ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 15 dicembre 2012

Il meglio fico del bigoncio conciliare


Il prete ‘aggiornato’ che strappa immagini del “buffone medievale”: padre Pio. Don Antonio Cecconi

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IL PRETE AGGIORNATO CHE STRAPPA LE IMMAGINI DEL “BUFFONE”: PADRE PIO  Il caso del chierico pisano don Antonio Cecconi

E di quei preti populisti e demagoghi che disprezzano il popolo

 Antonio Cecconi, prete dell’arcidiocesi di Pisa. Quando vede una foto di San Pio da Pietrelcina, la strappa e la butta. “Il Medioevo è finito!”, si mette a gridare. “Basta con buffoni e superstizioni. C’è stato un concilio. Aggiornatevi!”.

CATTOCOMUNISTI E COMUNISTI CATTOLICI ERANO GENTE SERIA. E PERBENE

Leggo sul facebook della nostra collaboratrice Ester Maria Ledda questa notizia:

Antonio Cecconi, proposto dell’unità pastorale Valgraziosa dell’arcidiocesi di Pisa. Quando vede una foto di San Pio da Pietrelcina, la strappa e la butta. “Il Medioevo è finito!”, si mette a gridare. “Basta con buffoni e superstizioni. C’è stato un concilio. Aggiornatevi!”.

Ester dice che altro non sono che volgari “cattocomunisti”. E no, un momento, bella de zio! Attenzione! Guardate che i vecchi “cattocomunisti”, e specialmente i “comunisti cattolici”, erano persone serie, non ubriaconi. Qui siamo ai fenomeni da baraccone, agli ultimi pagliacci spompati di un circo in dismissione, a ex “intellettuali” sedicenti allergici assai alla carta stampata, a cominciare da quella dei documenti conciliari. I veteranicattocomunisti, al contrario, erano persone ammodo, che sapevano come si stava al mondo (e magari pure in chiesa), e soprattutto era gente studiosa, colta, raffinata talora, almeno i loro patriarchi ideologici erano così. Erano dei borghesi perfetti.

Per non parlare poi di un’altra schiatta, che era addirittura di aristocratici perfetti, e che spesso viene confusa con questi, coi cattocomunisti, ma che sono altra cosa: i comunisti cattolici. Questi erano dei monaci laici, praticamente; degli asceti, uomini di grandissimo rigore morale, anzitutto con se stessi, poi anche con gli altri; ed erano persone di studi profondi: non facevano altro. Allergici a ogni volgarità e pressapochismo, come pure alla demagogia, erano assolutamente ortodossi sul piano della dottrina, del Depositum: severamente ortodossi. Stiamoci attenti dunque a non mischiare a cuor leggero i cialtroni coi gentiluomini.

QUEI PRETI “AGGIORNATI” CHE MARCIANO INDIETRO VERSO IL FUTURO

Don Antonio Cecconi, il clericale “aggiornato” nemico di Padre Pio. “Perché c’è stato un Concilio”.

Il caso di questo don Antonio Cecconi, è altra storia: è storia dei nostri giorni. In linea con la volgarità arruffona dei tempi. Perfettamente sintonizzato sul classicissimo e sparleggiante anacronismo clericale, in ritardo su tutto salvo avvertirsi come futurista. Futuroremoto. O come direbbe Flaiano: marciano indietro verso il futuro.

Riguardo a questo clericale qui, il Cecconi, ti balzano subito all’occhio certi soliti particolari  e alcune contraddizioni marchiane.

Il particolare solito è questo: siamo dinanzi al solito chierico settantenne, al vecchio scarpone reduce dai seminari-bordello del ’68. Che lì è rimasto e non s’è mai mosso. Sembra uno di quegli ormai superstiti hippie che ancora oggi, ormai vecchi e canuti, cascanti e discretamente rincitrulliti, dischi rotti ma sempre cannone acceso in bocca, si conciano e si vestono da figli dei fiori, fanno gli stessi discorsi (e persino pretenderebbero gli stessi allucinati amplessi) di quando erano giovani mezzo secolo prima, tal quali nei loro anni di “fumo”: gli anni ’70. E pazienza se nel frattempo son passati 40 anni!

