Padre Giovanni Cavalcoli O.P. con il suo ultimo articolo
apparso su Riscossa Cristiana, L’
“interpretazione eretica” del Concilio Vaticano II, ha destato
perplessità e malcontento in molti. È per tale ragione che rispondiamo
all’ennesimo attacco di chi non ammette l’esame teologico, filosofico e
storiografico di una realtà apertasi 50 anni fa e i cui frutti non sono certo
da portare ad esempio. Dare a qualcuno dell’«eretico» è molto grave, tanto più
che nell’ultimo Concilio non si è voluto più condannare niente e nessuno.
Oggi,
invece, assistiamo al paradosso: in nome proprio di quel Concilio dialogante
con ogni realtà si lanciano anatemi fuori luogo e fuori logica contro i
cattolici, contro la carne e il sangue di Cristo. Siamo nel 2013 e in questi
ultimi anni alcuni intellettuali di buona volontà, dopo essersi posti legittime
domande su che cosa abbia prodotto la crisi della fede e la crisi della Chiesa,
si sono dati legittime risposte andando a scavare nella causa: il Concilio
Vaticano II.
Per padre
Cavalcoli è più importante essere fedeli ad un Concilio pastorale, che ha
voluto dialogare con la cultura e il mondo moderni, piuttosto che rimanere
fedeli alla Tradizione della Chiesa, che non commette errori perché conserva il
sigillo dell’ortodossia. Il primo comandamento è «Non avrai altro Dio
all’infuori di me», non sta scritto «Non avrai altro Concilio che il Vaticano
II», questo, invece, è un diktat che molti vorrebbero imporre.
Ma Nostro Signore non impone, Nostro Signore libera: «Gesù allora disse a quei
Giudei che avevano creduto in lui: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete
davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”» (Gv
8, 31-32). È questa verità che vuole avere il mondo della Tradizione, i cui
membri sono disposti anche ad essere vilipesi e dileggiati pur di difenderla
con suprema fedeltà d’amore. Cercare le verità di Dio significa scoprire gli
errori ed errori si sono commessi in questi 50 anni, a partire dai documenti
stilati nell’aula conciliare, composti in un clima che la cronaca di quei
giorni ci definisce eccitato, irrequieto, litigante. L’ottimismo di molti di
coloro che stavano seduti sugli scranni della Basilica di San Pietro si è rivelato
ingiustificato e il linguaggio adottato allora appare oggi anacronistico: è
inutile negare l’evidenza, è inutile cercare di far finta di niente. Come non
si scherza con Cristo, non si può scherzare neppure con la Sua Sposa, Santa e
Immacolata i cui vestiti a volte vengono sporcati, come affermava il Dottore
della Chiesa santa Ildegarda di Bingen (titolo ricevuto il 7 ottobre 2012), della
quale ben pochi parlano, essendo maestra decisamente scomoda per il nostro
tempo. Lo stesso Santo Padre ha detto alla Curia Romana il 16 maggio 2012:
«Nella visione di santa Ildegarda il volto della Chiesa è coperto di polvere ed
è così che noi lo abbiamo visto». La Sibilla del Reno vide una vergine
bellissima il cui abito però era «strappato per la colpa dei sacerdoti».
Commentando la visione della santa renana il Papa ha così continuato: «Dobbiamo
accogliere questa umiliazione come un’esortazione alla verità e una chiamata al
rinnovamento. Solo la verità salva […]. Dobbiamo essere capaci di penitenza»,
perché «il vero rinnovamento della comunità ecclesiale non si ottiene tanto con
il cambiamento delle strutture, quanto con un sincero spirito di penitenza e un
cammino operoso di conversione. Questo è un messaggio che non dovremmo mai
dimenticare».
La Sposa di Cristo non guarda i superbi, ma coloro che sono
disposti a consumarsi per lei, senza avere nulla, di immanente, in cambio. Gli
umili come Ildegarda sono i veri grandi della terra, perché posseggono già
tutto: Dio, ovvero Chi li ha creati.
