La lettura di un verbale “a sorpresa” durante il processo a carico del tecnico informatico della Segretaria di Stato. Il commento di padre Lombardi
Sullo sfondo si staglia uno scenario inquietante: carte riservate usate per regolamenti di conti interni e guerre di dossier combattute da opposte cordate ecclesiastiche attraverso dipendenti laici. La caccia ai colpevoli di Vatleaks continua. Nel secondo processo per la fuga dei documenti top secret del Papa, conclusosi con la condanna a due mesi di reclusione per favoreggiamento all’informatico Claudio Sciarpelletti, è spuntato un nuovo nome: si tratta di monsignor Pietro Pennacchini, ex vicedirettore della sala stampa vaticana e attuale funzionario della Segreteria di Stato. Ad introdurre questo nuovo nome è stato il Promotore di giustizia Nicola Picardi che, al termine della requisitoria, aveva tenuto un lungo silenzio.
Quindi la lettura di un verbale «a sorpresa» che ha creato parecchie frizioni con la difesa di Sciarpelletti rappresentanta dall’avvocato Gianluca Benedetti. Il pm Picardi si è rifatto all’interrogatorio del 29 maggio scorso nel quale Sciarpelletti aveva cambiato versione dei fatti e aveva sostenuto di aver ricevuto una seconda busta da monsignor Pietro Pennacchini. A questo punto l’avvocato Benedetti, sbattendo le carte sul tavolo, ha contestato la procedura e ha chiesto spiegazioni. «Ma come -ha sostenuto l’avvocato Benedetti. Mi impegno a scrivere memorie per non far venire fuori nomi e ora esce un altro nome?». Il presidente Giuseppe Dalla Torre ha verbalizzato entrambe le versioni ma, senza nemmeno ritirarsi in camera di consiglio, ha stabilito «l’irrilevanza di qualsiasi altra busta». In ogni caso il Promotore con questo suo intervento ha lasciato intendere che si indaghi ancora.
Per la vicenda legata a monsignor Pennacchini, comunque Picardi ha negato «categoricamente» che ci sia mai stata un’indagine a carico del presule sostenendo: «Non ho detto che stiamo facendo indagini». La vicenda comunque è stata chiusa da Dalla Torre con un giudizio di irrilevanza. Sulla questione è intervenuto anche il portavoce della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi: «Il senso è che Sciarpelletti ha detto di avere ricevuto diverse buste ma era normale visto che il suo ufficio era in contatto con tanti altri uffici. Insomma questo caso -ha ripetuto Lombardi- mi sembra un esempio di una prassi normale. Capisco che si possa essere ossessionati dalla ricerca di nomi ma questo caso non è sinonimo di particolari coinvolgimenti».
Quanto al fatto che Claudio Sciarpelletti, informatico addetto alla riparazione di computer avesse anche l’abitudine, in base alle testimonianze, di smistare la posta, padre Lombardi ha sottolineato che «nell’ufficio in cui presta assistenza informatica Sciarpelletti è un ufficio che diffonde comunicazioni in varie direzioni. Insomma, mi pare un luogo dove è frequente il passaggio di informazioni. Del resto, nelle deposizioni è stato lo stesso Sciarpelletti a dire che stava sempre in contatto con varie persone». Intanto Paolo Gabriele, il maggiordomo di Papa Ratzinger che sta scontando la condanna a un anno e mezzo per Vatileaks, ha salvato oggi con la sua testimonianza l’onorabilità di monsignor Carlo Maria Polvani, il responsabile dell’Ufficio Informazioni della Segereteria di Stato. Il sacerdote, che è nipote del nunzio a Washington, monsignor Carlo Maria Viganò (dalle cui lettere di protesta per il trasferimento in Usa, è nato in pratica il caso Vatileaks) era stato accusato da Sciarpelletti di avergli consegnato una busta di documenti incriminanti, da far avere a Gabriele. Il maggiordomo ha invece dichiarato in aula di essere stato lui a dare quei materiali all’informatico e che Polvani non c’entrava nulla.
E se Paolo Gabriele se l’è cavata con una semplicissima spiegazione: «Ho dato a Claudio Scirpelletti cose che cercavo su Internet, interessanti per chi ama la Chiesa e che condividevo con lui per curiosità», affermando però di non ricordarsi se quei famosi fogli (alcune mail, una delle quali firmata «nuovola», e il fascicolo contro la Gendarmeria e il suo comandante Domenico Giani poi pubblicato nel libro di Nuzzi in un capitolo intitolato «Napoleone in Vaticano») li avesse consegnati in una busta sigillata o meno, la deposizione di monsignor Polvani, nell’udienza di oggi, è stata molto carica di tensione emotiva. In particolare, il prelato, infatti, ha raccontato di uno strano colloquio avuto in luglio con l’imputato. «Tu mi dovrai capire, perdonare: l’ho fatto per i miei figli e la mia famiglia», avrebbe detto Sciarpelletti a Polvani, il quale però pur avendolo alle sue dipendenze nell’organico della Segreteria di Stato, non sapeva della situazione che vedeva l’informatico in stato di libertà provvisoria dopo l’arresto e il ritorovamento della busta. «Prima della scorsa estate - ha detto ancora il suo capo - Claudio era molto espansivo e cordiale, poi a giugno e luglio si era chiuso nel suo ufficio con aria imbronciata, ma non sapevo cosa gli stesse accadendo. Di questa busta io ho saputo l’esistenza solo il 13 agosto, quando sono state pubblicate la requisitoria e la sentenza istruttoria». Richiesto di un giudizio sulla personalità dell’informatico, Polvani ha poi aggiunto: «per me Sciarpelletti era una persona con indubbie qualità e sfortunatamente la tendenza a `impasticcciarsi´, perché davanti ai problemi si fa prendere dall’agitazione e talvolta non focalizza bene».
GIACOMO GALEAZZICITTÀ DEL VATICANO
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