Così questo clericale toscano: è convinto di stare ancora spoltronato e fumante nelfuturismo e nelle magnifiche sorti e progressiste dei seminari della sua giovinezza “esaltante”… se guardata con gli occhi di allora: “esaltata” e infine patetica quando non squallida se guardata davvero con gli occhi del futuro, che poi sono i nostri occhi da trentenni del terzo millennio. E poco conta se quelle illusioni futuriste tanto da rasentare l’eterno, una dopo l’altra, strada facendo, dopo pochi metri, sono tutte cadute avvinte nella morte. Da immemorabili. E sepolte sotto una coltre di disonore prima e di risate poi; fracassatesi come acqua fresca sullo scoglio della realtà. Ma tant’è!

Se ne sono accorti tutti, persino gli intellettuali radical-chic che di quelle mode ideologiche ne furono i santoni, ma che poi alla prima falla, già erano saltati da un pezzo su tutte le altre scialuppe di salvataggio, nella speranza di approdare a nuove fiere delle vanità in cui esibirsi a gettone: con lo stesso copione, certo, ma almeno cambiato di titolo e d’autore. Se ne sono accorti anche loro, dunque, se ne sono accorti tutti, meno che i preti, i clericali “aggiornati”. Sono reazionari pure nel progressismo più vieto.

[ per capire che arruffopoli è questo personaggio, che livello di confusione culturale ha in testa, provate – se ci riuscite – a leggere e capire questo suo articolo “politico-sociale”: roba che neppure un traduttore delle Br riuscirebbe a decriptare, nemmeno il fumoso Moro sarebbe riuscito ad essere più narcotizzante…  giusto per darvi prova della totale mancanza di senso della realtà e della comunicazione, dell’anacronismo appunto, di questi clericali “aggiornati” e demagoghi senza popolo se non contro il popolo. Clicca qui ]

Il patologico anacronismo clericale proprio del clero “aggiornato” è notorio. Ed è quanto di più ridicolo e apocalittico, arrogante e di dura cervice, ineluttabile e sado-maso esista sulla faccia della terra o possa immaginare mente umana. Non è un caso che tali, oggi, siano rimasti quasi i soli clericali anziani (per i giovani clericali così, in genere al seguito di anziani clericali così… quelli ormai sono sboccati direttamente dal populismo straccione al post-cristianesimo e sono perciò un affare che non ci riguarda più). L’età media dei peggiori di questi soggetti è sempre quella, non si scappa: 60-70 anni. Vale a dire: quelli che hanno bivaccato a pugno chiuso nei seminari degli anni ’60, e che son diventati preti nel ‘68. E come a quei tempi ragionano. Un fenomeno di immaturità e di carenza formativa immane. Anche e soprattutto per costoro vale la regola prima di  ogni ideologia, per dirla col nostro Messori: “Se la realtà smentisce lo schema ideologico, tanto peggio per la realtà, conta lo schema”.

ALMENO I PRETI “AGGIORNATI” DI IERI SI FORMAVANO IDEE DAI LIBRI. QUESTI DI OGGI DAI TALK-SHOW

Il “buffone medievale” a detta di don Cecconi, prete “aggiornato”

Semmai una differenza c’è, fra i clericaliaggiornati di ieri, i sessantottini, e quel che ne è rimasto oggi, i reduci (perché hanno sgangherati reduci, non giovani epigoni… in pratica so’ sempre gli stessi, solo più carichi d’anni), è questa: che quelli di prima, i veterani, almeno avevano, nelle loro fisime intellettualoidi, un vero culto per la carta stampata, e a loro modo erano “aggiornati” sebbene su cose già scadute per tutti gli altri: scoprirono e dogmatizzarono Marx e Freud, ad esempio, quando il resto del gotha mondano che contava li aveva già licenziati ed era passato ad altre mode ed altri santoni. Prendiamo il caso di don Milani, per dirne uno, che pure precedette il Concilio: credeva che bastasse leggere un quotidiano a scuola e d’incanto il mondo diventava migliore e tutti gli studenti saggi e “consapevoli”… certamente ignorando, nell’ingenuità tipica dei pionieri, che a scrivere il giornale erano altri uomini, e assai spesso mentendo o falsificando per conto terzi le notizie, uomini spesso peggiori degli stessi inconsapevoli lettori. Questo, quelli di ieri.

