ECHI DI ALCUNI NOSTRI DISCORSI. Dalla scarsa incisività dell’Anno della Fede alla scarsa verità della trionfalistica parata del 3 novembre; dalla scorciatoia con mons. Williamson a certe furbate tra bastonate provvidenziali e disinvolture ostinate
Il tempo è galantuomo (proverbio).
Essere discepoli di Gesù significa non
lasciarsi affascinare dalla logica mondana del potere (S.S. il Pontefice regnante, alla conclusione dei
festeggiamenti dell’ultimo Concistoro).
Combattete, figlioli miei,
combattete […] La procella cresce,
miei carissimi figli, ma non deve per questo venir meno il nostro coraggio e la
nostra fiducia in Dio. Per quanto veementi le acque della tempesta che vanno a
percuotere lo scoglio, esse non fanno altro che rimondarlo e chiarificarlo
sempre più; e infine quelle acque frangendosi passano, e lo scoglio rimane
intatto e anche più puro che prima non era. Questa è la Chiesa di Gesù Cristo
(il nostro beato Pio IX, l’amabile buon Pastore che ha proclamato il dogma
dell’Immacolata).
Sabato 1° dicembre 2012
1)Cominciamo da «Pietro AP», che,
in una certa assonanza con il nostro articolo sull’importante iniziativa
dell’Anno della fede, ci scrive:
Domenica scorsa stavo vedendo la trasmissione "A Sua
Immagine" su rai uno e stavano commentando il recente Sinodo dei Vescovi.
Parlavano della nuova evangelizzazione e di come attuarla. Si sono presentate
le domande che alcuni vescovi avevano fatto all'assemblea come per esempio il
problema dei divorziati e risposati e accesso ai sacramenti, il problema
educativo dei giovani in rapporto alla Fede, e il ruolo dei laici all'interno
della comunità ecclesiale e liturgica. Però queste domande, che sono sempre le
stesse da decenni purtroppo, e le risposte avevano qualcosa di mondano cioè sia
le domande e sia le risposte dei presenti alla trasmissione avevano
proposizioni solamente umane e mai con lo sguardo rivolto al soprannaturale. Non
si poneva l'accento che la vera causa di tutti questi problemi è purtroppo una
grande crisi di Fede che ha colpito la Chiesa da decenni. Ad esempio sul
problema dei divorziati e dei risposati, ci si poneva solo il problema della
loro partecipazione alla vita ecclesiale e in qualche modo alla vita sacramentale.
Però non ci si poneva il problema che divorziati e risposati vivono in una
situazione di grave peccato che rischia loro la possibilità di salvezza eterna.
Ecco la crisi di Fede [che arriva persino,ricordiamolo, ad una falsa nozione di
fede, ndr]: ormai grossi parti della Chiesa
hanno così tanto rivolto lo sguardo sui problemi intramondani che lo hanno distolto
da quello che veramente conta: l'aldilà, la salvezza eterna delle anime [questo
è l’effetto: perché, perdendosi – a vari gradi – il contenuto dottrinale della
fede, non si crede più all’Inferno, non si crede più alla necessità della fede
– che si dice “è un dono” (senza pensare che è stato fatto in nuce nel Santo Battesimo) per non dire apertamente “è un optional”, etc, ndr]. Il problema di
come divorziati e risposati [nel senso di divorziati poi “risposati” o nel
senso di mettere in un calderone, senza chiare distinzioni, separati,
divorziati e basta e divorziati concubini, come oggi talvolta accade in certi
discorsi di uomini di Chiesa?, ndr] possono
vivere all'interno della comunità ecclesiale è solo conseguenziale e successivo
al vero problema che sta alla radice e cioè convivenze ed affetti che non sono
secondo la Volontà di Dio. Si pensa che dire le parole di Verità sia mancanza
