Il ministro Riccardi ad Affari: 'L'Italia intervenga in Africa, da lì passano le nostre frontiere'
Ministro Riccardi, la Comunità di Sant'Egidio ha sempre avuto una sensibilità particolare per l'area del Sahel e in questi giorni di guerra in Mali in molti hanno ricordato che i primi a parlare di una destabilizzazione dell'area eravate stati proprio voi. Da dove nasce l'impegno della Comunità di Sant'Egidio in quell'area?
"La Comunità di Sant'Egidio ha una storia importante in Africa, una storia di impegno per la pace. Ricordo la fine della guerra in Mozambico nel 1992, ma anche l'impegno in Burundi, in Costa D'Avorio e in Guinea Conakry. Ma siamo impegnati anche nella lotta all'Aids con 100mila persone in cura gratuita. La Comunità ha una rete presente sul territorio sia nell'Africa australe che in quella occidentale. La regione del Sahel è particolarmente importante, la conosco bene, anche di persona".
Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha detto che probabilmente il mese prossimo i soldati di Parigi inizieranno la ritirata dal Mali. Si ha però la sensazione che i movimenti jihadisti non siano stati sconfitti, ma si siano semplicemente spostati in altri Stati o nascosti nel deserto. Che cosa ne pensa?
"Il deserto, diceva Fernand Braudel, è come il mare: una grande terra senza confini, con Stati senza confini in cui circolano popolazioni da una parte all'altra. Una parte del mondo jihadista si è spostata in altre zone e la loro presenza è ancora un problema serio e soprattutto è un problema transnazionale. Dire che tutto è risolto mi sembra ottimistico. In Mali è stata vinta una battaglia, ma c'è una 'guerra' per pacificare e stabilizzare la regione, per ricostruire lo stato maliano e per solidificare i Paesi vicini, tra cui il Burkina Faso, il Niger e la Mauritania. Questo deve essere un grande impegno internazionale. ".
Un problema così complesso può essere affidato al debole governo di Bamako e all'Ecowas?
"No di certo. E' tempo che l'Italia e l'Europa si impegnino per risolvere la questione. E' un'operazione che la comunità internazionale deve affrontare unita".
Secondo lei la comunità internazionale dovrebbe cercare degli accordi con la popolazione dei tuareg per cercare di stabilizzare l'area?
"Io ho visitato, come ministro della Cooperazione, i campi di rifugiati tuareg in Burkina Faso e secondo me la questione tuareg è un problema da risolvere, proprio per la loro natura transnazionale. C'è però una tendenza che deve essere combattuta. Al nord abbiamo la questione maliana, al sud quella nigeriana con i Boko Haram. E in quella zona stiamo assistendo ad una trasformazione del fondamentalismo islamico che da jihadismo arabo diventa africano. E' estremamente pericoloso".
Come diceva lei il deserto non ha confini ed è estremamente difficile da presidiare, come si fa a tenerlo sotto controllo?
"Sono mesi che dico che dal Sahel passano le nostre frontiere. Perché lì ci sono i traffici della droga, i trafficanti di uomini, i trafficanti di armi. Dopo la crisi libica e la destabilizzazione della parte meridionale del Paese quelle zone sono ancora più importanti. Per questo io mi sono molto preoccupato del ritiro dell'Italia da quelle aree".
Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha detto che probabilmente il mese prossimo i soldati di Parigi inizieranno la ritirata dal Mali. Si ha però la sensazione che i movimenti jihadisti non siano stati sconfitti, ma si siano semplicemente spostati in altri Stati o nascosti nel deserto. Che cosa ne pensa?
"Il deserto, diceva Fernand Braudel, è come il mare: una grande terra senza confini, con Stati senza confini in cui circolano popolazioni da una parte all'altra. Una parte del mondo jihadista si è spostata in altre zone e la loro presenza è ancora un problema serio e soprattutto è un problema transnazionale. Dire che tutto è risolto mi sembra ottimistico. In Mali è stata vinta una battaglia, ma c'è una 'guerra' per pacificare e stabilizzare la regione, per ricostruire lo stato maliano e per solidificare i Paesi vicini, tra cui il Burkina Faso, il Niger e la Mauritania. Questo deve essere un grande impegno internazionale. ".
