di società, e, in ragione del suo fine, perfetta, suprema nell’ordine suo; costituendola depositaria ed interprete del suo pensiero divino, e perciò stesso maestra e guida delle altre società tutte quante: non per menomare l’autorità loro, nel proprio ordine competente, ma per perfezionarle, come la grazia perfeziona la natura, e per farne valido aiuto agli uomini nel conseguimento del fine ultimo, ossia della eterna felicità, e con ciò renderle anche più benemerite e più sicure promotrici della stessa prosperità temporale.
È dunque evidente che la vera pace di Cristo non può essere che nel regno di Cristo: «La pace di Cristo nel regno di Cristo»; ed è del pari evidente che, procurando la restaurazione del regno di Cristo, faremo il lavoro più necessario insieme e più efficace per una stabile pacificazione.
Così Pio X, proponendosi di «restaurare tutto in Cristo», quasi per un divino istinto preparava la prima e più necessaria base a quella «opera di pacificazione», che doveva essere il programma e l’occupazione di Benedetto XV. E questi due programmi dei Nostri Antecessori Noi congiungiamo in uno solo: la restaurazione del regno di Cristo per la pacificazione in Cristo: «La pace di Cristo nel regno di Cristo»; e con ogni sforzo Ci studieremo di attuarlo, unicamente confidando in quel Dio, che nell’affidarCi questo sommo potere, Ci prometteva la sua indefettibile assistenza”.
Non è passato un secolo e ora si vede l’opposto a Roma: un altro Benedetto (16), che attuando il Vaticano 2, haparole che suonano pie, ma per il programma e l’occupazione di scongiurare quanto è più odiato dalle logge dell’illuminismo e dalle sinagoghe dell’anticristianesimo: «la restaurazione del Regno di Cristo per la pace in Cristo».
Programma e occupazione in completa rottura con quella degli Apostoli, dei santi e di tutti i Papi, ripetuti in questa Lettera enciclica.
Allora aveva ragione Mgr Lefebvre: non si può collaborare con anticristi che vogliono distruggere il Regno di Cristo. Mancò solo l’anatema sit evangelico (cf. Gl 1, ai «papi conciliari». Ma, coloro che pretendono che lui non lo avrebbe mai espresso nei confronti del futuro Benedetto XVI, anzi, che avrebbe finalmente con chi trattare, non solo disonora la sua memoria, ma il mondo cattolico che aspira al Regno di Cristo.
Un consacrato che non predica il Regno di Cristo, è estraneo alla Chiesa; se veste da papa, è per meglio servire l’altro strano signore, l’avversario degli uomini e di Dio.
http://www.agerecontra.it/public/press20/?p=11706
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