di rispetto, queste realtà si devono invece vivere abbracciando la Croce e non
scendendo a facili compromessi. Dire la Verità è Somma Carità perché di mezzo
c'è la Vita Eterna. Così anche il problema educativo è solo mancanza di Fede e
cioè occorre proporre il Vangelo in maniera integrale anche se questo significa
andare contro la mentalità permissivistica dei nostri tempi. Oppure sulla liturgia
che occorre un maggior ruolo dei laici, o istituzionalizzare il ruolo dei
lettori [in barba anche a cose dette dall’allora card. Ratzinger e in ossequio
– anzi di più, in applicazione – al sempre più spinto andazzo
protestanteggiante, ndr] e dei
catechisti [quando ancora, bene o male, c’è il Catechismo. Perché talvolta è stato
persino detto apertamente – ma sui riconoscimenti si fa, al solito, un passo
avanti e uno indietro – che esso è rimpiazzato da una nuova, anzi nuovissima catechesi, esperienziale, in contrapposizione alla trasmissione delle verità
di fede, costituita appunto dal Catechismo. Vedere, ad esempio, la lettera
dello scorso novembre a un parroco, qui pubblicata. Sono fatti. Sebbene
avvengano tra il pilatesco “lavarsi le mani” della moltitudine e anche di
alcuni che hanno avuto la grazia di vedere questi problemi; nell’incuranza
della divina “Norimberga”, ndr]. Sì,
tutti discorsi umani che però non vanno al cuore del problema di fondo e
cioé portare le persone a rivolgere lo sguardo a ciò che attende alle Cose Ultime, alle realtà soprannaturali, ad un solo Nome: Gesù Cristo. Solo alzando lo sguardo verso di Lui che ci illumina sulle Realtà Ultime, allora potremo vivere bene le realtà umane secondo la Sua Volontà e vivere già su questa terra un pò di quel Paradiso che è la Vera Vita. Questa è la Vera Evangelizzazione.
cioé portare le persone a rivolgere lo sguardo a ciò che attende alle Cose Ultime, alle realtà soprannaturali, ad un solo Nome: Gesù Cristo. Solo alzando lo sguardo verso di Lui che ci illumina sulle Realtà Ultime, allora potremo vivere bene le realtà umane secondo la Sua Volontà e vivere già su questa terra un pò di quel Paradiso che è la Vera Vita. Questa è la Vera Evangelizzazione.
Cordiali saluti.
Pietro AP
Pietro AP
Postilla.
Caro Pietro, grazie della tua testimonianza, che ci fa tornare in mente il
titolo del nostro contributo generale all’inizio del Sinodo diocesano: Il primato dell’ortodossia e l’opzione
soprannaturale.
Se il
buongiorno si vede dal mattino, ecco l’efficacia di misure che magari potranno
attirarci qualche grazia, ma che di certo prescindono dal fatto – davanti al
quale non c’è ermeneutica che tenga – per cui le leve del potere ecclesiale
sono capillarmente in mani sabotatrici (oggettivamente parlando, s’intende) di
certe buone intenzioni pontificie. Rimandando alle nostre lettere di gennaio a
quattro Cardinali e di febbraio all’allora Prefetto della Congregazione per la
Dottrina della Fede, ci chiediamo: chi ancora pensa (o almeno dice, o
logicamente presuppone con la sua condotta) che si può venirne fuori senza
misure di rottura – che interpellano anche ciascuno “in basso”, ricordate suor
Lucia a padre Fuentes? -, non la capisce o non la vuole capire?
* * *
2)A
lavorare piuttosto per la prospettiva opposta (le cose si stanno sistemando con
l’attuale via politico-diplomatica), una parte degli amici della Messa antica
ha ritenuto di convogliare delle energie cattoliche tradizionali nella
manifestazione a San Pietro del 3 novembre.
