10 ottobre 1962: il Vaticano II non è ancora iniziato, e il giovane teologo Joseph Ratzinger suggerisce ai vescovi tedeschi di riscrivere il documento conciliare, anche per non cadere nelle insidie di una gnosi “tradizionalista”
L’11 ottobre 1962, quando Giovanni XXIII aprì il Concilio ecumenico con parole di esultanza («Gaudet Mater Ecclesia»), per il 35enne Joseph Ratzinger l'avventura conciliare era in realtà già iniziata. Il giorno prima della inaugurazione solenne il giovane teologo bavarese, appena arrivato a Roma nella sua veste di “perito privato” del cardinale di Colonia Joseph Frings, non aveva quasi avuto il tempo di disfare i bagagli.
Al Collegio di Santa Maria dell’Anima, alle 17 in punto, lo attendeva la squadra compatta dei vescovi tedeschi, con l'aggiunta di altri colleghi germanofoni. In quella vigilia conciliare, su richiesta di Frings, Ratzinger era stato convocato a istruire il piccolo uditorio episcopale intorno allo schema di documento De Fontibus Revelationis (Sulle fonti della Rivelazione), il primo degli schemi predisposti dalle Commissioni preparatorie e inviati ai padri sinodali per essere discussi durante le ormai imminenti sessioni conciliari.
Al Collegio di Santa Maria dell’Anima, alle 17 in punto, lo attendeva la squadra compatta dei vescovi tedeschi, con l'aggiunta di altri colleghi germanofoni. In quella vigilia conciliare, su richiesta di Frings, Ratzinger era stato convocato a istruire il piccolo uditorio episcopale intorno allo schema di documento De Fontibus Revelationis (Sulle fonti della Rivelazione), il primo degli schemi predisposti dalle Commissioni preparatorie e inviati ai padri sinodali per essere discussi durante le ormai imminenti sessioni conciliari.
La relazione svolta da Ratzinger in quella occasione fu una stroncatura sostanziale dello schema che aveva preso la luce sotto il costante monitoraggio dei rappresentanti più qualificati della “scuola romana”, dal gesuita Sebastian Tromp fino al cardinale Alfredo Ottaviani, segretario del Sant’Uffizio.
Secondo il teologo collaboratore di Frings, la bozza di documento conciliare era male impostata fin dal titolo, che pure rinviava a formule ricorrenti nei manuali di teologia del tempo, dove la Scrittura e la Tradizione erano definite come le “due fonti” della Rivelazione divina. Per Ratzinger, tale definizione invertiva la successione ontologica tra la Rivelazione e le forme storiche della sua trasmissione. Sul piano della realtà – fece notare Ratzinger nella sua esposizione al Collegio di Santa Maria dell’Anima - «la Rivelazione non è qualcosa che viene dopo Scrittura e Tradizione, ma al contrario è il parlare e l’agire di Dio che viene prima di tutte le formulazioni storiche della sua parola, essendo l’unica sorgente che alimenta Scrittura e Tradizione».
La questione non rappresentava per Ratzinger una oziosa disputa accademica. Secondo il giovane teologo bavarese, gli estensori dello schema erano stati accecati «dal fantasma del modernismo» e condizionati dall’ossessione di dover confutare il principio protestante del «sola scriptura», che riconosce solo la Bibbia come regola della fede e della pratica del cristiano. Nell’intento di marcare la distanza, avevano quasi attribuito alla Tradizione il potere di definire contenuti di fede non presenti nemmeno in maniera implicita nella Sacra Scrittura. Ma proprio tale deriva “tradizionalista” rappresentava a detta di Ratzinger un tradimento rispetto a quello che la Chiesa ha sempre insegnato. Già i Padri della Chiesa – così sottolineava Ratzinger nella sua lezione alla vigilia del Concilio - avevano rigettato come gnostica, e quindi non cristiana, ogni «idea di una Tradizione intesa come una collezione di affermazioni comunicate al di fuori della Scrittura».
Su questo punto, la soluzione proposta da Ratzinger era chiara: i Padri conciliari avrebbero dovuto depurare il documento dedicato alla Rivelazione da «tutte le formulazioni che descrivono la Tradizione come un principio materiale autonomo». Al loro posto, andavano inserite formule che evidenziassero «sia la stretta interrelazione tra Scrittura, Tradizione e annuncio della Chiesa, sia gli obblighi profondi della Chiesa riguardo alla parola della Scrittura».
Il giorno dopo, nella cerimonia d’inaugurazione, l’allora giovane teologo bavarese fu confortato dall’allocuzione d’apertura pronunciata da Giovanni XXIII. Nei suoi successivi resoconti conciliari, Ratzinger registrò il sollievo provato davanti alle parole del Papa che aveva evitato «tutte le sentenze solo negative» e chiamato la Chiesa a utilizzare al loro posto «la medicina della misericordia» nei rapporti con la modernità. Non lo convinsero invece altri aspetti liturgia d’apertura del Concilio, che secondo lui aveva ridotto i vescovi e tutti gli altri presenti al rango di «muti spettatori», privi di qualsiasi «partecipazione attiva».
GIANNI VALENTE ROMA
GIANNI VALENTE ROMA
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