Quelli attuali, invece, hanno una vera  e propria allergia per la carta stampata, e la loro ignoranza è palese. Non leggono e non studiano niente, non sanno nulla di nulla: il loro unico abbeveratoio è il piccolo schermo, le scalette dei tg e le ammucchiate sentimentali dei talk-show pomeridiani, qualche editoriale di Repubblica talora. Nel ’68 i clericali contestatori lanciavano sì degli slogan, originali o svaccati che fossero, ma quegli slogan nascevano bene o male da riflessioni più o meno serie, da un certo studio, da teorie lette qua e là, dai libri seppur a la page; adesso sono scomparsi i libri, sono rimasti gli slogan, che ripetono se stessi a prescindere da tutto, basati sul vuoto pneumatico di pensiero, meditazione, studio. Il trionfo della faciloneria. Dell’ovvio clericale, ritrito, del buonsentimentalismo a parole, mentre nei fatti, al primo che non gli dà ragione lo aggrediscono (vedi il Cecconi, profeta dell’extracomunitarismo parolaio e veltroniano, con che rabbia s’avventa su padre Pio e i suoi devoti). Una carenza formativa (quando non umana) e un disastro culturale penoso, che i seminari cattolici, da mezzo secolo, sono specializzati a produrre: proprio quei seminari che fin lì avevano prodotto le élite culturali di ogni nazione.

Rispetto ai contestatori del ’68 che dicevano “secondo Marx”, “secondo Marcuse”, “secondo Mao”, “secondo Freud”, che almeno manteneva una parvenza di serietà alla discussione, questi di oggi si sono arenati nel “secondo me”, e se è un nano a dirlo, fa ridere e fa pena, e il dramma diventa farsa.

APPENA UN CHIERICO SI “AGGIORNA”, S’AVVENTA SULLE IMMAGINI PIÙ SANTE E VENERATE. DAL POPOLO

il “buffone medievale”, sempre a detta del prete pisano don Cecconi, che avesse un vescovo come si deve (e purtroppo è della sua scuola), dovrebbe essere cacciato a pedate dalla diocesi.

Tra le altre solite cose c’è la più solita (da secoli) di tutte: un chierico che si sente d’improvviso “aggiornato” e in poppa alle magnifiche sorti e progressive, come ognirivoluzionario ha necessità di distruggere tutto il passato (va da sé) “oscurantista”, per galoppare verso il futuro “radioso” del “secondo me”. E qual è ed è stata sempre la prima cosa che hanno fatto questi? Aggredire le immagini sacre, avventarsi contro le chiese, divellere quadri, frantumare  altari, strappare paramenti, dare alle fiamme le reliquie, scagliarsi con la bava alla bocca contro i grandi mistici e i santi… possibilmente i grandi taumaturghi, quelli cioè amati profondamente dal popolo dei semplici. Un classico. E così ha fatto questo povero chierico toscano.

Poi, dopo le solite cose, ci sono lecontraddizioni marchiane, dicevamo. Di questi clericali che hanno scambiato la faciloneria per sobrietà, il sentimentalismo per solidarietà, il populismo per apostolato, la tuttologia superficiale e declamatoria per cristianesimo “originale” quando non addirittura delle “origini”.

Prendi l’immagine strappata di san Pio da questo chierico, Antonio Cecconi, mentre sbraita “il Medioevo è finito!… Basta con buffoni e superstizioni. C’è stato un concilio. Aggiornatevi!”.

Questo qui, io ne sono certo, se gli domandi quando è iniziato ed è finito (ammesso sia mai davvero esistito al di fuori delle teorie degli storici) il “Medioevo”, non lo saprà di certo. Figuriamoci se poi può sapere cosa davvero il Medioevo, che è durato mezzo millennio, è stato. Quello che “sa” l’ha visto ne Il nome della Rosa ed è tutto qui il suo “Medioevo”, anche se persino Umberto Eco ha disconosciuto quel film bello ma cretino basato sul suo libro che a ben altre altezze vola.