A
parte l’aspetto secondario della “guerra dei numeri” dei partecipanti, che ci
ricorda i cortei della CGIL (e che in ogni caso restano ben sotto i numeri
dell’ultimo grande pellegrinaggio “tradizionalista” a Roma: quello organizzato
nell’Anno Santo dalla FSSPX, con 5-6 mila partecipanti), nonché il momento infelice
della convocazione ed altre modalità discutibili, non mancano gli elementi che
contraddicono il soggiacente messaggio della “Nuova Era” (pur con difficoltà e
lentamente) e che dovrebbero rendere pensosi. Accenniamo ad alcuni. Ovviamente
senza misconoscere certi recenti buoni spunti (che più volte abbiamo anche
messo a fuoco, nel tentativo di comprendere articolatamente una situazione
complessa) ma nella consapevolezza, criticamente costruttiva, che con tante
illusioni e pochi scossoni alle coscienze non si va da nessuna parte.
Innanzitutto,
rimandiamo alla vignetta estiva della nostra Monica, presente in questa sede (Castigat ridendo mores), che è stata
ripresa e pubblicata anche da un altro sito, e che parla più di tanti discorsi.
Poi
su un sito molto popolare nell’ambiente della Messa tradizionale (e non è per
caso che noi diciamo “della Messa tradizionale” piuttosto che “della Tradizione”
tout court: non potendo peraltro
mettere la mano sul fuoco che siano sempre sinonimi), un sito che nell’ambiente
va per la maggiore, abbiamo letto le seguenti domande critiche, speriamo
stimolanti (delle quali, per la verità…sapevamo qualcosa):
Abbiamo ricevuto da un Lettore questo
interrogativo: “Come mai è stato tolto il contenuto di un articolo appena
pubblicato sulla recentissima cerimonia a San Pietro? Eppure sollevava
un’interessante questione: l’assenza dei Cardinali (quando nel Pontificale a S.
Maria Maggiore del 24 maggio 2003, prima di Summorum
Pontificum, i porporati c’erano: non soltanto
il celebrante ma, se la memoria non m’inganna, cinque Cardinali). …?”
Da parte di un altro Lettore invece una
riflessione che sarà oggetto di un interessante approfondimento futuro: “…se la
verità conta qualcosa andrebbe rilanciata anche un’altra questione: se, come
messo già nel “benvenuto”, bisogna riconoscere addirittura «pienamente»–
“giro di vite”, come corrispettivo dei parziali allargamenti? – il valore e la
santità del rito moderno, perché fare la “riforma della riforma”?
A un
partecipante abbiamo chiesto (noi non c’eravamo, sicché prendiamo per buone – almeno
a grandi linee – le risposte di chi c’era e con favore): il celebrante (un noto esponente moderato-conservatore)
nell’omelia ha parlato dei problemi nell’applicazione del Motu proprio? Noooooooo! Ha parlato della riforma della riforma? No. Ha parlato almeno contro gli abusi nella celebrazione secondo il rito
moderno, contro la tendenza desacralizzante? No. Ha parlato della crisi
dottrinale nella Chiesa? No. Ma almeno ha parlato della perdita della fede in
generale? Il Pontefice regnante aveva appena fatto dei gravi riferimenti a
questo riguardo… Ha parlato almeno dell’«apostasia
silenziosa» di cui ha scritto S.S. Giovanni Paolo II, ripetendo almeno le
recentissime affermazioni pontificie a riguardo? «Nemmeno. Tutto va ben Madama la Marchesa». Perché, chiediamo noi? Per non
intralciare la concessione di belle chiese? Per bilanciare (con un pessimo
affare) le opposizioni che tali politicanti e velleitarie mosse, appariscenti
ma fumose, frequentemente scatenano? Perché si accetta un baratto tra certe
concessioni liturgiche e l’ottica, la prospettiva, della buona battaglia? Dateci
la Basilica (ben vistosa, per i sarnagiotti)
che vi diamo in sacrificio la testimonianza della verità (meno vistosamente)?
A
fronte di una tale perversione nell’uso della Messa tradizionale brilla la
testimonianza di un nostro lettore, che a degli amici scrisse:
«preferisco il primato della Fede a quello
della liturgia!».