A partire dall’Umanesimo, in un crescendo che culminerà
nell’Illuminismo e da questo tornerà a crescere fino al devastante relativismo
odierno, il pensiero ha iniziato a concentrarsi sull’uomo e con il trascorrere
dei secoli ha abbandonato sempre più la correlazione fra Dio (e le Sue leggi di
Fede e di morale) e l’umanità, intesa tanto collettivamente, quanto come
caratteristica dell’individuo. Per fare ciò è stato necessario denigrare e
ridicolizzare il periodo della storia umana dove maggiormente questo rapporto
fra Creatore e creatura ha pervaso ed informato la vita, sia individuale che
collettiva della cristianità. Si è partiti col definirlo Evo Medio (Medioevo),
vale a dire un’epoca, sottointeso di barbarie, che si colloca accidentalmente
tra l’antichità e l’epoca contemporanea, entrambe viste come civili. È evidente
che l’unico punto di contatto e di comunione fra gli antichi e i moderni, punto
che esclude il Medioevo, è l’assenza e/o l’irrilevanza della Fede cristiana,
assenza e/o irrilevanza in cui sono fatti coincidere la civiltà ed il
progresso, che hanno eliminato sempre più dall’orizzonte la cura delle anime,
movimento che va sotto il nome di antropocentrismo (vale a dire centralità
dell’uomo in contrapposizione alla centralità di Dio), elemento verso il quale,
nelle stesse parole di Paolo VI nell’omelia finale dell’Assise, si è diretto il
Concilio Vaticano II.
Con l’ultimo Concilio la prospettiva è completamente mutata:
basta leggere le pagine dei Padri della Chiesa per accorgersi immediatamente
che la loro prospettiva era tutt’altra rispetto a quella dei teologi e degli
“esperti” che hanno influenzato le sessioni conciliari. È sufficiente leggere
le pagine dei Dottori della Chiesa per accorgersi dell’immensa distanza che li
separa da Küng, Rahner, Maritain, De Lubac, Congar, von Balthasar,
Schillebeeckx… David Maria Turoldo, Monsignor Tonino Bello, Cardinale Carlo
Maria Martini, Cardinale Gianfranco Ravasi... Nei primi ci si tuffa nel Cielo,
nei secondi ci si tuffa nei labirinti del mondo. Con i primi si risolvono i
problemi religiosi e di coscienza, con i secondi ci si riempie di dubbi e di
ansie.
Nell’umiltà sta il segreto della risoluzione dei problemi
che si sono creati con lo scollamento della pastorale conciliare dalla
Tradizione, che è il DNA della Chiesa. Un giorno il Cardinale Giacomo Biffi
disse che la Chiesa ha l’AIDS, ovvero che essa ha perso gli anticorpi e che
cos’è la roncalliana medicina della Misericordia (verso gli errori e non verso
gli erranti) se non l’eliminazione dell’unico vero anticorpo che ha
salvaguardato umanamente la Chiesa per due millenni, vale a dire la serena
certezza di fede che autorizza ed impone la condanna degli errori? Il vaccino
della Tradizione è dunque essenziale, come è essenziale scoprire le patologie
della Chiesa perché venga curata con i mezzi corretti. Chi ama di più il
proprio figlio, una madre che di fronte alla malattia fa finta che il problema
non esista oppure una madre che chiama il medico per diagnosticare la patologia
e per farlo curare al meglio? Chi amò di più la Sposa di Cristo? Sant’Atanasio,
sant’Ilario di Poitiers, sant’Eusebio di Vercelli e tanti altri santi che
difesero con coraggio la Fede; santa Caterina da Siena e santa Ildegarda di
Bingen, che chiamarono all’appello gli uomini di Chiesa, esortandoli ad essere
davvero uomini, oppure personaggi come Jean Marie Villot, Michele Pellegrino, Giacomo
Lercaro, Agostino Casaroli, Léon-Joseph Suenens, Hélder Pessoa Câmara, che
tentarono in tutti i modi di adeguare la Fede alle dottrine mondane?