Ma soprattutto, allergico come sarà alla carta stampata (glielo leggi in faccia che predilige ‘e tavolate co fascioli all’ucelletto e rosso de Montepulciano ad abundantiam, e speramo almeno se risparmi il dopocena alla Renzo Montagnani), a questo Cecconi, è sfuggito che il Concilio è anzitutto la Lumen Gentium  e tutti i documenti che ne sono derivati, che “aggiornano” ben poco di quel che lui immagina nella sua fantasia di demagogo da sacrestia. Soprattutto gli è sfuggito che padre Pio è morto DOPO il Concilio, che è stato fatto beato DOPO il Concilio, che è diventato santo DOPO il Concilio. Ma tant’è! Ancora una volta: se la realtà smentisce l’ideologia, tanto peggio per la realtà.

STRAPPARE PADRE PIO “IN NOME DEL POPOLO”. ANCHE SE IL POPOLO “SOMARO” NON È D’ACCORDO

Il “buffone medievale” mentre si dedica a “superstizioni preconciliari”. Secondo il Cecconi

Fra le altre contraddizioni ce n’è una più vile delle altre: è facile strappare con odio le immagini di san Pio da Pietrelcina davanti a giornalisti agnostici, contornati da professorini clericali tronfi e vuoti, in mezzo a un girotondo di “attivisti dei diritti umani”, fra i proprio pari. Molto meno facile sarebbe per questo chierico cedere a certi triviali eccessi dinanzi al popolo dei fedeli, sovente devoti a padre Pio. Perché ne rimedierebbe tante di quelle mazzate che d’un tratto si risveglierebbe dal coma, semmai si risvegliasse, lefebvriano: il popolo (quello vero, non quello immaginario dei sociologi radical-chic), tutto sopporta, ma l’iconoclastia verso i suoi santi, l’ha in gran dispetto. Io stesso, dinanzi a un gesto simile di un prete, non ci penserei due volte a schiaffeggiarlo.

Un’altra contraddizione del prete populista e demagogo, è questa. Che disprezza giusto giusto quel che il popolo fedele ama e venera: una sorta di sadismo infantile per cui deve rompere il “giocattolo” preferito degli altri bambini, perché questi non vogliono giocare con lui al suo gioco cervellotico, preferendo le cose più semplici e a loro congeniali. Vedete che questo agire contro il popolo e le cose che più predilige, e con violenza inaudita, è tipicissima del prete “democratico”, demagogo e populista, che tanto lo è che non riesce a concepire qualcosa che non sia calata con prepotenza dall’alto addosso a tutti gli altri ma sempre “in nome del popolo”.

Uno si chiede com’è possibile una contraddizione tanto grossolana. In realtà non v’è alcuna contraddizione in questo caso, perché siamo sempre al succitato motto del nostro Messori: siccome il popolo che il prete demagogo s’immagina non è quello reale – cioè il popolo fedele così com’è –  bensì quello sociologico, teorico e che vive soltanto nella sua fantasia ideologica, il popolo così come dovrebbe essere per i suoi schemi,  ebbene: quando s’accorge che così stanno le cose e che sta predicando ai mulini a vento, visto che il popolo vero è voltato dall’altra parte a venerare non il Demagogo ma il Taumaturgo, il santo e non il pagliaccio, ecco che s’incazza.

Perciò, piccato, anzitutto dà (come il Cecconi ha dato) del “buffone” al Taumaturgo, e poi del “superstiziosi” ai fedeli, come a dire “poveri stronzi”. Per il semplice fatto d’aver creduto, come è sempre stato, al Santo e non al Demagogo, cioè a lui, che legge anche a nome loro quel Padre della Patria di Scalfari.  Ma i demagoghi passano i santi restano, questo il popolino fedele lo ha sempre saputo. Ecco, questa constatazione di realtà che smentisce non solo lo schema ideologico ma anche l’ego basato sul nulla di questo prete, gli ha fatto dire: se la realtà mi smentisce, tanto peggio per la realtà… io la strappo in mille pezzi. Purché la sua teoria delirante sia salva. E alla fine ti rendi conto che questi declamatori clericali “in nome del popolo”, non si limitano più a disprezzare i presunti “vizi” del popolo e le di lui immagini più sante e venerabili. Disprezzano proprio il popolo. E amano il primo vanesio che salta sulla prima sgangherata cattedra “teologica” diocesana a schiamazzare: “Si sono sbagliati tutti, fin qui, dal Nazareno sino Tedesco: solo io ho capito tutto!”. Il popolo dov’è nel frattempo? Si parlano addosso questi egocentrici che han perduto – perché questa è l’amara realtà, essendo tutto il resto moltiplicazione di cani e serpi – la fede.