Che tristezza,
quando si pensa che questi sono i ratzingeriani
conservatori! Papa Ratzinger, che non ha una formazione tradizionale,
quantomeno prende sul serio la drammaticità di certi problemi, la gravità anche
delle attuali difficoltà del pontificato; al punto (è credibile) da vagliare
l’ipotesi delle dimissioni (al fine – come abbiamo subito detto a Socci quando un
anno fa pubblicò un esplosivo articolo a riguardo – di pilotare la transizione,
verso un successore che abbia la forza e le mani libere di realizzare certi
suoi spunti, certe sue indicazioni e mezze misure prese o tentate: come poi ha
detto esplicitamente Il Foglio). Questi
ratzingeriani conservatori, che avrebbero una formazione migliore, pensano
soprattutto a farsi dare le belle chiese (a qualsiasi prezzo)… E anziché con la
franchezza, vorrebbero servire il Papa con l’adulazione!
Infine,
è un paradosso (sebbene non ci abbia stupito, non essendo noi nati cinque anni
fa) che a incoraggiare oggi una tale linea, con una presenza alla quale non erano
in alcun modo tenuti, siano stati – questa volta come già altre analoghe a
livello locale – anche alcuni che non soltanto non «riconoscono» pienamente, ma neppure riconoscono parzialmente; alcuni che in talune
occasioni hanno detto cose più dure di quella che è la nostra posizione, della
posizione espressa e portata avanti dal nostro gruppo (vero, abbé Tizio? Vero, professor Caio? Vero, calcolatore
Sempronio?). Ma, come diceva il detto dei vecchi di una volta: La robba ‘mmanta la gobba…
* * *
3)Monsignor
Fellay, dopo aver espulso il suo confratello mons. Williamson dalla Fraternità
San Pio X il 24 ottobre, il 1° e l’11 novembre in due omelie ha accennato a
tale dolorosa rottura (dopo quella avvenuta dieci anni prima con un altro
Vescovo, quello degli storici “compagni di battaglia” di Campos: nel 2001
assolutamente non voleva subire rotture, e ha perso mons. Rangel direttamente e
mons. Williamson di contraccolpo). E soprattutto ha spiegato il mancato accordo
(almeno per questa volta, a quanto sembra; come, ricordate?, in tempi non
sospetti avevamo dato per esito probabile della strada che ha voluto prendere).
Spiegazioni piuttosto lunghe ma, purtroppo, anche disinvoltamente elusive. Sebbene,
da prelato di notevole intelligenza ed equilibrio qual è, dica anche varie cose
interessanti e notevoli (tra cui alcune in consonanza a cose che noi diciamo da
tempo); e sebbene spezziamo volentieri una mezza lancia a suo favore: mandare
avanti la barca, tenere insieme la baracca in situazioni del genere, non è
facile... e il “pugno di ferro” talvolta è anche imposto dalla realtà. Soltanto
mezza però, purtroppo: giacché, oggettivamente, certi problemi rimangono. Ci
limitiamo qui a rilevare un paio di esempi; ci sarebbe materia per una lunga
disamina delle affermazioni del prelato svizzero, ma qui ce ne asteniamo
volentieri: sia perché sono rilievi che si possono riscontrare già nei nostri precedenti
articoli in materia (prima delle cose
nuove, anche di articoli nuovi, ci
sarebbe da valorizzare maggiormente quelle
già presenti); sia perché nelle Marche non è certo su questo fronte il
problema (né di maggioranza né di minoranza: non hanno neanche un centro –
neppure a regime misto – appoggiandosi
a quello parrocchiale FI di Campocavallo). Tuttavia avevamo scritto, ricordate,
che quando questa “storia infinita” fosse arrivata a un punto avremmo esposto una
riflessione generale: è quanto tentiamo di fare, giacché forse ci siamo, con il
giusto rispetto per il momento doloroso in cui si trovano.