San Giovanni Bosco fece avere una profezia a Leone XIII
circa i problemi che sarebbero sorti nella Chiesa[1] e
il fondatore dei Salesiani è senza dubbio una delle personalità che più amò la
Sposa di Cristo e lo dimostrò con il pensiero e con l’azione, volendo non solo
vedere, ma anche agire contro l’errore, lottando strenuamente contro la
Massoneria e il liberalismo (relativismo) che minacciavano la stessa Chiesa e
nella Chiesa i conti tornano sempre perché essa non appartiene agli uomini, ma
a Cristo di cui Egli è Sovrano assoluto.
In data 13 gennaio 2013 il settimanale nazionale della
Diocesi di Torino “il nostro tempo”, fondato nel 1946 dalla nobile figura di
Monsignor Carlo Chiavazza (che fu anche cappellano nella Divisione Tridentina
degli Alpini nella Campagna di Russia) e che da diversi anni, sotto la guida di
Beppe Del Colle, segue una linea decisamente progressista, ha pubblicato due
interessanti pagine a firma di don Giuseppe Trucco, parroco del Santo Volto
(quella «cattedrale» industriale, che non ha nulla che riconduca al sacro,
firmata dall’architetto svizzero Mario Botta). Il sacerdote, non certo di
simpatie tradizionali, constata, però, la devastazione:
«L’uomo del Ventesimo secolo ha perso il senso della sua
finitudine e si è atteggiato a superuomo. Ha posto se stesso sul piedistallo e
al centro del mondo con delirio di onnipotenza, convinto di costruire un mondo
a sua misura e sotto il suo esclusivo dominio. Un uomo convinto di poter
risolvere tutto, di vincere con la scienza la natura, di fare a meno delle
spinte soprannaturali, in una parola di liberarsi del concetto stesso di Dio, o
di neutralizzarlo ponendolo fuori campo, quale indifferente alle sorti umane:
un dio minore che non si interessa agli uomini, che non può o non vuole
intervenire. Il Dio della Rivelazione letto come una pura finzione bonaria e
per i deboli». La disamina di don Trucco è cruda: «Nelle nazioni di antica
tradizione cattolica, l’Italia in primo luogo, il messaggio cristiano era
gradatamente diventato substrato di tutta la cultura e aveva plasmato
cristianamente tutti i settori di vita. Il sistema cristiano, con valori
fatti risalire al Vangelo interpretato e veicolato dalla Chiesa, era cosa di
ordinaria accettazione. Il costume cristiano poteva sostituire il convincimento
personale senza che fossero avvertite troppe contraddizioni. Si era creata
[grazie agli insegnamenti e alla pastorale della Chiesa, ndr] una religiosità
sorretta da tradizioni e condizionamenti sociali, a cui raramente ci si
sottraeva. L’infrazione [l’errore, ndr] era comunemente avvertita e accettata
come peccato, dal quale ci si liberava qualche volta l’anno ricorrendo alla
Chiesa. L’autorità era rispettata e ritenuta necessaria sia a livello civile
che religioso. Lo Stato [c’era tolleranza e non si inneggiava alla libertà
religiosa, ndr], la Chiesa, la famiglia e la scuola erano i pilastri che
garantivano una pacata trasmissione di modi di vivere. C’era un certo dissenso,
ma solo raramente era di massa. Era comunque sperimentato e accettato che la
vita comportasse massicce dosi di rinunce, di sacrifici, di impegno.
Ogni parrocchia si preoccupava di conservare lo status
cristiano con l’amministrazione dei sacramenti. Si presupponeva che non ci
fosse necessità di particolare preparazione specifica. L’ambiente familiare e
sociale erano sufficienti. La messa con la predica e l’istruzione religiosa
collettiva al pomeriggio della domenica erano sufficienti anche per i cristiani
più esigenti. Per i sacramenti dell’iniziazione c’era il catechismo di Pio X
con domande a cui rispondere con stupende risposte teologiche da studiare a
memoria. Una fede solida (fidarsi sostanzioso di Dio) senza pretesa di
dimostrazioni razionali. Fede che ha prodotto pur in tempi difficilissimi
generazioni di santi comuni quali nonne, nonni, madri ecc.».