Un problema così complesso può essere affidato al debole governo di Bamako e all'Ecowas?
"No di certo. E' tempo che l'Italia e l'Europa si impegnino per risolvere la questione. E' un'operazione che la comunità internazionale deve affrontare unita".
Secondo lei la comunità internazionale dovrebbe cercare degli accordi con la popolazione dei tuareg per cercare di stabilizzare l'area?
"Io ho visitato, come ministro della Cooperazione, i campi di rifugiati tuareg in Burkina Faso e secondo me la questione tuareg è un problema da risolvere, proprio per la loro natura transnazionale. C'è però una tendenza che deve essere combattuta. Al nord abbiamo la questione maliana, al sud quella nigeriana con i Boko Haram. E in quella zona stiamo assistendo ad una trasformazione del fondamentalismo islamico che da jihadismo arabo diventa africano. E' estremamente pericoloso".
Come diceva lei il deserto non ha confini ed è estremamente difficile da presidiare, come si fa a tenerlo sotto controllo?
"Sono mesi che dico che dal Sahel passano le nostre frontiere. Perché lì ci sono i traffici della droga, i trafficanti di uomini, i trafficanti di armi. Dopo la crisi libica e la destabilizzazione della parte meridionale del Paese quelle zone sono ancora più importanti. Per questo io mi sono molto preoccupato del ritiro dell'Italia da quelle aree".
Di che cosa si tratta?
"Il nostro Paese stava chiudendo la cooperazione e l'unità tecnica locale (Utl). Io ho lavorato per la ripresa della cooperazione con Niger e il Burkina Faso e per la riapertura a Ouagadougou dell'Utl. Lì noi dobbiamo investire come cooperazione e dobbiamo investire da un punto di vista diplomatico, proprio per evitare la destabilizzazione di quegli Stati. Il Mali è l'esempio drammatico di una situazione che si può estendere. Io non voglio fare l'allarmista, ma il problema non è solo militare. Serve un impegno concreto, politico e diplomatico, italiano ed europeo su quella zona".
Secondo lei se non ci sarà un intervento internazionale potrebbero esserci delle ripercussione per la sicurezza dell'Italia e dei nostri cittadini all'estero?
"Non è solo un problema di cittadini all'estero. La formazione di un jihadismo nero ha facili connessioni anche con l'Europa stessa, in particolare con la Francia".
L'Italia tra un mese andrà alle urne quindi è difficile pensare ad un impegno del governo Monti. Dovrà essere una priorità del prossimo esecutivo?
"Pretendere da questo governo un intervento a Camere sciolte non era giusto. Ma il prossimo esecutivo dovrà affrontare la quesitone del Sahel in modo molto netto. Basti pensare che le nostre rappresentanze diplomatiche sono solo a Dakar e ad Abidjan. E' una vasta zona in cui l'Italia ha avuto una storia, ma è completamente scomparsa".
Quando il Sud Sudan si è separato dal nord si è evitata una guerra devastante anche grazie all'intervento della Cina che, importando petrolio dal Paese, non voleva che l'area si destabilizzasse. Gli interessi commerciali di Pechino possono essere 'sfruttati' per mettere in sicurezza la zona del Sahel?
"La Cina è un grandissimo attore in Africa, non c'è paragone con la pallida presenza italiana. Il caso del Sudan è lampante. Sulla questione saheliana però non vedo spazi per una particolare partnership con la Cina, ma piuttosto con la Francia e l'Europa. L'Ue ha i suoi tempi, che sono lunghi, ma già sta prendendo i suoi provvedimenti".
Giovedì, 7 febbraio 2013 - 09:37:00
Di Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani
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