Come
nota mons. Williamson sulle «ragioni» della sua espulsione, «il problema di
fondo […] si riassume in una sola parola: disubbidienza». Sta di fatto che tale
disubbidienza si è così sviluppata con l’avanzamento dei contatti tra Roma ed
Ecône (sebbene mons. Fellay e seguaci tentino, assai sgradevolmente e alle
solite, di squalificare personalisticamente l’obiettante): giacché, di fatto,
nel 2003 e nel 2009 questo Vescovo ha comunque ubbidito a ordini pesanti e
sgradevoli del suo confratello Superiore generale. Ma poteva egli continuare a
ubbidire a mons. Fellay? Si ricorda nessuno di quando, pochi anni-luce fa,
mons. Fellay dichiarava:
«in ogni caso, è impossibile e inconcepibile
passare alla terza tappa, e quindi prevedere degli accordi, prima che le
discussioni siano riusciti a chiarire e correggere i principi della crisi»
(Fideliter n.171, maggio-giugno 2006,
pp.40-41)?
E un
atto pesantemente ufficiale e solenne quale la Dichiarazione del Capitolo
dell’estate 2006 dice, in maniera appena più sobria, la stessa cosa. Noi siamo
stati sempre e dichiaratamente in disaccordo con tale principio, che abbiamo
anche sottoposto ad articolata critica (l’accordo canonico è desiderabile; non è un assoluto, e per dire se è prudentemente fattibile bisogna
vedere le condizioni poste, ma non può legittimamente essere escluso di
principio); ma la Dichiarazione capitolare in tal senso è stata approvata «all’unanimità»! (Dove l’abbiamo già
vista una scena del genere? Sembra di stare nella Chiesa conciliare… Quanto detestiamo l’attitudine, diciamo il
fenomeno, di quelli che sostanzialmente la pensano come noi ma invece di stare,
con consequenzialità, qui in cappellania sono sostanzialmente scomparsi nella silenziosa
palude degli integrati in grosse case
d’altri, che in cuor loro ed in privato non condividono!). Quindi, nel 2006
nella San Pio X tutti – almeno i capi – erano d’accordo con tale (erroneo)
principio: mons. Fellay e mons. Williamson erano ufficialmente d’accordo su
questa linea. E noi no. Ora, mons. Fellay stesso in qualche modo riconosce di
aver tentato un accordo sostanzialmente soltanto canonico; di essere stato
aperto – non in ogni caso, certo – a tale possibilità. Ebbene, a parte che
allora non avrebbe dovuto pretendere come conditio
sine qua non l’accordo dottrinale preventivo
con quella scaletta e tempistica,
per i motivi storico-realistici che abbiamo già esposto: dunque mons.
Fellay è stato disponibile a qualcosa che lui stesso aveva ufficialmente dichiarato
impossibile e inconcepibile! Come
poteva mons. Williamson continuare a ubbidirgli? Uno che vuol fare cose
impossibili e inconcepibili (anche se poi queste non gli vanno in porto) o è
uno fuori di testa, o è un traditore, o è uno rimasto intrappolato: come gli si
può ubbidire? Non a torto mons. Williamson ne ha chiesto, subito prima di
venire espulso, le dimissioni (suggerite anche da noi, già a dicembre dello
scorso anno: cfr. in questa sede Eccellenza,
si dimetta!).
Eppure
mons. Fellay, in tali omelie e in altre occasioni, non ha realmente fatto
chiarezza (almeno a quanto ne sappiamo e almeno finora, ovvero alla
venticinquesima ora). Ha parlato delle contraddizioni di Roma, e di per sé
ovviamente ha anche ragione; si è fatto fotografare con la mitria di mons. Lefebvre
alle consacrazioni, e di per sé ovviamente è la classica bella mitria delle
occasioni solenni: ma ha sostanzialmente eluso i tasti più scomodi. Ha implicitamente
riconosciuto l’insuccesso dei colloqui dottrinali, ma non è andato oltre.