Possibile che non si possa ritornare ad avere «stupende
risposte teologiche»? Nella Tradizione queste risposte ci sono, pronte all’uso.
Noi, fedeli del XXI secolo, figli del XXI Concilio, desideriamo capire perché
in esso non sono state date «stupende risposte teologiche» e a distanza di 50
anni, consapevoli della distruzione e della desolazione, non necessitiamo di
ermeneutiche, ma della possibilità di attingere alle sorgenti della Tradizione
che è stata chiaramente tradita.
Padre Cavalcoli ha scritto: «È evidente che qui i
“tradizionalisti” non sono coloro che legittimamente, in piena comunione con la
Chiesa e nel rispetto del Concilio, amano evidenziare i perenni valori della
Sacra Tradizione con particolare riferimento alla S. Messa Tridentina, notoriamente
liberalizzata dal Sommo Pontefice, ma si tratta di quei tradizionalisti i
quali, in nome di un loro arbitrario immediato contatto con la Tradizione,
erigendosi a giudici del Magistero, pretendono di trovare nel Concilio
tradimenti o deviazioni dal dogma o accenti modernistici o compromessi con gli
errori del mondo moderno». Guarda caso viene citato Monsignor Lefebvre, questo
Vescovo torna continuamente a solleticare le coscienze cattoliche: un grillo
parlante che non potrà mai essere schiacciato e messo a tacere perché, come
egli disse, ricordando san Paolo «Tradidi quod et accepi» («Ho trasmesso
quello che anch’io ricevuto», 1Cor 15,3) e chi riceve il bene, il vero, il
bello (doni del Signore) è responsabile davanti a Dio e agli uomini di quel che
ha ricevuto ed è chiamato a trasmetterlo.
Attenzione a condannare gratuitamente: qui non c’è soltanto
il capro espiatorio Monsignor Marcel Lefebvre ed i suoi figli, ma c’è tutto un
mondo ormai sollecitato a non subire gli errori, ma ad identificarli affinché
chi è in grazia di stato di poter agire intervenga, come ha palesemente
dimostrato il Santo Padre liberalizzando la Santa Messa di sempre (sulla quale
Monsignor Lefebvre non aveva ceduto di un solo passo) e abrogando il decreto di
scomunica ai Vescovi della FSSPX.
Il Concilio, come dimostrato ormai da molti studiosi come
Romano Amerio, Monsignor Brunero Gherardini, Roberto de Mattei, Giovanni Turco,
Padre Serafino Lanzetta, Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro, Paolo Pasqualucci…
non è intoccabile. Può essere studiato, esaminato, compreso, senza ipocrisie;
se poi esaminandolo e studiandolo si arriva a determinate conseguenze la
responsabilità non è di coloro che vogliono a buon diritto comprendere, ma di
chi ha prodotto determinati errori, che possono essere tranquillamente
recuperati senza definire per questo un Concilio eretico come in malafede
qualcuno afferma, depistando il problema sui soggetti e non sull’oggetto.
Comunque, alla fine di tutte le ridde umane, ogni cosa è nelle mani di Dio e
sarà Lui a giudicare chi sono stati i veri eretici e chi i perseguitati per
amor Suo.
[1] Esiste
un manoscritto che riporta un’impressionante profezia di don Bosco sulla Chiesa
e sul Sommo Pontefice, profezia che riconduce inevitabilmente a La Salette e al
terzo Segreto di Fatima. Essa reca la data 24 maggio - 24 giugno 1873, nonché
una lettera profetica recante le stesse date e alcuni consigli che don Bosco
comunicò nel 1878 a papa Leone XIII, «Esordio delle cose più necessarie per la
Chiesa». Cfr. G.B. Lemoyne,Memorie biografiche di don Giovanni Bosco
raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne, vol. IX, ed.
1917, Appendice «B».
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