NESSUNO TOCCHI LA RICCHEZZA DEI POVERI

La ricchezza e il patrimonio dei poveri

Eppure, il prete demagogo e populista, se davvero parlasse “in nome del popolo” quello vero, se davvero amasse la Chiesa incarnata e non teorica, cioè il popolo fedele così com’è e non come dovrebbe esseresecondo lui, se davvero avesse a cuore i “poveri”, in spirito e materia, allora la prima cosa che dovrebbe realizzare è una. E cioè che quel padre Pio lì, come ogni santo e taumaturgo, che l’intera bellezza della Chiesa, non solo sono un dono di Dio ai “poveri” di questo mondo; ma che tutto questo è la vera e spesso sola “ricchezza” del popolo di Dio. È il suo patrimonio.

Il povero di tutti i secoli, è entrato in casa dei signori di questo mondo chiedendo il permesso e col cappello in mano, da straccione e per essere un servo, e come tale è stato sempre trattato. Ma quando questo stesso povero entrava in una chiesa, era un re; al pari dei veri re di questo mondo, che davanti a Dio, all’altare, alla Chiesa madre di tutti, è davvero un pari del povero: stessi peccati, oneri, diritti e doveri.

Il povero che entrava in quella chiesa, in qualsiasi epoca, alla cui costruzione spesso esso stesso aveva generosamente contribuito (col lavoro se non coi soldi), sapeva una cosa: che tutto quello splendore, quelle mura sontuose, quei santi rappresentati in magnifici quadri, la musica sublime, ogni sacramento, la stessa salvezza che tutte queste cose simboleggiavano e promettevano, erano “sue”. Stavano lì anche per lui, a sua totale disposizione, che tutto il glorioso e trionfale apparato universale della Chiesa era al servizio della sua anima e ove possibile del suo corpo.

Perché dentro la Chiesa egli, povero straccione ignorante, diventava un re per il quale i più grandi artisti avevano, solo per lui, dipinto e scolpito cose eccelse eppure pensate su misura per il povero, per affascinarlo e farsi capire proprio da lui;  anche per lui i grandi architetti avevano costruito quelle maestose volte; i grandi musicisti anche per lui avevano composto le loro sinfonie; gli organisti anche per lui, carne redenta da Cristo, oltre che per Dio, suonavano adesso le loro meravigliose musiche; anche per lui i consacrati preparavano liturgie splendide e prediche che fossero proprio da lui comprese… e si può dire che per lui solo erano, con lo studio e la passione, con le sudate carte, scritte e poi pronunciate. Per lui solo. Il povero.

Come per lui solo si mobilitavano i santi taumaturghi del paradiso così come quelli ancora gementi sulla terra. Per lui. Per il povero, l’ignorante, il popolano. Perché quel povero lì dentro la Chiesa diventava un re. Perché tutta la bellezza e il mistero abbacinanti della Chiesa e delle chiese, tutto questo, era il “patrimonio dei poveri”. E l’unico tesoro che avrebbero come un bene immobile, in ricordo dei loro padri, ereditato i figli e i figli dei figli dei poveri.

Quando hanno tirato fuori dalla chiese i “poveri”, per buttarli magari in una fabbrica, questi hanno smesso di essere dei re. Volta per volta son stati abbassati, per innalzare i demagoghi di ieri di oggi di sempre, a “operai”, “salariati”, “manovalanza”, “braccianti”, “mendicanti”, “pezzenti”. Più tardi, alla somma di tutte queste cose: carne da macello per tutte le ideologie del mondo, smettendo non solo d’essere come re ma anche d’essere uomini, ridotti a: “massa”, “classe”, “sudditi”, “milite ignoto”.

Un tempo, invece, erano dei re… Dentro la Chiesa, lo erano.

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