Ha
parlato con forza e dolore, anche pregevolmente, della sofferenza interna alla
Fraternità (la confusione, la sfiducia, una prova «forse la più grande che noi
abbiamo mai avuto»): ma non ha egli stesso delle importanti responsabilità a
riguardo? Come qualcuno di noi aveva detto e scritto, anche direttamente a lui,
anni fa: quando in continuo, e anche già di principio, egli parla contro quello
che loro chiamano l’accordo pratico e
noi chiamiamo l’accordo sostanzialmente canonico o l’accordo tout court – anche se (storia vecchia,
dichiarata già con S.S. Giovanni Paolo II) lo vuole il Papa e Roma ci corre
dietro completamente di sua iniziativa – e poi viene fuori che egli ha dato disponibilità
proprio a questo, non ha favorito lui stesso un tale stato di sofferenza? L’avrà
detto magari per tattica; e va detto anche che Roma, con la sua lunga condotta
verso la FSSPX (come disse amareggiato il card. Siri), ha indegnamente e irresponsabilmente
incentivato proprio tale comportamento; ma, così facendo, non ha lui stesso gettato
benzina sul fuoco? Non dovrebbe dunque, invece di dare la colpa tutta a Roma (col
suo «doppio linguaggio», che l’ha ingannato) e al capro espiatorio Williamson
(che dice in modo più coerente quanto anch’egli ha detto in passato), assumersi
le proprie responsabilità? Ha cambiato idea e si è convinto che – come diceva
qualcuno di noi venendone malvisto e qualche seminarista di cuore
romano-accordista che punirono con l’invio in Argentina – quel principio era
sbagliato? Che lo spieghi, lo motivi seriamente…
Egli
afferma che così non può accettare, e che per ben tre volte lo ha risposto a
Roma ma questa invece diceva che egli non aveva ancora risposto (che bella
chiarezza!), però lui non poteva smentire pubblicamente né spiegare perché
doveva verificare se i segnali giusti fossero quelli ufficiali o quelli
ufficiosi. Anche questo non regge: in ogni caso, adesso la verifica sui
messaggi romani contraddittori mons. Fellay l’ha conclusa, non dice questo? Eppure
il 27 ottobre è stata pubblicata una dichiarazione (peraltro non firmata) della
Pontificia Commissione Ecclesia Dei
che dipinge una “partita ancora aperta”:
«La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” coglie l’occasione per annunciare che,
nella sua più recente comunicazione (6 settembre 2012) la Fraternità
sacerdotale di San Pio X ha indicato di aver bisogno per parte sua di ulteriore
tempo di riflessione e di studio, per preparare la propria risposta alle ultime
iniziative della Santa Sede».
Se le
cose stanno come mons. Fellay racconta ai suoi fedeli, perché a segnali
verificati egli ha chiesto altro tempo per rispondere ufficialmente a Roma? Per
continuare la confusione? E se il 6 settembre mons. Fellay non ha chiesto questo,
perché egli – che nell’omelia dei Santi accenna a tale comunicato – non dice
chiaramente che ciò è falso, che il 6 settembre egli non ha mandato un bel
nulla? Se il 6 settembre egli ha scritto qualcosa ma comunque non quanto
riferisce l’interlocutore, perché non ha già tolto terreno all’oggettivo doppio
messaggio che ne emerge con la pubblicazione di tale suo recentissimo testo?
Ci
fermiamo qui. Su organi, tra loro indipendenti, attivamente di area “terza
posizione” (tra il Sistema filomodernista, con i suoi asserviti allineati – quella che nella FSSPX
chiamano la destra conciliare e la
Fraternità San Pio X esposta a derive da Petite
Eglise), come Disputationes Theologicae
e www.cattolicitradizionalistimarche.org,
sono state poste a monsignor Fellay, in una serie di articoli, delle obiezioni.
Queste articolate obiezioni, queste ragionate domande e questa posizione (da
fonti di per sé non certo malevole) sono state diffusamente snobbate. Nel clima
da “compromesso storico” per cui la Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha quantomeno invitato a ritirare proprio un articolo
di critica alla linea ondivaga, tatticista e troppo comodamente autoritaria
dell’attuale Superiore della Fraternità San Pio X! Noi abbiamo anche coniato il
neologismo area doppia, intendendo la
“quarta posizione” (per così dire): quella che troppo disinvoltamente e
comodamente vuole, come se nulla fosse, la
botte piena e la moglie ubriaca; non la prima, non la seconda, non la terza
(ovvero né la prima né la seconda) ma sia la prima sia la
seconda, forzatamente conciliate pro domo
sua. Ora che quel compromesso storico, così recente, sembra già mostrare la
corda, ora che i trionfi della furbizia hanno dato un (altro) saggio di non dare
neppure i risultati che troppi pragmaticamente vorrebbero, ora forse quelle
considerazioni, certi punti di quella posizione, escono incoraggiati e più
facilmente può trovare maggior ascolto qualche “guastafeste”, qualche scomoda
“coscienza critica”. Forse. Sperando che non avvenga quanto (anche pensando a
qualche caso locale) abbiamo recentemente commentato con un amico e lettore:
«Al fondo, il motivo sostanziale è uno […] è una illusione.
Che, come tutte le bugie, non ha le gambe lunghe. Mi pare che il comun
denominatore con […] sia: la realtà,
anche servendosi dei progressisti, dà sonore legnate ai maneggi di area doppia,
ma pertinacemente il lupo perde il pelo ma non il vizio. Magari si trova il
solito capro espiatorio, ma anche questo per non cambiare davvero: salvo le
costrizioni dirette della realtà, si ostinano a non andare ai veri meccanismi».
Nell’omelia
dell’11 novembre il prelato franco-svizzero ha affermato, con un senso di
sconcerto per il «colpo» subito, che le cose con Roma sono bloccate, anzi
arretrate di una quarantina d’anni (cosa avevamo scritto? I lettori attenti
pensiamo lo ricorderanno bene); e che questo stato di sofferenza, di quella
Fraternità San Pio X che ostentava di andare a Roma soltanto nella mira di
convertirla, «è un grande mistero»: un mistero che «nel piano di Dio è necessario
e che noi comprendiamo così male […] noi non comprendiamo più». Da parte nostra,
memori del terribile rimprovero di Nostro Signore Gesù Cristo ai farisei che
dicevano troppo di non essere in grado di giudicare, tentiamo di porre
sommessamente qualche domanda: certamente non sappiamo tutto, ma qualche
lezione non può e non deve essere tirata? Come per l’uscita dalla crisi nella
Chiesa: mons. Fellay dice che «non sappiamo come» la crisi terminerà. Ma
non ne sappiamo proprio nulla? Come
notava la rivista sì si no no
nell’estate dell’Anno Santo, già nella parte pubblicata del Terzo Segreto di
Fatima il Cielo, che sa tutto, non ci ha comunicato niente a riguardo?
Ci
permettiamo dunque di dire (ovviamente a grandi linee): non si può comprenderne
una provvidenziale sconfessione della realtà della «scaletta» circa le
relazioni con Roma, nel 2001 da mons. Fellay ufficialmente dichiarata e da noi apertamente
criticata? Non si può comprenderne un provvidenziale richiamo a quella «umiltà»
alla quale il confratello mons. Williamson, subito prima dell’espulsione,
l’aveva richiamato? Mons. Williamson che il card. Castrillon Hoyos disse un
giorno a uno di noi essere, paradossalmente, il meno orgogliosamente
pretenzioso dei Vescovi della FSSPX. Non si può comprendere, più ampiamente, un
provvidenziale richiamo alle “ali moderate” (ratzingeriani in un campo e
l’attuale “area Fellay” nell’altro), sotto i colpi e i condizionamenti delle
rispettive “ali radicali”, ad un salutare e profondo cambiamento di attitudine?
Non si può comprenderne una sconfessione della Provvidenza alla prospettiva dei
tanti suoi recentissimi amici tra gli integrati tout court, i loro opposti che con tanta faciloneria hanno tifato per
l’accordo (particolarmente incentivati in tal senso da quella trionfalistica
scaletta) per continuare a non essere loro (per carità!) a togliere le castagne
dal fuoco? Non si può comprenderne una sonora sconfessione della Provvidenza a
tali aspettative e scorciatoie, giacché quando le scorciatoie vanno giù è facilitata
la crescita della prospettiva concorrente: la «via regale della Santa Croce»? Buon anno e buona metanoia.
Circolo “Cattolici per la Tradizione”
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